Q36.5 ha presentato ufficialmente la Foul Weather Capsule Collection, una famiglia di capi super tecnici nati dalla collaborazione con gli atleti professionisti. Foul Weather è di fatto un kit pensato per affrontare condizioni impegnative di pioggia, freddo e vento.
Il tutto parte dalle richieste di atleti come Tom Pidcock – «corridore estremamente esigente, ma in grado di fornire dei riscontri molto interessanti in termini di sviluppo e soluzioni» – come ci ha raccontato Luigi Bergamo, CEO di Q36.5. La collezione Foul Weather prende forma grazie a tre indumenti: la giacca anti-pioggia Rain Shell Aero, Rain Shell Plus a manica lunga e la giacca Vampire Shell. Vediamole nel dettaglio.
Pidcock con Luigi Bergamo, CEO di Q36.5Pidcock con Luigi Bergamo, CEO di Q36.5
Collaborazione ed ispirazione
«I corridori del team sono sempre stati una grande fonte di ispirazione – racconta Luigi Bergamo – perché sono in grado di fornire dei riscontri interessanti e difficili da immaginare quando non si vive la gara dall’interno. E’ pur vero che l’ingresso di Pidcock nel team ha dato un ulteriore boost ai feedback che arrivano in azienda. E’ un atleta davvero preparato, molto tecnico e super esigente – prosegue Bergamo – tanto sintetico nelle sue argomentazioni, quanto in grado di far capire cosa è necessario fare e cosa vuole come atleta.
«Quando ci è stato chiesto di creare dei capi tecnici protettivi e capaci di contrastare i rigori del meteo – conclude Bergamo – sono stati fatti alcuni esempi di competitor. L’indole di Q36.5 non è quella di mutuare e copiare, ma è innovare e spingersi sempre un poco oltre, cercando di sfruttare al massimo le tecnologie esistenti e dove possibile crearne altre. La collezione Foul nasce con l’obiettivo di accontentare atleti di primo livello e alzare una volta di più l’asticella dei capi tecnici protettivi in termini di efficienza ergonomia ed aerodinamica».
Shell Rain Jacket, è con la manica cortaLa zip è sempre oversize, comoda da raggiungereLo strato esterno ferma l’acquaQuello interno la espelle verso l’esternoShell Rain Jacket, è con la manica cortaLa zip è sempre oversize, comoda da raggiungereLo strato esterno ferma l’acquaQuello interno la espelle verso l’esterno
Q36.5 Rain Shell Aero jersey
E’ una sorta di maglia dall’elasticità pronunciata. Aderente e con ingombri particolarmente ridotti, una maglia waterproof che nasce anche per essere aerodinamica. La sua realizzazione avviene impiegando il tessuto proprietario 3L, ovvero una doppia membrana con una struttura completamente diversa tra interno ed esterno. All’interno del capo il tessuto si presenta alla vista con degli esagoni e una ruvidità leggera, quasi come se ci fossero dei micro-pori. Il compito è quello di far uscire umidità, vapore e calore in eccesso.
All’esterno la finitura liscia è completamente impermeabile. La zip ha dimensioni oversize, facile da azionare e raggiungere anche con mani fredde. Rain Shell Aero è una sorta di strato base, utile per proteggere dalla pioggia anche con un clima non troppo freddo, una vera e propria integrazione se abbinata alla giacca Vampire.
Zip oversize e cuciture nastrate per la VampireAderente e allungata verso i gluteiL’interno della VampireZip oversize e cuciture nastrate per la VampireAderente e allungata verso i gluteiL’interno della Vampire
La giacca Vampire
E’ un capo pensato, sviluppato e prodotto per proteggere dal freddo intenso, una giacca creata per permettere al corridore di allenarsi anche oltre le tre ore con un meteo gelido e pioggia. Anche in questo caso troviamo una giacca dalla vestibilità race, è isolante e integra una membrana impermeabile fino a 10000 millimetri.
Presenta le cuciture completamente nastrate ed una zip sovradimensionata proprio come la Rain Aero. Vampire è una giacca a tre strati differenziati e ben visibili.
L’interno (caldo) della PlusLa giacca Plus è un vero scudo, chiesta a gran voce dai proSempre con vestibilità raceC’è anche la zip sulla manica L’interno (caldo) della PlusLa giacca Plus è un vero scudo, chiesta a gran voce dai pro’Sempre con vestibilità raceC’è anche la zip sulla manica
Rain Shell Plus
Si tratta di una giacca impermeabile ed in termini di protezione si pone un grado sopra la Rain Shell Aero. Il taglio è sempre performance race fit, ma rispetto alla Rain Aero questa ha le maniche lunghe, una fodera interna in pile per tenere caldo il corpo ed una serie di dettagli funzionali. E’ creata per proteggere anche in gara durante la pioggia battente, senza sacrificare l’aerodinamica. Integra una membrana impermeabile fino a 20.000 millimetri.
La sezione posteriore ha una tasca esterna di facile accesso, capiente, un particolare richiesto dai corridori professionisti. Interessante il range di impiego della giacca Rain Shell Plus, che si spinge fino agli zero gradi.
La Pinarello Crossista F di Pidcock, la bici che vedremo in azione al Mondiale di ciclocross di Fayteville. Il campione britannico ha contribuito allo sviluppo del progetto, che ha iniziato a prendere forma nella primavera 2021
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Se il buongiorno si vede dal mattino, il Pinarello-Q36.5 Pro Cycling Team annunciato giusto ieri promette di portare una ventata inattesa e nuova (in apertura un’immagine da Instagram/Pinarello_Official). Non si tratta di indossare il mantello di Superman e trasformare l’onesta professional svizzera, che ha chiuso il 2025 nella 19ª posizione del ranking, in una WorldTour. Se tuttavia Ivan Glasenberg, il magnate sudafricano che fra le tante acquisizioni ha preso per sé l’80 per cento di Pinarello e il 45 per cento di Q36.5, ha deciso di scendere in campo in modo così eclatante, allora forse non è impensabile che voglia tentare l’ascesa.
Ivan Glasenberg, sudafricano, è il proprietario di Pinarello e detiene il 45% di Q36.5 (foto Corsera)Ivan Glasenberg, sudafricano, è il proprietario di Pinarello e detiene il 45% di Q36.5 (foto Corsera)
L’esperienza con Ineos
La notizia fa ancora più rumore pensando che il brand di bici veneto è storicamente e per successi la bandiera della Ineos Grenadiers. A partire dalla fondazione nel 2010, con il team britannico ha conquistato per sette volte la maglia gialla, tre volte il Giro e due la Vuelta. Un quantitativo imprecisato di gare a tappe WorldTour e il record dell’Ora con Ganna. Proprio con il piemontese, ieri Fausto Pinarello era a Londra per la due giorni di incontri promossa da Rouler.
«Questa partnership – ha commentato Fausto Pinarello, intercettato sull’aereo prima del decollo per l’Italia – è più di una sponsorizzazione: è una visione condivisa. Facciamo tutti parte della stessa corporate e dei tre marchi, con Q36.5 e gli integratori Amackx. Il nostro è il più grande, quindi è anche giusto che sia così. Non è la Ineos, è pur sempre una professional. Poi per sapere se passeremo WorldTour, dovremo aspettare qualche settimana e capire cosa succede con qualche squadra che sta chiudendo.
«I rapporti con Ineos – prosegue – restano assolutamente uguali. Si sono trovati sempre bene con noi e non avevano alcuna intenzione di cambiare le biciclette. Volevamo solo capire la forma, la quantità, capire quanti corridori avranno ora che hanno messo su finalmente il devo team e anche la squadra juniores. I materiali saranno completamente diversi, uno avrà Shimano e l’altro Sram. Sempre il top di gamma, ma con equipaggiamenti diversi, tranne forse per le selle a causa di contratti precedenti».
Wiggins inaugurò nel 2012 la serie dei 7 Tour vinti da Pinarello con Sky, aiutando poi nello sviluppo della Bolide da cronoWiggins inaugurò nel 2012 la serie dei 7 Tour vinti da Pinarello con Sky, aiutando poi nello sviluppo della Bolide da crono
L’impegno di Pinarello
Pinarello non è nuovo all’esperienza di avere più di una squadra in gruppo, anche se il livello delle pretese si è alzato rispetto agli anni in cui forniva le bici alla Telekom, ad esempio, e alla Movistar.
«Il lavoro non ci aumenta più di tanto – dice Fausto – è importante organizzarsi e suddividere le cose. Se abbiamo le misure perfette, se abbiamo tutto sotto controllo, se ci siamo preparati, basta organizzarsi. Non è che dovremo consegnare 150 pezzi domani mattina. Un po’ a novembre, un po’ a dicembre, un po’ a gennaio, piuttosto che prima Giro d’Italia.
«Fino agli anni 90 – prosegue Pinarello – avevamo anche tre squadre, nessuno col primo nome, però avevamo tre squadre in gruppo. Andando ancora più indietro, ricorderete la Del Tongo-Pinarello, la Metauro Mobili-Pinarello di Magrini e la Vini Ricordi-Pinarello. Mai il primo nome, ma il mio socio è molto appassionato di ciclismo e la sua passione ci porta a fare belle cose. Pogacar resterà Pogacar, ma noi cerchiamo di mantenere il nostro impegno nel ciclismo. Credo in questo movimento, nonostante sia un mercato senza grandi emozioni. Il nostro lavoro è investire, non vinceremo il Tour, ma la squadra si è rinforzata».
Nella bacheca di Fausto Pinarello ci sono anche i 5 Tour e i 2 Giri di Indurain, qui con luiNella bacheca di Fausto Pinarello ci sono anche i 5 Tour e i 2 Giri di Indurain, qui con lui
Una cassaforte importante
Non tragga in inganno il fatto che il primo sponsor sulle maglie sarà un marchio di bici: un’opzione che di solito viene associata alla difficoltà nel trovare un nome all’altezza. Dietro Pinarello c’è infatti la svizzera Spac, la cassaforte attraverso cui lo scorso anno Glasenberg ha acquistato per 90 milioni di euro anche il 5 per cento di Technogym.
L’accordo raggiunto fa sì che Tom Pidcock tornerà a pedalare su bici Pinarello anche su strada. Lasciata la Ineos per approdare alla Q36.5, il campione olimpico e mondiale della mountain bike ha conquistato il podio della Vuelta in sella a una Scott, ma ha continuato a correre su Pinarello in tutte le specialità del fuoristrada. E’ stato proprio lui infatti a sviluppare i modelli Dogma XC e Crossista, che lo hanno portato ai suoi risultati più prestigiosi.
«Sono davvero felice – ha detto il britannico – di tornare a tempo pieno in Pinarello. E’ davvero come tornare a casa. Ho sempre amato guidare le loro bici e, nel corso degli anni, ho costruito un rapporto davvero forte con il marchio. E’ la reunion perfetta».
Nonostante usasse Scott su strada, Pidcock ha pedalato in fuoristrada sempre con Pinarello (foto Roberto Bragotto)Nonostante usasse Scott su strada, Pidcock ha pedalato in fuoristrada sempre con Pinarello (foto Roberto Bragotto)
La soddisfazione di Bergamo
Per Q36.5, il suo fondatore Luigi Bergamo e per il team manager Douglas Ryder si tratta di un’apertura auspicata, ma forse inattesa per la modalità annunciata. Circolavano da tempo voci che il team avrebbe corso su bici Pinarello, non certo che sarebbe diventato il team ufficiale dell’azienda.
«Come uno dei co-fondatori – ha spiegato Bergamo – sono davvero orgoglioso di vedere questa piccola squadra crescere anno dopo anno grazie a tutta la dedizione, l’impegno, il sacrificio e la passione che i nostri corridori e il nostro staff hanno dimostrato. Il 2026 sarà un altro grande passo avanti, con i giovani corridori che sono stati con noi fin dall’inizio che maturano e diventano vincitori. Abbiamo un podio in un Grande Giro, nuovi grandi corridori che si uniscono alla squadra e naturalmente, infine, i nostri amici di Pinarello che si uniscono al progetto e ci aiutano a portarlo a un altro livello. Le nostre ambizioni sono altissime».
Luigi Bergamo, bolzanino, è fondatore e CEO del marchio Q36.5, come pure della squadra svizzera (foto Jim Merithew)Luigi Bergamo, bolzanino, è fondatore e CEO del marchio Q36.5, come pure della squadra svizzera (foto Jim Merithew)
Il WorldTour nel mirino?
Il mercato della squadra è stato frizzante, soprattutto con l’arrivo di corridori di indubbio talento, ma in cerca di rilancio. La molla della rivalsa è spesso la chiave di volta per atleti che passano dal WorldTour a una professional in cui, dando per scontata l’alta qualità dei materiali, troveranno soprattutto un ambiente più umano.
L’obiettivo è il WorldTour da subito acquistando una licenza libera? In attesa di capire se sarà possibile, la svolta annunciata ieri potrebbe certamente riaprire le porte del Giro d’Italia, cui la Q36.5 ha partecipato quest’anno per la prima volta. Nonostante l’affiliazione svizzera, i due nomi sulla maglia parlano di due solide aziende italiane. Il nuovo corso targato Paolo Bellino ne terrà certamente conto.
E’ stato il grande giorno della Bola del Mundo alla Vuelta. La tappa del verdetto, quella che avrebbe decretato il re della maglia roja. La frazione è di nuovo di quelle toste, ma si sapeva già che a decidere tutto sarebbero stati gli ultimi 3.700 metri. Quelli in cemento, quelli con pendenze da MTB. Lassù avrebbe dominato la legge del più forte. E il più forte è stato Jonas Vingegaard. Per il corridore della Visma-Lease a Bike tappa e appunto… Vuelta.
Tra una fitta schiera di poliziotti e corse per contenere il pubblico più in basso, il già spoglio monte madrileno era ancora più vuoto nel suo chilometro finale. Si è sempre sul chi va là riguardo alle ormai note proteste pro Palestina. In questo contesto vanno in scena 153 storie, tante quante i corridori rimasti in gara. Ogni scalata così estrema si trasforma per ognuno in qualcosa di strettamente personale. C’è chi vuole semplicemente arrivare al traguardo, chi vuole vincere, chi deve difendersi, chi dimostrare il suo valore, chi vuole la tappa. Ognuno ha il suo obiettivo. Noi ve ne raccontiamo tre di queste storie e lo anche con l’aiuto di uno scalatore che sulla Bola del Mundo ci sarebbe stato alla grande: Domenico Pozzovivo.
Vingegaard sta per tagliare il traguardo. Gli inseguitori lo vedono da lontano, tra loro purtroppo non c’è Pellizzari, che perde la maglia biancaVingegaard sta per tagliare il traguardo. Gli inseguitori lo vedono da lontano, tra loro purtroppo non c’è Pellizzari, che perde la maglia bianca
Vingegaard campione vero
La prima storia, e non poteva essere diversamente, è quella di Jonas Vingegaard. Oggi il danese ha vinto. Ma la sua è una vittoria di chi era chiamato, e forse voleva dimostrare al mondo intero e prima di tutto a sé stesso, che è ancora forte. Che sa vincere anche senza Tadej Pogacar. Anzi, a dire il vero era quasi obbligato a farlo.
Eppure in queste tappe è sì stato il più forte, ma non quello schiacciasassi che era lecito attendersi. Il Tour, e lo diciamo da tempo, si è fatto sentire. Jonas ha centellinato energie fisiche e mentali giorno dopo giorno. «Dopo il Tour così duro – ha detto Pozzovivo – sinceramente mi aspettavo una Vuelta così di conserva, ma forse un po’ meno di come è stata realmente. Mi aspettavo che avrebbe cercato di addormentare la corsa e che non avrebbe corso come fa quando è contro Tadej o come fa lui stesso quando non c’è Pogacar. Penso per esempio alla Tirreno dell’anno scorso».
L’abbraccio tra Kuss e Vingegaard. L’americano è arrivato secondo, siglando una doppietta per la VismaL’abbraccio tra Kuss e Vingegaard. L’americano è arrivato secondo, siglando una doppietta per la Visma
Jonas il chirurgo
«Anche oggi ha fatto di mille metri (è partito ai -1,3 chilometri e ha mollato ai 300 metri, ndr). Ha calcolato più la durata dello sforzo che la distanza. Sono stati 5 minuti di attacco, 5′ di fuorigiri ad una media di 13 all’ora o poco più. E’ stato un attacco chirurgico, preparato. Credo sapesse che non avrebbe aperto grandi margini e così ha fatto al massimo quello che poteva. Se fosse partito prima lo avrebbero ripreso, non avrebbe avuto la possibilità di portare un attacco simile più a lungo».
Le nostre sensazioni dunque erano giuste. Non ha sprecato nulla più del dovuto. Ha corso con grande consapevolezza dei suoi limiti. E che dire? Chapeau. Le corse si vincono anche così. «Uno come lui – aggiunge Domenico – se fosse stato meglio avrebbe messo la firma sull’Angliru, per esempio».
Oggi Vingegaard doveva dimostrare che era comunque il miglior corridore di questa Vuelta e ci è riuscito. Onore a lui.
Almeida un leone… Ha lottato contro un gigante e forse lo è diventato anche luiAlmeida un leone… Ha lottato contro un gigante e forse lo è diventato anche lui
Almeida: sostanza e personalità
L’altra storia ci porta dal grande rivale di questa corsa spagnola, Joao Almeida. Chissà cosa, e se, gli ha detto Pogacar, il suo capitano, quando si è trovato a battagliare con il rivale storico del suo leader. Se gli ha svelato qualche punto debole.
Il portoghese della UAE Team Emirates si è ritrovato capitano. Sarebbe dovuto essere lo stesso Pogacar a guidare la corazzata in Spagna. Invece… «Invece – ha detto Pozzovivo – si è ritrovato leader in modo inatteso. Ma è sbagliato dire che la sua stagione è venuta fuori in modo inaspettato. Andava già forte al Giro di Svizzera (anche prima al Romandia, ndr) e poi doveva fare bene il Tour. E invece ecco che si ritrova a fare la Vuelta e anche da capitano».
Oggi persino Ayuso ha contribuito alla causa di Almeida… almeno nelle fasi meno calde della corsaOggi persino Ayuso ha contribuito alla causa di Almeida… almeno nelle fasi meno calde della corsa
Joao leader
E proprio sull’essere leader, sulla pressione, sulla convivenza con Juan Ayuso, Pozzovivo esalta il portoghese: «Per me è stato fortissimo e questo lo consacra sia a livello internazionale che nella sua squadra. Credo che Joao si sia gestito benissimo, anche dal punto di vista della personalità, dell’essere leader appunto. E non ha avuto un inizio di Vuelta facile, con quei problemi di “spogliatoio”. Nella tappa in cui ha accumulato il maggior distacco da Vingegaard, lui stesso al termine della frazione ha detto che la squadra non aveva lavorato al 100 per cento per lui. Credo riferendosi non solo ad Ayuso, ma anche a Vine. E se dici una cosa del genere è perché ti prendi poi pressioni e responsabilità e lui ci ha convissuto benissimo. Idem quel che ha fatto sull’Angliru. Si è messo al massimo del suo limite. Di solito quando hai avversari così forti ti lasci un minimo di margine per rispondere a uno scatto. Lui no… e ha avuto ragione».
Anche oggi sulla Bola del Mundo ha perso qualche secondo, Almeida e la UAE con corridori che gli sono diventati fedeli quali Grosschartner e Vine, non si è fatto intimorire. La mancanza del riferimento Pogacar non si è fatta sentire. «Non credo che Almeida senta questa cosa. Anche lo scorso anno al Tour era gregario di lusso, ma Tadej spesso partiva così tanto presto che anche lui poteva correre per sé stesso. E poi ha avuto altre occasioni di essere leader. Non ha perso insomma attitudine. Discorso diverso se si fosse trasformato nel leadout che si sposta e prende 10 minuti».
Tom Pidcock (classe 1999) avrà trovato la sua dimensione definitiva?Tom Pidcock (classe 1999) avrà trovato la sua dimensione definitiva?
Pidcock: ora è nel posto giusto
La terza storia ci porta a Tom Pidcock. Il folletto della Q36.5 finalmente sale sul podio di un Grande Giro. In tanti, dopo la vittoria al Giro U23, lo aspettavano al varco, ma l’inglese aveva sempre mostrato altre preferenze, sia dal punto di vista personale che tecnico.
Domani a Madrid salirà sul gradino del podio e sempre domani Van der Poel sarà al mondiale di MTB. Per Pidcock è di certo un colpo al cuore. «Io sono un biker», ha sempre detto. Oggi all’arrivo quasi non riusciva a parlare tanto era stanco.
La domanda delle domande pertanto è: da oggi possiamo dire che Pidcock è uomo da corse a tappe? Mai come stavolta l’opinione di Pozzovivo, anche lui piccolo, scalatore e persino un po’ biker, è calzante. «La Vuelta è sempre particolare quando si parla di Grandi Giri e questa lo è stata ancora di più. C’è una dichiarazione di Tom che mi ha colpito nel post Giro d’Italia e cioè: “Ho sofferto molto il caldo”. Per uno che soffre il caldo la Vuelta non è la miglior gara, ma in questo caso si è partiti con il maltempo in Italia, si è sempre restati al Nord dove le temperature non sono mai state torride e niente Andalucia. Questo ha giocato a suo favore».
«Rispetto alle tre settimane possiamo dire che ha dimostrato di esserci. Però mancava almeno un tappone da oltre 5.000 metri. Al Giro d’Italia ce ne sono sempre almeno due se non tre. Se ci fosse stato quello gli avremmo potuto dargli definitivamente la “patente” per corridore da Grandi Giri. Però questo podio è incoraggiante per lui. Resta il fatto che è un corridore che ama la corsa secca, che ama alzare le braccia e credo che correre per la classifica sia stato un grande sforzo mentale per Tom».
Giulio Pellizzari ha ceduto proprio nel finale della Vuelta. Sulla Bola ha incassato quasi 3′ perdendo la maglia bianca. E’ comunque 6° nella generaleGiulio Pellizzari ha ceduto proprio nel finale della Vuelta. Sulla Bola ha incassato quasi 3′ perdendo la maglia bianca. E’ comunque 6° nella generale
Chissà in casa Ineos…
Le analisi di Pozzovivo sono davvero eccellenti, ficcanti come solo chi è stato in gruppo per tanto tempo ad alti livelli può fare. E così gli chiediamo anche se domani, mentre metterà il piede sul podio, lui, ma soprattutto la Ineos Grenadiers, cosa penserà. Gli inglesi si mangeranno le mani?
«Assolutamente sì – dice secco il “Pozzo” – A loro manca un punto di riferimento per i Grandi Giri e in Ineos Grenadiers lo hanno fatto fuori con troppa fretta».
Però è anche vero che in quella squadra c’è una certa mentalità, una certa disciplina, di certo uno che vuole fare MTB non è il massimo per il team. E viceversa. Pidcock aveva perso il sorriso. In Q36.5 qualche comparsata in più offroad la può fare… «E infatti – conclude Pozzovivo – per Tom stare in una squadra più piccola come la Q36.5 è meglio, può avere questo approccio. Alla fine è un po’ il faro, la maggior parte dei punti dipendono da lui e può permettersi di avere più spazi, di gestire un po’ di più i suoi impegni. Penso anche all’eccezione che, non essendo in una WorldTour, abbia comunque potuto disputare due Grandi Giri. Di certo è una situazione a suo vantaggio».
L’Arctic Race che ha incoronato Corbin Strong, ha anche rilanciato su strada Tom Pidcock. E sottolineiamo “su strada” perché la sua estate è stata altrimenti esaltante come sempre, con un europeo di mountain bike dominato a conferma della sua superiorità nella specialità. La stagione in superleggera però era stata finora deficitaria.
Il confronto era stato, prima della Norvegia, addirittura impietoso, portando molti addetti ai lavori a ragionare su questa forbice di prestazioni inconsueta per lui, prima capace di un’uniformità di rendimento superiore anche a quella di Van der Poel, che fatica oltremisura in mtb. Noi abbiamo provato a capirne di più parlando con chi Pidcock l’ha visto da poco all’opera al suo meglio: il cittì della nazionale di mtb Mirko Celestino.
Il podio finale dell’Arctic Race, con Pidcock dietro al neozelandese Strong e davanti al nostro ScaroniIl podio finale dell’Arctic Race, con Pidcock dietro al neozelandese Strong e davanti al nostro Scaroni
«Non posso nascondere che la domanda sul perché ci fosse tanta differenza me la sono posta io e tanti nell’ambiente, perché in mountain bike si vede proprio che si trova a suo agio. Come VDP anche lui sprigiona sui falsipiani dei wattaggi che i biker puri non possono raggiungere. Riescono a tenere alto il ritmo, spingere dei lunghi rapporti. Gli specialisti sono messi in difficoltà soprattutto sui percorsi veloci e quindi dove bisogna anche spingere. Ecco perché all’europeo ha fatto una grossa differenza».
Eppure privilegia la strada, questo dovrebbe penalizzarlo dal punto di vista tecnico…
Questo è il suo grande pregio: nonostante faccia tantissime gare su strada, riesce a padroneggiare la bicicletta su qualsiasi tipo di percorso. Ciò significa che tecnicamente non perde nulla, anche con un minimo periodo di passaggio, da una settimana all’altra, gli bastano pochissime sedute di mtb per riprendere confidenza.
Per il britannico una stagione su strada fatta di 50 giorni di gara, con 5 vittorie e 19 top 10Per il britannico una stagione su strada fatta di 50 giorni di gara, con 5 vittorie e 19 top 10
Secondo te da che cosa può dipendere allora la sua involuzione su strada? Prima della Norvegia, il cammino di Van der Poel era esattamente inverso, il britannico su strada ha faticato molto…
Io credo che lui e il suo staff si siano macerati di fronte a questa domanda e le sue prestazioni in Norvegia credo siano state una manna dal cielo. Mettiamoci comunque che non tutte le annate sono uguali, d’altronde anche Van der Poel in mtb ha fatto numeri esagerati in passato. Solo che in mtb fa pochissime gare e fatica molto di più nel passaggio, combinandone non poche… Mi viene da pensare che fisicamente Tom è un ottimo scalatore, ma in salita non riesce a fare quella differenza che fa in mtb e mi chiedo perché. Eppure i numeri ce li ha. Ecco, magari è un’annata un po’ così, che magari ora riesce a ingranare. Ci sono quelle stagioni che non ti va bene niente, non riesci a trovare quel colpo di pedale.
Tu hai corso al massimo livello sia su strada che in mountain bike, secondo te dov’è più facile riuscire a raggiungere il culmine delle proprie prestazioni, chiaramente considerando le caratteristiche precipue di ognuno, in questo caso del britannico?
Sono due sport completamente diversi. Su strada devi avere l’istinto anche nel saperti giocare le tue cartucce al momento giusto, perché su strada puoi essere anche il più forte, ma se sbagli a muoverti rischi di bruciare tutte le tue possibilità. In mountain bike vince sempre il più forte e anche il più fortunato perché devi avere anche tanta fortuna in base al percorso e ai più frequenti problemi meccanici. Poi c’è il fattore squadra, che su strada fa tanta differenza, portandoti nel posto giusto al momento giusto. Quindi c’è un gioco di squadra che in mountain bike non c’è. E questo è un fattore che potrebbe anche aver influito sulla stagione di Pidcock, ma non seguo abbastanza la strada per farmi un’idea. Una cosa però sul Pidcock stradista vorrei dirla…
Il cittì della nazionale di mtb Mirko Celestino, che in Portogallo ha visto un Pidcock devastanteIl cittì della nazionale di mtb Mirko Celestino, che in Portogallo ha visto un Pidcock devastante
Prego…
Abbiamo visto che in discesa su strada Pidcock fa grandi cose e questo me lo fa sentire vicino, perché anch’io avevo nella discesa un punto forte, mi piaceva pennellare le curve per fare la differenza. E in Pidcock mi ci rivedo.
Considerando la sua superiorità in mountain bike, secondo te potrebbe anche prendere in considerazione di spostare un po’ il peso della stagione su di essa?
Non gli conviene innanzitutto dal punto di vista economico. La strada è il sogno di tutti. Io ormai sono 9 anni che frequento i ragazzi all’interno della nazionale, il loro sogno è sempre quello della strada, il Giro d’Italia, il Tour, le classiche. In questi anni tanti all’estero hanno provato e provano il passaggio, qualcuno anche con buoni risultati. Il ciclismo su strada è quello che ti cambia la vita, anche economicamente, quindi Pidcock continuerà a essere uno stradista, magari con qualche capatina da noi… Fin quando la squadra gli permetterà di fare sia uno che l’altro, secondo me andrà avanti così. L’unica cosa è che, per me, se nelle classiche è uno dei più accreditati, non è uomo da grandi giri.
Per Pidcock una superiorità schiacciante in mtb, sancita anche agli europei (foto UEC)Per Pidcock una superiorità schiacciante in mtb, sancita anche agli europei (foto UEC)
Veniamo al tuo ruolo, come va la nazionale in quest’anno postolimpico, un po’ di transizione?
Io ho già messo nel mirino le Olimpiadi e i giovani ci sono, insieme a Luca Braidot che resta il riferimento. Ma Zanotti e Avondetto stanno crescendo e fra tre anni saranno lì, secondo me, a lottare per grandi traguardi. Loro intanto a questo mondiale saranno gli atleti che dovranno dimostrare il loro valore, mentre al femminile abbiamo Martina Berta fra le più forti e dietro Valentina Corvi, campionessa europea U23, che sta maturando come uno dei prospetti più forti in campo internazionale. Fra tre anni ci faranno divertire a Los Angeles…
La prima stagione di Tom Pidcock con la Q36.5 Pro Cycling proseguirà con la sua seconda grande corsa a tappe: La Vuelta. Nel frattempo il britannico è tornato a correre e vincere anche in mountain bike. Q36.5 ha voluto anche celebrare questo esordio con un kit speciale dedicato al successo delle Olimpiadi di Parigi 2024. L’arrivo di un corridore del calibro di Pidcock in una formazione professional cattura l’attenzione e diventa anche un modo per confrontarsi, con pari diritto, nel ciclismo dei grandi.
Alle spalle il deserto, è l’esordio di Pidcock in maglia Q36.5 Pro Cycling all’AlUla Tour, che ha portato due vittorie di tappa e la generaleAlle spalle il deserto, è l’esordio di Pidcock in maglia Q36.5 Pro Cycling all’AlUla Tour, che ha portato due vittorie di tappa e la generale
Partenza col botto
Il britannico ha esordito alla grande all’Alula Tour con due successi di tappa e la vittoria della generale. Il grande exploit è stato però sugli sterrati della Strade Bianche, dove Tom Pidcock ha conquistato uno spettacolare secondo posto alle spalle di Pogacar. E’ mancato forse lo squillo in una corsa importante, con tanti piazzamenti che hanno sicuramente reso orgoglioso il team, ma che non possono aver soddisfatto al 100 per cento un corridore del suo calibro.
«L’impatto di Tom sul team è stato più che positivo – racconta Gabriele Missaglia, diesse che lo ha affiancato per gran parte della stagione – avevamo bisogno di un corridore del suo livello. Ci siamo messi al lavoro fin dal primo ritiro, a dicembre, e abbiamo capito di aver preso un campione. Fino al Giro le nostre strade sono andate di pari passo, poi ci siamo divisi vista anche la sua pausa dalle corse. Ci troveremo nuovamente insieme a Torino per ripartire con La Vuelta».
Sugli sterrati delle Strade Bianche Pidcock ha lottato contro Pogacar in un duello che ha emozionato i tifosiSugli sterrati delle Strade Bianche Pidcock ha lottato contro Pogacar in un duello che ha emozionato i tifosi
L’impatto positivo sul team si è visto già dalla prima gara in Arabia…
E’ partito fortissimo, con il dominio all’AlUla Tour e il bel successo di tappa alla Vuelta Andalucia. Dopo quei primi appuntamenti ci siamo concentrati sulle gare italiane con Strade Bianche, Sanremo e Tirreno-Adriatico. Il secondo posto a Siena dietro Pogacar è stato forse il momento migliore della stagione, mentre il grande rammarico è stata la Sanremo.
Come mai?
Perché è caduto proprio all’imbocco della Cipressa, in un momento cruciale che era stato approcciato al meglio. Quel giorno era in grande forma ed era uno dei favoriti, la sfortuna esiste e fa parte del ciclismo, ma abbiamo visto che la Sanremo è una gara adattissima a lui.
Le Classiche delle Ardenne sono le preferite da Pidcock, per sua stessa ammissioneLe Classiche delle Ardenne sono le preferite da Pidcock, per sua stessa ammissione
Poi avete fatto rotta sulle Classiche delle Ardenne.
C’è stato un periodo di pausa dalle gare per arrivare pronti anche al Nord. Ci siamo concentrati solamente sulle Ardenne, non correndo Fiandre e Roubaix. Anche in questo caso Pidcock ha raccolto ottimi risultati con un terzo posto alla Freccia Vallone e due top 10 a Amstel e Liegi.
Una volta confermata la nostra presenza alla Corsa Rosa abbiamo deciso di tirare dritto. Credo che Tom abbia onorato la gara, come tutti noi, visto che non c’è stato modo di lavorare al meglio per arrivare pronti. Ha messo insieme diversi piazzamenti di spessore con il tentativo di curare la classifica generale, cosa che in passato non aveva mai fatto volentieri.
Pidcock ha corso il Giro curando la classifica generale, anche se non è riuscito a prepararlo al meglioPidcock ha corso il Giro curando la classifica generale, anche se non è riuscito a prepararlo al meglio
Un sedicesimo posto finale senza grandi acuti, eravate soddisfatti?
Pidcock quando mette il numero sulla schiena parte per vincere, quindi direi che una vittoria di tappa sarebbe stata una buona moneta per ripagare quanto fatto. Però con gli inviti arrivati così tardi era difficile pensare di preparare il Giro al meglio. Se devo guardare a una tappa nella quale avremmo potuto raccogliere di più, dico quella di Siena. Pidcock sulle strade bianche si esalta e quel giorno ha fatto il diavolo a quattro, peccato per la doppia foratura. Avrebbe meritato qualcosa in più.
Si può pensare di fare classifica nei Grandi Giri?
Forse siamo arrivati a capire che c’è una buona possibilità di fare bene. Al Giro, fino alla tappa di Bormio, Pidcock era vicino alla top 10. Poi nell’ultima settimana ha dovuto tirare fuori le ultime gocce di energia. Serve capire su quali gare concentrarsi, ma è anche vero che siamo una professional e il calendario non è mai una certezza.
Pidcock è tornato a correre in mtb nelle scorse settimane, ma solamente due gare, una tappa di Coppa del mondoE l’altra è stato il campionato europeo, dove ha conquistato la medaglia d’oro (foto Instagram)Pidcock è tornato a correre in mtb nelle scorse settimane, ma solamente due gare, una tappa di Coppa del mondoE l’altra è stato il campionato europeo, dove ha conquistato la medaglia d’oro (foto Instagram)
Difficile fare programmi anche con un campione in squadra come Pidcock?
Conta sempre il ranking, per noi sarà fondamentale rientrare tra le prime quattro professional. Ci sarà da vedere alla fine del triennio come saremo messi e quali squadre WorldTour rimarranno.
Per la Vuelta quali ambizioni ci sono?
Innanzitutto vedremo Tom come tornerà in corsa all’Arctic Race, poi quando lo incontrerò alla Vuelta parleremo e inquadreremo gli obiettivi. Non dimentichiamo che il mondiale in Rwanda è adatto alle sue caratteristiche…
Un lungo dialogo con Damiano Caruso sulla via di Santander. Parole da leader di una squadra cresciuta tanto. E dopo la Vuelta, un lungo stop per ricaricare
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La stagione di mountain bike è ormai iniziata da qualche settimana ed è il momento di proiettarsi sugli sterrati. Q36.5, brand di Bolzano che da diverse stagioni lavora nel ciclismo professionistico su strada, quest’anno è atteso da diverse sfide anche nel fuoristrada. L’arrivo nel team di Tom Pidcock ha aperto le porte ai biker e alle loro esigenze. Il britannico, campione olimpico a Parigi 2024 della specialità, ha esordito nella prova di Coppa del mondo UCI ad Andorra.
Per l’esordio di Tom Pidcock è stato presentato da Q36.5 un kit ufficiale che verrà utilizzato nelle gare della stagione di mountain bike. Una serie di capi d’abbigliamento realizzati seguendo le idee e le esigenze tecniche raccolte durante la stagione su strada da parte di Pidcock. Il kit si compone di: maglia Gregarius Pro Team Offroad, pantaloncini Dottore, calzini Aero e body ufficiale da gara.
Il nuovo kit realizzato da Q36.5 per la mtb ha debuttato con Tom Pidcock nella prova di Coppa del mondo ad AndorraIl nuovo kit realizzato da Q36.5 per la mtb ha debuttato con Tom Pidcock nella prova di Coppa del mondo ad Andorra
Debutto in gara
Ogni prodotto è stato studiato, sviluppato e realizzato con l’intento di offrire la miglior prestazione possibile anche in condizioni climatiche difficili. Dato che la stagione calda è ormai nel vivo la maglia Gregarius Clima Pro Team Offroad dispone di un tessuto leggero, con un design innovativo capace di far respirare la pelle. Prestazioni e comfort vanno di pari passo grazie allo sviluppo tecnico avvenuto nei laboratori di Q36.5.
Il debutto in corsa, avvenuto durante la prova di coppa del mondo UCI ad Andorra, è stato celebrato con una grafica esclusiva che ha voluto celebrare la vittoria a Parigi 2024.
La maglia è cucita con tre tessuti differenti, sulle maniche Q36.5 ha optato per un design aerodinamicoLa maglia è cucita con tre tessuti differenti, sulle maniche Q36.5 ha optato per un design aerodinamico
Caratteristiche tecniche
La maglia Gregarius Clima Q36.5 Pro Team Offroad è progettata con un sistema che permette una mappatura avanzata del corpo. Inoltre, sono stati utilizzati tre tessuti differenti nella fase di cucitura: il primo composto da reti ultraleggere per la parte di petto e schiena. In questo modo si riesce a garantire la giusta termoregolazione anche a velocità minori. Nella zona delle maniche, invece, Q36.5 ha optato per un tessuto aerodinamico a coste da 6 millimetri. Le tasche posteriori in power mesh favoriscono sempre la traspirabilità senza compromettere l’elasticità del tessuto.
Per gli appassionati di mountain bike e non solo il kit replica, che prevede la sola maglietta, è disponibile alla vendita presso i rivenditori autorizzati Q36.5 e sul sito ufficiale del brand.
Terzo sul traguardo di Roma. Davanti a lui Kooij e Groves, dietro Pedersen. Il Giro d’Italia di Matteo Moschetti si è concluso con un sorriso amaro, perché quando arrivi sul podio vuol dire che avresti potuto anche vincere. Eppure dentro quel piazzamento ci sono così tante sfumature, che se ne può anche essere contenti. Pochi giorni prima, il corridore della Q36.5 aveva il morale quasi nero. Ecco perché abbiamo parlato di sorriso amaro. Ed ecco perché ne parliamo proprio con il milanese, che da lunedì ha cercato di recuperare quanto più possibile, prima di buttarsi nelle prossime corse.
«Onestamente fino a Roma – dice – non avevo avuto grandissime sensazioni. E’ stato un Giro con tre occasioni per le volate e fino a quel momento non ero riuscito a esprimermi come volevo. Sentivo che potevo dare di più, volevo riscattare un Giro che non era stato così buono. Ci tenevo tanto, ma francamente speravo in una vittoria che dopo tre settimane ci sarebbe stata davvero bene».
A destra c’è Kooij, al centro Moschetti, a sinistra Groves: la strada sale al 5%. Alla fine Matteo sarà terzoA destra c’è Kooij, al centro Moschetti, a sinistra Groves: la strada sale al 5%. Alla fine Matteo sarà terzo
Un arrivo inedito
La volata di Roma si presentava meglio di quella di Cesano Maderno, dove le salite della prima parte avevano lanciato Nico Denz, lasciando alle sue spalle il gruppo frantumato e non certo schierato per lo sprint. La differenza rispetto alle edizioni precedenti, è che nell’ultima tappa non si sarebbe sprintato sul solito arrivo dei Fori Imperiali, ma sullo strappo sopra al Circo Massimo. Duecento metri al 5 per cento: roba per gambe forti, soprattutto alla fine del viaggio.
«Avevamo studiato bene il percorso – prosegue Moschetti – e anche se il Gran Premio Liberazione non passa su quel rettilineo, la salita che facevamo dopo la conoscevo già, quindi sapevo a cosa potesse somigliare il percorso. Poi non ci sono riuscito, perché ha vinto il più forte che è stato pilotato alla perfezione. Sarebbe stato importante, l’ultima tappa vale di più, ma la squadra era contenta. Chiudere il nostro primo Grande Giro con una nota positiva è stato una bella soddisfazione».
Valona, terzo giorno del Giro in Albania: Mosca e Moschetti. Il via non è stato dei miglioriValona, terzo giorno del Giro in Albania: Mosca e Moschetti. Il via non è stato dei migliori
La volata finale
La prima grande corsa a tappe per il Q36.5 Pro Cycling Team si era aperta con la grandissima attesa di Tom Pidcock, terzo nel giorno di Matera e 16° nella classifica finale, che tuttavia non è mai stato all’altezza delle attese e tantomeno della sua reputazione.
«Non so che valutazioni farà la squadra – dice Moschetti – ma di sicuro avevamo aspettative alte. Volevamo fare bene, anche per onorare la corsa. Per quanto mi riguarda, qualche occasione in più per fare volate potevano anche prevederla, ma le dinamiche di gara sono state imprevedibili e si andava così forte che era impossibile tenere la corsa sotto controllo. E’ positivo che l’ultima tappa abbia previsto la volata, è gratificante per i velocisti che finiscono il Giro e diventa il motivo migliore per arrivare in fondo. Chiaro che essendo stati invitati, nessuno di noi si sarebbe sognato di andare a casa prima per fare meno salite, ma sono cose che succedono».
Pidcock al Giro, una presenza sotto tono. Qui è terzo dietro Pedersen e Zambanini a MateraPidcock al Giro, una presenza sotto tono. Qui è terzo dietro Pedersen e Zambanini a Matera
Dubbio tricolore
Il futuro più immediato parla di una corsa in Belgio a metà giugno, poi il nuovo evento Copenhagen Sprint di WorldTour e a seguire i campionati italiani da San Vito al Tagliamento a Gorizia. Sul percorso ci sono ancora pochi dettagli. Si dice che sia stato disegnato a misura di Jonathan Milan, ma lo stesso Moschetti è perplesso sul fatto che la zona di Gorizia possa avere strade così pianeggianti.
Sorridendo dice che adesso tornerà a dormire, perché tre settimane di Giro ti restano addosso a lungo, ma che certo gli piacerebbe mettere a frutto la condizione che ti lasciano nelle gambe. Il resto dipenderà dalle valutazioni della squadra, a partire dalla partecipazione alla Vuelta. Anche se in Spagna le occasioni per i velocisti saranno ancora di meno.
Ultima corsa a Guangxi e Verre ragiona sull'inverno. Troppa palestra nel 2022, meglio inserire più bici. Giro o Vuelta? «Per un giovane meglio la Spagna»
La Q36.5 Cycling Team si sta avvicinando alla sua prima grande corsa a tappe, il Giro d’Italia. Il 9 maggio prossimo dall’Albania la squadra, che sarà guidata in ammiraglia da Gabriele Missaglia, si godrà il frutto della wild card arrivata nelle scorse settimane. La decisione da parte dell’UCI di accettare la richiesta degli organizzatori e portare a quattro i team invitati ha reso possibile tutto ciò. In questo modo la formazione professional svizzera, che da quest’anno vede nelle sua fila Tom Pidcock, ha iniziato il conto alla rovescia e i preparativi per la Corsa Rosa.
«Speravamo nell’invito – ci spiega proprio Gabriele Missaglia – lo abbiamo metabolizzato bene e di colpo prenderemo parte a due grandi corse a tappe: Giro e Vuelta. Prepararlo in corso d’opera non è semplice, sia a livello logistico che di preparazione atletica. Alcuni dei ragazzi impegnati nelle Classiche delle Ardenne erano già in altura, tra questi proprio Pidcock. Tuttavia il focus era incentrato su queste corse».
La Q36.5 Pro Cycling ha ottenuto la wild card per il Giro, la sua prima grande corsa a tappe di tre settimaneLa Q36.5 Pro Cycling ha ottenuto la wild card per il Giro, la sua prima grande corsa a tappe di tre settimane
Il punto dopo Liegi
Per sapere quali saranno le ambizioni della Q36.5 Pro Cycling al Giro ci sarà da aspettare ancora, per il momento Missaglia si sta godendo le prestazioni di Pidcock e degli altri ragazzi impegnati nelle altre corse.
«Lavoriamo da dicembre – continua il diesse lombardo – ma senza la conferma di prendere parte al Giro era difficile concentrarsi su qualcosa di concreto. Lo stesso Pidcock ci sperava ma ancora non sapevamo niente. Ci siamo concentrati sulle prime corse del calendario, arrivando in ottima condizione. L’impegno non è stato da poco, così dopo il blocco di gare italiane, terminato con la Milano-Sanremo, si è tirato il fiato in vista delle Ardenne».
La punta della formazione svizzera sarà sicuramente Pidcock, rientrato alle corse per le Ardenne dopo un periodo di alturaLa punta della formazione svizzera sarà sicuramente Pidcock, rientrato alle corse per le Ardenne dopo un periodo di altura
Anche tu tornerai al Giro dopo qualche anno…
Vero. L’ultima volta è stato nel 2021 con la Qhubeka, in quell’occasione avevamo vinto tre tappe con Nizzolo, Campenaerts e Schmid. Vedremo di eguagliare questo numero (dice con una risata, ndr). Ma a parte gli scherzi, una wild card del genere va solo onorata.
Nizzolo lo hai ritrovato alla Q36.5, potrebbe essere uno dei nomi papabili?
Ce ne sono tanti, il roster è ancora ampio proprio per il motivo che ho detto prima: stiamo programmando il tutto. Sicuramente Nizzolo è migliorato e sta recuperando bene dopo l’infortunio. Ha fatto una bellissima Roubaix e sono contento di come si sta comportando.
Il recupero di Nizzolo fa ben sperare, il velocista milanese ha vinto una sola tappa al Giro con Missaglia n ammiragliaIl recupero di Nizzolo fa ben sperare, il velocista milanese ha vinto una sola tappa al Giro con Missaglia n ammiraglia
Pidcock è la star, ma c’è un altro atleta che sta raccogliendo ottimi risultati: Moschetti.
E’ un altro dei papabili e quest’anno ha fatto uno step in più a livello di performance e attitudine in gara. Anche lui nel 2024 ha subito un brutto infortunio, a luglio. Era messo male ma questa sua reazione mi rende felice e orgoglioso.
Difficile tenere fuori un velocista in questa condizione, no?
E’ pronto ed eventualmente sarà pronto (dice con un sorriso, ndr). In questa stagione lo sto vedendo più velocista, non dico che è aggressivo ma frena di meno. Il velocista di solito è uno spericolato che entra in spazi a volte inimmaginabili. Diciamo che Moschetti è uno sprinter buono ma che ha acquistato tanta consapevolezza nei propri mezzi.
Moschetti, a sinistra, e Parisini. I due hanno corso spesso insieme con il secondo a servizio del primoMoschetti, a sinistra, e Parisini. I due hanno corso spesso insieme con il secondo a servizio del primo
Per lanciare un velocista serve il treno giusto, ci avete pensato?
Abbiamo tante soluzioni in squadra e se dovesse arrivare la conferma per Moschetti potremmo vedere chi lo ha guidato dall’inizio della stagione: Parisini, Frison… Non dobbiamo dimenticarci però che il nostro leader è Pidcock e sarà importante trovare il giusto equilibrio.
Chi c’era in altura insieme a Pidcock?
Mi spiace ma non vi dico i nomi, ho già detto troppo (ride ancora, ndr).
Al Giro d’Abruzzo David de la Cruz ha lottato per la vittoria finale, anche lui è parso in ottima formaAl Giro d’Abruzzo David de la Cruz ha lottato per la vittoria finale, anche lui è parso in ottima forma
Tu sei pronto?
Sono tranquillo. So che c’è da lavorare tanto per preparare il tutto e al momento non sto pensando a come sarà per me il ritorno al Giro. Quando sono in gara entro nel mood che avevo da corridore, quello mi accompagna sempre.
Allora buon lavoro e ci vediamo sulle strade della Corsa Rosa.
FRONTIGNANO – Seduto sullo sgabello della zona mista con la telecamera di Eurosport puntata in faccia, Tom Pidcock sembra davvero costernato. Pensava di essere in lotta per la vittoria, invece la corsa gli è scivolata di mano. Nel momento in cui Ayuso ha accelerato, il britannico del Q36.5 Cycling Team non è riuscito a rispondere o, a sentire lui, si è distratto. Per un po’ gli è rimasto a un soffio, poi è scivolato indietro, ma senza sprofondare. L’azione dello spagnolo non è stata irresistibile, non ha fatto il vuoto in modo definitivo. Poco rapporto nelle gambe, forse una condizione buona, ma non la migliore, anche se i dati intercettati qua e là parlano di 6,79 watt/kg per 19 minuti, contro i 6,06 di Ganna. Siamo così abituati alle progressioni di Pogacar, che uno scontro fra atleti di alto livello che si equivalgono ci fa storcere il naso. A Frontignano si è visto il confronto fra atleti di prima fascia, che faticano anche per guadagnare solo 10 secondi. Il ciclismo dei normali.
«Sono andato abbastanza bene – dice Pidcock – credo che sia stata la mia migliore prestazione su una salita come questa. Però in realtà pensavo che avrei potuto fare di più. E’ sempre difficile tenere il ritmo più elevato senza andare in rosso, ma credevo che la mia zona rossa fosse un po’ più alta di quanto abbiamo visto».
Dopo lo scatto di Ayuso, Pidcock ha dovuto vedersela con Hindley e Landa. E sullo sfondo, Scarponi…Dopo lo scatto di Ayuso, Pidcock ha dovuto vedersela con Hindley e Landa. E sullo sfondo, Scarponi…
Una curva all’improvviso
Quasi si scusa, pensiamo ascoltandolo. Pidcock ha lasciato il team Ineos Grenadiers ed è rinato a nuovo entusiasmo. Ha vinto. E’ stato protagonista della Strade Bianche punzecchiando Pogacar. E ora che la sua squadra è in predicato di ottenere una wildcard per il Giro, lui è diventato un osservato speciale. Questa volta voleva vincere e non ne fa mistero.
«Ayuso mi ha messo molta pressione – dice – con i suoi attacchi e le accelerazioni. Ho risposto, ma ho mollato appena la spinta in una curva a sinistra perché ho pensato che subito dopo si sarebbe lasciato riavvicinare. Invece lui ha continuato a spingere. Ha preso un po’ di vantaggio e io avrei dovuto colmare il divario. Avrei dovuto chiuderlo. Non è un peccato, ovviamente, perdere contro Ayuso. E’ forte, ma avrei preferito perdere diversamente».
Prima del via della Tirreno, Pidcock e tutti i leader delle altre squadrePrima del via della Tirreno, Pidcock e tutti i leader delle altre squadre
Le salite più ripide
Domina l’amarezza. Alla Strade Bianche ha visto andare via la schiena di Pogacar vestita della stessa maglia di Ayuso. Vittima per due settimane consecutive di uomini della stessa squadra.
«Sono un po’ frustrato con me stesso – ammette – ed è la sensazione peggiore con cui si esca da una gara. Non posso essere felice. La salita era lunga e pedalabile, ma penso che ormai preferisco quelle più ripide. Se me lo aveste chiesto l’anno scorso, avrei detto che questa era perfetta, ora invece mi piacciono le grandi pendenze. Me ne vado dalla Tirreno-Adriatico con due secondi posti. Sono contento anche per come ho visto lavorare la squadra. Manca ancora una tappa e io e David (De La Cruz, ndr) siamo nella top 10, dove vogliamo rimanere. Si vive e si impara, come si suol dire»
Faccia a faccia con Leonardo Piepoli, allenatore e consigliere di Formolo. I due ora collaboreranno alla Movistar. Ecco perché il veronese può fare di più