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Ricordate Peter Kennaugh? Ora guida la Trinity Racing

25.04.2023
6 min
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ROVERETO – Nel 2020 grazie al dominio di Tom Pidcock al Giro U23, abbiamo imparato a conoscere la Trinity Racing: in pratica un serbatoio di talenti, molti dei dei quali sono protagonisti ora in diversi team WorldTour. Da due stagioni alla sua guida c’è Peter Kennaugh, un ragazzo che era considerato una delle stelle più promettenti fra i corridori che stavano rilanciando il ciclismo britannico.

Il 33enne nativo dell’Isola di Man nel 2012 era riuscito a conquistare su pista un oro mondiale e uno olimpico con l’inseguimento a squadre. Su strada aveva raccolto belle soddisfazioni (su tutte spiccano due tappe al Delfinato), ma meno di quelle che gli avrebbero consentito le sue potenzialità. In totale ha corso per dieci stagioni fra Team Sky e Bora-Hansgrohe, nella quale quattro anni fa decise di smettere. O meglio, inizialmente doveva essere una sorta di pausa di riflessione, ma nel giro di poco tempo divenne una scelta definitiva. Il motivo è (sempre) lo stesso dei giorni nostri: lo stress. Al Tour of the Alps abbiamo incontrato Kennaugh ed è stata l’occasione per parlare con lui sia del suo ruolo sia della sua squadra, oltretutto sempre ben riconoscibile in gruppo per effetto di maglie a piccoli rombi bianconeri.

Peter saresti stato ancora oggi un corridore forte e tutto sommato giovane. Sei pentito di esserti ritirato così presto?

Non ho rimpianti, sono contento della mia decisione. Devo dire la verità che ci sono stati giorni in cui pensavo e ripensavo che mi sarebbe piaciuto essere lì a gareggiare a questo livello. Poi riflettevo con calma e mi accorgevo che non mi dispiaceva aver smesso. Ero arrivato in un momento della mia vita in cui non ero più felice. Era stata una decisione a caldo, difficile, magari per fermarmi per uno o due anni. Non avevo più passione per fare risultato e così nel frattempo ho iniziato a fare questo lavoro come tecnico di giovani corridori. E stare con loro mi ricorda l’amore che avevo alla loro età e anche il motivo per il quale avevo iniziato a pedalare.

Pensi che ci sia troppa pressione nel ciclismo attuale come ci ha detto il tuo ex compagno Sagan nelle settimane scorse?

Assolutamente sì. Adesso la ricerca del risultato è molto cambiata. Ogni cosa è monitorata e si conosce, dall’allenamento a quello che mangi. Obiettivamente per me è un po’ troppo. Credo che Peter abbia ragione, ma è così che va lo sport in generale. Anzi, lo sport di adesso lo trovo completamente differente da quando sono passato io professionista. I giovani corridori attuali non riescono a notare o comprendere questa importante diversità.

Per quale motivo?

Tutto è legato alla tecnologia. I ragazzi vogliono sapere tutto. Loro pensano che i risultati dipendano solo da questo. Lo vedo durante le riunioni pre-gara sul bus. Quando correvo io, bastavano meno informazioni. Prendevamo il road book e ci dicevano ad esempio dove erano i punti della salita al 10 per cento, dove si iniziava a salire o dove si scendeva e dove era l’arrivo. Ora io – dice mentre indica il suo tablet – mi trovo a dare tutte le informazioni del giorno. Su questa “app” possiamo vedere dove sono posizionate le nostre zone rifornimento oppure mostriamo foto di come sarà la strada o altre cose di questo genere. Ogni informazione per ogni singolo giorno. E’ cambiata la cultura, quasi che non esista più il diritto all’errore.

Secondo te è un bene questo aspetto?

Diciamo che adesso, con questo cambiamento, il ciclismo è diventato uno sport dove tutti possono provare a dare il loro meglio o trarre i migliori vantaggi in tanti modi. Si può sostenere lo sviluppo di questo cambiamento in una buona maniera. E in un certo senso questo è un bene perché ad esempio non abbiamo più casi di doping come prima. Ora si può puntare a nuovi obiettivi laddove ce n’è più bisogno, anche in piccole percentuali. Ricordo che quando il Team Sky aveva iniziato la sua attività, faceva già queste cose, che poi sono diventate sempre più stressanti.

E’ un argomento contraddittorio alla fine…

Non so dirvi se tutto ciò sia una buona o una cattiva notizia per il ciclismo ma, come dicevo prima, è lo sport che si è sviluppato così. Chiaramente il corridore ogni tanto può fare qualcosa di meno a causa dello stress. Bisognerebbe restare entro un certo limite perché altrimenti non ci si diverte più. Però attenzione, ci sono ragazzi a cui piace ricevere tante informazioni o numeri. Sono situazioni figlie delle generazioni. Io appartengo a quella di Peter (riferendosi sempre a Sagan, ndr) e insieme abbiamo vissuto questa transizione.

Il progetto della Trinity Racing invece cosa prevede?

E’ una bella domanda. Possiamo considerarci come un devo team, con la nostra filosofia ben precisa di allevare corridori. Tuttavia nei prossimi due anni la società vorrebbe diventare un team professional. Ora come ora, vogliamo far crescere i nostri ragazzi per poi mandarli nelle squadre professionistiche più importanti, come hanno già fatto molti di loro negli anni precedenti. Sto pensando a tanti programmi di corse, di allenamenti per i corridori e di altri lavori. Fare gare come il Tour of the Alps è importantissimo per noi. Ci fa migliorare davvero tanto.

Cosa insegna Peter Kennaugh ai suoi ragazzi?

Al momento sono team manager e diesse e cerco di trasmettere con enfasi l’esperienza che ho guadagnato da pro’. Voglio mostrare loro cosa devono fare in corsa. Ad esempio al “TotA” dicevo a Pickering di stare attento per portare a casa il miglior piazzamento possibile nella generale. Ma in generale dico ai ragazzi di… chiudere gli occhi e seguire la ruota davanti a loro (dice ridendo mentre ci saluta e raggiunge la sua squadra per gli ultimi dettagli pre-gara, ndr).

Wiggins 2012

Il Tour di Wiggins, quando nacque l’epopea Sky

26.04.2022
5 min
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Dieci anni fa. Quello che ricorrerà quest’estate non è un anniversario qualsiasi. Probabilmente allora non ce ne accorgemmo, ma la vittoria di Bradley Wiggins al Tour de France avrebbe avuto un peso enorme sull’evoluzione del ciclismo. Era iniziata l’epopea della scuola britannica (in quel Tour arrivarono ben 7 vittorie albioniche), ma soprattutto era iniziata l’epopea del Team Sky. Ancora oggi, con il nuovo nome Ineos Grenadiers, ci facciamo i conti e le ultime settimane, fra Martinez, Kwiatkowski e altri lo hanno detto a chiare lettere.

Oggi Wiggins segue le corse dalla moto di Eurosport: qui dopo l’ultima Roubaix
Oggi Wiggins segue le corse dalla moto di Eurosport: qui dopo l’ultima Roubaix

Come una rockstar

Quel Tour ha lasciato enormi strascichi anche nei suoi protagonisti. Sembra strano, ma forse Wiggins (nella foto di apertura con l’allora bimbo Ben, oggi corridore guidato dal padre di Pidcock) ha “digerito” quel successo solo negli ultimi anni, tanto è vero che tempo fa ha ammesso di aver vissuto quel trionfo nella maniera sbagliata.

«Mi sentivo come una rockstar – ha detto – alla quale tutto era dovuto. Oggi, guardando indietro, posso dire che ero polemico e volgare, veramente assurdo e infantile. Questo ha avuto un impatto sulle relazioni intorno a me».

Il suo rapporto con il Team Sky andò incrinandosi fino all’addio nel 2015 e il distacco avvenne in maniera davvero dolorosa. E oggi che Wiggins opera nell’ambiente come commentatore per Eurosport ammette che la responsabilità è stata sua.

Cavendish Boasson 2012
Cavendish vinse 3 tappe in quel Tour. Qui l’iridato è con il norvegese Boasson Hagen
Cavendish Boasson 2012
Cavendish vinse 3 tappe in quel Tour. Qui l’iridato è con il norvegese Boasson Hagen

Una squadra padrona

Per capire da che cosa nacquero i dissidi bisogna tornare indietro nel tempo, raccontare un Tour che venne gestito dai ragazzi del Team Sky come volevano e come avrebbero fatto negli anni successivi, fino all’avvento di un certo Pogacar. Nel cronoprologo Wiggins finisce a soli 7” da Cancellara, che chiaramente non è un fattore per la classifica.

Fino alla settima tappa non avviene nulla di eclatante. Lì, sull’ascesa di Planche des Belles Filles si palesa il dominio britannico, con Chris Froome che vince con 2” su Wiggins che prende la maglia gialla, con 10” su Evans.

Wiggins chiaramente sfrutta al meglio le sue doti di passista, di grande specialista delle prove contro il tempo. Nella crono di Besançon accumula altri 35” su Froome che sale al terzo posto in classifica a 2’07” dal connazionale, in mezzo Cadel Evans a 1’53”. L’australiano due tappe dopo cederà, mentre intanto si affaccia sul podio Vincenzo Nibali. Si arriva così alla 17ª tappa, quella con arrivo a Peyragudes, quella del “fattaccio”.

Attacca Alejandro Valverde, che vive una delle sue tante giornate epiche. Ma l’Embatido non ha velleità di classifica. Dietro i due britannici fanno il vuoto e restano soli all’inseguimento. A un paio di chilometri dalla conclusione, dopo un tornante, Froome stacca Wiggins e inizia a guadagnare.

Wiggins podio 2012
Gli sguardi di Froome e Wiggins sul podio finale tradiscono la tensione reciproca
Wiggins podio 2012
Gli sguardi di Froome e Wiggins sul podio finale tradiscono la tensione reciproca

Il rapporto va in pezzi

Valverde è davanti, ma neanche troppo lontano, potrebbe prenderlo. Dall’auricolare il manager Dave Brailsford urla a Froome: «Fermati!», Wiggins fa lo stesso, ma con quel poco fiato che ha è quasi un’invocazione: «Aspettami». Froome obbedisce, Valverde vince la tappa, Froome si dovrà accontentare della seconda piazza in classifica e anche nella crono finale.

Nelle dichiarazioni del dopo tappa c’è un fair play che maschera il dissidio. Wiggins ammette che «Chris voleva vincere la tappa, me lo ha chiesto e ho risposto sì. Ma poi ho perso la concentrazione, ero arrivato al limite e la mente non c’era più».

Froome davanti ai taccuini dei giornalisti rilascia frasi di circostanza improntate al successo di squadra (seguendo sempre gli ordini superiori) intanto però la fidanzata (e poi moglie) Michelle Cound twitta: «All’improvviso non sono più dell’umore di andare a Parigi. Che presa in giro…».

La realtà si saprà solo molto tempo dopo. Nel chiuso del pullman Sky Wiggins e Froome litigano di brutto e di fatto chiudono i rapporti. Solo molto tempo dopo, quando anche l’anglokenyano avrà lasciato la Ineos, i due avranno modo di chiarirsi e riappacificarsi.

Wiggins Nibali 2012
Quel Tour fu anche il primo sul podio per Vincenzo Nibali, che chiuse a 6’19” da Wiggins (alle sue spalle)
Wiggins Nibali 2012
Quel Tour fu anche il primo sul podio per Vincenzo Nibali, che chiuse a 6’19” da Wiggins

Dopo allora, niente più Tour

Wiggins il Tour, dopo quella vittoria non lo correrà più, continuerà a gareggiare fino al 2016, ma era già un’altra persona. A ben guardare, quella vittoria fu un po’ un controsenso del quale sono capaci solo i grandi campioni, perché Wiggins era un pistard prestato alla strada. Per vincere la maglia gialla, per un anno si concentrò solo sulle corse su strada, ma la pista restava padrona del suo cuore (5 titoli olimpici e 6 mondiali per 19 medaglie complessive, bastano questi dati per chiarire il concetto…).

Wiggins Sky 2012
Il britannico portato in trionfo dai compagni, ma quel Tour lascerà strascichi fino all’addio nel 2015
Wiggins Sky 2012
Il britannico portato in trionfo dai compagni, ma quel Tour lascerà strascichi fino all’addio nel 2015

Tutto per i Giochi

Anche recentemente Sir Bradley conferma quella scelta, senza il minimo pentimento: «I Giochi sono famosi in tutto il mondo, si disputano ogni quattro anni, quando vinci è come se entrassi in una famiglia privilegiata, ma enorme. Io ho vinto in 5 edizioni diverse, quando avvenne a Sydney 2000 erano pochissimi gli sportivi britannici che riuscirono in una simile impresa, a Rio 2016 eravamo una delle nazioni più medagliate. No, per me non è la stessa cosa».

Resta però il fatto che da quel Tour iniziò un modo diverso di correre, più “di squadra”. Dipendeva molto anche da come il Team Sky era costruito, dal fatto che puntava quasi tutto sulle tre settimane in terra francese. Ora le cose sono cambiate: per volontà e per necessità, la squadra sta mutando pelle. E forse un Bradley Wiggins oggi farebbe ancora comodo.

Daniela e Marco Ganna, genitori di Filippo, base aerea Rivolto, Giro d'Italia 2020

Pippo Ganna, orgoglio di mamma e papà

19.10.2020
4 min
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I fiori di Valdobbiadene, Filippo li ha regalati a sua madre. Niente di strano. Chi lo ha ascoltato bene, da Imola a Palermo, lo ha sentito dedicare ogni vittoria alla famiglia. Quei fiori Daniela li ha ancora tra le braccia e li stringe come si fa con un bambino. La tappa di Piancavallo è partita da pochi minuti. I genitori di Ganna sono venuti al via per salutare il figlio e ora riprenderanno la via di casa, dove la figlia Carlotta si è fermata per studiare e badare ai cani di famiglia.

Filippo Ganna, Giro d'Italia 2020
Filippo, detto Top Ganna, con un vero Top Gun: al Giro succede anche questo
Filippo Ganna, Giro d'Italia 2020
Top Ganna e Top Gun: trovate le differenze…

Cento all’ora

Daniela sorride sotto la mascherina. Ci incontrammo per la prima volta da loro, a Vignone, dopo il primo mondiale dell’inseguimento e il ricordo del calore di casa è ancora vivo.

«Siamo molto legati come famiglia – conferma – quindi a me emoziona molto questa cosa. Vedere come lui vuole bene a sua sorella, il rapporto che hanno loro due… Dico che abbiamo lavorato bene noi genitori».

Ma le mamme si preoccupano. E se abbiamo tremato noi vedendo Pippo scendere da Monreale a velocità folle sulla bici da crono, figurarsi lei. Che lo sottolinea con una risata argentina.

«Ho maledetto il cronista che diceva che stava andando a cento all’ora. Mi dicevo: non pensate alle mamme preoccupate per i loro figlioli? Ogni gara la vivo un po’ in ansia. Penso che per ogni mamma il ciclismo sia un bellissimo sport, con i suoi rischi, però non mi sono ancora abituata all’ansia e alla paura. Cerco di conviverci. Vedo Filippo sereno, convinto ed entusiasta di quello che fa e automaticamente anche io lo divento».

Il sogno Sky

Lo disse Filippo per primo: la squadra dei suoi sogni sarebbe stata la Sky. Poi passò alla Uae, ma il momento in cui Lombardi gli procurò un posto con Brailsford viene ancora festeggiato.

«E’ cresciuto tantissimo – ora è suo padre che parla – soprattutto da quando ha cambiato squadra. Lui ha bisogno di tranquillità. Con Villa è arrivato ai vertici della pista e qua con Cioni, che gli permette di lavorare senza pressione, è diventato grande. Ha inciso tantissimo anche la crono al mondiale dell’anno scorso, perché ha preso molta consapevolezza dei suoi mezzi. Quest’anno ha sempre lavorato bene e i risultati si vedono».

Peter Sagan, Filippo Ganna
Con Sagan nella tappa di Tortoreto Lido, vinta dallo Slovacco
Peter Sagan, Filippo Ganna
Con Sagan nella tappa di Tortoreto

Fiducia al top

Marco Ganna è andato alle Olimpiadi di Los Angeles con la canoa. E’ lui che spesso segue il figlio negli allenamenti e lo ha visto crescere.

«Prima del mondiale era tranquillo – dice – anche se arrivava da una crono favolosa come quella della Tirreno, dopo sei giorni a tirare per Thomas. Questo vuol dire che è cresciuto di testa. Sentirgli dedicare le vittorie alla famiglia è stato un’emozione e un orgoglio. Ci conosci, siamo molto uniti. Quando è partito per il Giro mai avremmo pensato, essendo la prima volta, che vincesse tre tappe. Per ora. Anche quando è partito per il mondiale… Io che lo seguo in allenamento lo vedevo che era migliorato nei suoi tempi, sulle nostre salite e sui nostri strappi, ma fra migliorare e vincere un mondiale ce ne passa».

L’arrivo in salita

E poi c’è il giorno Camigliatello Silano. Quello in cui il gigante vince in salita, aprendo la porta sul seguito di una carriera che potrebbe essere ancor più inatteso.

«Tutti dicevano che in quella fuga lavorava per Puccio – dice – e ho pensato: sì, perfetto, va bene. Poi quando c’è stato lo strappo più duro e mancavano ancora un po’ di chilometri, ho detto: fa una gara come quando era allievo o juniores, non guarda in faccia nessuno. E dopo i due scatti di Carrettero, gli hanno fatto girare le scatole. Ha messo la testa bassa e ha cominciato a menare. A quel punto ho pensato che sarebbe arrivato. L’hanno inquadrato in faccia, l’ho visto che stava bene, aveva una bella faccia».

Dire se avrà un futuro nelle corse a tappe è qualcosa che forse non vale neppure la pena indagare.

«Se lui cresce – dice – nessuno sa dove potrà arrivare. Se anche non diventerà uno da grandi Giri, si toglierà delle grosse soddisfazioni tra cronometro e classiche. Ricordiamoci che quest’anno sulla Cipressa, dopo quasi 300 chilometri, ha scollinato per secondo.

Filippo Ganna, Geraint Thomas
Con Thomas risalendo a fatica l’Etna

Ora i Ganna ripartono. Il viaggio fino a Vignone è lungo, ma l’ultima battuta è per la mamma.

«Già da un po’ vive ad Ascona – dice – che però è vicina. Se vogliamo vederlo, prendiamo la macchina e andiamo. Di una cosa potete essere certi: non si libererà molto facilmente della sua famiglia».