Cos’è cambiato nelle scelte di Pidcock? Proviamo a capire

03.02.2025
6 min
Salva

Prime corse, primi dislivelli degni di nota e Pidcock timbra subito il cartellino. Materiali e bici differenti, ma qualcosa è cambiato anche nel fitting del corridore britannico.

Scott Addict RC e Foil a disposizione (le due vittorie la ha ottenute con la nuova Addict), trasmissione Sram Red e ruote Zipp, tubeless Vittoria. Grazie al contributo del suo meccanico Edgar Coso Ferrer vediamo però cosa (e se) è cambiato rispetto al bikefitting usato fino all’anno passato.

I materiali a disposizione di Pidcock

Appena entrato nell’orbita del Q36.5 Pro Cycling Team, a Pidcock è stata fornita la nuova versione della Scott Addict RC, in una livrea particolare: non la medesima in dotazione alla squadra. Durante i primi ritiri sono arrivate le bici ufficiali e alla Addict si è aggiunta anche la Foil: la prima da usare per le corse con i dislivelli importanti, la Foil per le tappe pianeggianti e vallonate.

Durante i test invernali il corridore britannico ha usato per la maggiore il plateau 54-41 e la scala pignoni 10-33 posteriore, combinazione utilizzata anche all’ALUla Tour. La trasmissione è Sram Red, il power meter Quarq, pedali Shimano e sella Prologo Scratch M5 PAS (forse non ufficiali, ma evidenti, entrambi usati in precedenza sulla Pinarello). Le ruote Zipp 454 NSW, con tubeless Vittoria Corsa Pro da 28 millimetri di sezione. Spicca inoltre il reggisella con il massimo arretramento disponibile e le pedivelle da 165 (in precedenza usava le 170).

Edgar Coso Ferrer, meccanico della squadra svizzera in cui da quest’anno milita Pidcock (foto Team Q36.5)
Edgar Coso Ferrer, meccanico della squadra svizzera in cui da quest’anno milita Pidcock (foto Team Q36.5)
Quando avete messo in misura le bici di Pidcock?

Dal primo di dicembre in avanti abbiamo iniziato sulle bici di Pidcock, immediatamente dopo il suo arrivo ufficiale. Come è facile pensare abbiamo aspettato i telai da Scott. Dal primo ritiro siamo andati a tutta per preparare le bici ufficiali, da allenamento e gara.

Rispetto a quella da lui usata al Team Ineos, avete fatto delle variazioni?

Le misure sono rimaste identiche, solo qualche piccolo aggiustamento legato alle geometrie della bici, differente tra Scott e Pinarello, ma le misure sono quelle anche per richiesta del corridore.

Un arretramento della sella che sembra fuori tempo!

Lui pedala in questo modo, comunque ben centrato sulla bici e sul piantone, ma con una sella molto scaricata verso il retro. Potrebbe usare una bici di una misura maggiore, invece preferisce una taglia più piccola, arretrare la sella e usare un attacco manubrio lungo.

La taglia delle sue bici e quanto pesano?

Taglia XXS per Addict e Foil, potrebbe usare anche una XS, ma preferisce la XXS. La Addict è a norma UCI, 6,8 chilogrammi nella versione pronto gara, con il numero ed il trasponder applicati. La sua Foil è 7,09: entrambe a parità di allestimento con le ruote Zipp 454 NSW.

La lunghezza delle pedivelle che usa Pidcock?

165 millimetri, una delle primissime richieste, forse la prima che ci ha fatto quando abbiamo preparato tutti i componenti per le sue bici.

Ha fatto delle richieste in termini di bike fitting e per il montaggio delle bici?

Non ha avanzato richieste particolari, anche se è lampante il suo essere attento e curioso. Parla poco e sa quello che vuole, ascolta sempre, ma alla fine è lui che decide. Si percepisce che è convinto delle sue scelte, ed è molto professionale. Inoltre chiede molte informazioni sulle bici e sulla tecnica in genere.

Una Addict RC in mezzo alle Foil RC dei compagni
Una Addict RC in mezzo alle Foil RC dei compagni
C’è una delle due bici che considera primaria?

Per lui è la Addict la bici numero uno, la scelta principale. In diverse occasioni ha fatto apprezzamenti sulla reattività, facilità di guida e prontezza della bici, nervosa e scattante come lo è lui.

De La Cruz e il Team Q36.5, un qualcosa di speciale

23.10.2024
5 min
Salva

GIRONA (Spagna) – Siamo nella terra natale (la Catalunya) dell’attuale campione spagnolo a cronometro, David De La Cruz del Q36.5 Pro Cycling Team. Siamo ormai lontani dalle corse, dai momenti di maggiore agonismo e pressione, vicinissimi al periodo di meritato riposo. Quale miglior momento per fermarsi a bere un caffè con un professionista? David De La Cruz, 35 anni, corridore molto intelligente e preparato sulla tecnica della bici, appassionato del mezzo meccanico e minuzioso nella valutazione dei dettagli.

Più che il World Tour manca un Grande Giro e in particolare è mancata l’adrenalina della Vuelta, la corsa di casa, ma la speranza di esserci nel 2025 è viva. E poi c’è l’organizzazione e le disponibilità del Team Q36.5, una compagine pazzesca che ha poco da invidiare a tante squadre World Tour.

De la Cruz è amante delle prove contro il tempo e del mezzo meccanico
De la Cruz è amante delle prove contro il tempo e del mezzo meccanico
Cosa è cambiato rispetto agli anni scorsi, dal WorldTour alla categoria professional?

L’unico aspetto negativo è legato al calendario e nello specifico il fatto di non aver messo in programma un Grande Giro. Questo mi è mancato tantissimo (De la Cruz ha corso in team WorldTour dal 2015 al 2023, ndr). Paradossalmente non ho visto molte differenze, soprattutto per quello che concerne l’organizzazione ed i materiali.

Vuoi dire che il Team Q36.5 è paragonabile ad una WorldTour?

Assolutamente. Tutti i materiali che abbiamo a disposizione sono super top e all’avanguardia, con un’ampia scelta, soprattutto per quello che riguarda l’abbigliamento. Siamo coinvolti nei processi di sviluppo e per me è uno stimolo ulteriore a fare bene. Pensa agli sponsor di peso, ai nomi come Scott, Breitling e USB, Q36.5, Sram, Zipp. Tanta roba, alcune squadre WorldTour non hanno questa qualità. E poi siamo seguiti in ogni singolo passo e richiesta.

De la Cruz è coinvolto anche in alcuni progetti Scott
De la Cruz è coinvolto anche in alcuni progetti Scott
Ti riferisci a preparazione, allenamento, nutrizione, eccetera?

Esattamente, la struttura e l’organizzazione si basa su una WorldTour a tutti gli effetti. A monte c’è un progetto importante e se l’obiettivo è quello di far evolvere lo stesso progetto, oggi come oggi non si può improvvisare.

Perché ti è mancato così tanto non fare un Grande Giro?

Quando sei un corridore professionista, il tuo lavoro è allenarti e gareggiare, rispettare i programmi del team e farti trovare pronto quando è il tuo momento. Entrano in gioco anche le motivazioni e personalmente correre un Grande Giro è lo stimolo più grande, un motivo per allenarti di più e meglio, una spinta ulteriore e fare sempre qualcosa in più.

Nel WorldTour, lo spagnolo ha militato in Etixx-Quick Step, Sky e Ineos, UAE e Astana
Nel WorldTour, lo spagnolo ha militato in Etixx-Quick Step, Sky e Ineos, UAE e Astana
Come si dice, il Grande Giro ti cambia. E’ così?

E’ così, se pensi di essere arrivato al 100 per cento, ti rendi conto che dopo una grande corsa a tappe, vai ancora più forte, un fattore che contribuisce a spostare l’asticella più in alto.

Eppure avete fatto una prima parte della stagione con un buon calendario!

Tirreno-Adriatico, Giro di Svizzera e altre corse WorldTour, ma non una gara di tre settimane. Un calendario completo e buono fino alla fine della primavera e poi una seconda parte di stagione un po’ scarica. Una competizione di tre settimane è un boost per la testa, la condizione fisica e per l’immagine del team.

La vittoria nel Campionato Nazionale a crono, su Markel Beloki della EF e Raúl García Pierna (Arkea)
La vittoria nel Campionato Nazionale a crono, su Markel Beloki della EF e Raúl García Pierna (Arkea)
Sei contento del tuo rendimento in questa stagione?

Sono abbastanza soddisfatto, sono riuscito nell’intento di portare a casa la maglia di campione spagnolo a cronometro, anche se ripeto, sono convinto che il mio rendimento è stato condizionato dalla mancanza di una corsa a tappe come Giro, Vuelta e Tour.

Campionato Nazionale a crono. Perché questo obiettivo ad inizio stagione?

Mi piace la disciplina e poi è stata una scommessa quando a dicembre 2023 ho firmato ufficialmente con il Team Q36.5 e mi hanno dato la Plasma, la bici da crono di Scott. Al manager ho detto, con questa bici porto a casa la maglia di campione di Spagna.

La gara alla quale non vorresti mai rinunciare?

La Vuelta. Ci sono tre competizioni che mi danno adrenalina, la Parigi-Nizza, La Vuelta e la Vuelta Catalunya che per me è la gara di casa, io sono fiero di essere catalano.

In Spagna sei a casa, una motivazione in più?

Chiaro, come pensare ad un corridore italiano che partecipa al Giro. Il tuo ambiente, la tua gente e si parla la stessa lingua. La gente ti riconosce e fa il tifo, ti incita, fai fatica, ma sei anche nella tua zona comfort.

Fine stagione, ora un po’ di stacco, quasi totale, dalla bici
Fine stagione, ora un po’ di stacco, quasi totale, dalla bici
Siamo alla fine della stagione. Come sarà il tuo inverno?

Sono uno di quei corridori che ha la necessità di staccare completamente dalla bici, che non significa stare tutto il giorno sul divano. Sento bisogno di fare qualcos’altro. Vado a correre a piedi ad esempio, non per fare la maratona o testarmi. Semplicemente perché mi piace farlo, mi fa stare bene e mi piace. Quando inizio di nuovo ad avere bisogno della bicicletta, quella necessità di pedalare che va oltre l’allenamento, allora risalgo in sella con serietà, perché è quello il momento più giusto per farlo.

Un mese da leone, seguiamo da vicino Manuel Oioli

21.08.2024
5 min
Salva

Manuel Oioli sta quasi ritrovando Manuel Oioli, l’atleta che sulla salita di Fosdinovo al Lunigiana del 2021 polverizzò il precedente record di un certo Tadej Pogacar. Ci riuscirono in nove, a dire il vero, aprendo la porta sull’accelerazione dei ciclismo giovanile rispetto ai tempi recenti del fenomeno sloveno. Da allora Olioli passò nella Fundacion Contador come under 23 e poi ne venne via, approdando lo scorso anno alla Q36.5. E se l’inizio di stagione non è stato dei più esaltanti, i risultati dell’ultimo mese evidenziano un deciso cambio di rotta. Le vittorie della Coppa Medicea e del Trofeo Città di Brescia (in apertura, foto Team Q36,5), unite ai podi di Poggiana e Capodarco, lo propongono fra gli U23 di riferimento del momento. Per questo il cittì Amadori lo ha inserito nella rosa di coloro che potrebbero correre gli europei, mentre forse il percorso del mondiale potrebbe essere troppo duro.

«Non posso lamentarmi di come stanno andando le cose nell’ultimo mese e mezzo – spiega – ma questo non significa che possa adagiarmi. Non sono neanche professionista, quindi voglio migliorare ancora. Sto andando, forte però sono consapevole che nel professionismo queste prestazioni sarebbero niente. Quindi non sono ancora il Manuel che vorrei, però posso dire che a inizio stagione speravo di arrivare ad agosto esattamente con questa condizione».

Il 2024 di Oioli era partito al Tour of Antalya, gara fra i pro’
Il 2024 di Oioli era partito al Tour of Antalya, gara fra i pro’
Vai forte ad agosto perché è il tuo periodo?

Storicamente da sempre vado forte in questi mesi, più che nella prima parte di stagione, quindi un po’ me lo aspettavo. Non posso recriminare niente sulla preparazione o altro, non ho avuto intoppi, è solo che comincio ad andare forte da luglio.

Non sei ancora professionista: è l’obiettivo di quest’anno?

Sì, davvero sì. L’ho detto già all’inizio della stagione che quest’anno sarei voluto passare. Il 2023 si è chiuso bene con il successo al Trofeo Del Rosso, ma onestamente quest’anno fino alla prima vittoria, quindi fino a Brescia, ero consapevole di non aver fatto abbastanza. Dopo due vittorie e i due podi in gare così importanti, penso di aver guadagnato in consistenza. Il mio piano A sarebbe quello di diventare professionista alla Q36,5 e spero che mi prendano. Il problema è che non so quanti posti abbiano per l’anno prossimo, per cui non si sa ancora molto, anche se un interessamento c’è stato.

Quanto e in cosa il Manuel di quest’anno è più forte da quello del 2023?

Se guardo tutti e tre gli anni da under, anno per anno, quello che si nota di più è stata la resistenza. Non dico la salita, perché ho visto che in una gara come la Firenze-Viareggio non ho ancora i numeri dei più forti. Però invece sulla resistenza in una gara come Capodarco, con otto giri duri in cui si fa la differenza negli ultimo due o tre, mi sono visto tanto migliorato. L’anno scorso non avrei mai pensato di giocarmi la vittoria in una gara come quella.

Oioli terzo a Capodarco, alle spalle di D’Aiuto e Dunar, su un percorso durissimo
Oioli terzo a Capodarco, alle spalle di D’Aiuto e Dunar, su un percorso durissimo
Perché?

Sono partito con qualche dubbio. Sapevo di stare bene, perché a Poggiana ero andato forte anche in salita, però Capodarco è dura. Sono partito, ho visto che nei primi giri facevo fatica, però c’ero. Di solito mi sblocco col passaggio dei chilometri, quindi mi sono detto che magari sarei arrivato a fare il  finale. Anche quando facevo più fatica, ho tenuto duro. Ho sempre cercato di rientrare usando l’intelligenza in discesa e in pianura. E poi negli ultimi 3-4 giri, ho visto che di gambe ero con i migliori e ho pensato che me la sarei giocata. Ho scelto una tattica un po’ attendista che poi non ha premiato, perché sono andati via D’Aiuto e il ragazzo slovacco. Io ho preso quella decisione e ho chiuso terzo, però ero al loro livello e questo è importante.

Perché Capodarco è dura, visto che sei uno di quelli che batté il famoso record di Pogacar a Fosdinovo?

Premesso che ogni gara è diversa e sarebbe sbagliato fare paragoni, vedo che gli juniors di adesso vanno ancora più forte. Ho guardato i tempi della Collegno-Sestriere, in cui avevo fatto secondo, proprio come quest’anno il figlio di Ivan Basso. Guardando i tempi su Strava, i suoi sono tutti più bassi dei miei. In generale, ma negli juniores in particolare, il livello si alza sempre di più. Sicuramente quando Pogacar ha fatto il Lungiana, gli juniores erano molto più simili agli allievi che agli under 23. Invece adesso la loro preparazione è molto simile a quella dei grandi. Io mi sono trovato in una fase di passaggio.  Erano anni in cui qualcuno passava direttamente al professionismo, ma era ancora una cosa strana. Si diceva ancora che di Evenepoel ce n’è uno solo, per cui chi passava presto era una sorta di pioniere. Penso che se avessi vinto oggi due tappe al Lunigiana e poi fossi arrivato nella top 10 dell’europei, probabilmente sarei passato diretto in una WorldTour.

Pentito di qualcosa nel tuo percorso?

No, perché io avevo già dato parola alla Eolo e non mi sarebbe piaciuto tornare sui miei passi. Non è neanche detto che passare subito professionisti sia la cosa migliore. Il rammarico semmai è che avrei potuto migliorare prima, allenandomi in maniera un po’ diversa da primo e secondo anno U23, però meglio averlo fatto ora che mai.

Giro della Lunigiana 2021, Oioli vince a Fosdinovo con un tempo migliore rispetto a quello di Pogacar
Giro della Lunigiana 2021, Oioli vince a Fosdinovo con un tempo migliore rispetto a quello di Pogacar
Pur essendo in un devo team, hai fatto pochi giorni di gara con i pro’, come mai?

Penso che ne farò un paio ancora entro fine stagione. Nella squadra c’è una diversa gestione degli stagisti, per noi non c’è una programmazione e anche giustamente. Alla fine hanno la precedenza i corridori della professional e se ci sono dei buchi, ci va uno di noi.

Non hai fatto il Giro Next Gen con la squadra, per motivi misteriosi, ma lo hai fatto con la nazionale. Sarebbe cambiato qualcosa andando con la Q36,5?

A livello di prestazione, secondo me no, perché oggettivamente non ero al top della mia forma. E in una corsa come il Giro, con un livello così alto, se non sei al top fai fatica. Mi è dispiaciuto più che altro perché per tutto l’anno lo staff ha lavorato sodo per noi e alla fine non si è fatta la corsa più importante. Proprio per questo devo ringraziare il nostro diesse Nieri che ha spinto perché corressi con la nazionale.

Ci sono degli appuntamenti entro fine stagione in cui mettere in mostra il miglior Oioli?

Vediamo se sarò agli europei, poi gli appuntamenti a cui tengo di più sono il Giro del Friuli e la Ruota d’Oro. E vedremo se per fine stagione sarò riuscito a trovare il miglior Oioli e se questo mi porterà nel gruppo dei più grandi.

Campioni e debuttanti, non è sempre facile. Nibali racconta

30.01.2024
6 min
Salva

Qualche giorno fa Nibali è uscito in bici assieme a Ulissi sulle strade di Lugano. Sapendo che ci saremmo sentiti, lo Squalo ha approfondito il tema anche con l’amico. Lo spunto è quello dell’editoriale di ieri: i corridori giovani crescono prima se nella loro squadra ci sono campioni con cui confrontarsi? Il discorso si può prestare a una doppia interpretazione. Si può entrare nello spinoso terreno dei giovani che non ascoltano i consigli dei più esperti. Oppure si può restare nell’ambito descritto da Pellizzari ed Ellena, sugli stimoli derivanti dal semplice allenarsi assieme a loro.

«Quando passai alla Liquigas – racconta Nibali – il capitano era Di Luca e io anche in allenamento volevo staccarlo sempre e questo certamente mi ha fatto crescere. La mia svolta più grande c’è stata però dal 2008-2009 in poi. Danilo era andato via e noi del gruppo giovani abbiamo iniziato a fare i ritiri di squadra sul Teide. Il mio riferimento da quel momento in poi è diventato Pellizotti e solo dopo è arrivato Basso. Franco lo copiavo per come lavorava, come si preparava, per come strutturava l’allenamento. Guardavo quello che faceva lui, anche per lo stile di gara. Mi dava delle indicazioni perché io ero molto impulsivo e sbagliavo i tempi».

Sin dai primi mesi nella Liquigas, Nibali si è sempre voluto confrontare con capitan Di Luca
Sin dai primi mesi nella Liquigas, Nibali si è sempre voluto confrontare con capitan Di Luca
Che cosa vi siete detti con Ulissi a proposito di questo?

Che oggi lavorare con i giovani è molto più difficile, perché hanno le loro idee. A volte, anche quando gli spieghi delle cose, sembra che gli dici chissà cosa. Hanno già i numeri e vincono, quindi alla fine, tra virgolette, hanno ragione loro. Io ho vissuto un ciclismo diverso, in cui era bello che accanto al giovane ci fosse un uomo di esperienza. Oggi sembra sempre meno utile. Quello che una volta insegnavano gli anziani, oggi in base al budget delle squadre lo imparano dai preparatori e dai nutrizionisti.

Infatti il punto non è tanto quello che il campione può insegnare a parole, ma quello che si impara su se stessi allenandosi al suo fianco.

Ci può stare, comunque credo che andando alla VF Group-Bardiani, Pellizzari abbia scelto di crescere tranquillamente. Per cui in questo momento magari si può rimanere male perché quelli che hanno la stessa età e fino a ieri erano sullo stesso livello hanno già vinto, ma non è detto che questi exploit diventino la regola e che le differenze ci saranno per sempre. A fare le cose di fretta, si rischia che l’exploit duri 2-3-4 anni e poi però che la discesa sia rapida quanto la salita.

Prova a metterti nei panni di uno di questi ragazzi: non pensi che allenarsi con Pogacar gli dia maggior consapevolezza?

Sì, è così. Se nella tua squadra complessivamente hai atleti di un certo valore, chiaramente anche il tuo livello si porterà su un gradino leggermente più alto. Sai che stai competendo con della gente che è il gotha del ciclismo, perché nel UAE Team Emirates metti dentro Ayuso, Pogacar e tutti quelli che ci sono, uno si misura subito. Se però provi a parlargli, non funziona. Diego mi faceva l’esempio di corridori giovani che potrebbero anche avere vantaggio dal ricevere qualche consiglio e invece lo guardano come fosse di un altro pianeta. Eppure è serissimo, sa lavorare bene, tutti gli anni ha sempre vinto. E’ un professionista esemplare, quindi qualcosa da insegnare ce l’ha. In una squadra è sempre bene affiancare un uomo di esperienza ai più giovani. Ad esempio, nella Q36.5 di cui sono ambassador, Brambilla ricopre esattamente questo ruolo.

Ulissi è uno dei grandi corridori con cui i giovani del team si confrontano ogni giorno in allenamento (foto UAE Emirates)
Ulissi è uno dei grandi corridori con cui i giovani del team si confrontano ogni giorno in allenamento (foto UAE Emirates)
E’ sempre stato così?

Quando sono passato io, gli anziani non ti dicevano molto. Ricordo che alla Fassa Bortolo arrivai giovanissimo. Trovai dei corridori come Flecha oppure Kirchen e Codol che davano i consigli veri, quelli giusti. Se li ascoltavi, bene. Se non li ascoltavi, si voltavano dall’altra parte e continuavano la loro vita. Lo stesso negli anni successivi ho fatto io, provando a correggere chi eventualmente stava commettendo un errore.

Aru può aver guadagnato sicurezza in se stesso prendendo le misure su di te in allenamento?

Probabilmente sì, ma in quel periodo l’Astana era una squadra forte. C’era Fuglsang, poi è arrivato Scarponi. Andavamo a giocarci il Giro, il Tour e la Vuelta. Ci eravamo posizionati ai vertici delle classifiche, non solo con due atleti, ma con tutta la squadra (Nibali e Aru sono insieme nella foto di apertura al Giro del Trentino del 2013, ndr). Se un giovane si trova a vivere in certe squadre, per forza assorbe qualcosa in più. Sicuramente avere un veterano oppure un corridore con un bel palmares e che continua ad andar forte, può essere un bel riferimento. Se invece nella squadra il riferimento non c’è, chiaramente si fa più fatica perché a quel punto l’esperienza devi farla in gara. Ma Pellizzari potrebbe dire: l’ho staccato una volta, lo posso staccare ancora.

Al momento il confronto lo fanno su Strava, guardando i tempi di Evenepoel in allenamento…

Sì, ma certe osservazioni lasciano il tempo che trovano. Ero anche io a Calpe e si parlava di questo tempo stellare fatto da Remco sul Coll de Rates. Ho sentito Bramati, mi ha detto che sembravano non poggiasse le ruote per come andava. I suoi compagni dicono che bastava che la strada si alzasse leggermente e li lasciava lì. Quindi sta già andando forte, non ha ancora fatto grandi cose e ha battuto il KOM di Poels. Aver fatto dieci secondi di più a inizio stagione rispetto a uno che neanche è a tutta non è tanto indicativo.

Papà per la seconda volta a ottobre, ecco Nibali con Emma e la piccolissima Miriam (foto Instagram)
Papà per la seconda volta a ottobre, ecco Nibali con Emma e la piccolissima Miriam (foto Instagram)
E questo conferma che sarebbe stato meglio per lui, se fossero stati in squadra insieme, salire alla sua ruota e mettersi alla prova.

Sarebbe stato diverso, certo. Quando facevo dei test, non ero mai tra i migliori. Però poi in gara di fatto ero sempre davanti. Da dilettante, da junior, riuscivo a vincere 10-12 gare ed era normale, mentre ora si esaltano se ne vincono la metà. I confronti veri si fanno in gara, come Bettini che attaccava il numero e diventava un altro. I giovani forti ci sono sempre stati. Giorni fa mi sono scritto con Cunego su Instagram e anche lui parlava di questi ragazzi prodigiosi. E mi è toccato ricordargli che lui a 23 anni ha vinto il Giro e il Lombardia. Non è che andasse poi così piano. Rispetto ad allora, sono cambiati gli strumenti.

Certamente sono più accessibili.

Io sono passato professionista che quasi non sapevo usare il cardiofrequenzimetro. Adesso usano il powermeter da juniores, avendo pure i rapporti liberi. Hanno tutti i numeri disponibili, mentre una volta il direttore sportivo più bravo era quello che riusciva ad adattare le tabelle alla squadra. Ora è più scientifico, dalle ruote alle gomme, dalle bici al casco. Il casco col paraorecchie e anche il casco col paraocchi, visto che qualcuno ogni tanto sbatte (ridiamo di gusto, ndr). Vanno a cronometro e guardano la traccia sul computerino, tengono la testa giù e poi picchiano sulle transenne e si chiedono come mai.

Potere del computer…

Negli ultimi anni da professionista, c’erano quelli che facevano la discesa guardando il Garmin, perché avevano la traccia GPS. Io non l’ho mai fatto, io guardavo le curve e come dovevo prenderle per impostare la prima e, se c’era la seconda in sequenza, come impostare anche la seconda. La traccia la facevo io e non mi sembra che in discesa Nibali fosse scarso. Qualche errore di valutazione l’ho fatto, il più grave fu alle Olimpiadi di Rio, ma perché la strada era mezza asciutta e mezza bagnata. E questa comunque è un’altra storia. E le ruote, posso assicurarvelo, non c’entravano niente.

Scott Foil RC Ultimate, la “belva” aero che va forte in salita

13.07.2023
7 min
Salva
Il test completo della Scott Foil RC Ultimate

L’ultima versione della Scott Foil nasce per essere aerodinamica prima di tutto, ma sorprende per la sua versatilità ed efficienza in ogni situazione. E’ veloce e reattiva, in salita funziona bene come poche altre della sua categoria ed è facile da guidare nei tratti tecnici.

L’abbiamo provata con il medesimo allestimento utilizzato dai corridori del Team Q36.5 (ad eccezione degli pneumatici) e proprio a Filippo Conca e Gianluca Brambilla abbiamo fatto delle domande in merito alla loro bici.

Le sue geometrie non portano a sacrifici eccessivi
Le sue geometrie non portano a sacrifici eccessivi
La prima volta che sei salito sulla Foil, quale è l’aspetto che ti ha colpito maggiormente?

Filippo Conca:«La rigidità insieme all’aerodinamica, soprattutto alle alte andature e nelle curve da affrontare in velocità. E poi in discesa, dove si percepisce la spinta che arriva dal mezzo. Mi ha dato un feeling immediato, nonostante la mia struttura fisica e l’altezza».

Gianluca Brambilla:«A mio parere è bellissima, aggressiva e con un design che parla da solo. E’ veloce, rigida ed è molto facile quando c’è da prendere velocità».

Bici aero e salita, la Foil viene utilizzata anche da molti scalatori veri e propri. Che vantaggi offre questa bici in salita e nelle situazioni tecniche più complicate?

Filippo Conca:«Verissimo, la Foil è una di quelle bici aerodinamiche molto apprezzate anche dal gruppo degli scalatori. Rispetto alla Addict, rimanendo in ambito Scott, paga qualche grammo, ma efficienza aerodinamica e rigidità hanno il sopravvento. Voglio fare un esempio: prima di attaccare una salita si affronta la pianura, tratti vallonati ed eventuali discese. Una bici veloce e leggera come questa può dare un grande aiuto. E poi buona parte delle salite sono pedalabili dove si va a 20/25 all’ora, anche oltre e la bici aerodinamica offre dei vantaggi».

Gianluca Brambilla:«Nel ciclismo di oggi si va a velocità sempre più elevate, credo che una bici come la Scotto Foil è la combinazione perfetta per molti atleti, aerodinamica e leggera. E’ fondamentale arrivare all’attacco della salita senza aver sprecato troppo».

Quando invece c’è da fare velocità, o da rilanciare, una bici con le caratteristiche della Foil, offre dei vantaggi tangibili?

Filippo Conca:«Come detto in precedenza la rigidità è una delle caratteristiche principali, eppure la Foil non risulta mai eccessiva ed è facile da rilanciare. Lo è quando l’andatura è bassa e si scatta, lo è quando la velocità è già alta e si aumenta ancora».

Gianluca Brambilla:«Sotto un punto di vista è una bici che sprinta da sola e tiene la velocità. Personalmente ho notato dei vantaggi anche quando sono in scia a 60 all’ora e oltre, la Foil permette di guadagnare spazio, quasi come se fosse risucchiata da quella davanti».

La Foil RC Ultimate in test

Una taglia media, con il manubrio Syncros Creston SL Aero, integrato e completamente in carbonio. Syncros è anche la sella, modello Belcarra 1.0, una sella corta molto interessante per comfort e sfruttabilità.

La trasmissione è Sram Red eTap AXS (48/35 e 10/33), con il power meter Quarq incluso. Le ruote Zipp sono le 454 NSW gommate Schwalbe Pro One tubeless, 25 davanti e 28 dietro. Abbiamo rilevato un valore alla bilancia di 7,1 chilogrammi (senza pedali). Il prezzo di listino è di 15.999 euro.

Una bici per correre

L’ultima versione della Scott Foil è una bici da agonista, senza se e senza ma. Lo è per l’impatto estetico, importante nelle forme, nei volumi, per quelle linee marcate e decise che tramettono molto del suo carattere. E’ una bici da corridore vero e lo si percepisce quando la si usa per la prima volta, perché è veloce (parecchio veloce) ed invita ad andare a gas aperto, sempre. Anche per questo motivo è una bici esigente: per stare sempre a manetta bisogna essere allenati, preparati ed avere la capacità di essere lucidi, in modo da sfruttare le potenzialità del mezzo.

Rigida in salita

Eppure la Foil RC è una bici facile da guidare. Se consideriamo le quote geometriche taglia per taglia, non ha dei valori estremizzati, dei numeri che una volta tradotti nella posizione in sella, portano ad avere un setting sacrificato, anche se è sempre bene considerare che è una bici nata per gareggiare. Lo sterzo non è corto, fattore che si riflette in uno stack complessivo leggermente più alto della media. In questo modo si limita l’utilizzo degli spessori tra attacco e battuta dello sterzo e si utilizza il manubrio integrato in tutte le sue parti e anche la stabilità dell’avantreno ne guadagna. Invita a tenere una posizione caricata in avanti, facilitando così i rilanci e le uscite di sella, ma anche a spingere di forza.

In discesa, in pianura e in quei contesti dove si può fare velocità, la Scott Foil è un’arma sempre con il colpo in canna. Ha un’eccellente capacità di mantenere la velocità e di riprendere un ritmo elevato, ad esempio nei cambi di ritmo e nelle ripartenze.

In salita colpisce in maniera estremamente positiva. Si percepisce la sua rigidità, ma al contrario di molte bici aero la Foil non diventa pesante quando le pendenze superano la doppia cifra. Quando si esce di sella l’avantreno offre un sostegno molto importante, non si scompone sotto il carico del corpo e anche la forcella non da mai la sensazione di flettere. Tutta la sezione centrale, insieme al carro posteriore non disperdono nulla.

Gratificante da portare in salita
Gratificante da portare in salita

In conclusione

Quando si inizia ad usare in modo sostanzioso la Scott Foil, diventa molto più chiaro il concetto della bicicletta “aerodinamica funzionale alla salita”, espresso anche dai corridori: quelli veri. La Foil RC Ultimate è una bici leggera, particolarmente efficiente quando le andature sono elevate e che proprio per questo motivo permette di risparmiare delle energie prima di aggredire la salita. Una volta che la si porta con il naso all’insù ha ben poco da invidiare alle bici specifiche per gli scalatori. E poi è una bici che, nonostante il suo design, non mette mai in crisi la guida, permette di correggere qualche errore e cambia facilmente direzione, il tutto a vantaggio di un risparmio di energie per nulla banale.

Nelle sue corde c’è anche una buona dose di comfort, fattore che non arriva in modo diretto dai materiali, ma da un pool di fattori messi insieme, che permettono di esprimere un guida fluida e sempre pronta, aggressiva quando lo si vuole e di sentirsi sempre bene in sella.

Scott

Le infinite vie della Tirreno. La strategia di Brambilla

16.03.2023
4 min
Salva

In questi giorni abbiamo parlato con atleti e preparatori per capire quanto possa essere necessaria una Tirreno-Adriatico in funzione di altri obiettivi. Ma gli altri obiettivi sono anche altre corse. Gli altri obiettivi non sono solo la Sanremo o la Roubaix. I goal possono essere quelli di accrescere la propria condizione a prescindere o da gare come la Coppi e Bartali. Ed è quello che ci ha raccontato Gianluca Brambilla.

Il corridore veneto è approdato quest’anno alla  Q36.5. Sin qui, complice anche qualche problema di salute, non ha corso moltissimo: la Tirreno è stata la sua terza gara della stagione, la seconda a tappe. E forse ancora di più per Brambilla è stata un momento di preparazione, ammesso sia questo il termine corretto.

Gianluca Brambilla (classe 1987) sull’arrivo di Osimo. Per il vicentino una Tirreno “di costruzione”
Gianluca Brambilla (classe 1987) sull’arrivo di Osimo. Per il vicentino una Tirreno “di costruzione”

Sfortune alle spalle

«Il percorso di questa Tirreno – ci ha detto Brambilla – in generale è stato molto duro. Duro sotto ogni punto di vista: chilometrico, altimetrico, dei trasferimenti. Stressante quasi fosse un Giro d’Italia

«Quindi se ci mettiamo che, a livello personale, non ci sono arrivato in ottime condizioni tutto sommato sono “soddisfatto”».

«E’ tutto l’inverno che inseguo la condizione, però grazie anche a questa Tirreno adesso spero che le sfortune siano finite. Prima ho avuto l’appendicite, poi l’influenza intestinale la sera prima del debutto stagionale. Al rientro, debilitato, abbiamo preso la neve al Gran Cammino, poi ancora una scivolata in corsa e per finire una banale caduta prima della della crono di Camaiore. Sono caduto dalle scale del bus. Il che può far ridere ma ho picchiato la schiena…

«Per questo ora spero di vedere la luce in vista dei prossimi appuntamenti e dei prossimi obiettivi. E questi sono la Sanremo, okay, ma anche la Coppi e Bartali, dove voglio tornare davanti. Voglio fare bene».

La neve al Gran Camino non ha agevolato il rientro alle corse di Brambilla
La neve al Gran Camino non ha agevolato il rientro alle corse di Brambilla

Primo picco

E qui si apre il capitolo preparazione. Con la nuova squadra, per Brambilla sono cambiate molte cose, tra cui i calendari. Tempo fa Gianluca ci disse che il vero goal dell’anno sarebbe stato il Giro di Svizzera. Qualcosa d’insolito, ma al tempo stesso stimolante.

«Se quello della Coppi e Bartali potrebbe essere il primo picco di condizione della stagione? Oggi è difficile prepararsi in corsa, però penso anche che quando si hanno basi solide come le avevo io, si possa fare una buona dose di lavoro. Come ho fatto io alla Tirreno per fare bene alla Sanremo e alla Coppi e Bartali».

Gianluca è tra gli italiani più più apprezzati dal pubblico
Gianluca è tra gli italiani più più apprezzati dal pubblico

Verso lo Svizzera

Ma la primavera di Brambilla non si fermerà certo a Carpi, ultima tappa della gara dedicata ai due immensi campioni. Sulla via di Gianluca c’è anche il Tour of the Alps.

«Da lì scatterà veramente la rincorsa al Giro di Svizzera – va avanti il vicentino –  il primo grande obiettivo della squadra. Dopo quella corsa infatti andrò in altura».

Brambilla è sempre stato un attaccante con la “A” maiuscola. Un lottatore. E’ un corridore della vecchia guardia che meglio di altri è riuscito ad adeguarsi al ciclismo moderno, pertanto è ben conscio dell’importanza dei dettagli. Se vorrà essere al top per Tour de Suisse, appunto, tutto dovrà filare al meglio. E per far sì che tutto vada per il meglio ecco come ha già iniziato a comportarsi alla Tirreno.

«Durante la Tirreno ho cercato di essere attento ad ogni cosa. L’altro giorno a Sassotetto, per esempio, visto l’andazzo, non sono sceso in ammiraglia, ma in bici. Alla fine era il modo più veloce per filare via veloce verso la doccia. Mi sono coperto tutto, il più possibile e sono sceso a valle. E lo stesso con l’alimentazione. Ho cercato di mantenere il serbatoio sempre ben pieno. Rispetto al passato si mangia molto di più, anche perché il dispendio calorico in corsa è altissimo visti i ritmi. E poi a mio parere l’eventuale dieta meglio farla a casa che in corsa».

Vittoria e colpo di spugna: Moschetti riparte da Almeria

14.02.2023
5 min
Salva

Primo ad Almeria, alle sue spalle De Lie, Kristoff, Meeus e Nizzolo. Non è l’arrivo di un mondiale né di una grande classica, ma quando va a sedersi senza fiato vicino a un marciapiede, Moschetti ha lo sguardo felice di un bambino. La grande differenza rispetto alle vittorie precedenti è il colore della maglia. Non più Trek-Segafredo, bensì quella nuovissima e super tecnologica del Team Q36.5.

Seduto sulla strada dopo la vittoria, mentre intorno si scatena la gioia del nuovo Team Q36.5
Seduto sulla strada dopo la vittoria, mentre intorno si scatena la gioia del nuovo Team Q36.5

Cadute e risalite

Il lungo periodo con la squadra americana si è chiuso in modo insapore: un raffreddamento dei rapporti da parte del team che ha tolto il fuoco agli ultimi mesi. Ottimi rapporti con Guercilena da un lato, poi tutto il resto ad altra temperatura.

Finora nel… carnet di Matteo tra i professionisti c’era sempre stata una sola squadra, ad eccezione del 2018, quando andò nella Polartec-Kometa: continental spagnola di Basso e Contador (9 vittorie). Dal 2019 del passaggio nel WorldTour, il cammino del milanese ha visto 5 vittorie e una serie di infortuni che avrebbero piegato un cavallo da tiro. Non Moschetti, che a un certo punto si trovò addirittura a fare riabilitazione a Forlì, in casa di Fabrizio Borra, sfidando il lockdown e i primi assalti del Covid. Ogni volta è tornato e ha vinto. E così anche quest’anno, dopo un cambio di maglia che è stato anche un cambiamento di vita.

Lo scorso anno, prima vittoria di peso per Moschetti alla Valenciana, dopo due anni tra infortuni e risalite
Lo scorso anno, prima vittoria di peso per Moschetti alla Valenciana, dopo due anni tra infortuni e risalite
Che cosa significa cambiare squadra dopo quattro anni?

Sono passato nella Trek-Segafredo. In quattro anni conosci le persone, il materiale che rimane lo stesso ed evolve di anno in anno. Prendi delle abitudini, hai dei riferimenti. Poi di colpo cambia tutto. Per fortuna sono una persona che si ambienta in fretta. Non ho problemi nell’usare materiali diversi. La squadra è nuova e partire da zero non è facile, magari ci vorrà qualche mese perché tutto scorra nel modo più fluido, ma siamo sulla buona strada.

Come descriveresti il distacco dalla Trek?

Non ci siamo lasciati male, però l’anno scorso ho sentito una sorta di allontanamento, come se mancasse fiducia nei miei mezzi. E’ un lavoro, ci sta, ma alla fine è mancato il supporto che serve per fare bene e questo mi è dispiaciuto. Sarebbe stato meglio chiudere la stagione con una buona direzione, però è andata così.

Buone sensazioni al via da Almeria. Moschetti è pro’ dal 2019, ha 26 anni, è alto 1,79 e pesa 73 chili
Buone sensazioni al via da Almeria. Moschetti è pro’ dal 2019, ha 26 anni, è alto 1,79 e pesa 73 chili
Curiosamente ti ritrovi in squadra con Brambilla, rimasto male perché di fatto nel 2022 non ha più corso da metà agosto…

Lui è stato anche più sfortunato di me, però non conosco i dettagli. Nel mio caso hanno deciso di non tenermi, ma nel frattempo io ero sotto contratto, mi allenavo, però alle corse percepivo che non ci fossero fiducia e determinazione.

Hai cambiato squadra e hai risposto con una vittoria…

Anche l’anno scorso, al rientro dopo l’ennesimo infortunio, ho iniziato con una vittoria in Spagna, alla Valenciana. Quella fu una vittoria più prestigiosa dopo due anni difficili. Quella di Almeria è stata più una conferma a livello personale e un’emozione per la nuova squadra.

Che ambiente sta nascendo?

Finora è stato facile trovare l’intesa. Un conto è entrare in un gruppo già formato e affiatato, mentre questo è tutto nuovo. Ho corso un po’ con Brambilla, gli altri invece sono tutti da scoprire, ma ci stiamo riuscendo bene. Mi ricordo che quando arrivai alla Trek, quasi presi paura dal numero delle persone che c’era, più di un centinaio. La nostra realtà è più piccola, ma davvero ben organizzata.

Vuelta Valenciana, Moschetti in azione sulla Foil: bici aerodinamica in dotazione anche agli scalatori del team
Vuelta Valenciana, Moschetti in azione sulla Foil: bici aerodinamica in dotazione anche agli scalatori del team
Hai un tuo tecnico di riferimento?

Certo, come accade in tutte le squadre. Io per praticità sono con Missaglia, ma Douglas Ryder è molto presente. Da quello che sento, è stata mantenuta l’impostazione che avevano al Team Qhubeka due anni fa, anche nella preparazione. Io ad esempio lavoro con Mattia Michelusi, allenatore interno al team.

Cambiare preparatore è più difficile rispetto al cambiare squadra?

Anche questo è stato un passaggio. Alla fine i lavori sono quelli, cambia però il modo di fare le cose, perché ogni preparatore mette la sua impronta e il suo modo di ragionare. Nei dettagli riconosci la firma. Il passaggio non è troppo faticoso da assorbire e anzi… alla fine diventa uno stimolo in più. Prima mi allenavo con Matteo Azzolini, con cui ho tenuto un ottimo rapporto e che invece è passato fra i preparatori della Trek. Però, cambiando squadra, ho trovato giusto seguirli anche per la preparazione.

Ad Almeria, alle spalle di Moschetti anche Arnaud De Lie, il giovane talento belga dello sprint
Ad Almeria, alle spalle di Moschetti anche Arnaud De Lie, il giovane talento belga dello sprint
Nuova squadra, nuovo allenatore e nuova bici…

Ero abituato bene con la Trek, ma devo dire che la nuova Scott Foil mi ha stupito. E’ molto veloce e leggera, tanto che alla fine la squadra ha deciso che useremo tutti questo modello. Ho trovato subito il giusto assetto in sella e avremo ruote Zipp diverse a seconda dei percorsi. Non l’ho mai pesata, ma credo che con le ruote da salita probabilmente non saremo a 6,8, anche perché con i freni a disco è dura, ma si resta intorno ai 7 chili. E considerato che è una bici aerodinamica, è proprio un bell’andare.

Il team porta il nome di un marchio di abbigliamento, che cosa te ne pare?

Onestamente sono rimasto veramente colpito dall’abbigliamento di Q36,5, più che altro per la qualità di tutta la linea d’abbigliamento. E poi ho avuto la fortuna di conoscere meglio Luigi Bergamo (titolare del marchio altoatesino, ndr) ed è stato veramente interessante scoprire la tecnologia e lo studio che c’è dietro ai materiali che utilizziamo. E poi sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla passione che mette nei suoi prodotti. Una cosa bella…

Prossime gare?

Kuurne-Bruxelles-Kuurne, ma forse c’è la possibilità di fare il Tour des Alpes Maritimes et du Var, che comincia il 17 febbraio e in cui dovrei essere riserva. Si deciderà a brevissimo.