Coppa Agostoni 2025, Adam Yates, UAE Team Emirates

Yates fa 90 e giura fedeltà alla UAE: «Ognuno ha il suo spazio»

05.10.2025
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LISSONE – Mentre Tadej Pogacar disegnava il suo ennesimo capolavoro è stato Adam Yates a mettere il sigillo con la novantesima vittoria stagionale per il UAE Team Emirates – XRG con la vittoria alla Coppa Agostoni. Sui Colli Briantei il britannico ha fatto valere le sue qualità da scalatore, attaccando e imponendo un ritmo elevato sulle salite di un circuito impegnativo da ripetere quattro volte. L’unico a resistere all’andatura di Adam Yates è stato lo spagnolo Carlos Canal, ci ha pensato però la sfortuna a mettere fuorigioco il corridore del Team Movistar. Al traguardo i due si scambiano una stretta di mano, con lo sconfitto che pregustava la prima vittoria da professionista e invece si è trovato con l’amaro in bocca.  

«E’ stata una gara davvero difficile – racconta il vincitore di oggi, che per ripararsi dal vento freddo si è messo un cappello di lana – all’inizio c’erano tre dei nostri compagni di squadra in fuga, sapevamo sarebbe stata difficile da controllare visto il percorso nervoso. Una volta che la corsa si è accesa mi sono mosso e ho trovato l’azione giusta per vincere».

Podio Agostoni 2025: Adam Yates, Carlos Canal Blanco, Simone Velasco
Ecco il podio della Coppa Agostoni 2025: con Adam Yates che precede Carlos Canal Blanco e Simone Velasco
Podio Agostoni 2025: Adam Yates, Carlos Canal Blanco, Simone Velasco
Ecco il podio della Coppa Agostoni 2025: con Adam Yates che precede Carlos Canal Blanco e Simone Velasco

La seconda in stagione

Nonostante le novanta vittorie in stagione del UAE Team Emirates quella di oggi è solamente la seconda per Adam Yates, il primo successo è arrivato con la classifica generale del Tour of Oman. Un passo indietro rispetto agli scorsi anni dove il britannico ha raccolto qualcosa in più. 

«Questa stagione – continua Yates – è stata piuttosto difficile. Perché durante gli allenamenti mi sentivo bene e ogni volta miglioravo i valori, ma una volta in corsa non riuscivo a raccogliere quanto seminato. La squadra è andata benissimo, però è bello tornare a vincere di nuovo. Devo ammettere di avere avuto anche una buona dose di fortuna, perché Canal è molto veloce in volata e la foratura lo ha messo fuori dai giochi. Mi spiace per lui, naturalmente».

Si alza l’asticella

Nel parlare delle difficoltà di quest’anno Adam Yates torna su un tema che spesso abbiamo affrontato, il livello è sempre più alto. I valori migliorano ma a volte non bastano per riuscire a vincere.

«Ieri al Giro dell’Emilia – analizza Yates – ho fatto registrare numeri davvero ottimi, tuttavia c’erano davanti a me altri dieci corridori che andavano più forte. Ogni stagione la qualità di tutto il gruppo aumenta, questa cosa vale anche per me. E’ difficile rimanere sempre ai massimi livelli».

«Vero, la squadra ha vinto tanto quest’anno e tutti noi siamo molto motivati e vogliamo continuare a raccogliere successi. Però è normale, perché quando un corridore è in forma, ed è così motivato, vuole provare a vincere sempre. Tuttavia il team non ci mette sotto pressione per questo, sanno quanto è difficile vincere e ci godiamo il momento». 

Competizione anche in casa

Juan Ayuso lascerà il UAE Team Emirates, è il primo atleta che esce dallo squadrone emiratino per cercare più spazio. Nel corso degli anni la forza economica messa in campo dalla UAE Emirates ha portato molti campioni a sposare il progetto emiratino. Non è sempre facile trovare spazio per emergere, il dominio di Pogacar ha chiuso ancora di più le porte. 

«Personalmente non ho mai pensato di cambiare squadra – dice con gli occhi quasi spalancati – ho un contratto ancora per tre anni (l’esempio di Ayuso ha dimostrato che il valore dei contratti arriva fino a un certo punto, ndr). Sono contento di correre in questo team, ci sono dei grandi campioni e conosco il mio ruolo che è quello di lavorare per i capitani. E’ come dicevo prima, se sei motivato e ben allenato hai il tuo spazio per emergere. Ad esempio dopo le corse in Canada non avrei dovuto fare molte altre gare, sono stato io stesso a dire al team che mi sentivo bene e che avrei potuto fare ancora qualcosa, come si è visto oggi».

A tu per tu con la Reusser, tornata dall’abisso

16.06.2025
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Per certi versi, Marlen Reusser è la donna del momento. Vincitrice quasi a sorpresa della Vuelta a Burgos e poi della gara di casa, il Giro di Svizzera dando nella tappa finale una dimostrazione di forza anche a quella Demi Vollering che finora era stata la più brillante fra tutte. Una dimostrazione che assume maggior risultato se consideriamo che siamo nell’imminenza dei due Grandi Giri, ai quali l’elvetica della Movistar prenderà parte con ambizioni rinnovate.

La Reusser aveva già vinto il Giro di Svizzera nel 2023. Per lei questo successo ha però un sapore speciale
La Reusser aveva già vinto il Giro di Svizzera nel 2023. Per lei questo successo ha però un sapore speciale

Finora, la Reusser era conosciuta soprattutto come straordinaria specialista contro il tempo, tre volte campionessa europea, brillante anche in qualche classica (sua la Gand-Wevelgem 2023), prima in qualche breve corsa a tappe, ma un simile livello non l’aveva mai raggiunto. Forse però questo salto di qualità ha radici che prevaricano quelle squisitamente tecniche e che coinvolgono l’aspetto umano, la voglia di rivalsa dopo un 2024 andato quasi tutto perduto – Olimpiadi comprese – a causa dei postumi del Covid, che ha avuto su di lei effetti devastanti.

Per questo dopo le sue vittorie, Marlen ha una gran voglia di parlare e dopo la sua vittoria in terra elvetica ha accettato anche di mettersi online per una chiacchierata che andava anche al di là del puro significato della vittoria.

La svizzera, 33 anni, è alla sua prima stagione con la Movistar, scelta per cambiare tutto
La svizzera, 33 anni, è alla sua prima stagione con la Movistar, scelta per cambiare tutto
Quanto è stato importante per te, anche in funzione del trionfo casalingo, vincere la Vuelta a Burgos dopo tutto quel che è successo lo scorso anno?

E’ difficile a dirsi, perché tutto quel che ho passato mi ha insegnato a guardare le vittorie, le corse, la mia attività con un occhio diverso. Responsabile verso il mio team, ma forse più disincantato. Penso che dopo tutto quello che è successo l’anno scorso non sia così importante se vincerò e come. Per me è un dono immenso tornare e poter guadagnare i miei soldi, avere una vita, essere in salute. Avere messo alle spalle un periodo davvero buio, del quale per me è anche difficile parlare. Vincere una gara è super emozionante, questo è certo. Ma non voglio giudicarlo in base a quel che ho passato, quel che conta è avere di nuovo una vita normale. Molto più di aver vinto, forse.

A Burgos ha dato le prime dimostrazioni di forza. Qui stacca la Kastelijn e va a prendersi la maglia
A Burgos ha dato le prime dimostrazioni di forza. Qui stacca la Kastelijn e va a prendersi la maglia
Hai iniziato la stagione vincendo al secondo giorno, in Spagna. Quella vittoria, pur in una gara non di primaria importanza, come l’hai vissuta?

L’esperienza a Mallorca è stata fantastica. Voglio dire, non solo sono tornata dopo un anno molto, molto difficile, ma è stata anche la prima volta con il mio nuovo team. Avere subito quel successo è stato particolare, al di là del suo valore. E’ come se mi fossi sentita nuovamente a casa mia, nel mio mondo, riaccolta. Iniziava la nuova avventura con il Team Movistar e la mia nuova vita.

Aver dovuto rinunciare alle Olimpiadi 2024 è stata per te una ferita?

E’ un discorso complicato. Certo, dover rinunciare alle Olimpiadi e anche ai campionati del mondo in Svizzera o al mio lavoro l’anno scorso è stata dura. Ma a essere onesti è servito, è stato un passo dopo l’altro, prendendo sempre più consapevolezza di quanto fossi malata. Alla fine, non importava più quale gara avrei fatto o meno. Non si trattava più di fare gare ciclistiche. Si trattava più di poter essere in salute e di tornare a vivere una vita normale. Era molto più importante, per questo non ci ho pensato molto a mettere uno stop, non era più importante se potevo partecipare a una certa gara ciclistica o no. Io sono davvero grata che mi abbiano rimesso in salute. E sì, questa ferita è guarita e non è mai stata così grave perché, tipo, era all’ombra di una ferita molto più grande.

L’elvetica viene da un 2024 difficilissimo, segnato dai postumi del Covid che l’hanno fermata a lungo
L’elvetica viene da un 2024 difficilissimo, segnato dai postumi del Covid che l’hanno fermata a lungo
Quella di Burgos è la tua quarta corsa a tappe vinta in carriera: è quella la tua dimensione ideale?

Penso di sì. Non solo ho 14 anni di carriera, ma ho anche rinunciato a un sacco di podi, anche quelli importanti, per aiutare la squadra. Non correvo per me stessa, anche se ero comunque molto forte. Quindi penso che dovrei sempre essere a quel livello, penso che sia un obiettivo a cui puntiamo molto e per cui lavoriamo molto. Penso di poter ancora fare molto bene nelle classiche e sono ancora forte a cronometro, piuttosto versatile. Non sarò mai solo una specialista di qualcosa.

Al Giro di Svizzera avevi già vinto nel 2023: pensi di essere una ciclista diversa e una donna diversa rispetto ad allora, soprattutto dopo quanto avvenuto lo scorso anno?

Sicuramente, penso che la vita ti cambi molto. In qualche modo sono anche una Marlen 2.0 ora… Il Giro di Svizzera penso che sia la corsa giusta per capire che tipo di corridore da classifica generale sono. Nel 2023 era una delle poche gare in cui potevo davvero dare il massimo. E in teoria avevo il supporto della squadra. Forse non molto, quindi ero davvero desiderosa di vincere questa gara. E’ stato davvero molto bello, diverso dalla vittoria di quest’anno, ma penso di essere più o meno la stessa ciclista, tecnicamente parlando.

Il ritorno in gruppo è stato per la Reusser una grande gioia, a prescindere dai risultati
Il ritorno in gruppo è stato per la Reusser una grande gioia, a prescindere dai risultati
Tra Giro d’Italia e Tour de France, quale corsa pensi sia più adatta alle tue possibilità di vittoria?

Guardando i percorsi dovrei dire il Giro, soprattutto per via della cronometro, che è abbastanza tosta all’inizio, introducendo una serie di tappe davvero dure sulle Alpi. Non capisco sinceramente perché prima non ci fosse una prova contro il tempo, come non capisco perché al Tour non sia contemplata. Come percorso in generale però quello francese mi sembra più variegato, con più possibilità per emergere anche per chi non è propriamente uno scalatore e per questo penso che sceglierei il Tour. E anche come team è l’obiettivo che abbiamo mirato.

Applausi per Quintana: «Adesso sono fiducioso»

19.05.2024
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LIVIGNO – La faccia non è di quelle tristi di chi ha perso una tappa. Anche da dietro gli occhiali, si capisce che Nairo Quintana sorride. A parte il terrore per la curva pendente, stretta e in sterrato, in pratica un baratro, dopo l’arrivo, poi il volto del colombiano si distende.

Asciugamano attorno al collo. Diversi colpi di tosse. Ma anche il tifo dei suoi connazionali. Il rumore fastidioso dell’ennesimo elicottero porta-vip e finalmente il corridore della Movistar inizia a raccontare. La gentilezza è rimasta quella di un tempo.

Nairo Quintana (classe 1990) dopo l’arrivo ai 2.385 metri del Mottolino, secondo a 29“ da Pogacar
Nairo Quintana (classe 1990) dopo l’arrivo ai 2.385 metri del Mottolino, secondo a 29“ da Pogacar

Nairo risorge

Tra i prati innevati del Mottolino per rubare un pezzetto di scena all’azione bellissima di Tadej Pogacar, serviva lui. Serviva un campione importante. A spingere Nairo erano in tanti. Rivederlo ai vertici ha fatto piacere a tanta gente. E la ressa per intervistarlo dopo il traguardo la dice lunga.

«Era una tappa che mi piaceva – spiega Quintana – era molto difficile, c’era molto dislivello. Ci pensavo da quando era iniziato il Giro d’Italia. Peccato essere arrivato al Giro in una condizione non facile. Ma aver tenuto duro è stato importante. E questa tappa è stata emozionante, molto significativa per me».

Nella testa dello scalatore scattano tante cose. Oggi Quintana è tornato ad assaporare, come lui stesso ha detto, le sensazioni di una volta. E probabilmente è per questo motivo che sorride. «La strada – aggiunge – è quella giusta».

Questa frazione misurava 222 km e 14 erano oltre i 2.000 metri: quote che piacciono molto a Nairo
Questa frazione misurava 222 km e 14 erano oltre i 2.000 metri: quote che piacciono molto a Nairo

Mai abbattersi

E’ vero: Pogacar se lo è divorato. Una volta era lui a fare così, ma gli anni passano, la concorrenza oggi più che mai è spietata e i problemi non si può dire non ci siano stati per Nairo. Ma essere ancora qui a lottare è stato significativo.

«Pogacar – riprende Quintana – è stato molto forte. E’ solido e può vincere tutto quello che vuole. Dalla macchina mi dicevano che Tadej era uscito e che dovevo accelerare. Così ho fatto. Il mio è stato un passo importante, ma quando mi ha ripreso sapevo che tenerlo sarebbe stato molto difficile. A quel punto mi sono gestito, cercando di non andare fuori giri e di salire regolare nel finale. Pogacar voleva vincere… c’era poco da fare».

Durante le partenze delle tappe al mattino si parla. E tra le varie chiacchiere Max Sciandri, il suo direttore sportivo, ci aveva detto che Quintana sicuramente sarebbe venuto fuori col passare dei giorni. «Uno col suo motore – aveva detto il tecnico toscano – prima o poi emerge. Anche se non è al top. Gli altri caleranno di più». E così è andata.

Vedere Nairo in piedi è una rarità, ma sapendo dell’attacco di Pogacar stava spingendo a tutta
Vedere Nairo in piedi è una rarità, ma sapendo dell’attacco di Pogacar stava spingendo a tutta

Non finisce qui

Se poi ci si mette anche l’esperienza il gioco è fatto. O almeno sarebbe stato fatto se non ci fosse stato Pogacar. Quintana è stato nella fuga. Dapprima con qualche compagno, poi da solo. Ha contribuito all’attacco, ma sempre senza esporsi troppo. 

Il colombiano è uscito allo scoperto quando era il momento giusto. Quando bisognava dare tutto. Quando ci si avvicinava alle sue quote, quelle del Foscagno, valico over 2.000 metri. E lo ha fatto col suo tipico intercedere: rapporto lungo, spalle fisse verso l’anteriore e nessuna espressione. Sembrava andasse piano. Sembrava…

«Io ero convinto oggi – riprende Quintana – ho spinto forte, ma come ho detto Pogacar voleva vincere. Il Monte Grappa? Eh, lo conosco, lo conosco… lì ho bei ricordi (ci vinse al Giro 2014, ndr). Aspettiamo dai. Il Giro non è finito e adesso sono più fiducioso».

Contador intervista Quintana, tra i due un gesto d’intesa prima di congedarsi
Contador intervista Quintana, tra i due un gesto d’intesa prima di congedarsi

Intesa tra scalatori

Poco prima che lo staff lo caricasse sull’ovovia per tornare a valle, arriva Alberto Contador, inviato di Eurosport. Lui e Nairo parlano in spagnolo. Alberto gli pone più o meno le stesse domande, salvo che Quintana aggiunge che merito di questo suo miglioramento è anche del buon clima che si respira in squadra. «C’è armonia. Ci aiutiamo e le cose vanno bene. Ringrazio la squadra per avermi riportato alle competizioni».

Una volta loro due se le davano di santa ragione, adesso le loro strade sono separate. Ma finita l’intervista tra i due campioni scatta come un gesto d’intesa. Un’intesa tra scalatori. Alberto gli dice all’orecchio, probabilmente gli sospira un: «Bravo». Poi appoggia la sua spalla a quella di Nairo, che contraccambia e ribatte. «Es bueno, es bueno…».

E la fiducia o quel “es bueno”, non sono solo di facciata o di sensazioni. Negli ultimi 15 chilometri, cioè da quando è scattato Pogacar, Nairo è stato il terzo più veloce. Ha incassato 2’58”, una decina di secondi in più di Bardet, che però non era stato in fuga tutto il giorno, ma aveva sempre viaggiato coperto a ruota.

Ha ragione Sciandri: il motore, quando c’è, prima o poi viene fuori.

Quintana: 10 anni fa vinceva il Giro, ora spera in una tappa

29.04.2024
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Ormai ci siamo: è tempo di Giro d’Italia. Tra i suoi protagonisti ce n’è uno che figura dietro le quinte, ma che è stato un nome importante della corsa rosa, tanto da vincerla nel 2014. Avrete capito che stiamo parlando di Nairo Quintana.

L’asso colombiano dopo le controverse vicissitudini di doping è tornato quest’inverno alla corte di Eusebio Unzue, alla Movistar dunque. La squadra che lo lanciò nei pro’ ormai una dozzina di anni fa.

Nairo durante la presentazione della sua GF che si terrà a Quindío il 28-30 giugno prossimi. Eccolo col governatore di Quindio, Juan Miguel Galvis
Nairo durante la presentazione della sua GF che si terrà a Quindío il 28-30 giugno prossimi

Danni e dolori

Nairo non è più, almeno per ora, quello di un tempo. Vuoi per l’età, vuoi perché i giovani avanzano e vuoi per una caduta che lo ha fortemente rallentato in primavera, tanto da fargli saltare anche il Giro dei Paesi Baschi. Poche settimane prima infatti, al Catalunya, Quintana è finito in terra due volte, risultato: lesione di un tendine dello sterno e lussazione di una clavicola.

Danni che hanno messo in dubbio la stessa partecipazione al Giro d’Italia, specie dopo aver detto di no anche al Tour of the Alps. Anche perché come ha detto lui stesso oltre al dolore c’era l’incertezza. L’incertezza di un infortunio particolare, del quale non si conoscevano a fondo le tempistiche del recupero.

Quintana, in accordo col team, è così volato in Colombia. Lì almeno, pur stando a casa, poteva sfruttare l’effetto della quota e sempre lì si è potuto curare. Lo ha fatto con un medico della federciclismo colombiana presso la sede del club di calcio di “casa” a Tunja, il Boyacá Chicó, che milita nella prima divisione.

Per quel poco che si è visto sin qui la stagione di Quintana non è stata esaltante, ma al Giro potrà riscattarsi
Per quel poco che si è visto sin qui la stagione di Quintana non è stata esaltante, ma al Giro potrà riscattarsi

Anche in mtb?

Quintana non è nuovo al prepararsi da solo a casa, poi venire in Europa, correre e fare bene, ma a 34 anni è tutto più complicato, specie appunto dopo un infortunio. In più sembra che nei primi giorni dopo la caduta non potesse pedalare sulla bici da strada e abbia sfruttato una mtb, che gli consentiva una posizione del braccio più idonea per il suo problema. Non è il cammino ideale insomma.

Nairo è atteso in Italia pochi giorni prima della grande partenza da Torino. Lui stesso ha dichiarato di aver sofferto molto. «È stata dura – ha detto a Ciclismo a Fondo – arriverò al Giro d’Italia non come volevo o nelle migliori condizioni, ma correrò bene e sicuramente alla fine dell’ultima settimana starò molto meglio che all’inizio» .

Che potrà andare in crescendo ne siamo quasi certi anche noi. Nairo non è comunque un corridore banale. Il talento c’è e il motore resta di quelli potenti, anche se non è più pronto per la lotta per la classifica generale. 

Bisogna poi considerare altri due aspetti: nel 2023 non ha gareggiato e questo conta. E tra il Covid a fine febbraio e la caduta al Catalunya, ha messo nel sacco appena 15 giorni di corsa.

Nel 2014 Quintana vinse il Giro d’Italia su Uran e Aru
Nel 2014 Quintana vinse il Giro d’Italia su Uran e Aru

Per le tappe

Ma quindi cosa potrà combinare Quintana nella corsa rosa? «Punterò alle tappe», questa la summa del suo intervento in occasione della presentazione della sua Granfondo che si terrà a fine giugno.

Rispetto alla tradizione, la Movistar presenta una squadra non solo per la salita, ma anche per le volate, grazie alla presenza di un altro colombiano d’eccezione, Fernando Gaviria. Poi per le montagne ci saranno appunto Quintana e Rubio, senza dimentica Pelayo Sanchez.

«Io ed Einer Rubio andiamo al Giro d’Italia per cercare la vittoria nelle tappe di montagna – ha detto – daremo il massimo per farlo. Le due volte che sono venuto al Giro è andata bene. Se guardo dietro non mi sembra possibile che siano già passati dieci anni da quando ho vinto il Giro. Però ricordarlo oggi mi emoziona molto». Tra l’altro, curiosità, visto che Nairo ha parlato di condizione in crescendo per il finale, alla penultima tappa il Giro propone il Monte Grappa, dove vinse proprio dieci anni fa.

Mentre è storia recentissima che Quintana sia stato visto, e ripreso, durante una sessione di allenamento sulle salite della sua zona. Stava pedalando veramente bene, spingendo forte e alzandosi persino sui pedali, segno che anche la trazione con braccio, clavicola e sterno è a posto.

Il battesimo al Nord, la Roubaix, le Olimpiadi: ascoltiamo Moro

19.04.2024
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Quando Manlio Moro ci parla della Parigi-Roubaix il suo tono cambia completamente. Si distende prima e si accede poi: è passione pura. Ascoltarlo è un piacere se ti piace anche solo un briciolo il ciclismo (in apertura foto Instagram/Movistar Team).

Il corridore del Team Movistar è anche un pistard ed è fresco di ritorno da Milton, Canada, per la prove di Coppa del mondo su pista: crocevia importantissimo verso le Olimpiadi di Parigi di questa estate.

Ma procediamo con ordine. Moro è stato tra coloro che in assoluto hanno fatto più classiche del Nord, in pratica ha saltato solo il Fiandre. Forse solo Michael Matthews, un veterano, ne ha fatte tante quante lui. E questa sua prima Campagna del Nord merita di essere raccontata.

E merita anche sei i risultati non sono stati di grido – e questo Manlio stesso lo sa bene – non capita spesso che un neopro’ prenda parte a tante classiche e anche così importanti.

Manlio Moro (classe 2002) impegnato nella Omloop Het Nieuwsblad, il suo battessimo al Nord da pro’
Manlio Moro (classe 2002) impegnato nella Omloop Het Nieuwsblad, il suo battessimo al Nord da pro’
Manlio, partiamo da questa tua prima Campagna del Nord, quella delle pietre ovviamente…

E’ stata bella, dura e lunga. Infatti certe gare erano previste e altre no, ma le ho fatte praticamente tutte. Sono contento perché sono quelle che mi si addicono di più, che meglio corrispondono alle mie caratteristiche. E sono anche quelle su cui punto a fare bene in futuro.

I risultati come detto non sono stati super però…

Sì, sì, ma sono soddisfatto e contento proprio perché ho fatto esperienza. Era ciò che mi serviva. Ho messo nel sacco già due monumenti. In più ho fatto tutte gare, Sanremo compresa e le altre del Belgio, in cui le squadre portavano i migliori. Per assurdo da inizio anno il livello più basso l’ho incontrato alla prima corsa, il Tour Down Under. Per il resto ho preso parte sempre a corse con qualità al top. Anche per questo mi ritengo soddisfatto e consapevole di aver fatto un’ottima scuola.

Hai detto di alcune corse che non dovevi fare. Quali erano?

Per esempio De Panne e la Roubaix. Il Fiandre invece era in programma. Della Roubaix me lo hanno detto una settimana prima. Ma come potevo dire di no? E’ la mia corsa preferita.

E cosa ti è parso di queste gare del Nord?

Che sono dure, tutte, ma la Roubaix è un’altra cosa. Un altro livello. Un livello sopra le altre. Omloop, Kuurne… sono toste, impegnative, tecniche, ma la classica del pavè come emozione e come durezza è stata diversa. Io poi del Nord avevo fatto solo la Gand da under 23. Basta.

Ecco il friulano nella Foresta di Arenberg durante la ricognizione (foto Instagram/Movistar Team)
Ecco il friulano nella Foresta di Arenberg durante la ricognizione (foto Instagram/Movistar Team)
Perché? Prova a spiegarci meglio.

Perché non è solo uno sforzo di gambe, la Roubaix è uno sforzo totale. Devi imparare a soffrire. Devi soffrire con le braccia, con le gambe ovviamente, con la schiena, con le dita… E c’è uno stress! Negli ultimi settori non riuscivo più a tenere le mani sul manubrio. Ho visto in giro tante foto di mani aperte e piene di vesciche. Io le vesciche non le avevo, ma finivo i settori e mi serviva qualche minuto per riprendere la sensibilità alle mani. E anche alla schiena. 

Bellissimo, ci stai portando dentro la Roubaix. 

Tutti i settori sono duri, ma la Foresta di Arenberg è un’altra cosa. E sì che mi ero preparato a soffrire anche mentalmente. Mi ero detto: “Manlio devi fare fatica. E zitto”. Ma  non credevo così. La TV non rende. L’aggettivo giusto è impressionante. Distruttiva. E dopo averla fatta in gara ti chiedi: “Ma come fa uno ad andarci con la bici corsa?”.  Per fortuna non ho visto mie foto sulla Foresta in corsa, avrei avuto una faccia tremenda! Poi vedo Van der Poel e sembra che vada sull’asfalto. E non capisco…

Tu sei comunque entrato al velodromo, anche se appena fuori tempo massimo. Cosa ti è sembrato?

Bellissimo. Abbiamo tenuto un ritmo altissimo per tutta la gara. La Roubaix è la corsa dei miei sogni e già averla fatta è stato super. Entrare nel velodromo con tutta quella gente è stato emozionante ed era il mio obiettivo di quest’anno. Sono immagini che rimangono dentro per sempre.

Ora qual è il tuo programma?

In questi giorni sto facendo un po’ di scarico. Cinque giorni senza bici. Mi serve per recuperare un po’. Anche dal fuso orario. La mattina faccio un po’ fatica a svegliarmi. Per un mese e mezzo non correrò. Poi farò una gara, la Boucle de la Mayenne (una tre giorni, ndr) e da lì si inizierà a preparare per bene le Olimpiadi su pista. A fine maggio andrò in altura.

A Milton, Moro ha disputato la madison con Viviani. Un esperimento di Villa (foto Shutaro Mochizuki)
A Milton, Moro ha disputato la madison con Viviani. Un esperimento di Villa (foto Shutaro Mochizuki)
Passiamo alla pista e alle Olimpiadi, ma prima ancora una domanda “di mezzo”. Con una Roubaix tanto dura sei subito volato in Canada. La fatica si è fatta sentire?

Di sicuro non ero freschissimo o quantomeno non ero nelle migliori condizioni per un avvicinamento ad una gara su pista. Avevo solo cinque giorni di tempo tra la Roubaix e il viaggio. Se ci mettiamo anche il fuso orario non posso dire di aver recuperato al 100 per cento. Però la Roubaix andava fatta. Okay era rischiosa. Pippo Ganna non l’ha fatta per questo. Però non me la sentivo di dire di no. E per fortuna che non è piovuto. Abbiamo fatto la recon sotto la pioggia e sembrava di pedalare sul ghiaccio.

Ci sei sembrato super motivato per le Olimpiadi. Cosa puoi dirci? Sei dentro allora? 

Questo non si sa. Ma una cosa è certa: io farò di tutto per esserci. La possibilità di andare a Parigi c’è, poi spetta al cittì decidere se sarò in grado oppure no.

E come sei inquadrato? Ovviamente c’è il quartetto, ma in Canada hai fatto anche la madison con Viviani, che tra l’altro è anche caduto proprio alla Roubaix…

Sono inquadrato nel quartetto di sicuro. Poi, è vero, ho fatto anche la madison: così per sicurezza, per fare esperienza. Io so solo che devo lavorare al 100 per cento. Se andrò alle Olimpiadi sarò l’uomo più contento del mondo, altrimenti fra quattro anni avrò un’altra possibilità.

Girano voci, ma non solo voci, che i tuoi tempi siano ottimi. Insomma Milan e Ganna  non sono poi così distanti…

Vediamo. Ripeto: io ce la metterò tutta.

Lazkano, dalla Spagna un nuovo “Van der Flecha”?

06.04.2024
4 min
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COMPIEGNE (Francia) – Neanche Oier Lazkano conosce i limiti di Oier Lazkano. E forse neanche li vuol sapere… per ora. Questa è almeno la sensazione che abbiamo avuto parlando con lui. Il corridore spagnolo è una delle rivelazioni di questo inizio di stagione e la cosa stupisce soprattutto perché lo vediamo molto attivo nelle classiche, specie quelle del Nord.

Non capita infatti spesso di vedere uno spagnolo andare forte lassù. Quando accadde Juan Antonio Flecha fu nominato “Van der Flecha”, quasi una rarità insomma.

Ieri nell’Arenberg lo abbiamo visto determinato e concentrato durante la ricognizione per la Parigi-Roubaix, altra corsa che potrebbe vederlo protagonista. E come detto lo è stato parecchio da queste parti, anche se spesso ha commesso degli errori tattici.

Il basco Oier Lazkano (classe 1999) è pro’ dal 2020, dalla Caja-Rural nel 2022 è passato alla Movistar. E’ campione nazionale in carica
Il basco Oier Lazkano (classe 1999) è pro’ dal 2020, dalla Caja-Rural nel 2022 è passato alla Movistar. E’ campione nazionale in carica

Watt e testa

Cerchiamo dunque di conoscere meglio il campione spagnolo in carica. Fisico possente (189 centimetri per 74 chili), Lazkano è approdato alla Movistar tre stagioni fa. Fu il patron Unzue a volerlo per cominciare quel cambio di rotta della sua squadra, non più votata solo e del tutto alle grandi corse a tappe, ma anche ad altre gare.

E infatti in questi tre anni ha messo nel sacco sei successi con la Movistar, ma soprattutto appare in costante crescita. Basta vedere i punti UCI, in questo 2024 è colui che ne ha portati di più in squadra.

Ragazzo di poche parole, Oier va dritto al sodo quando gli diciamo che ormai lotta costantemente con i grandi delle classiche: «Sì, sono consapevole che sto andando forte, ma non sono del tutto sorpreso», per dire come si presenta.

In apparenza Lazkano sembra un tipo sulle sue. Chi lo conosce invece parla di un ragazzo molto sensibile e soprattutto di un vero studioso. Legge i libri di storia e politica e assicura che dopo il ciclismo vorrà continuare a studiare.

Contro i grandi senza paura. Per Ballan, Lazkano ne ha anche troppo poca a volte!
Contro i grandi senza paura. Per Ballan, Lazkano ne ha anche troppo poca a volte!

Quali limiti?

Questo è uno degli aspetti più interessanti, capire davvero che corridore possa essere Lazkano e dove possa arrivare. Senza dubbio è un corridore potente, anche perché per andare forte da queste parti la potenza non ti deve mancare, ma è anche un ottimo cronoman visto che è stato secondo al campionato nazionale e sempre contro il tempo vanta delle ottime prestazioni.

«Sono da scoprire – ha detto Lazkano – e dovrò capirlo di anno in anno. Però non mi piace scegliere di essere un solo tipo di corridore: o questo o quello».

«Al Nord è molto importante avere esperienza. Bisogna conoscere proprio le strade. Fa molta differenza. Se i grandi sono ormai vicini? Van der Poel è il più forte ma non è impossibile combattere con lui. Nulla è impossibile».

Tra i migliori risultati stagionali dello spagnolo figurano la vittoria alla Clasica Jaen (in foto) e il 3° posto alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne
Tra i migliori risultati stagionali dello spagnolo figurano la vittoria alla Clasica Jaen (in foto) e il 3° posto alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne

Ed è già mercato

Domenica scorsa, prima del Fiandre ci aveva detto che voleva fare il massimo, di correre davanti e magari di stare nelle posizioni che contano. Voleva stare nel vivo della corsa fino all’ultimo Kwaremont. Se ci fosse riuscito sarebbe stato contento. Ha mancato di poco l’obiettivo, ma nel vivo della corsa c’è stato. 

Il cammino di Oier ricalca le tracce del suo ex compagno, Matteo Jorgenson: giovane anche lui, lo scorso anno si mise in mostra e poi cambiò squadra. Quest’anno è alla Visma-Lease a Bike.

Anche su Lazkano girano già delle voci di mercato. Sembra abbia posto gli occhi su di lui la Bora-Hansgrohe e forse anche la Visma stessa. Probabilmente allo spagnolo non dispiacerebbe cambiare aria, stare con squadre che hanno una mentalità più da Nord.

In un’intervista ad un media spagnolo Lazkano ha insistito molto sul quel discorso della conoscenza di queste gare del Nord e dei loro percorsi, ebbene militare in un team che vi è più vicino non solo mentalmente ma anche geograficamente potrebbe dire molto per lui. E per la ricerca di quei limiti.

L’occhio tecnico di Sciandri su Jorgenson: «Sa quello che vuole»

13.03.2024
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Maximilian Sciandri ha diretto Matteo Jorgenson per quattro stagioni alla Movistar. Arrivò da lui che non aveva neanche 21 anni. Che fosse un bel talento lo si era notato in questi anni. Sempre più spesso, Matteo faceva capolino nelle parti alte delle classifiche e delle corse più importanti. Lo scorso anno al Tour fu tra gli ultimissimi ad arrendersi sul Puy de Dome.

In questa stagione l’americano ha cambiato team. E’ passato alla Visma-Lease a Bike mostrando di andare ancora più forte. Abbiamo negli occhi ancora il fresco colpaccio della Parigi-Nizza, tra l’altro togliendosi il lusso di lasciar vincere Remco Evenepoel: non uno qualsiasi.

«E’ cambiato tutto in questa nuova squadra – ha detto Jorgenson nelle interviste post gara – ogni dettaglio è curato. Oggi (domenica scorsa, ndr) avevamo programmato di stare davanti in tre punti specifici e ci siamo riusciti. Al via ero parecchio nervoso e infatti ho dormito poco e male la notte precedente. Per la prima volta ho sentito la pressione».

In questa sua intera frase, come ci mostrerà anche Sciandri, c’è tanto se non tutto Matteo Jorgenson. Vediamo perché…

Maximilian Sciandri (classe 1967) è uno dei direttori sportivi della Movistar dal 2019
Maximilian Sciandri (classe 1967) è uno dei direttori sportivi della Movistar dal 2019
Max, insomma: lo hai diretto un bel po’. E pochi lo conoscono come te…

Giusto il giorno dopo la Parigi-Nizza ci siamo sentiti, gli ho mandato un messaggio. Che andava forte si sapeva, già lo scorso anno vinse in Oman con me. Mantenne quell’unico secondo di vantaggio con grande personalità. E’ un ragazzo di grandi potenzialità.

Che ragazzo è?

E’ certamente un ragazzo molto determinato. Io credo sia andato via con grande consapevolezza. Pur sapendo che in Visma avrebbe incontrato leader importanti, sapeva che si sarebbe potuto giocare le sue possibilità. E infatti eccolo essere leader sin da subito… e in una corsa importante come la Parigi-Nizza.

Ti aspettavi che vincesse subito?

Che vincesse no, tantomeno che lo facesse con quella padronanza, con quella lucidità e quella destrezza, anche nel gestire la squadra. Quindi no, non me lo aspettavo. Piuttosto credevo in una top 5, sarebbe stato comunque un segno di maturità e un ottimo risultato. E invece questo segno lo ha dato ancora più forte. Io lo vedevo già maturo…

Jorgenson, con Woods sul Puy de Dome, una grande prestazione quel giorno al Tour de France
Jorgenson, con Woods sul Puy de Dome, una grande prestazione quel giorno al Tour de France
Ma non così maturo forse…

Matteo sapeva esattamente ciò che voleva. Quando era con noi era così dalla nutrizione ai materiali, dagli all’allenamenti all’aerodinamica. Forse sopperiva anche a nostri gap. Poi su certi dettagli riguardanti l’aerodinamica non entro, non è la mia stretta materia. Però vedevi che lui studiava, rifletteva e cercava di capire come limare qualcosa. S’informava su tutto, sulle corse…

Insomma in Visma a quanto pare ha trovato pane per i suoi denti. Tu Max, sei stato un corridore di prima fascia, secondo te un atleta professionista certi comportamenti li ha di suo o qualcuno glieli insegna?

Non credo che qualcuno gli abbia insegnato certe cose da ragazzino, anche perché è statunitense, californiano, e lì non c’è una scuola di lunghe tradizioni. Una cosa che però deve aver appreso in America, immagino, sia la passione per la Parigi-Nizza. A questa corsa teneva tantissimo. Già con noi fece ottavo l’anno scorso. La voleva, la preparava e non voleva fare mai la Tirreno.

A Nizza Jorgenson ha lasciato la tappa a Remco. Probabilmente era anche più veloce del belga, ma Evenepoel aveva tirato di più
A Nizza Jorgenson ha lasciato la tappa a Remco. Probabilmente era più veloce del belga, ma Evenepoel aveva tirato di più
Dove può arrivare Jorgenson per te?

La tenuta sulle tre settimane va verificata, però il fatto che lo scorso anno al Tour, nella terza settimana, abbia vinto il premio della combattività è un bel segnale. Certo, fare classifica è un’altra cosa, però in futuro potrà provare a vincere un grande Giro. Di certo potrà lottare per un podio. Difficile dirlo, ma credo abbia i margini per provare.

Tecnicamente come lo inquadreresti? E’ un cronoman? Uno scalatore? E’ altro, visto che anche all’Omloop Het Nieuwsblad era davanti?

Se dovessi definirlo scalatore, direi di no. E non direi neanche che è un cronoman. E’ un ciclista moderno che va forte su tanti terreni. Direi quindi che è un corridore completo. Completo anche per quel che riguarda gli aspetti della guida. Davvero uno bravo.

Mas, più forte in salita, ma deluso della sua Tirreno

20.03.2023
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«Non sono contento, né del quarto posto di Osimo, né del sesto in classifica», Enric Mas non le manda a dire circa la sua Tirreno-Adriatico. Lo spagnolo è ormai una vera realtà. Sempre più costante, sempre più forte e in prospettiva l’unico che può tentare di reggere le ruote di Vingegaard, Pogacar ed Evenepoel in salita.

Però chiaramente in cuor suo non è abbattuto. Conosce il valore espresso e quale fosse la sua condizione. Semmai il rammarico c’è proprio perché ha preso consapevolezza di chi sia, di quanto sia forte e di cosa avrebbe potuto ottenere nella corsa dei Due Mari.

Enric Mas (classe 1995) ha chiuso la Tirreno al 6° posto nella generale
Enric Mas (classe 1995) ha chiuso la Tirreno al 6° posto nella generale

Mas affamato

In fin dei conti è stato anche un po’ sfortunato. A Sassotetto se non ci fosse stato il vento contro, molto probabilmente avrebbe vinto lui. Il forcing con cui ha chiuso i 19” di vantaggio di Caruso è stato impressionante: un’altra velocità, un altro rapporto, un’altra gamba.

«Bueno, la verità è che non sono soddisfatto – ci ha detto il corridore della Movistar – perché vengo da un buon momento di condizione, tutto filava bene. 

«A Sassotetto abbiamo avuto un problema di meteorologia! Con quel vento contro, non si poteva fare davvero di più. E dispiace perché l’ambiente è buono, la squadra stava bene. E ad Osimo ci abbiamo provato. Dentro di me pensavo: “Immaginati di essere alla Liegi e godi, goditi la gara. Goditi la squadra che sta molto bene”.

«In Movistar abbiamo un ambiente molto buono, stiamo tutti abbastanza bene e sappiamo che possiamo raccogliere di più».

Il corridore delle Baleari sta migliorando di anno in anno. Per sua sfortuna ha incontrato astri nascenti come Pogacar ed Evenepoel
Il corridore delle Baleari sta migliorando di anno in anno. Per sua sfortuna ha incontrato astri nascenti come Pogacar ed Evenepoel

In crescita…

La sensazione in questa Tirreno – e non solo in quella  – è che Mas sia stato il più forte in salita. Dallo scorso anno ha davvero cambiato marcia. Lo si è visto alla Vuelta, al Giro dell’Emilia e al Lombardia. Quel giorno Pogacar non lo ha staccato…

«Non lo so se è davvero così – ha commentato Mas – Però la verità è che anche se fosse vero, non lo direi! E poi non l’ho dimostrato. Piuttosto per un futuro dobbiamo apprendere e saper affrontare anche le opportunità meno fortunate. Pensiamo di fare bene ai Paesi Baschi che è una gara bellissima e in casa».

Nel 2022 dopo essersi scontrato con Remco alla Vuelta, Mas si è ritrovato contro Pogacar all’Emilia (dove lo ha battuto) e al Lombardia
Nel 2022 dopo essersi scontrato con Remco alla Vuelta, Mas si è ritrovato contro Pogacar all’Emilia (dove lo ha battuto) e al Lombardia

Liegi e Tour

Enric Mas punta forte al Tour de France, ma forse mai come quest’anno, con la Vuelta dopo il mondiale, per lui potrebbe esserci la più ghiotta occasione della carriera. Il percorso infatti gli si addice, è più maturo, consapevole e ha una squadra votata alla sua causa. Una cosa è certa è: Mas è pronto per sfidare faccia a faccia i grandissimi.

«Speriamo – sorride Enric – speriamo di riuscirci al Tour de France. Anche lì possiamo fare lo stesso, correre come abbiamo fatto sin qui. Vingegaard, Roglic… ci sono molti corridori bravissimi e per questo dobbiamo sacrificarci molto e arrivare benissimo alle corse».

Il programma del majorchino passerà per i Paesi Baschi, quindi altura e le Ardenne.

«Freccia e Liegi sono due gare che mi piacciono molto. Negli ultimi tre anni ho sempre cercato di farle al meglio e per me è un po’ come se corressi in casa. Anche per il Lombardia è così».

La Canyon Aeroad con cui Gaviria è tornato vincente

02.02.2023
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Il passaggio di Fernando Gaviria al Team Movistar tocca anche un aspetto tecnico del corridore, che dopo tanti anni su una bicicletta Colnago, passa a Canyon.

Cerchiamo di analizzare nel dettaglio la Canyon Aeroad CFR del velocista colombiano, bicicletta che abbiamo fotografato in occasione della Vuelta San Juan in Argentina.

Una Aeroad CFR per il velocista colombiano
Una Aeroad CFR per il velocista colombiano

«Mi trovo molto bene – ci ha detto Gaviria – la nuova bici è comoda, sono felice. Ho scelto le ruote che userò tutto l’anno. Ne abbiamo tante a disposizione, ma ho scelto quelle che mi sembrano più belle (la preferenza di Gaviria è andata alle Zipp 454 NSW tubeless, montate con pneumatici Continental Grand Prix 5000 S TR, ndr). Ho chiesto di poterle avere per tutte le tappe, in tutte le corse dell’anno».

I pulsanti da scalatore

Gli Sram Blips wireless sono una delle chicche del sistema Sram AXS e nell’ultima versione adottano il protocollo senza fili per la trasmissione dei dati. Una volta associati agli shifters possono trovare qualsiasi posizione, con una versatilità molto elevata. Gaviria li utilizza come fa normalmente uno scalatore, ovvero posizionati sotto la parte piatta/orizzontale del manubrio e non alle spalle dei manettini, come fanno invece buona parte dei velocisti e dei passisti.

Una Aeroad CFR taglia S

Tecnicamente la Aeroad in dotazione a Fernando Gaviria è la top di gamma CFR, già presente nel roster delle biciclette della compagine iberica. Ha il cockpit integrato e full carbon Canyon, quello nella versione più recente. Lo stesso cockpit prevede anche l’impiego della serie sterzo dedicata, quella che obbliga l’innesto del manubrio all’interno dello stelo della forcella, come una sorta di matriosca, il tutto a vantaggio di un comparto molto rigido. Questa soluzione ha anche permesso di eliminare le brugole esterne e il collarino dello stem, quello normalmente usato per stringere l’attacco manubrio al fusto della forcella.

C’è una trasmissione Sram Red AXS con la combinazione 54-41 e 10-33, rispettivamente per anteriore e posteriore (power meter Quarq incluso). Ci sono le ruote Zipp 454 NSW con i tubeless Continental GP5000sTR, la sezione è da 28 millimetri. Ci sono i pedali Look Keo 2 Max, ovvero quelli con la tensione a molla (senza la lama in carbonio).

E questa sella Fizik?

Dal punto di vista dell’impatto estetico la vicinanza con il modello Fizik Luce, specifica per le donne, è reale, ma con una copertura che accosta il prodotto alla versione Vento Argo 00. La sella utilizzata da Gaviria è leggermente spoilerata verso il retrotreno, ha un canale per lo scarico prostatico e non fa parte della categoria delle selle corte.