Amici mai, anzi Pogacar inizia a innervosirsi. Cosa fa la Visma?

15.07.2025
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La tattica della Visma-Lease a Bike ha dell’inspiegabile o forse no? Gli attacchi di Jorgenson visti ieri sono il massimo che sono capaci di fare o c’è dell’altro? Forse per replicare quanto di buono furono capaci di fare nel Tour del 2023 e ancor meglio in quello del 2022, gli uomini della squadra olandese si sono messi in testa di tenere Pogacar sotto pressione. Anche nel 2022 sembrava che lo sloveno, vincitore dei due Tour precedenti, fosse inattaccabile. Invece nel giorno del Granon, complice la tenaglia messa in atto fra Roglic e Vingegaard, la maglia gialla perse colore e lo sloveno andò a fondo.

Il Pogacar 2025 è un altro corridore. Ha preso tutte le contromisure del caso per fronteggiare la disidratazione. Ha un’altra solidità atletica. E quando accelera, il solo che gli resta dietro è proprio Vingegaard e non proprio agevolmente. Fra i due non c’è grande simpatia, forse è il contrario, ma appaiono il prodotto di preparazioni sopraffine e irraggiungibili per il resto del gruppo.

La Visma-Lease a Bike ha fatto il forcing sulla salita finale di ieri con Kuss, isolando Pogacar
La Visma-Lease a Bike ha fatto il forcing sulla salita finale di ieri con Kuss, isolando Pogacar

Dubbio Visma

Ieri la squadra olandese ha preso seriamente in mano la corsa e ha isolato il campione del mondo. Ha fatto di tutto, in apparenza, perché non perdesse la maglia gialla, ma Tadej in questo è stato bravissimo e l’ha lasciata andare. E quando ha accelerato, usando la Colnago Y1Rs, vale a dire la bici aerodinamica, la sensazione è che ne avesse ancora più di tutti. Ma non abbastanza per staccare Vingegaard.

«E’ vero che non abbiamo guadagnato tempo su Pogacar – ha detto Campenaerts, tra i più attivi nel fare il forcing con Kuss e Jorgenson – ma ci abbiamo riprovato. Come facciamo ogni giorno. Questa è la cosa più importante. Se arriveremo a Parigi senza aver vinto il Tour, almeno potremo dire di averci provato in tutti i modi possibili. Non dovremo avere rimpianti. E poi non credo che non serva a niente. Tadej sta diventando incredibilmente nervoso per il nostro approccio fuori dagli schemi nel mettere pressione alla sua squadra. Dobbiamo essere onesti e dire che ad ora è il più forte, ma noi continueremo a spingerlo al limite».

Si spiegano così la tattica e quella domanda che tutti ci siamo posti: a cosa serve tanto accelerare se Vingegaard nemmeno prova ad attaccare? Se hanno ragione loro, serve a tenere Pogacar sulla corda per ogni santo giorno del Tour. Ieri lo hanno isolato. Senza Almeida, con Sivakov malconcio e Adam Yates ancora da capire, i Pirenei potrebbero essere un interessante banco di prova.

Le risposte di Pogacar a Jorgenson fanno capire che lo sloveno vede due rivali nella Visma
Le risposte di Pogacar a Jorgenson fanno capire che lo sloveno vede due rivali nella Visma

La sfrontatezza del re

Lui, il re del Tour che ha ceduto il mantello giallo al furetto Healy, fa di tutto per sviare le tensioni. Si mostra divertito e leggero come uno che ancora nemmeno ha dovuto spremersi più di tanto e la sensazione è che sia vero.

«Stamattina abbiamo fatto una bella pedalata – ha detto commentando il giorno di riposo – e bevuto un buon caffè. Poi abbiamo pranzato con un hamburger e ora è il momento di fare un pisolino e un massaggio, poi andremo cena e sarà quasi ora di ripartire. E’ stato un giorno di riposo abbastanza veloce dopo nove tappe davvero frenetiche. In qualche modo ero contento che ieri ci fosse salita, così i ritmi si sono rallentati. Sono felice che siamo sopravvissuti e che stiano arrivando finalmente le montagne.

«Ci sarà meno stress. E’ stata una settimana davvero buona – ha proseguito – tranne per il fatto che abbiamo perso Almeida e quella è l’unica grande sconfitta. Negli ultimi due giorni in cui ha corso, Joao ha dimostrato un vero spirito da guerriero, non riesco a immaginare di correre con una costola rotta. Però mi dispiace che abbia dovuto andarsene, perché avevamo un gruppo davvero bello e anche lui non vedeva l’ora che arrivassero le prossime due settimane per difendere la maglia gialla. Ci aspettano tre giornate di salita davvero belle, in una settimana che, con il riposo di martedì, sarà più breve di un giorno. Penso che questa settimana possa essere già piuttosto decisiva, vedremo alcuni grandi distacchi, anche nella crono di Peyragudes. Il livello è altissimo, ma credo che le salite metteranno ordine».

Quando Pogacar si è stancato di rispondere a tuti, al suo scatto ha reagito solo Vingegaard
Quando Pogacar si è stancato di rispondere a tuti, al suo scatto ha reagito solo Vingegaard

Un Tour allo sfinimento

Il livello è davvero alto, ma sbalordisce quello del UAE Team Emirates e della Visma-Lease a Bike, che con Jorgenson tiene in apprensione Pogacar, per il suo distacco ancora minimo. Le altre squadre dietro vengono ridicolizzate da una superiorità che non ammette replica. Lo stesso Evenepoel, che probabilmente concluderà ancora una volta al terzo posto, appare lontano dai livelli di quei due che corrono in una lega a parte.

Non si può ancora parlare di Tour concluso, perché nella tattica asfissiante della Visma si riconosce uno schema preciso e non è detto che Pogacar sarà sempre in grado di avere l’ultima parola.  «Il nostro obiettivo – ha ribadito il general manager olandese Richard Plugge – è combattere ogni singolo giorno. Continuare a usare la mazza, rendendo le tappe difficili e continuando ad andare avanti».

Di sicuro si respira la volontà di non subire la corsa, ma di farla. E in questo contesto risulterà ancora una volta decisiva la seconda settimana. Se per decidere il Giro d’Italia c’è stato bisogno dell’ultima tappa di montagna, il Tour si decide da tempo nella settimana centrale. Chi fa prima il vuoto, riesce a difenderlo fino a Parigi. Vingegaard calerà la maschera e andrà all’attacco oppure si rassegnerà a reggere nuovamente lo strascico del re?

Pogacar vince, Almeida la scampa e Gianetti omaggia Hinault

11.07.2025
6 min
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«Possiamo anche aspettare», così aveva detto Mauro Gianetti questa mattina al via dalla splendida Saint-Malo. E tutto sommato la vittoria numero 101 del suo Tadej Pogacar è arrivata, per dirla in gergo calcistico, di rimessa… per certi versi. Controllo, azione nel punto giusto, volata, braccia al cielo. Minima spesa, massima resa.

La corsa fila via veloce. Una classica fuga: cinque atleti, ma dietro non lasciano troppo spazio. I velocisti si staccano dopo aver racimolato gli ultimi punti rimasti al traguardo volante. E bravo il nostro Jonathan Milan a fare la formichina. E’ così che si porta quella maglia a Parigi, anche se oggi l’ha persa e indovinate chi l’ha presa? Però da domani iniziano delle frazioni veloci e ci auguriamo che il friulano possa riprendersi lo scettro.

Sul Mur de Bretagne grande controllo. Remco guida. Tadej ha un occhio avanti e uno dietro e Vingegaard francobolla la ruota dello sloveno

Pogacar anche sul Mur

Per la sesta volta il Tour de France arriva su questo strappo già iconico. Vincere quassù è quasi una semiclassica. E se si presenta l’occasione, perché non sfruttarla?

Ancora oggi, un po’ come ieri verso Vire, a mettere i bastoni tra le ruote ai progetti difensivi della UAE Team Emirates è stata la Visma-Lease a Bike. Forse oggi davvero la UAE non era troppo interessata alla tappa, o meglio, a non lasciare andare via fughe troppo numerose. Forse Pogacar avrebbe lasciato ancora la maglia a Mathieu Van der Poel. E invece eccola rimbalzargli addosso.

La squadra di Jonas Vingegaard ha ridotto forte il gap a quel punto. Tim Wellens (sempre più un gigante) e Jhonatan Narvaez lo hanno portato davanti nello strappo finale. A quel punto Pogacar non ha speso una goccia di energia in più del necessario per evitare che altri si prendessero tappa e abbuoni. Ha fatto tirare Remco Evenepoel… pensate un po’.

Almeida, che dolore

Ma in tutto questo c’è un neo per la UAE Team Emirates e Tadej Pogacar: la caduta di Joao Almeida. Una caduta, tra l’altro, non troppo chiara. Una delle bici a bordo strada era senza copertone e, al momento dell’innesco del capitombolo, frontalmente si nota una fuoriuscita di aria e liquido. Bisogna capire se la copertura è stallonata per l’impatto o se al contrario questa stessa ha innescato il tutto.

Fatto sta che a pagarne le spese sono stati uomini di classifica importanti. Parliamo di Santiago Buitrago e soprattutto di Joao Almeida, che sembrava aver riportato la frattura del polso.

E non a caso sull’arrivo, appena saputo il tutto, Pogacar non era affatto contento. Era piuttosto preoccupato per Almeida e perché il rischio di perdere un gregario tanto importante non è cosa da poco. Si è visto in questi giorni quanto il portoghese abbia fatto la differenza.

«Per me la giornata è andata alla perfezione – ha detto Pogacar – esattamente come avevamo programmato. La squadra ha fatto un lavoro fantastico. Abbiamo dovuto dedicare molta energia al raffreddamento del corpo, perché faceva molto caldo. E’ stata una tappa veloce e dura. I ragazzi mi hanno lasciato ai piedi della salita. E normalmente, anche Joao sarebbe stato lì, ma è caduto e spero che stia bene. Che dire: sono di nuovo in giallo. Spero che ora avremo due giornate un po’ più facili».

Pogacar torna in giallo. Ora guida con 54″ su Remco e 1’11” su Vingegaard
Pogacar torna in giallo. Ora guida con 54″ su Remco e 1’11” su Vingegaard

I valore dei gregari

Con il ruzzolone e i ritiri di oggi si torna a parlare di cadute. Mattia Cattaneo si è ritirato, sembrerebbe a causa dei postumi della caduta subita nella quarta tappa. Il primo gregario di Remco ha tenuto duro per un paio di giorni, ma oggi è stato costretto ad alzare bandiera bianca.

«Sì – ha detto Evenepoel – Mattia è la mia guardia del corpo abituale e si è ritirato. Era uno dei ragazzi con cui avevo ancora degli impegni. Mi mancherà sicuramente, ma tutto sommato, il suo stop è stata la decisione giusta. Aveva mal di testa e non si sentiva bene, quindi è meglio così. Queste sono le corse».

E anche Pogacar si è espresso su Almeida. «Giornata perfetta? Se Joao sta bene, allora è una giornata perfetta. Se non sta bene, questa vittoria è per lui».

Insomma anche i grandissimi si preoccupano senza i loro uomini più fidati. Badate che questa tappa potrebbe avere un peso specifico nell’economia del Tour de France. Se Almeida non dovesse farcela la Visma avrebbe un vantaggio non da poco. Mentre Remco è davvero solo.

Si arrivava a casa dell’immenso Hinault: quanti omaggi lungo la strada per l’ultimo vincitore francese del Tour
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L’analisi di Gianetti

Avevamo aperto l’articolo con le parole di Mauro Gianetti, CEO della UAE Team Emirates, e con le sue parole lo chiudiamo.

«La prima cosa – ci dice Gianetti – è che Joao sta bene, diciamo così. Ha delle abrasioni, ha un’infrazione a una costola, ma i raggi X hanno escluso fratture. Certo, ha preso una bella botta e sbattere sull’asfalto a 60 all’ora non è mai bello. Ma poteva andare peggio. Pertanto, se la notte andrà bene, domattina dovrebbe partire regolarmente».

Poi si passa alla tattica. Pogacar sembrava quasi disinteressato al successo e, tutto sommato, se ci fosse stato Mathieu Van der Poel a vincere non gli sarebbe dispiaciuto. Forse…

«Disinteressati direi di no – riprende Gianetti – abbiamo provato a giocarci la tappa. Certo, l’importante era non finire la squadra per controllare la corsa. Fortunatamente all’inizio anche Van der Poel e la Alpecin-Deceuninck ci credevano e abbiamo collaborato. Ma occhio però, perché anche se Mathieu e Tadej sono amici, non gli avrebbe lasciato la tappa. Anche perché Vingegaard e Remco erano in agguato. Insomma, Tadej non si sarebbe tirato indietro. Domani e dopodomani ci saranno due giornate semplici, in cui magari si riesce a non spendere troppo».

«E poi – fa una pausa Mauro – alla fine vincere sul Mur-de-Bretagne è qualcosa di iconico. Avete visto quanta gente c’era? Senza contare che siamo a casa del grandissimo Bernard Hinault, e anche questo conta. E’ un omaggio a questo gigante».

«Alleanza trasversale con la Alpecin? Se ieri Van der Poel avesse preso la maglia con 2 minuti magari ci avrebbe aiutato di più, però così non è stato. E alla fine neanche puoi fare troppi calcoli. Oggi se non avessimo vinto noi, l’avrebbe fatto Vingegaard. E sinceramente, meglio stare davanti che dietro».

Gianetti si gode i suoi ragazzi. Parla di un gruppo coeso, di un bell’ambiente: «Li vedo uniti. Sono amici prima ancora che corridori. Tutti hanno ben chiaro l’obiettivo. Penso proprio ad Almeida, che l’altro giorno avrebbe anche potuto vincere, ma si è messo a disposizione. Ha giocato per Pogacar».

Il giorno di Healy e dei calcoli da mal di testa

10.07.2025
6 min
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Healy ha la faccia da furetto e quando sorride fa grande simpatia. Poi sarà per i capelli smossi e lo sguardo che a volte sembra da matto, gli hanno costruito addosso la fama dell’anarchico: difficile da imbrigliare e vittima del suo stesso estro. Oggi ha portato via la prima fuga a 178 chilometri dall’arrivo e poi se ne è andato da solo quando ne mancavano 40. Sul traguardo di Vire Normandie, il piccolo britannico che dal 2016 corre con licenza irlandese, è arrivato con 2’44” su Simmons. Più che il suo estro, oggi gli avversari non sono riusciti a imbrigliare lui.

Servono nuovamente le parole di Charly Wegelius che lo ha guidato verso la vittoria per far capire che quell’immagine scarmigliata e disordinata è sbagliata. Anche di fronte a un’impresa così estemporanea, che tanto estemporanea (vedremo) non è stata.

«Abbiamo parlato di una mossa del genere – racconta il tecnico britannico – sul pullman questa mattina. Conosciamo le caratteristiche dei nostri atleti e pensiamo sempre al modo migliore per sfruttarle. Ma tra pianificare una cosa del genere e farlo, c’è di mezzo il mare. Sono cose toste. Questo ragazzo ha alcuni punti in suo favore. Il primo è il suo cervello, perché riflette molto sulle cose che fa. Il secondo è che è molto aerodinamico. E poi ha una resistenza bestiale alla fatica. Ma di certo non è anarchico. Certo ha fantasia, però studia quello che fa e si muove sempre con un motivo. La conseguenza è spesso molto bella da vedere».

Le prime due ore si sono corse a una media elevatissima: un vero show per la tanta gente
Le prime due ore si sono corse a una media elevatissima: un vero show per la tanta gente

Ripagare la squadra

Di certo sorride tanto Ben Healy ed è come se oggi fosse uno di quei pochi giorni in cui abbia davvero voglia di mostrare quello che ha dentro. Come quando nel 2023 vinse la tappa di Fossombrone al Giro d’Italia e apparve raggiante come non l’avevamo mai visto prima. Parla da vincitore e da leader, da uno che sa dire grazie.

«E’ semplicemente incredibile – risponde Healy – è successo quello per cui ho lavorato non solo quest’anno, ma da quando ho iniziato a fare il corridore. E non io da solo, parlo di ore e ore di duro lavoro da parte di così tante persone e questa vittoria è il modo migliore per ripagarle. I passi avanti degli ultimi tempi sono stati una vera e propria rivelazione e questo mi ha davvero fatto credere che sarei potuto diventare un corridore per risultati importanti. Mi sono messo sotto. Ho lavorato duramente. Ho cercato di perfezionare anche il mio stile di gara. Poi ho guardato anche un sacco di filmati di gara e questo oggi ha dato i suoi frutti».

Un colpo a sorpresa

Decisamente tanto studio e tanto cervello: mai giudicare (superficialmente) qualcuno dal suo aspetto. Quando 9’30” dopo di lui passano sul traguardo appaiati Powless, Baudin e Sweeney, che hanno saputo della sua vittoria dalla radio, le loro braccia si alzano al cielo all’unisono. Healy è ancora in strada e li aspetta. Fra l’emozione, la stanchezza e la necessità di riprendere fiato, quel tempo non gli è parso neppure così lungo.

«La tappa ha avuto un inizio pazzesco – racconta ancora Healy – un ritmo altissimo dall’inizio alla fine e io mi sono acceso subito. Forse ho passato un po’ troppo tempo e tante energie per cercare di entrare nella fuga, ma penso che sia solo il modo in cui sono capace di farlo. Una volta che ci sono riuscito, abbiamo dovuto davvero lavorare per avere il vantaggio giusto, quindi è stato un giorno davvero impegnativo. E intanto pensavo. Sapevo che dovevo avvantaggiarmi e scegliere il mio momento. E penso di aver calcolato bene i tempi e di averli colti di sorpresa. A quel punto, ho capito cosa dovevo fare. Da solo, a testa bassa e fare del mio meglio fino al traguardo. C’era l’altimetria perfetta: era una tappa che avevo cerchiato sin dall’inizio. Sono cresciuto guardando il Tour e ho sempre desiderato di farne parte. Ed è vero che ho solo vinto una tappa, ma esserci riuscito è davvero così incredibile…».

Pogacar risponde così al tentativo di forcing della Visma sull’ultima salita: il padrone per ora è lui
Pogacar risponde così al tentativo di forcing della Visma sull’ultima salita: il padrone per ora è lui

I calcoli di Pogacar

Lo portano via perché sta arrivando Pogacar. E a chi si chiedeva se quest’ultimo strappo sarebbe servito ad accendere la miccia fra i primi della classifica, la risposta arriva puntuale come il forcing della Visma-Lease a Bike e la risposta della maglia gialla. Vingegaard è arrivato con lui, ma ne ha subìto il passo. Su questi strappi non c’è storia, vedremo sulle salite più lunghe. Oggi semmai era lecito aspettarsi Evenepoel, su strade simili alla Liegi. Invece Remco è rimasto buono nella scia, mentre sotto il cielo del Tour si è sparsa la voce del suo (probabile) prossimo passaggio alla Red Bull-Bora. La maglia gialla se la riprende Van der Poel, che in fuga ha faticato ben più di quello che si aspettava e quel primato così fragile (un secondo su Pogacar, ndr) sarà più un sollievo per il campione del mondo che un vanto per l’olandese.

«Pensavamo che avrebbero provato – dice Pogacar sorridente – non so a cosa sarebbe servito, ma sono andati forte e ci siamo limitati a seguire. Le prime due ore sono state velocissime e fortunatamente siamo sopravvissuti. A quel punto abbiamo pensato se valesse la pena correre per la tappa, ma abbiamo deciso di non sparare colpi a vuoto e abbiamo fatto il nostro passo. Forse la Visma ha accelerato per impedirmi di perdere la maglia gialla, ma alla fine l’ho persa per un solo secondo, perché comunque la fuga davanti ha fatto davvero un lavoro straordinario. Tutto merito loro. Non mi dispiace avere la maglia gialla, ma come ho detto, l’obiettivo per oggi era di spendere il meno possibile, mentre domani è un altro buon traguardo per me. Però attenti, abbiamo ancora bisogno di un po’ di gambe per la seconda e la terza settimana. Quindi il lavoro di oggi va considerato positivo soprattutto in questa prospettiva».

Van der Poel è stato a lungo maglia gialla virtuale con ampio margine. Il crollo nel finale gliel’ha portata con appena 1″ su Pogacar
Van der Poel è stato a lungo maglia gialla virtuale con ampio margine. Il crollo nel finale gliel’ha portata con appena 1″ su Pogacar

Roba da mal di testa

C’è tanto calcolo in questo ciclismo spaziale che ha visto svolgersi una tappa di 201,5 chilometri con 2.987 metri di dislivello a 45,767 di media. Il calcolo millimetrico di Healy nel prendere la fuga e poi nel lasciare i compagni con un attacco che unisse potenza e sorpresa. Quello di Van der Poel, stremato sull’asfalto a capo di una giornata che gli ha riportato la maglia gialla, ma forse lo priverà delle gambe per rivincere domani al Mur de Bretagne. Il calcolo di Pogacar, deciso a mollare il primato. E il calcolo di quelli dietro, con il tempo massimo di 52’50” che ha permesso a Milan di arrivare a 29’33”, salvando la gamba e la maglia verde per appena 4 punti. Chi pensa che sia solo un fatto di muscoli e cuore, alla fine di tappe come questa potrebbe aver bisogno di una pillola per curare il mal di testa.

Dal volo di Remco al podio di Affini. L’analisi a tutto tondo di Malori

09.07.2025
8 min
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Tutto (quasi) secondo programma. A Caen, tappa a cronometro individuale, vince Remco Evenepoel, ma subito dietro c’è Tadej Pogacar, che torna a vestirsi di giallo. Completa il podio un grandioso Edoardo Affini. E anche Adriano Malori in qualche modo si gode e saluta il gigante mantovano: è con lui che analizziamo questa crono.

Ma forse la grande notizia di giornata è che Jonas Vingegaard ha pagato dazio. Neanche Donald Trump avrebbe fatto tanto: 1’21” da Remco e 1’05” dal primo rivale, Pogacar

Di nuovo il Tour de France offre un bagno di folla. E’ incredibile come questo evento riesca a essere così attraente. Un po’ per il suo DNA e parecchio per la bravura dei suoi organizzatori anche nel renderlo così grande e appetibile. La gente che si è vista in queste due frazioni è stata qualcosa di incredibile. In fin dei conti, quella odierna è stata uno spettacolo lungo: i test del mattino e poi la possibilità di vedere uno ad uno tutti i 179 atleti rimasti in gara.

Pogacar in giallo. VdP cede nettamente. Lo sloveno guida con 42″ su Remco e 59″ su Vauqelin. Vingegaard è a 1’13”
Pogacar in giallo. VdP cede nettamente. Lo sloveno guida con 42″ su Remco e 59″ su Vauqelin. Vingegaard è a 1’13”

Parola ai tre tenori

«Tutto è andato secondo i piani – ha detto Evenepoel – non ho mai avuto la sensazione di poter andare più veloce, quindi sono contento del risultato. E’ la seconda vittoria per la squadra (dopo quella di Tim Merlier, ndr), quindi è fantastico. Ho corso in modo piuttosto costante, ho mantenuto un ritmo regolare dall’inizio alla fine e credo che questo sia stato il mio punto forte. Nei vari intermedi: ho continuato a risalire in classifica ogni volta e ho guadagnato tempo negli ultimi 7 chilometri. Il mio ritmo era perfetto e tutto procedeva a gonfie vele. E’ un passo in avanti verso il podio, non vincerò questa corsa quest’anno. Ma fra qualche anno sì».

Stranamente, nonostante non abbia vinto, il più felice sembra essere proprio il re sloveno. La rivincita dopo la debacle nella cronometro al Delfinato è bella e servita.

«Sono davvero contento di come ho corso oggi – ha detto Pogacar già in giallo – sono a soli 16 secondi dal campione olimpico, dal campione del mondo e miglior cronoman del momento. Sono estremamente contento. E inoltre, a parte Evenepoel, sto guadagnando tempo su tutti gli altri miei rivali per la maglia gialla. Soprattutto perché non mi aspettavo di guadagnare così tanto tempo, pensavo che Vingegaard sarebbe stato più vicino. Ora però dobbiamo restare concentrati. Nulla è deciso e difendere la maglia gialla fino a Parigi non sarà facile».

Piegato a lungo sulla sua Cervélo dopo il traguardo, Vingegaard è stato l’ultimo a parlare ed è stato laconico: «Non avevo le gambe e non so… non me lo aspettavo, ma succede. Il risultato riflette le sensazioni che avevo in bici. Stavo lottando con le gambe e la posizione in bici. Distacco superiore al minuto? Se guardiamo agli ultimi anni si è vinto con distacchi maggiori – come a dire che c’è spazio per recuperare».

E adesso passiamo ad Adriano Malori.

Vingegaard è incappato in una giornata poco positiva. «Ho litigato con la posizione», ha detto il danese
Vingegaard è incappato in una giornata poco positiva. «Ho litigato con la posizione», ha detto il danese
Adriano, cosa ti è sembrato di questa crono?

Sicuramente non mi aspettavo un tracollo così di Vingegaard. Mi aspettavo un Pogacar più forte rispetto a quello visto al Delfinato, perché lì non era per niente in giornata. Credevo che il danese potesse perdere 15”-20” da Pogacar ma non così tanto. Lo si vedeva scomposto, anche di spalle. E poi una volta era agile, una volta andava duro… questo è il tipico segno di chi non riesce a trovare il ritmo, il rapporto…

Ovviamente un distacco simile, Adriano, è figlio di una giornata no. Però abbiamo notato che c’era vento e lui aveva all’anteriore una ruota molto più alta rispetto agli altri. Può aver inciso?

No. Ripeto, si vedeva che non era in giornata e lo si è visto sin da subito. Storicamente Vingegaard è leggermente superiore a Tadej a crono, mentre oggi la tendenza è stata decisamente opposta. Per me, anche con una ruota più bassa, non sarebbe cambiato niente. Anche perché il vento forte e costante c’era solo nella parte finale. E tra l’altro, se guardiamo bene, è quella dove Remco ha fatto la differenza netta su Plapp e Affini.

E ora?

Tanti diranno Tour finito, ma il Tour non è finito perché 1’13” si possono recuperare. E’ chiaro che non è facile perché là davanti c’è Pogacar… Ma aspetterei, insomma.

La freccia Evenepoel. Da notare la visiera tagliata per lasciare spazio alle braccia
La freccia Evenepoel. Da notare la visiera tagliata per lasciare spazio alle braccia
Quale aspetto tecnico ti ha incuriosito di questa crono?

In generale un miglioramento di posizione veramente grande. Fino all’anno scorso solo Evenepoel riusciva a stare incassato veramente bene con le spalle ed essere tutt’uno col manubrio. Ora sono in tanti. Ma è così: quando uno ha un’invenzione, gli altri la copiano. Oppure prendiamo i caschi, per esempio. Tutti dicevano che quelli lanciati dalla Visma erano inguardabili, però adesso li usano quasi tutte le squadre così. Davvero una grande cura. Così come la guida…

Anche noi lo abbiamo notato. La parte finale era tecnica, eppure Remco è sembrato più abile con la bici da crono che con quella da strada…

In generale ora c’è una ricerca della prestazione anche dal punto di vista della guida. Nel finale Pogacar ha addirittura guadagnato 3”-4” a Remco che a sua volta è stato bravissimo, e quella poteva essere tranquillamente la differenza che decideva la gara. Di certo questo livello di guida, parlo in generale, è figlio di allenamenti particolari. Allenamenti che, se non avessi avuto l’incidente, avrei fatto anche io.

Spiegaci meglio…

La guida della bici da crono era un aspetto migliorabile e avevo in programma degli allenamenti nei kartodromi. Era una cosa che avrei fatto a fine stagione. Kartodromi, o piste per bambini… insomma circuiti sicuri con curve strette, in cui si riesce a fare tecnica di guida. A stare in posizione, a fare bene le traiettorie. Un tempo solo Cancellara guidava la bici da crono come fanno i ragazzi oggi. Adesso tutti si buttano giù in ingresso curva come se fossero sulla bici da strada.

Rispetto al Delfinato si è visto un Pogacar più sciolto. Probabilmente quel giorno stava provando un nuovo assetto
Rispetto al Delfinato si è visto un Pogacar più sciolto. Probabilmente quel giorno stava provando un nuovo assetto
Credevamo che con tutto il vantaggio su Vingegaard, dall’ammiraglia avessero detto a Pogacar di non rischiare. E invece ha guadagnato…

Pogacar ha rischiato, ma non oltre il limite, perché lo fa con naturalezza. Questo vuol dire che è abituato, che è sicuro su quella bici. Poi penso anche che tutti questi atleti vivono in luoghi dove le strade, almeno in certi orari del giorno, ti permettono di osare un pelo di più, di fare tecnica. Vivono in Francia, Slovenia, Monaco, Danimarca, Spagna… dove la lingua d’asfalto è ampia, sicura, e il fondo stradale è ottimo. Qui da noi, almeno dalle mie zone di Parma, ci sono crepe in cui ci finisci dentro fino alle protesi!

Chiaro…

Gente così può dire: «Beh, stamattina mi sveglio presto e mi butto giù una discesa bello andante». E magari davanti ho anche una moto che mi fa da riferimento. Vi racconto questa: prima dei mondiali di Firenze 2013, Cancellara si svegliò in piena notte per essere pronto alla primissima luce dell’alba. Erano lui e una moto e andò a percorrere il finale della crono perché voleva vederlo senza traffico e farlo a velocità di gara, o quasi. E anche questo faceva una grande differenza. Già dieci anni fa si guardava a queste cose. E dieci anni fa, nel ciclismo di oggi, è come se fossero trenta.

Invece il casco di Remco con l’apertura sulla visiera?

Prima ancora che una questione aerodinamica, io credo sia perché, stando lui così chiuso, la visiera gli dava fastidio sugli avambracci. Quel taglio oltre a non avere questo problema gli permette di chiudersi ancora meglio.

La crono è specialità futuristica, l’estremo della tecnica e della preparazione?

C’è stata un’evoluzione impressionante: materiali, posizione. Prendiamo gli scalatori: un tempo prendevano minuti, su minuti… oggi sono lì a un minuto e mezzo. Ci pensate voi a un Quintana che in una crono di 33 chilometri come quella di oggi prende solo un minuto e mezzo da Cancellara? Ora è normalità. Cura delle posizioni, gestione dello sforzo, misuratore di potenza, preparatore che ti fa un’analisi del wattaggio prima del via e come distribuirlo… Per assurdo, se vogliamo, il mestiere del cronoman è andato un po’ a sparire. Perché non devi più imparare a gestirti, non devi più imparare la posizione: sono i team, gli staff, che ti ci portano.

Bravissimo Affini, terzo a 33″ da Remco. Sarebbe stato interessante vederlo partire più vicino a Remco per avere pari condizioni di vento
Bravissimo Affini, terzo a 33″ da Remco. Sarebbe stato interessante vederlo partire più vicino a Remco per avere pari condizioni di vento
Cos’altro ti ha colpito della crono di Caen?

Che finalmente hanno messo una cronometro da cronoman. Senza salite in mezzo o strappi al 15 per cento che non si possono vedere. Quello odierno era un percorso bello, lineare. Anzi, farei un appunto…

Vai…

Visto che c’è questo grande fenomeno, Pogacar, che poi stacca tutti anche in salita, mi piacerebbe vedere un Tour con due belle cronometro da 50 chilometri come un tempo. Pensateci. Magari Remco arriva alle montagne con due minuti di vantaggio. Cambierebbe tutto. Ci sarebbe più spettacolo.

Torniamo all’attualità: che ci dici di Affini?

Ve ne avrei parlato anche se non me lo aveste chiesto! Edoardo mi è piaciuto veramente tanto. Senza nulla togliere ad altri grandi cronoman, ma ricordiamoci che è un gregario. Tira tutto il giorno, tiene davanti i capitani, va a prendere le borracce. Ha fatto così al Giro e sta facendo così al Tour. Non ha potuto fare la crono tricolore perché lo hanno richiamato in altura e nonostante tutto il lavoro di questi giorni oggi ha fatto terzo… dietro due alieni che hanno preparato il Tour al meglio. Quindi, veramente complimenti a lui. E’ bello vederlo lì. E se una squadra come la Visma-Lease a Bike lo ha appena fatto rinnovare per tre anni, un motivo c’è.

A Rouen la numero 100, ma chi ricorda la prima? Petilli racconta

08.07.2025
6 min
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Rouen finisce di colpo tutta in basso quando Tadej Pogacar accelera sulla Rampe Saint-Hilaire. Vingegaard lo tiene, poi si siede e lo perde. E a quel punto o l’altro molla o il danese ha una botta d’orgoglio e gli torna sotto allo scollinamento. E’ l’antipasto per la centesima vittoria da professionista del campione del mondo.

C’è Almeida a scortarlo e li rintuzza tutti. L’ultimo è Jorgenson, ma il portoghese che per mezza tappa non l’hanno mai visto, è efficiente come un cecchino. Li mira e li prende tutti e a quel punto per Tadej non resta che la volata, in cui Van der Poel si scopre a corto di energie, mentre tutti pensavano che l’avrebbe vinta facilmente. Primo Pogacar, secondo Mathieu, terzo Vingegaard. Oggi quota cento non parla di pensioni, ma di un traguardo a suo modo storico.

«Ero al limite – dice il campione del mondo – ho provato con un allungo sull’ultima salita e Jonas mi ha seguito. Poi alla fine ci siamo ricompattati. Mi hanno attaccato, c’è voluto un lavoro straordinario per controllare tutti, quindi sono super felice e orgoglioso della squadra. Sono senza parole, è stata una vittoria così bella. Vincere al Tour è incredibile, con questa maglia ancora di più. E avere messo insieme 100 vittorie è pazzesco. Questo è il tipo di ciclismo che mi piace, semplicemente perfetto. Con tanti corridori forti in finale, sei sempre un po’ al limite e nervoso per quello che succederà. Non si sa mai come finirà, per cui hai addosso un’adrenalina incredibile. Perciò ora mi godrò la vittoria in maglia iridata e poi penseremo alla crono di domani, in cui ovviamente puntiamo alla maglia gialla».

Algarve 2019, la prima volta

Si potrebbe raccontare di Van der Poel piegato dalla fatica. Di Vingegaard pimpante che adesso sa fare anche gli sprint. Oppure di Milan che ha mantenuto la maglia verde. Invece riavvolgiamo il nastro e torniamo alla vittoria numero uno, sei anni fa, con chi c’era. Sarà un approccio insolito, ma quando Simone Petilli scortò Pogacar alla prima vittoria nel 2019 si aspettava che nel giro di sei anni Tadej sarebbe arrivato a quota cento?

Lui sorride. Sta recuperando dopo il Giro e le corse subito successive. Dovrebbe rientrare per San Sebastian e poi la Vuelta, ma essendo riserva per Polonia e Giro di Vallonia, la sensazione è che una delle due gli toccherà.

Volta ao Algarve 2019, ultima tappa a Malhao. Pogacar vince, l’abbraccio con Petilli è l’inizio della storia
Volta ao Algarve 2019, ultima tappa a Malhao. Pogacar vince, l’abbraccio con Petilli è l’inizio della storia

UAE, il capitano è Fabio Aru

Il 21 febbraio del 2019 è di giovedì, la Volta Algarve vive la seconda tappa e la UAE Emirates ha Fabio Aru come capitano. Pogacar, 21 anni, è stato chiamato in extremis per sostituire un corridore malato.

«Si vedeva subito che Tadej avesse una marcia in più rispetto a tutti gli altri – ricorda Petilli – ma già più di un anno prima, quando l’avevo conosciuto, avevo visto che gli veniva tutto con una facilità incredibile. Ricordo benissimo quell’Algarve, lui venne davvero in extremis perché era andato bene in Australia. Si vedeva che aveva una gran gamba, ma il capitano quel giorno era Aru. Tadej era lì senza stress e ricordo bene quell’arrivo. Io avevo tenuto duro, mi ero staccato all’ultimo chilometro. Lui era rimasto davanti coi primi 3-4. Se non sbaglio c’erano Poels e Mas, dei bei corridori. Ricordo che siamo arrivati in cima e c’era un gran casino tra i massaggiatori per cui mi dissero di andare giù, perché il pullman era in basso. Chiesi di Tadej, ma nessuno mi rispondeva».

Sei anni dopo, Pogacar attacca sulla Rampe Saint-Hilaire. Nel mirino la vittoria numero 100
Sei anni dopo, Pogacar attacca sulla Rampe Saint-Hilaire. Nel mirino la vittoria numero 100

I consigli di Aru

Petilli arriva al bus e sale sui rulli. La tappa aveva l’arrivo in salita agli 887 metri dell’Alto da Foia, scalata di circa 12 chilometri. Intorno c’è l’andirivieni del dopo corsa. Altri corridori arrivano alla spicciolata, finché Petilli vede passare uno dei due direttori sportivi e lo chiama.

«Era Bruno Vicino – ricorda – la UAE Emirates era ancora come la Lampre, c’era ancora tanta gente di quel gruppo. E così gli chiedo che cosa avesse fatto Tadej, che avevo lasciato con i primi 3-4 e non lo avevo più visto. E lui mi dice che ha vinto. Fu anche per me una sorpresa, però sapevo che era davanti e da quel giorno in poi ci mettemmo a difendere la maglia sino in fondo e il resto è storia (la seconda vittoria infatti arriverà a breve e sarà la classifica generale della corsa portoghese, ndr). Quel giorno Aru non andò troppo bene, ma per il resto della corsa fu utilissimo, perché aiutò Pogacar a gestire la pressione della maglia gialla. Con Fabio quel giorno rimase Valerio Conti, io invece ebbi una giornata di libertà e arrivai settimo».

Il giorno dopo, la crono

Il giorno dopo, come pure domani al Tour, l’Algarve affronterà i 20,3 chilometri della cronometro di Lagoa. In squadra non si sa se Pogacar sia abbastanza solido da difendere la maglia, per cui l’invito di tutti è alla grande cautela.

«Dicevano che dovevamo cercare di difenderci – ricorda Petilli – in realtà Tadej ha guadagnato su tutti gli altri (arrivò quinto ad appena 17″ da Kung, ndr), poi le sue caratteristiche sono venute fuori».

Sono passati sei anni, ma ci è sembrato interessante ripescare questa storia di 100 vittorie fa. Domani il Tour de France affronterà la cronometro di Caen di 33 chilometri e molto probabilmente Tadej Pogacar ritroverà la maglia gialla. Oggi ha vinto con quella iridata e per quanto sia parso irritante, aver lasciato a Wellens quella a pois rispondeva alla voglia di raggiungere quota 100 con il simbolo dell’iride. Domani il Tour chiederà ai campioni di mettere sul tavolo le loro carte migliori. Evenepoel dovrà far vedere a che punto si trovi davvero, ma sarà soprattutto dal duello fra Pogacar e Vingegaard che capiremo molto di più sul resto della sfida.

Non solo Colnago Y1Rs, ecco le tre bici di Pogacar

07.07.2025
6 min
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VALENCIENNES (Francia) – I meccanici lavorano senza sosta. Chi lava, chi smonta, chi monta: le Colnago della UAE Team Emirates per affrontare il Tour de France sono oltre cinquanta. Si lavora già anche sulle bici da crono. Ma certo gli occhi erano tutti per le bici di Tadej Pogacar.

Abbiamo avuto l’occasione di vederle da vicino, tutte e tre: la Colnago V5Rs, la Y1Rs e la Colnago da crono, la TT1. Sin qui lo sloveno ha preferito la Y1Rs, ma in questa Grande Boucle le userà tutte. Sarà interessante vedere quale bici (e quale setup) sceglierà per la cronoscalata di Peyragudes. Si vocifera la Y1Rs con le protesi. Vedremo.

La Colnago V5Rs di Pogacar
La Colnago V5Rs di Pogacar

V5Rs, per la salita e non solo

Partiamo dalla sua classica Colnago V5Rs, la bici che usa più spesso. Definirla “solita” è riduttivo. Anche per il Tour de France non ci sono state novità. I meccanici hanno preparato sia la versione con la guarnitura ufficiale Shimano, sia quella con le corone Carbon-Ti da 55-38 che Tadej utilizza praticamente sempre.

Finalmente siamo riusciti a capire con precisione l’attacco manubrio: è da 125 millimetri, la larghezza dello stesso è di 38 centimetri. Sempre riguardo al manubrio, Pogacar ha anche i comandi all’interno della piega, per cambiare anche quando è in presa bassa o durante uno dei suoi scatti.

Pedivelle da 165 millimetri e ruote Enve 4.5 con profilo differenziato (50 millimetri all’anteriore e 56 al posteriore) con i mozzi color argento, nuovi e visti in anteprima al Giro. La posizione della sella Fizik Argo (creata con mappatura specifica e su misura) è tutta in avanti e parecchio scaricata verso il basso

La Colnago Y1Rs di Tadej Pogacar
La Colnago Y1Rs di Tadej Pogacar

Y1Rs, l’aerodinamica su strada

La Colnago Y1Rs è decisamente aggressiva. Sulla sua estetica si è detto tutto e il contrario di tutto, ma non si possono mettere in discussione le sue performance. Il setup di questa bici è quasi del tutto identico alla V5Rs. Quel che cambia, in virtù di geometrie un po’ differenti, è la posizione della sella. In questo caso è sì arretrata, ma come si dice in gergo, non va “a battuta”. E’ un filo più centrale. Nel senso che è posizionata almeno 4-5 millimetri più indietro rispetto al movimento centrale.

Gli angoli finali del corridore, però, ci hanno riferito i meccanici, non cambiano: pertanto è solo questione di geometrie del telaio.

Le ruote più utilizzate per questa bici sono le Enve 6.7, anche in questo caso con profilo differenziato 60 millimetri all’anteriore e 67 al posteriore), che gli stessi meccanici stavano ultimando con serigrafie iridate, per un total look perfetto al Tour. Anche qui non manca – e come sarebbe stato possibile – l’adesivo dell’incredibile Hulk sul manubrio.

Quel che abbiamo notato, ma non sulla bici di Pogacar bensì sulla Y1Rs di Tim Wellens, è una nuova monocorona Carbon-Ti, la cui dentatura ci sembrava abbondante: probabilmente un 56. Magari potrebbero usarla in qualche tappone veloce.

La Colnago TT1 di Tadej Pogacar
La Colnago TT1 di Tadej Pogacar

TT1, per la crono

Infine ecco la bici da crono, la Colnago TT1, che Pogacar userà tra pochi giorni a Caen, quando il Tour proporrà la tappa contro il tempo.

La prima cosa che si nota è che stavolta la bici è nera. Tadej non è l’iridato a crono, quello è terreno di Remco Evenepoel, quindi rientra nei ranghi. Il peso della bici non è stato dichiarato, ma alzandola e paragonandola con le due precedenti possiamo garantirvi che non vi si discosta troppo. Proprio il peso della bici da crono della UAE Team Emirates era stato messo sotto accusa qualche tempo fa, ma a quanto pare ci hanno lavorato e anche bene.

Se il peso è una peculiarità importante della TT1 di Pogacar, altrettanto importante è la misura delle pedivelle. Qui le 165 lasciano spazio alle 160 millimetri. Riguardo ai rapporti, la bici fotografata aveva una corona da 64 denti, ma questo varia in base al percorso, chiaramente.

Van der Poel, tappa e maglia. Show di forza e tattica

06.07.2025
6 min
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BOULOGNE SUR MER (Francia) – Mentre Mathieu Van der Poel tagliava per primo la linea del traguardo, l’urlo più forte che si è sentito in tutta la città è stato quello di Roxane Beterls, la compagna di VdP. Un urlo acuto, tipico da donna.

E’ così che si chiude l’astinenza di Van der Poel al Tour de France, che durava dal 2021: un’eternità per un vincente come lui. Anche in quell’occasione, a Lachen conquistò la frazione e prese la maglia. Il campione della Alpecin-Deceuninck vince come in una classica, solo che stavolta i rivali non sono Pedersen o Van Aert, ma Pogacar (quello c’è sempre), Vingegaard, Remco…

Philipesn (in giallo) ha parlato di una squadra compatta. E lo stesso ha detto Van der Poel
Philipesn (in giallo) ha parlato di una squadra compatta. E lo stesso ha detto Van der Poel

Philipsen e la Alpecin

E a proposito di Alpecin-Deceuninck, l’inizio della squadra dei fratelli Roodhooft è a dir poco perfetto: due tappe, due vittorie, due maglie gialle con i due corridori più rappresentativi. Loro sono formidabili a puntare ai singoli obiettivi. E ancora una volta lo fanno muovendosi alla perfezione in certe corse. Non dimentichiamo Dillier, Vermeersch, Groves…

Infatti proprio Jasper Philipsen, contento nonostante abbia appena perso la maglia gialla, ha detto: «Abbiamo avuto un ottimo feeling e un’ottima fiducia sin da ieri, abbiamo preso il controllo della corsa. I ragazzi hanno lavorato molto duramente e bene. E non era semplice. Ma con un capitano forte come Mathieu, che si è messo a disposizione, è stato tutto più semplice.
Oggi è stato differente. Si correva per lui, con la stessa fiducia e compattezza di ieri, ma con un altro leader».

Tutto sommato, Philipsen era felice anche la propria prestazione. Neanche lui, che è un velocista, si aspettava di andare così forte nei 15 chilometri finali, duri sia tecnicamente (e quello per lui non sarebbe un problema) che altimetricamente.

«E’ stato un giorno incredibile e lungo, a volte sentivo quasi freddo. Nel penultimo strappo ero davvero a blocco, sapevo che se avessero continuato così per me sarebbe stato impossibile. Ma l’importante è che abbiamo ancora vinto noi e che la maglia gialla sia rimasta in casa». E non è finita qua per lui e la sua squadra. Domani si annuncia ancora una tappa per sprinter, ma il meteo inciderà moltissimo.

Van der Poel in giallo. Rispetto all’ultima volta, col nonno, Raymond Poulidor, appena scomparso ha messo che c’è stata meno emozione
Van der Poel in giallo. Rispetto all’ultima volta, col nonno, Raymond Poulidor, appena scomparso ha messo che c’è stata meno emozione

Tappa e maglia

E poi c’è lui, Mathieu Van der Poel. Tra la partenza posticipata del mattino per il caos tra l’arrivo dei bus dei team e la partenza della carovana pubblicitaria, sono quasi le 19 quando Van der Poel si presenta ai microfoni. Fa qualche smorfia, è felice, ma anche stanco.

«Era davvero difficile vincere oggi – attacca Van der Poel – contro Tadej e Jonas che sono in super forma per la conquista del Tour. Stamattina ho visto un video della linea d’arrivo e quindi sapevo cosa volevo fare e come dovevo farlo. Arrivare qui nel Nord della Francia è stato un po’ come correre le classiche, ma con qualche avversario differente.

«Avere la giusta posizione era fondamentale e infatti c’era un grande nervosismo, grande la lotta per le buone posizioni. Ma con una squadra come Alpecin-Deceuninck è qualcosa a cui siamo abituati e bravi, e questa guerra delle posizioni l’abbiamo vinta».

Sull’arrivo c’era anche suo padre, il grande e ancora in forma Adrie Van der Poel. Era felice, ma con la sua solita schiettezza ripeteva che loro (va a capire il plurale) preferiscono le classiche. E che nonostante lui queste strade le avesse battute, al figlio non aveva detto una parola. «Non metto bocca nelle tattiche del team».

Dubbi sulla forma?

Dopo l’incidente in MTB e la conseguente microfrattura al polso, ci poteva essere qualche dubbio sulla condizione di Van der Poel. Ma già averlo visto al Delfinato aveva tolto quasi del tutto i dubbi. Lo stesso Mathieu ha parlato del Delfinato e di come ha ricostruito questo stato di forma stellare. Di fatto ripetendo il metodo che usano per le classiche.

«Rispetto ai miei altri Tour – riprende Van der Poel – stavolta ho avuto un approccio diverso. Per una volta abbiamo fatto il Delfinato ed è stata una buona scelta. Ogni anno facciamo un’esperienza diversa per arrivare al meglio al Tour de France, ma direi per arrivare a tutti i nostri obiettivi nella migliore condizione possibile.

«Per esempio, quest’anno abbiamo capito che avremmo dovuto fare un periodo di allenamenti in altitudine prima della Tirreno-Adriatico, che è la corsa che mi piace di più prima delle classiche, e lo abbiamo fatto. E di nuovo ci siamo resi conto che serviva un altro training camp in quota prima del Tour de France. Anche perché questa edizione ha un percorso sul quale io e i miei compagni possiamo eccellere. Abbiamo molte tappe e questo fa una grande differenza rispetto al percorso dell’anno scorso. E anche sulle motivazioni».

«La nostra squadra si muove sempre con un obiettivo perfettamente chiaro a seconda del leader. E tutto ciò che succede durante la giornata e le difficoltà che si presentano, le affrontiamo uniti. E’ il nostro spirito di squadra e credo sia questo a fare la differenza. Ognuno sa cosa deve fare».

In pratica, le stesse parole che ci aveva detto poco prima Philipsen. «Nell’ultimo chilometro – continua VdP – ero concentrato sul fatto di non fare nessun errore. Volevo prendere l’ultima curva davanti. Non ci sono riuscito in pieno, ma ero comunque in buona posizione. Stare vicino a Tadej andava benissimo. E quando lui è partito, ho potuto fare il mio sprint senza problemi».

Pogacar in maglia a pois. Lo sloveno è parso divertito dal vestire questa maglia
Pogacar in maglia a pois. Lo sloveno è parso divertito dal vestire questa maglia

Pogacar e la centesima rimandata

Meno se lo aspettava a corsa in corso Michele Pallini, massaggiatore della XDS-Astana, che ci aveva detto: «Sapete chi vince oggi? Pogacar oppure Van der Poel. Ma credo più Van der Poel perché tatticamente è più intelligente». Nessuna profezia fu più azzeccata. E Tadej Pogacar stesso in qualche modo dà ragione a Pallini.

Il clima in casa UAE Emirates è sereno e se questo secondo posto non brucia è solo perché a vincere è stato uno dei supereroi di questo ciclismo.

«Direi che è stata una buona giornata nel complesso – ha detto Pogacar – E’ stata una tappa dura e lunga, con un po’ di tutto: pioggia, tensione, strappi… Mi sentivo bene nel finale e anche la mia squadra ha lavorato bene. Il secondo posto va bene, Mathieu è stato più forte in volata, quindi tanto di cappello. E’ difficile batterlo allo sprint.
«A dire il vero, ho giocato un po’ male tatticamente, perché avevo un po’ paura di sprintare contro di lui e ho aspettato troppo a lungo nella sua ruota».

«La maglia a pois e l’attacco di Vingegaard? La prima non me l’aspettavo, il secondo sì. Non credevo di vestire questa maglia. Ho vinto la classifica della montagna al Tour due volte, ma l’ho indossata un solo giorno. Mi fa piacere.
«Da parte di Jonas ci aspettavamo un attacco, specie dopo quello che abbiamo visto al Delfinato. E’ bello vederlo all’attacco. Ci ha fatto soffrire».

Fizik One-to-One: la sella su misura debutta (con Tadej) al Tour

05.07.2025
3 min
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Il ciclismo è oggi più che mai una ricerca di guadagni marginali, dove ogni dettaglio può fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta. In questo scenario ultra-competitivo, i materiali giusti e il comfort assoluto sono diventati requisiti imprescindibili. È in questo contesto che Fizik, brand di vertice nel settore dei componenti per biciclette, ha portato la personalizzazione a un nuovo livello, facendo debuttare il suo programma One-to-One “custom saddle” al Tour de France, l’evento ciclistico più prestigioso del mondo.

Il Tour de France esige dai corridori non solo una condizione e strategie astute, ma anche un equipaggiamento che si adatti perfettamente al loro corpo. La sella, in particolare, è un punto di contatto cruciale che può influenzare drasticamente le prestazioni e il benessere del ciclista. Ed è qui che il programma Fizik One-to-One si distingue, offrendo un supporto sartoriale che rivoluziona l’ergonomia in sella.

Fizik One-to-One è il sistema che permette di realizzare una sella che si adatta perfettamente al ciclista
Fizik One-to-One è il sistema che permette di realizzare una sella che si adatta perfettamente al ciclista

Una rivoluzione biomeccanica

Il cuore del programma One-to-One risiede nella sua capacità di adattare la sella alle esigenze individuali di ogni atleta. Attraverso un’analisi approfondita e l’utilizzo di dati in tempo reale, il sistema esamina parametri chiave come la mappatura della pressione personalizzata, la posizione del corpo, il tipo di bicicletta e lo stile di guida. Queste informazioni vengono poi impiegate per progettare e realizzare tramite stampa 3D l’imbottitura della sella, garantendo un supporto unico e su misura.

Questo approccio scientifico e personalizzato consente ai ciclisti prestazioni ineguagliabili, riducendo i punti di pressione e ottimizzando la trasmissione di potenza. Non si tratta più di adattarsi a una sella standard, ma di averne una realizzata su misura. Un vantaggio inestimabile in gare lunghe e impegnative come il Tour de France.

La validità e l’efficacia del programma One-to-One sono state confermate dalla sua adozione da parte di alcuni dei più grandi nomi del ciclismo mondiale. Tra gli atleti che hanno scelto il supporto personalizzato di Fizik per il loro approccio al Tour de France 2025 figurano campioni del calibro di Tadej Pogacar, Adam Yates, Marijn van den Berg e Kasper Asgreen.

«Quest’anno – ha dichiarato il campione del mondo sloveno – siamo passati a Fizik, e sono davvero felice di questa decisione. Ho scelto il programma One-to-One per ottimizzare la mia posizione, le mie prestazioni e il mio comfort, partendo dalla mia bici da crono, utilizzando la Aeris Long Distance. Dopo aver visto i benefici, ho deciso di utilizzare One-to-One anche per la sella della mia bici da strada».

Anche Andreas Klier, direttore sportivo e responsabile delle operazioni tecniche e commerciali di EF Pro Cycling, ha sottolineato l’importanza del programma.

«Passare a Fizik – ha commentato Klier – è stato semplice, ma per alcuni dei nostri corridori, il programma One-to-One è stato essenziale per trovare la perfetta sensazione della sella».

Tadej Pogacar correrà al Tour con una sella realizzata con il sistema One-to-One
Tadej Pogacar correrà al Tour con una sella realizzata con il sistema One-to-One

Personalizzazione… accessibile a tutti

Con il suo debutto ufficiale al Tour de France, il programma One-to-One si afferma come parte integrante della strategia di performance nel WorldTour. Combinando tecnologia avanzata, biomeccanica e qualità digitale, Fizik sta davvero ridefinendo e personalizzando l’ergonomia in sella per il ciclismo moderno.

La buona notizia è che non è necessario raggiungere i palcoscenici del Tour de France per beneficiare di questa innovazione. Grazie a un elenco in continua crescita di rivenditori autorizzati e bikefitter in tutto il mondo, il programma One-to-One è disponibile oggi per tutti gli appassionati di ciclismo. Che tu stia inseguendo podi, o più semplicemente la tua prossima uscita del fine settimana, adesso potrai sperimentare lo stesso comfort personalizzato di cui si fidano i migliori ciclisti del mondo… parola di Fizik.

Fizik

Qui Lille: Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel accendono la sfida

05.07.2025
5 min
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LILLE (Francia) – Ci siamo, poche ore e sarà il Tour de France. L’altro ieri abbiamo assistito all’abbraccio enorme che la folla di Lille ha riservato ai corridori, ma forse sarebbe più corretto dire al Tour stesso. Era complicato camminare e noi giornalisti abbiamo faticato non poco, nonostante il pass, per poter raggiungere il punto d’ingresso della zona mista, proprio nel centro della Grand Place. Ci sembrava di essere al Palio di Siena, in mezzo a Piazza del Campo e con la pista intorno.

Ma se il Palio è stato rinviato per il maltempo, il Tour va eccome. C’è grande attesa per questo duello che, come molti sperano, potrebbe diventare sfida a tre. Stiamo parlando del confronto tra Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar, al quale si aggiunge il terzo sul podio del 2024: Remco Evenepoel.

L’atmosfera che si respira qui in Francia appare rilassata, ma è soltanto apparenza. Tutti sono pronti a dare il massimo e ormai questo Tour è anche una sfida tra team, specialmente nello scontro diretto tra il danese della Visma‑Lease a Bike e lo sloveno della UAE Emirates. E gli apprezzamenti che si sono scambiati sembrano tanto essere dei colpi di stiletto mascherati da complimenti.

Pogacar sul palco di Lille. Lo sloveno (classe 1998) punta al suo quarto Tour (foto ASO/Charly Lopez)
Pogacar sul palco di Lille. Lo sloveno (classe 1998) punta al suo quarto Tour (foto ASO/Charly Lopez)

Lo show di Pogacar

Ma partiamo dal podio 2024, quindi da Tadej Pogacar. Fra i tre ci è parso, a dirla tutta, quello più rilassato, più spensierato. Con il cappello giallo da pescatore offerto dall’organizzazione, resisteva sul palco di Lille, faceva battute in francese. «Ciao, come state?», una sorta di one man show.

«Con Jonas – ha detto Pogacar – c’è una bella rivalità. Sulle salite lunghe, Vingegaard è il corridore migliore e lui sa andare anche molto forte a cronometro, a volte anche meglio di me. A volte può esserci qualche frizione tra e me lui e nostri team, ma alla base c’è tanto rispetto e quando finisce la corsa tutto è passato. Credo sarà un mese molto avvincente per tutti gli spettatori, sia da casa che lungo le strade».

Pogacar ha parlato poi anche di questo inizio Tour. Un inizio più facile rispetto agli ultimi anni, ma proprio per questo potenzialmente più pericoloso, tanto più che nei prossimi giorni sembra che il meteo cambierà con vento prima e pioggia poi.

«In queste prime frazioni – ha detto Tadej – si può perdere il Tour de France. La prima cosa dunque sarà salvarsi. Chiaro poi, alcune di queste tappe iniziali sono anche opportunità e di sicuro proverò a guadagnare del tempo (il riferimento è a quella di domani con l’arrivo su uno strappo, ndr). Ma soprattutto non dovrò avere problemi e arrivare sano e salvo all’ultima settimana».

Sorridente ma “velenoso”, Jonas Vingegaard (classe 1996) vuole dimostrare di essere tornato più forte di prima
Sorridente ma “velenoso”, Jonas Vingegaard (classe 1996) vuole dimostrare di essere tornato più forte di prima

Il piano di Vingegaard

«Sono a un livello mai visto prima, il mio corpo ci ha messo quasi un anno per tornare dopo l’incidente». E ancora: «Ammiravo Contador, ma se parliamo di storia Tadej è il più grande». Queste frasi apparentemente contrastanti e sibilline emergono dalla conferenza stampa del danese. Vingegaard è apparso sorridente, calmo, ma pronto a sferrare l’attacco.

«Anche l’anno scorso – ha detto Jonas – ho gareggiato ad altissimo livello al Tour, ma c’è una differenza rispetto a quest’anno, ed è significativa. Ho messo su un po’ più di peso, dovuto alla massa muscolare che ho recuperato. Ho impiegato molto più tempo del previsto per tornare al mio stato iniziale, quasi un anno dopo tante settimane passate a letto. Da qualche mese a questa parte, il mio corpo è però tornato a sentirsi meglio di prima dell’incidente ai Paesi Baschi. Posso dire di essere più forte che mai: oggi sono al livello più alto che abbia mai raggiunto»

E poi ecco le dichiarazioni che sembrano aver colpito Tadej. Girando negli ambienti dei team, sembra che Pogacar, al quale tutto scivola via, abbia prestato attenzione alle parole che seguono.

«Rispetto moltissimo Pogacar – ha detto il danese – come tutta la mia squadra, ma senza timore. Altrimenti non sarebbe stato nemmeno intelligente venire al Tour se avessimo pensato il contrario. Ho una squadra da sogno sia in montagna che in pianura per colpire i punti deboli di Tadej. Abbiamo un piano, ma non ve lo dico, ce lo teniamo per noi. Al momento giusto lo vedrete sulla strada.

Remco Evenepoel (classe 2000) punta al podio… e al bis della maglia bianca
Remco Evenepoel (classe 2000) punta al podio… e al bis della maglia bianca

L’umiltà di Remco

Chiudiamo con Remco Evenepoel. Il campione olimpico ci ha colpito per la sua magrezza. Incredibile. Ha un punto vita che farebbe invidia ad una pinup… Il capello rasato faceva emergere ancora di più gli zigomi.

«E’ una bella sensazione essere qui a Lille – ha detto il belga – il primo obiettivo sarà vincere la cronometro di Caen nella quinta tappa. L’altro obiettivo sarà puntare almeno al terzo posto nella classifica generale. Farò del mio meglio e poi si vedrà. Gl ultimi cinque vincitori di Tour sono Pogacar e Vingegaard, dunque sono i più forti. Sarebbe ingiusto da parte mia dire che sono qui per vincere. Sono qui per provarci, per rendere loro la vita difficile».

I belgi chiedono a Remco di fare Remco, cioè di attaccare come ha fatto per esempio alla Freccia del Brabante quest’anno, o molte altre volte. Deve sfruttare le tappe intermedie e la sua capacità di tenere a lungo velocità elevate grazie alle sue capacità aerodinamiche. Non deve correre di rimessa. E quel senso di rimessa un po’ in effetti appare. Magari ci sbaglieremo. Ma quando lo vedi alle classiche ha un altro sguardo, un altro modo di porsi. Lì sa che può vincere e fare male, qui invece sa che non è il più forte, almeno in partenza. Di conseguenza ci sembra quasi che cambi anche il suo linguaggio fisico… ma magari è un’impressione…

«Penso – conclude Remco – che tutti siano un po’ spaventati da questo inizio. Non vogliamo uscire con infortuni già dopo poche tappe. Prima di una corsa come questa speriamo tutti che le tappe più nervose non siano realmente caotiche».