Lo sprint di Hoogerheide con Franzoi, Bramati (e Bartoli)

10.02.2023
5 min
Salva

Il mondiale in una curva. Il ciclismo è uno sport di situazione, lo abbiamo detto tante volte, e questo è il suo fascino. Basta un attimo, una scintilla che tutto può cambiare. Non contano sempre e solo le gambe. E’ passata neanche una settimana ma abbiamo ancora negli occhi lo spettacolo dei campionati del mondo di ciclocross di Hoogerheide, in particolare lo sprint, la sfida tra Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert.

Duello doveva essere e duello è stato. Due giganti che dopo mezzo giro di fatto avevano messo in chiaro chi comandava. Un duello fatto di watt, ma anche di tattica e questa è stata decisiva. E a ribadirlo sono stati due veri esperti: Enrico Franzoi e Luca Bramati.

Dicevamo dell’ultima curva. Ci si aspettava che i due campioni ci arrivassero a mille all’ora e invece non solo ci sono arrivati piano, ma hanno anche rallentato. E ad abbassare ulteriormente la velocità è stato forse il belga. L’epilogo: un lungo sprint da bassa velocità che ha visto vincere l’olandese.

Van Aert si aspettava un attacco sugli ostacoli da parte di Van der Poel che non c’è stato
Van Aert si aspettava un attacco sugli ostacoli da parte di Van der Poel che non c’è stato

Questione di sguardi

«Ho il numero di Van der Poel – racconta Bramati – e gli ho inviato un messaggio in cui gli dicevo che lo aveva  battuto come suo papà Adrie aveva battuto me e Pontoni a Parigi! Mi ha risposto con una faccina sorridente!

«Detto ciò, per me la gara l’ha persa Van Aert. Forse VdP aveva un pelo in più di gamba, ma quel finale lo ha sbagliato lui. Van der Poel ha messo la corsa esattamente come voleva. E’ partito in quel modo e dopo un giro ha mandato tutti a casa. Così si è concentrato solo su Van Aert.

«Wout si aspettava un suo attacco in salita, ma non lo ha fatto. Si aspettava un attacco dopo le tavole, ma non lo ha fatto… Non sapeva cosa fare. A quel punto ha commesso l’errore di non partire prima lui. La gamba per vincere ce l’avevano entrambi. Gli è mancato il coraggio di partire prima».

Poi Bramati fa un’analisi che è da antologia del ciclismo.  «Era una volata alla pari per me, ma se ci fate caso – e io ho riguardato la gara più e più volte – nel momento in cui sta per iniziare la volata Van Aert ha gli occhi fissi su VdP. Mathieu aspetta l’attimo in cui Van Aert guarda avanti per valutare la distanza con il traguardo e in quel preciso momento, appena perde il contatto visivo, parte. E’ partito secco e su quel decimo di secondo è riuscito a prendergli i due metri che poi Van Aert non è più riuscito a chiudergli. VdP correva in casa, conosceva a menadito quel percorso e aveva studiato tutto nei minimi particolari. Lo ha voluto sfidare in volata».

Van Aert ha preso la testa nel finale, ma poi forse all’ingresso del rettilineo ha rallentato troppo
Van Aert ha preso la testa nel finale, ma poi forse all’ingresso del rettilineo ha rallentato troppo

Sprint “lento”

«Ho visto un Van der Poel che andava davvero forte – analizza Franzoi – ha attaccato e stava bene. Hanno fatto una volata quasi da fermi e in questi sprint Mathieu è leggermente favorito. Con la sua potenza, non che Van Aert non ne abbia, ma gli ha preso quei 2-3 metri che si è portato sino all’arrivo. Se lo avesse portato all’ingresso del rettilineo con una velocità più alta, bastavano 3-4 chilometri orari in più, avrebbe vinto Van Aert, forse sarebbe riuscito a recuperare».

Anche per Franzoi, Van der Poel ha giocato ottimamente le sue carte sul piano tattico.  «Per me lo ha spiazzato il fatto che VdP non lo abbia attaccato sugli ostacoli, come se fosse andato un po’ in tilt. Anche perché VdP veniva da un paio di attacchi importanti e magari gli avrebbe fatto male.

«Comunque alla fine ha vinto il più forte. Non era uno sprint semplice. Sì, forse Van Aert ha tentennato un po’ al momento del lancio dello sprint, ma sono valutazioni che in quel frangente non sono facili da analizzare. C’è una tensione tremenda e non è facile essere sempre lucidi. Ripeto, forse Van Aert si aspettava un finale diverso dopo gli ostacoli».

Rapporti e… Bartoli

Infine altre due considerazioni. La prima riguarda i rapporti e in particolare il confronto tra doppia (Van der Poel) e monocorona (Van Aert). E’ ipotizzabile che in questo finale ci siano state diverse reazioni al momento dello sprint. Eppure né Bramati, né Franzoi riconducono a questa differenza tecnica l’esito dello sprint. Semmai è la scelta del rapporto dell’atleta al momento del lancio. E in questo Franzoi una minima differenza la trova ma, ripetiamo, è una scelta di rapporto da parte dell’atleta e non un limite tecnico.

«Ho visto che Van Aert aveva un monocorona – ha detto Franzoi – ma era bello grande. Credo fosse un 46 se non un 48, in più con Sram aveva a disposizione anche il 10, quindi lo sviluppo metrico c’era. Semmai l’unica postilla è che nel momento in cui parte è un pelo troppo agile e lì ha perso quei due metri fatali».

La seconda considerazione invece la facciamo noi. E ci rifacciamo alle parole di Michele Bartoli quando ci parlò del confronto tra i due fenomeni. Bartoli è stato un vero cecchino. Il toscano aveva detto: «In uno sprint a ranghi ridotti, che di solito parte da velocità più basse, Van der Poel è favorito». E ancora: «Van Aert tatticamente è più forte, più completo, ma se VdP capita nel giorno in cui azzecca la tattica può combinare ogni cosa. Sbaglia tattica nove volte su dieci, ma magari la decima, quella giusta, è al mondiale». Meglio di così…

EDITORIALE / Il ciclismo non ha ricette complicate

06.02.2023
4 min
Salva

Una volta sulla cima di Guzet Neige, nel lontano Tour del 1995 (foto di apertura), chiedemmo a Marco Pantani se non trovasse strano correre e vincere così all’antica, con quegli attacchi da lontano che sembravano giungere da un ciclismo precedente. E Marco, cui certo non mancava una visione di ciò che avrebbe potuto rendere spettacolare questo sport, rispose in modo chiaro.

«Non credo di correre all’antica – disse – forse sono semplicemente troppo moderno».

Negli anni in cui si limavano i secondi in salita e si distribuivano minuti a crono, il ciclismo era più un esercizio di equilibri. Pertanto l’avvento di quello scalatore così… sovversivo ebbe lo stesso effetto che si osserva oggi quando nel gruppo ci sono Van der Poel e Van Aert, Pogacar ed Evenepoel. Nessuno si sognerebbe di fargli la stessa domanda, tutt’altro. Si elogia il ciclismo moderno che in certi giorni manda in malora i calcoli e fa esplodere il gruppo. Pantani faceva lo stesso.

Van Aert e Van der Poel concordi sull’importanza della loro rivalità: per lo sport e per se stessi
Van Aert e Van der Poel concordi sull’importanza della loro rivalità: per lo sport e per se stessi

La meraviglia di Hoogerheide

Non tutti sono capaci e non sempre le imprese sono possibili se non si ha un rivale che le renda necessarie. Il campionato del mondo di ciclocross corso ieri a Hoogerheide ne è stato la prova lampante. E le parole finali del vincitore Van der Poel davanti allo sconfitto Van Aert hanno ottimamente sintetizzato il concetto.

«Sono felicissimo per questa vittoria – ha detto l’olandese – che considero una delle tre più importanti. Incredibile, perché ottenuta a due passi da casa e scaturita al termine di una lotta leale ed appassionante con Wout. Vi assicuro che la nostra è una sana rivalità che fa bene a questo movimento e che ci migliora in modo reciproco. Certo quando si perde brucia, ma se manca uno di noi alla partenza, la gara non ha lo stesso sapore».

Il fatto che Van Aert, seduto accanto, gli abbia dato prontamente ragione fa capire che gli stessi campioni siano consapevoli di quale sia l’ambiente ideale per rendere lo sport davvero appassionante e una vittoria memorabile.

Il Tour del 2020 fu super avvincente per il duello fra Pogacar e Roglic
Il Tour del 2020 fu super avvincente per il duello fra Pogacar e Roglic

Il gioco delle coppie

Gli ingredienti sono sempre gli stessi e una sana rivalità è forse il principale. I monologhi di uno o dell’altro alla lunga stancano, i duelli all’ultimo colpo di pedale infiammano il pubblico. Coppi e Bartali. Gimondi e Merckx. Moser e Saronni. Hinault e Lemond. Bugno e Chiappucci. Cunego e Simoni. Pantani e Indurain, Tonkov oppure Ullrich.

La più grande sfortuna per un campione è non avere qualcuno contro cui lottare per la gloria. E’ stato ben più spettacolare il primo Tour di Pogacar vinto in extremis su Roglic, rispetto al secondo, corso senza veri avversari. Per lo stesso motivo è stato elettrizzante il Tour di Vingegaard, capace di disarcionare lo stesso Pogacar.

La differenza fra questi campioni e tutti gli altri, oltre alla dotazione naturale da cui non si può prescindere, sta nell’aver capito che per vincere bisogna rischiare di perdere. Per questo sono felici quando vincono e non fanno drammi eccessivi quando non ci riescono: se te la giochi a viso aperto, perdere fa parte del gioco. Le formule perfette e tutti i calcoli di questo mondo vanno bene quando ci si allena, poi però bisogna essere capaci di accettare il dolore che viaggia con la fatica, spingendosi sempre più a fondo. E questo a ben vedere è mancato troppo a lungo nel ciclismo degli ultimi anni.

Quintana ha corso i campionati colombiani da isolato: può correre, ma nessuno lo prende
Quintana ha corso i campionati colombiani da isolato: può correre, ma nessuno lo prende

Una grande primavera

Pensare che rivedremo presto Van der Poel e Van Aert contrapposti alla Strade Bianche, poi alla Sanremo e sulle stradine del Nord è già un buon motivo per augurarsi che la primavera arrivi in fretta. Aspettare Pogacar ed Evenepoel al UAE Tour sarà il primo momento per vedere contrapposti due che non si accontentano mai semplicemente di esserci. Il danno degli squadroni che fanno incetta di campioni sta proprio nell’impoverimento del gruppo. Sarebbe stato interessante vedere Evenepoel alla Liegi contro Alaphilippe, invece il francese è stato dirottato sul Fiandre.

Per lo stesso motivo Pantani rifiutò a suo tempo di infilarsi nella Mapei, pagando alla lunga di tasca propria. A ben vedere il mondo non è poi così diverso. Ci sono i campioni. Ci sono le grandi squadre. E c’è chi governa il ciclismo, esercitando il potere come meglio ritiene, spesso senza metterci la faccia. E così, dopo aver azzerato la Gazprom senza offrire una via d’uscita, adesso ha deciso di fermare Quintana e Lopez, facendo però in modo che la scelta ricada sugli altri. I due possono correre, hanno licenza e passaporto biologico. Che colpa ne hanno quelli che governano (e dispensano consigli: richiesti e non) se nessuno vuole più tesserarli? Squalificateli, se ci sono gli elementi, oppure lasciateli in pace. Che colpa avevano se il Tour smise di invitare Pantani, aprendo la strada al nuovo dominatore? Visto come finì la storia, peccato che dalle lezioni del passato non si riesca quasi mai ad imparare.

Van der Poel incendia Hoogerheide. Van Aert si inchina

05.02.2023
5 min
Salva

Con una progressione pazzesca nella volata finale sull’eterno rivale belga Wout Van Aert, l’olandese Mathieu Van der Poel ha vinto in casa il suo quinto titolo iridato, dopo i successi ottenuti nel 2016, 2019, 2020 e 2021.

Epica, pazzesca, appassionante, affascinante, avvolgente, prevedibile ma anche sorprendente… Ci vorrebbero decine di aggettivi per potere descrivere questa corsa, anche se poi alle fine basta solo questo: UNICA!!!

Mathieu e Wout hanno risposto alle numerose aspettative. L’incredibile pressione mediatica non ha destabilizzato questi due fenomeni del ciclismo, anzi se possibile sembra aver dato loro una marcia in più.

Un mare di persone in Olanda per sostenere la squadra di casa, ma non mancavano i tifosi belgi
Un mare di persone in Olanda per sostenere la squadra di casa, ma non mancavano i tifosi belgi

Oltre 40.000 tifosi

Finalmente baciata dal sole, col passare delle ore Hooghereide si è letteralmente trasformata in una vera è propria bolgia. Parliamo di oltre 40.000 spettatori! Una marea di appassionati di tutte le età, perché qui l’amore per il ciclocross è assai più grande di quello per il calcio. Le bici da fango sono nel DNA di questa bellissima gente. Bellissima perché nel ciclocross il tifo va oltre la propria bandiera, oltre il proprio pupillo. Qui si incoraggiano tutti, dal primo all’ultimo senza eccezione. E poi se in giro ci sono fuoriclasse del calibro di Van der Poel e Van Aert, allora si va oltre, si osannano come fossero degli Dei. Lo si capisce al volo che questi signori nell’ambiente sono delle leggende viventi.

Così, in conferenza stampa, alla nostra specifica domanda su che effetto faccia correre in un’atmosfera del genere, il nuovo campione del mondo ha risposto: «Vi confido che è stato molto speciale, questo calore mi ha sicuramente aiutato a mantenere la calma nei momenti chiave della corsa. Mi sentivo rilassato. In questa stagione sono stati battuti diversi record di affluenza e questo è bello, anzi bellissimo».

Van Aert è parso a suo agio, ma ha pagato il cambio di ritmo solo nel finale su un percorso non troppo duro
Van Aert è parso a suo agio, ma ha pagato il cambio di ritmo solo nel finale su un percorso non troppo duro

Insinuazioni sul percorso

Alla vigilia, i bookmaker parlavano chiaro. I super favoriti erano loro: Van Aert e Van der Poel, con il belga leggermente più avanti rispetto all’olandese, in termini di quotazioni. Non solo hanno rispettato le aspettative, ma hanno pure schivato le pressioni mediatiche concentrandosi sul loro copione. Quello di una sfida epica, archiviando pure la polemica nata perché Adrie Van der Poel, papà di Mathieu, avrebbe fatto modificare il percorso per favorire il figlio… A conferma che disgraziatamente le cattive lingue sono veramente ovunque.

Caramelle da condividere

Ma torniamo alla corsa, essendo già prenotati oro e argento, è stato il belga Eli Iserbyt, primo degli umani, a prendersi il bronzo. E dire che proprio ieri dichiarava: «Non mi faccio illusioni, non credo di poter vincere. Ma sarebbe bello anche il bronzo, perché un podio al mondiale è sempre qualcosa di speciale».

Oggi invece in conferenza stampa ha confidato: «Voglio farmi inquadrare la foto di questo podio e metterla nella mia stanza, la faccio firmare da Mathieu e Wout e mi posso pure ritirare», risata generale e applausi, bravo Eli.

Il bello di questi ragazzi è che, malgrado la posta in palio, sono stati disponibili e sorridenti durante tutto il weekend. Volete un aneddoto? Arrivando in sala stampa, hanno candidamente preso qualche caramellina al volo per poi condividerle. Gesto così semplice da essere magico, come abbiamo tutti fatto da piccoli a scuola.

Alle spalle dei due marziani, Van der Haar e Iserbyt si sono giocati il bronzo: l’ha spuntata il belga
Alle spalle dei due marziani, Van der Haar e Iserbyt si sono giocati il bronzo: l’ha spuntata il belga

Van Aert al limite

Pronti via, e sono bastati solo cinque minuti di gara per confermare che ci sarebbero state due corse parallele: quella per la maglia iridata con soli due pretendenti, e quella per il terzo gradino del podio. Fuggito con Wout, l’olandese del team Alpecin-Deceuninck ha aspettato la terza tornata per dare la prima significativa accelerata sulla rampa centrale, ripetendo l’azione nel 7° e 9° giro, ma con pochi risultati. Bisogna credere che fosse destino fare durare la suspence fino all’arrivo, fino a quella salita al 6 per cento. Una rampa micidiale per le gambe perché arrivava proprio dopo la lunga scalinata, già ripetuta per 9 volte.

Wout, sorpreso di rimanere davanti all’ultima curva, confiderà che per un attimo la cosa lo ha distratto. Vdp l’ha sorpassato come un razzo e non ha potuto reagire: «Ero al limite sin dalla partenza – ha detto il belga – ma se potessi cambiare qualcosa, lancerei la volata direttamente dopo l’ultima curva. Ma c’è poco da recriminare, oggi Mathieu era il più forte».

Un olandese e due belgi: Van Aert col muso lungo, Iserbyt invece più soddisfatto
Un olandese e due belgi: Van Aert col muso lungo, Iserbyt invece più soddisfatto

Un duello che fa bene

Van der Poel apprezza e aggiunge: «Chiaro che sono felicissimo per questa vittoria che considero come una delle tre più importanti. Incredibile, perché ottenuta a due passi da casa e scaturita al termine di una lotta leale ed appassionante con Wout. Vi assicuro che la nostra è una sana rivalità che fa bene a questo movimento e che ci migliora in modo reciproco. Certo quando si perde brucia, ma se manca uno di noi alla partenza, la gara non ha lo stesso sapore», ha concluso Vdp.

Il microfono passa nelle mani di un nostro collega per la domanda successiva, ma Van Aert alza la mano per aggiungere: «Concordo in pieno con quello appena detto da Mathieu».

Talento fuori dal comune, rispetto, lealtà, sportività e sano agonismo… Grazie ragazzi non potevamo chiedervi altro. 

Nell’eterno testa a testa, Michele Bartoli fa il giudice

28.01.2023
5 min
Salva

Wout Van Aert e Mathieu Van der Poel. Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert. Il duello storico va avanti. Va avanti anche nel web, dove i due sono messi più a confronto di Pogacar ed Evenepoel. Ma anche noi vogliamo metterli a duello e giudice di questo confronto è niente meno che Michele Bartoli.

Il grande ex campione, ora preparatore, è stato un grandissimo delle classiche e anche un esperto di ciclocross. Ha tutti gli ingredienti per imbastire questa sfida.

Van Aert, classe 1994, belga, corridore in forza alla Jumbo-Visma, 39 vittorie su strada all’attivo. Ottimo cronoman, super “gregario”, forte in salita, fortissimo in volata. E’ alto 190 centimetri per 78 chili.

Van der Poel, classe 1995, olandese, corridore in forza alla Alpecin-Deceuninck, 40 vittorie su strada all’attivo. Scattista eccelso, tiene, anzi distrugge quasi tutti, nelle brevi salite, va forte a crono. E’ alto 184 centimetri per 75 chili.

Michele Bartoli (classe 1970) è oggi preparatore di molti pro’. Eccolo con un giovane Daniel Martinez (foto Instagram)
Michele Bartoli (classe 1970) è oggi preparatore di molti pro’. Eccolo con un giovane Daniel Martinez (foto Instagram)
Michele, Van der Poel e Van Aert, proviamo a fare un’analisi dei due…

Van Aert è un cecchino, Van der Poel spara col bazooka! Van Aert è più completo, quando si muove difficilmente sbaglia. Van der Poel è più imprevedibile, ciò che gli viene in mente fa. E spesso butta via il risultato. Lo abbiamo visto lo scorso anno al Giro d’Italia. Però forse anche per questo piace molto.

Sono due fenomeni, in ogni caso…

Ad oggi ciò che vince Van Aert, Van der Poel non lo può vincere, mentre vale il contrario e questo dipende soprattutto da differenti capacità tattiche, visto che come potenzialità sono lì. Come si fa a dire chi è più forte dei due? Posso però dire che Van Aert dà più affidamento. A me piacciono gli Avengers… Si fa sempre il confronto tra chi sia il supereroe più forte, se Thor o Hulk. Ecco, VdP è uno degli Avengers, Van Aert è uno tra Thor e Hulk.

Con questa metafora hai vinto, Michele! Torniamo al mondo reale. Van Aert dà più affidamento, però in questa stagione del cross tra i due ha dominato Van Aert, ma magari il mondiale lo vince VdP come quale anno fa…

Se VdP indovina la tattica lo fa per fortuna e quando va così può vincere. Il cross poi, anche se non sembra, è una disciplina estremamente tattica, che richiede la gestione di ogni singolo metro di gara molto più della strada: la curva, lo sforzo, l’ostacolo… e in questo Van aert è più preciso. Può capitare quindi che quella volta su dieci che vince VdP possa essere il mondiale.

VdP ha grande tecnica e tende a scendere meno di sella rispetto a Van Aert (comunque un asso anche lui)
VdP ha grande tecnica e tende a scendere meno di sella rispetto a Van Aert (comunque un asso anche lui)
Hai parlato di tattiche un po’ sconsiderate, di fare ciò che gli passa per la mente: per te incide il fatto che l’olandese sia anche un biker? E quindi abbia una mentalità più “free”?

Questo non lo so di preciso, ma ci sta che derivi da lì. Semmai credo sia più una questione caratteriale. Se Mathieu non si diverte, si annoia… E fa quello che poi vediamo.

Invece il Michele Bartoli preparatore che giudizio dà dei due?

Da quello che si vede, Van Aert alla soglia aerobica riesce ad esprimere più qualità: lo si è visto anche al Tour e alle sue prestazioni in salita. Per fare quel che ha fatto un corridore della sua stazza deve avere una soglia aerobica enorme, un motore gigantesco. Mentre Van der Poel ha maggior capacità lattacida. 

Se dovessimo metterli di fronte ai cinque monumenti: chi vedresti favorito?

Immagino dovrei escludere il Lombardia e la Liegi e quindi per Sanremo, Fiandre e Roubaix sono lì.

Mettiamoci anche Liegi e Lombardia, che tra l’altro Van Aert ha detto di voler fare…

Beh, se devo considerare anche queste due allora prendo ancora Van Aert. Ricordo la Tirreno 2021 quando volle tenere duro dietro a Pogacar in salita. Pensavo: «Ma questo è pazzo, che tiene a fare?». Invece aveva ragione, perché per poco non vinse la generale. Pertanto se tiene in quelle tappe mi dà più garanzie per Liegi e Lombardia. Van der Poel invece con la sua esplosività lo vedo un pelo meglio in ottica Sanremo. Chiaro, parliamo sempre di gare di un giorno in cui tutto può succedere.

A crono?

Ritorno al discorso del motore. Van Aert è fortissimo. Nelle crono lunghe non c’è storia, mentre in un prologo o in una crono corta Van der Poel può essere anche avvantaggiato. Però nelle crono lunghe, specie in quelle dei grandi Giri, Van Aert è inavvicinabile.

E in volata, Michele?

Nel testa a testa secco forse è meglio Van der Poel, più che altro perché nelle volate a ranghi ristretti in cui in teoria lo sprint parte da velocità più basse l’olandese può sfruttare la sua potenza e la sua esplosività. Mentre in una volata di gruppo, in cui si arriva a velocità più alte, è avvantaggiato Van Aert.

Guardiamo il loro calendario tra ciclocross e strada, cosa ti aspetti anche in ottica futura?

Mi stupisce che abbiano tanta continuità nel fare la doppia attività e nel farla a quel livello. E’ di una difficoltà enorme, credetemi. Però la gestiscono bene. Gestiscono con attenzione i loro calendari, anche perché i risultati che raccolgono parlano chiaro. E riescono sempre ad avere le forze necessarie. Magari arriverà il momento che non faranno più le due discipline, però è anche vero che non sono più due ragazzini. Hanno trovato il loro equilibrio, almeno fisico. Perché io lo dico sempre ai miei atleti: «Se sei stanco, con una buona cena e una bella dormita, la mattina dopo recuperi fisicamente, ma mentalmente?». Se fai troppa attività rischi che alla lunga ti passa la voglia.

Pontoni, come te la saresti giocata con i 3 Tenori?

11.01.2023
4 min
Salva

Le imprese di Van Aert sono ancora davanti ai nostri occhi, il suo fine settimana è stato esaltante al punto da rendere “umano” anche un altro gigante come Van Der Poel. Guardando l’ennesima sfida fra due dei padroni del ciclocross (senza dimenticare l’illustre assente Tom Pidcock) ci sono tornate alla mente immagini lontane, quelle delle imprese di Daniele Pontoni, ultimo azzurro campione del mondo (in apertura, immagine Wikipedia: mondiali dilettanti 1992 vinti dall’azzurro a Leeds, che poi si impose fra gli elite nel 1997 a Monaco). Quando il cittì correva, sul finire del secolo scorso, era sicuramente un altro ciclocross, ma che avrebbe fatto il friulano al cospetto di simili fuoriclasse?

Fare i paragoni fra epoche diverse è sempre impresa molto ardua, eppure questo piccolo gioco dialettico può anche fornire interessanti riferimenti su come affrontare i 3 Tenori senza sentirsi battuti in partenza come troppo spesso accade anche agli altri “mammasantissima” dell’attività sui prati.

Van Aert sulla sabbia, un terreno che a Pontoni è sempre risultato indigesto
Van Aert sulla sabbia, un terreno che a Pontoni è sempre risultato indigesto

Pontoni si presta volentieri al gioco, sottolineando comunque come tante cose siano cambiate nel corso del tempo: «Non prendo neanche in considerazione l’attrezzatura, mi limito a osservare come siano cambiati profondamente i percorsi rispetto ad allora. Una cosa va innanzitutto sottolineata: sul piano della forza non potrei minimamente competere con simili campioni. Quindi cercherei di giocare le mie carte puntando sui loro punti deboli, che sono sicuramente pochi».

Dove avresti avuto possibilità?

Sicuramente non sui percorsi sabbiosi che non ho mai digerito, proprio perché diventano questione fisica e io non avevo certamente la potenza dalla mia. A me piacevano molto i percorsi impegnativi e tecnici, quelli come Gavere dove infatti ho vinto due volte. Su simili percorsi sarei andato in gara con profondo rispetto per gli avversari ma senza paura, consapevole di poter fare la mia figura. A Zonhoven, teatro dell’ultima prova di Coppa, sarei partito già battuto.

Secondo il cittì azzurro Mathieu Van Der Poel paga una certa debolezza mentale
Secondo il cittì azzurro Mathieu Van Der Poel paga una certa debolezza mentale
Quali erano i percorsi dove ti trovavi meglio?

Quelli dove si “lavorava” di più, quelli cittadini da interpretare, anche i tracciati con fango e neve mi sono sempre piaciuti. Bisogna anche tenere in considerazione un altro aspetto: fossi nato in quest’epoca, avrei cambiato completamente tipologia di allenamento, anche questo va tenuto in considerazione.

Parlando di Van Der Poel, tu comunque hai affrontato tante volte suo padre. Che differenze ci sono?

Mathieu ha più potenza e classe, ma Adrie dalla sua aveva una caparbietà senza pari, non mollava mai. Invece ho l’impressione che il figlio viaggi a pieno ritmo finché le cose vanno bene, ma quando compaiono le avversità abbia la tendenza a cedere, innanzitutto mentalmente. Per me suo padre è stato un’ispirazione, mi ha aiutato nelle mie prime volte in Belgio e Olanda e poi è stato un fiero avversario, mi ha insegnato a non lasciarmi mai andare.

Tante le battaglie con Adrie Van Der Poel. L’olandese vinse il mondiale ’96 battendo proprio il friulano (foto Cor Vos)
Tante le battaglie con Adrie Van Der Poel. L’olandese vinse il mondiale ’96 battendo proprio il friulano (foto Cor Vos)
Non abbiamo finora parlato di Pidcock…

Devo dire che il britannico è forse quello più simile a me. In certe cose mi ci rivedo e proprio per questa caratteristica sarebbe stato il più difficile da affrontare per me, perché non avrei saputo come prenderlo. La differenza principale con lui è che è molto dedito allo spettacolo, io ero più concreto. Non m’interessava molto l’aspetto esibizionistico, pensavo a portare a casa il massimo risultato con il minimo sforzo.

In base a quel che hai visto a Zonhoven, c’è davvero una forte differenza a favore di Van Aert in questo momento?

I risultati parlano chiaro. Da quel che si è visto a Zonhoven, c’è davvero una grande differenza: Van Aert ha dimostrato di essere ampiamente sopra tutti. Quando i distacchi sono così pesanti non puoi accampare scuse, ma questo non significa che il mondiale lo abbia già vinto. Si corre a Hoogerheide, percorso completamente diverso e soprattutto si corre in casa di Van Der Poel. Il pubblico influisce molto, può dare una carica ulteriore al campione olandese. E’ tutto da giocare.

Pidcock è quello che più assomiglia a Pontoni, fisicamente e anche tecnicamente
Pidcock è quello che più assomiglia a Pontoni, fisicamente e anche tecnicamente
E in casa italiana? Gli ultimi risultati non sono stati forse all’altezza delle aspettative, sei sempre ottimista?

Per le categorie dove potremo accampare possibilità di podio sì, devo esserlo soprattutto con l’avvicinarsi dell’evento. Ribadisco, Zonhoven era un percorso completamente diverso da quello che troveremo nella corsa iridata. Io continuo ad avere buone sensazioni, dobbiamo però continuare a lavorare sodo.

Van der Poel cade, Van Aert attacca, Zonhoven esplode

08.01.2023
5 min
Salva

Un battito di ciglia e Van der Poel è per terra. Il momento è quello in cui invece ha deciso di prendere l’iniziativa. C’è quella dannata discesa sabbiosa in cui nel giro precedente Van Aert lo ha fatto dannare. Così Mathieu si è messo in testa di prenderla davanti per fare la sua linea. L’operazione funziona, almeno così sembra. Quel tratto è ormai alle spalle, Mathieu si ritrova in testa alla Coppa del mondo di Zonhoven.

L’attacco di Van der Poel ha dato l’esito sperato: la discesa più insidiosa è stata neutralizzata
L’attacco di Van der Poel ha dato l’esito sperato: la discesa più insidiosa è stata neutralizzata

L’errore fatale

Invece, come Pidcock qualche settimana prima a Baal, all’olandese si gira la ruota anteriore, che poi si impunta. Non può far altro che cadere (immagine UCI in apertura). La bici lo spara verso la piccola scarpata, mentre alle sue spalle Van Aert ha una freddezza da numero uno.

Mette piede a terra, gli gira intorno e poi riparte. Se quello del giro precedente era stato un attacco per sondare il terreno, questa volta Wout sa di doverne approfittare. Non ne avrebbe avuto bisogno, probabilmente: il suo colpo di pedale pareva già superiore. Ma non si può mai sapere e così fila via. L’altro dietro sarà sicuramente scosso. Si tratta della terza caduta, in più c’è il dolore alla schiena che si è riaffacciato, gli ha impedito ieri di correre a Gullegem e adesso si agita come uno spettro.

I due da domani lavoreranno in Spagna con l’obiettivo del mondiale di inizio febbraio. Ognuno di loro sa esattamente cosa fare per arrivarci al top, tenendo conto che di lì a tre settimane si ritroveranno per le prime sfide sul pavé.

La resa di Mathieu

Un paio di secondi nella gara di un’ora, come quel paio di secondi che fecero capire a Pantani che Tonkov fosse maturo. Spesso anche gli eventi più grandi sono determinati da una scintilla, all’interno della quale sta il racconto più grande.

Van Aert si ritrova presto da solo, in questo anfiteatro pazzesco che ha richiamato all’aperto una folla da stadio. Forse il colpo d’occhio sarebbe stato così anche ieri a Gullegem, ma la pioggia li aveva persuasi a restarsene a bere birra nei maxi tendoni. Oggi sono tutti fuori, richiamati dal duello fra i due giganti, che però questa volta ha un padrone e uno sconfitto.

«E’ un po’ strano dire che è una gara molto deludente quando arrivi secondo – dice Van der Poel – ma penso che tutti abbiano visto che al momento non sono al mio livello normale. Questo è molto frustrante. Da una parte ci sono i miei problemi alla schiena, dall’altra c’è che Wout è molto forte, non mi sognerei mai di sminuire la sua prestazione. Ho bisogno di più forza per essere al suo livello. Domani parto per uno stage in Spagna e forse è proprio il momento giusto per riprendermi e lavorare su questa schiena. Il pubblico è stato meraviglioso, ma non è stato bello essere incoraggiato nella sconfitta».

La diplomazia di Wout

In Spagna domattina volerà anche Van Aert, come ci ha già raccontato ieri. Fra i due ci sono agonismo e rispetto, anche nelle dichiarazioni. La superiorità del belga è stata palese, ma dalle sue parole emerge altro. E se l’acclamazione del pubblico è stata in qualche modo frustrante per Van der Poel, Wout se l’è proprio goduta, salutando la folla a mezzo giro dalla fine, quando si è reso conto di aver ormai la vittoria in tasca.

«Questo è l’unico cross del calendario – dice il campione belga – in cui hai un vero contatto con il pubblico. Capisci dalle loro urla se in un altro punto del percorso sta succedendo qualcosa. E se fai un bel numero, le voci esplodono. E’ un bel percorso, di quelli in cui si può provare piacere anche nel pieno della sofferenza e oggi nonostante tutto, ero stanco.

«Avevo la sensazione di poter tenere un ritmo elevato, ma dopo tante gare consecutive, non avevo il cambio di ritmo giusto. Ho cercato di approfittare degli errori commessi da Mathieu, perché è stato un giorno difficile per tutti. Nella seconda metà di gara si è visto che ciascuno cercava di prendere il suo ritmo. Ora ho bisogno di recuperare. Da domani mi allenerò anche io con la squadra in Spagna. Ho bisogno di chilometri al sole».

Il Natale dei tre tenori. E’ stato spettacolo puro

27.12.2022
6 min
Salva

Il ciclocross sta vivendo giorni magici. Durante le festività natalizie, quando quasi tutto lo sport si ferma salvo poche discipline invernali e in attesa della ripresa di quasi tutti i campionati calcistici dopo la sbornia mondiale, l’attività sui prati è diventata l’evento sportivo di punta, grazie alle ripetute sfide fra i 3 tenori. Come ci si aspettava, il loro ingresso nel panorama internazionale ha cambiato del tutto le gerarchie: Van Der Poel, Van Aert e Pidcock fanno gara a sé (salvo rari casi come a Vermiglio) elevando al massimo l’aspetto tecnico ma anche l’incertezza su ogni prova.

A Gavere Van Der Poel ha stroncato Van Aert nel penultimo giro
A Gavere Van Der Poel ha stroncato Van Aert nel penultimo giro

Van der Poel-Van Aert, per ora 2-2

La particolarità delle sfide di quest’anno è che sono sempre incerte, non c’è una netta supremazia. Lo scorso anno ad esempio, complici i problemi alla schiena di Van Der Poel, Van Aert aveva fatto il bello e il cattivo tempo e la sua assenza ai mondiali aveva di fatto spianato la strada a Pidcock verso la maglia iridata. Quest’anno invece gli esiti sono impronosticabili: ad Anversa (Coppa del mondo), VDP aveva messo in fila tutti, a Mol (Exact Cross) Van Aert si è preso la sua rivincita, a Gavere (ancora Coppa), nuovo successo per l’olandese. Oggi a Zolder gara epica per il Superprestige, con i due Van che se le sono date di santa ragione.

La sfida di Zolder (una delle classiche più ambite nel ciclocross) ha visto i due fare la differenza fin dal primo giro e poi giocare di fine strategia: Van Der Poel provava spesso in discesa, ma Van Aert ha mostrato nel complesso una guida più pulita. Nell’ultima decisiva tornata l’olandese ha provato a stroncare l’avversario, ma quand’era nel massimo sforzo ha sbagliato ad affrontare l’ultima salita, permettendo a Van Aert di ritornargli sotto. VDP lo ha lasciato davanti per lanciare la volata, ma nel momento in cui doveva rispondere gli è saltato il pedale destro e la corsa si è chiusa col successo del padrone di casa.

24 ore dopo il belga si è preso la rivincita anche grazie a qualche errore di VDP
24 ore dopo il belga si è preso la rivincita anche grazie a qualche errore di VDP

VDP: il problema della tenuta

Dietro queste continue sfide si consuma un profondo confronto tecnico, ma anche psicologico, retaggio ma anche anticipo di quel che sarà la stagione su strada. La vittoria di Van Aert a Mol, ad esempio, aveva profondamente scosso Van Der Poel anche per com’era arrivata, con il belga in fuga dalle battute iniziali e gli altri due protagonisti a inseguirlo, cercando anche di aiutarsi, senza successo.

«Non so davvero come spiegarmi questa differenza di rendimento – aveva raccontato subito dopo la gara – spero di avere gambe migliori per offrire più resistenza, altrimenti sarò sempre dietro a Van Aert».

A Gavere, nella giornata di Santo Stefano, le cose sono andate diversamente perché il campione della Jumbo Visma non è riuscito a fare la differenza nella prima parte, così al quinto dei sei giri previsti Van Der Poel ha portato la sua offensiva andando a vincere con 27” sul belga e 54” su Pidcock. A differenza del rivale, però, Van Aert ha guardato il tutto dalla parte del bicchiere mezzo pieno: «Per me è un risultato che vale perché la percezione che avevo era che stavo commettendo molti errori, invece ero in linea con gli altri e aver perso di pochi secondi mi soddisfa».

Per Pidcock buoni risultati, ma deve migliorare nella fase di lancio
Per Pidcock buoni risultati, ma deve migliorare nella fase di lancio

Pidcock e le partenze rallentate

A dimostrazione che la realtà dipende sempre da che prospettiva si guarda, le dichiarazioni di Pidcock sono state ben diverse, a dispetto del fatto che era comunque in contatto con i rivali.

«Ho avuto per tutta la gara una strana sensazione di pesantezza, come se stessi portando una macchina sulle spalle. Non direi fosse colpa del mezzo meccanico, erano le gambe che erano a terra».

E considerando che comunque è stato l’unico a rimanere a contatto degli altri due “mostri”, significa che la differenza fra i tre è minima.

Questo sempre se Tom riesce a partire forte: si è visto anche a Zolder (percorso con i suoi lunghi rettilinei non molto favorevole alle sue caratteristiche fisiche), la gara del Superprestige dove il britannico è partito troppo piano pur essendo in prima fila, è rimasto intruppato nel gruppo e quando ha completato la rimonta sugli altri, i due erano ormai troppo lontani.

Van Aert vincitore a Mol, primo successo stagionale sul rivale olandese
Van Aert vincitore a Mol, primo successo stagionale sul rivale olandese

Ogni volta due corse in una

D’altronde ci sono anche altri fattori che fanno pensare come il campione del mondo fosse davvero vicino ai rivali “più anziani”. A Mol ad esempio Pidcock aveva provato a far saltare il banco con un attacco da lontano, costringendo di fatto i due rivali a inseguire dandosi obtorto collo un aiuto per ricucire lo strappo e solo per questo ci erano riusciti, con Van Aert che alla fine portò l’affondo decisivo. Pidcock resta comunque all’altezza degli altri due, unico altro ammesso nell’olimpo.

Prendiamo Gavere: abbiamo detto dei distacchi contenuti di Van Aert e Pidcock nei confronti di Van Der Poel, ma per vedere l’arrivo degli altri c’è stato da attendere molto di più. Finora le gare con tutti i tre tenori presenti hanno visto il podio monopolizzato, salvo nel caso di Anversa quando Pidcock finì ottavo e di Zolder dove Van Der Haar è riuscito a precedere il britannico. La sensazione è che ormai le gare abbiamo sempre due facce: c’è chi lotta per la vittoria parziale e chi compete per le classifiche dei circuiti. In Coppa ad esempio Sweeck e Vanthourenhout si contendono il trofeo di cristallo a suon di punti, lo stesso avviene nel Superprestige fra lo stesso Sweeck e Van Der Haar.

Il podio di Gavere con i tre tenori racchiusi nello spazio di un minuto
Il podio di Gavere con i tre tenori racchiusi nello spazio di un minuto

Due parole (buone) su Iserbyt

Iserbyt da parte sua sconta una stagione sfortunata, nella quale al momento dell’ingresso in campo dei grandi, ha scontato l’ennesimo dei brutti infortuni che sembrano contraddistinguere la sua carriera. Quando vinceva e lottava con gli altri, molti lo criticavano sui social. Nessuno però ha levato una parola sul fatto che Iserbyt sta provando a rimanere nel giro, a competere per la vittoria nelle challenge pur a fronte di un fisico che mostra la corda (oggi 11° a 1’58” da Van Aert), tanto è vero che fa fatica addirittura a camminare, eppure continua a pedalare e non proprio piano…

Re Vanthourenhout. VdP e la Val di Sole: gelo reciproco

17.12.2022
6 min
Salva

Tutti aspettavano Van der Poel, ma lui “non c’è”. Mathieu gela così la Val di Sole. E forse anche la Val di Sole ha gelato lui. A Vermiglio vince, anzi domina, Michael Vanthourenhout. Bello, potente, con la gamba sempre in spinta.

Nonostante non ci fossero la categorie giovanili, che tanto “riempiono” le piste di cross, la cornice di pubblico è stata calorosa e folta. Il tifo si è fatto sentire. E se la maggior parte del pubblico era qui per Mathieu, e per la sua annunciata vittoria, è stato bello vederlo girare. 

Costanza Vanthourenhout 

VdP partiva in seconda fila e ci poteva stare che non fosse subito in testa, ma dopo due giri le campane d’allarme hanno iniziato a suonare. Davanti Vanthourenhout inanellava giri veloci: 7’30”, 7’15”… fino a 7’03”. 

Il corridore della Pauwels Sauzen – Bingoal tutto sommato aveva un conto aperto. Lo scorso anno era stato secondo. E solo quel fenomeno di Van Aert lo aveva battuto. Non ha ceduto per nulla al mondo.

«Rispetto all’anno scorso – ha detto a fine gara il campione europeo – il percorso era più tecnico e anche più duro. E questa durezza era dovuta al fondo più ghiacciato. C’era meno neve, ma la vera differenza è stata nel non commettere errori nelle fasi di guida più concitate»

E infatti Michael ha fatto la differenza con la sua costanza. Prestazione tanta, okay, ma mentre gli altri sbagliavano lui filava via come fosse sull’asfalto. E poi la costanza è da sempre un suo cavallo di battaglia.

Applausi e silenzio

Rispetto a quanto detto alla vigilia, Van der Poel una cosa l’ha azzeccata e una l’ha sbagliata. Aveva avuto l’occhio lungo ad individuare in Vanthourenhout l’uomo più pericoloso, ma aveva molto probabilmente sbagliato quando ci aveva detto che il freddo non avrebbe influito.

Dopo l’arrivo tira dritto. L’organizzazione vorrebbe deviarlo in zona mista per le interviste, ma in quei metri dopo il traguardo, in cui si lascia scorrere la bici, il suo team manager gli indica di tirare dritto. Mathieu si fa spazio tra la folla, che comunque lo applaude, ma cade in un silenzio assordante.

E neanche i tentativi successivi con l’addetto stampa cambiano le cose. Van der Poel voleva vincere, non ci è riuscito e si è arrabbiato. Ci sta.

Il freddo batte VdP

E per un VdP che si chiude nel silenzio, c’è l’occhio più fino presente in Val di Sole a chiarire le cose: Martino Fruet, oggi commentatore tecnico dell’evento e ieri in pista a girare. E una tornata l’aveva fatta proprio con il fuoriclasse della Alpecin-Deceuninck.

Ci si chiede se forse oggi il percorso più veloce non abbia limitato la sua potenza. Ieri le rampe le faceva solo lui in bici. Oggi le facevano tutti.

«In effetti – dice Fruet – la potenza contava più ieri e lo stesso la tecnica. Ieri era una guida simile alla sabbia: velocità e pedalate più basse. In pratica era come SFR continua. Lui anche oggi spingeva duro, ma sembrava imbastito.

«Per me semmai ciò che ha pagato oggi è stato il freddo. Veniva dalla Spagna e lo sbalzo climatico si è fatto sentire. Ieri alla fine si era, seppur di poco, sopra lo zero. Era umido, ma non si gelava (ha anche girato senza guanti, che oggi invece aveva, ndr). E comunque non doveva spingere a tutta». 

«Di una cosa sono certo: se la gara fosse stata ieri sarebbe stato tutto diverso. Ieri quando Mathieu accelerava non aveva bisogno di arrivare 100 pedalate al minuto come oggi. Doveva spingere e poi pensare di stare in piedi, perché la bici andava a destra e sinistra. Sono stato alla sua ruota e non si teneva, quando apriva il gas. Oggi non aveva queste condizioni».

Nei primi giri, Van der Poel ha provato a rientrare. Si vedeva dall’impegno, dallo sforzo sul viso. Però perdeva sempre una decina di secondi. Poi quando ha capito che non poteva più vincere, “ha mollato”. A lui fare “esimo” non serve… O vince, o ciao!

Nicolas Samparisi e Filippo Fontana sono stati i migliori degli azzurri, rispettivamente 14° e 15°
Nicolas Samparisi e Filippo Fontana sono stati i migliori degli azzurri, rispettivamente 14° e 15°

Quei watt mancanti

E sempre secondo Fruet non tiene la scusa che VdP non avesse il ritmo gara.

«Non sono convinto – ribatte Fruet – Bisognerebbe vedere cosa ha fatto in queste due settimane. Se pensiamo a come ha vinto ad Anversa, prima del ritiro in Spagna, non gli mancava nulla. Accelerava forte, guidava bene… ed era di un altro pianeta. Con quelle due sgasate ha fatto il vuoto… e c’era Van Aert! 

«Ohi, poi tutte queste sono ipotesi. Magari domattina ha 40 febbre e siamo qui a parlare al vento. Ma ieri, ripeto, avrebbe vinto con tre minuti, non che li avrebbe presi come oggi. Non aveva la sua gamba, non faceva i suoi 1.000 watt. Per me gliene mancavano 300».

Un urlo strozzato dunque in Val di Sole? Forse, ma lo spettacolo non è mancato. E anche mentre scriviamo e i gatti stanno ripulendo il tracciato che da domani tornerà ad essere una pista da fondo, la festa va avanti. Si canta, si balla e si aspetta l’edizione 2023.

Le bici di Van der Poel e Puck Pieterse per Vermiglio

17.12.2022
5 min
Salva

Due Canyon Inflite CF SLX, quelle di Puck Pieterse e di Van der Poel pronte per la neve di Vermiglio in Val di Sole, settate in modo differente. Ruote da 50 per il campione olandese, da 36 per la campionessa del mondo in carica.

Entriamo nel dettaglio delle biciclette. Abbiamo chiesto direttamente al papà delle Pieterse, che opera in qualità di meccanico all’interno dello staff Alpecin-Deceuninck anche di spiegarci alcune scelte tecniche.

Parola al signor Pieterse

«In un contesto come questo, la differenza la possono fare le gomme e le loro pressioni, così come l’abilità di guida e la capacità di domare la bicicletta in alcuni frangenti. Puck proverà alcuni settaggi, ma la decisione verrà presa a ridosso della gara, in modo da valutare la consistenza della neve e del terreno sottostante. A prescindere dal modello, la pressione che adotteremo sarà intorno a 1,2/1,3 bar. Abbiamo un set di ruote pronto con gomme da fango e uno pronto con i tubolari da asciutto, una sorta di multipuntinato. Non sono state fatte variazioni sugli altri componenti, rispetto ad una gara classica».

Guarnitura da uomo

Quello che più colpisce è la rapportatura anteriore, con una doppia corona 46-39 (con il power meter incluso e pedivelle da 170). 11-34 invece per la cassetta posteriore. Il pacchetto è Shimano Dura Ace a 12v, ma con le ruote per i tubolari, sempre Dura Ace, ma da 36 e della versione più anziana.

«La combinazione delle corone anteriori è la stessa utilizzata dagli uomini, perché Puck è fortissima e potente. Sopporta uno sviluppo metrico importante e non è per tutti, ma questa è la soluzione che offre attualmente il sistema a 12 velocità. Per avere più di margine, Puck preferisce utilizzare i pignoni 11-34 posteriori».

Ci sono i tubolari Dugast, con sezione da 32 per la versione più artigliata, da 33 in quella più scorrevole e multipuntinata. C’è il manubrio integrato in carbonio, classico canyon e c’è la sella di Selle Italia X-LR, molto stretta e con foro centrale. Il reggisella è un tradizionale Canyon in carbonio con arretramento.

La bici rossa di Van der Poel

In questo 2022, Van der Poel usa una Inflite CF SLX tutta rossa, anche se non è molto chiaro se il suo parco includa anche un nuovo modello, ancora coperto da segreto. Limitiamoci ad argomentare quello che abbiamo visto a Vermiglio.

Rispetto alla Canyon Inflite CF SLX della Pieterse, Van der Poel non usa il power meter e normalmente non lo impiega sulla bici da cx. Usa delle pedivelle da 172,5. I rapporti anteriori sono uguali a quelli della Pieterse, mentre i posteriori hanno una scala 11-30. Il cockpit è il medesimo, mentre cambia la sella. Mathieu usa una Selle Italia Flite Boost Superflow kit carbonio personalizzata per lui.

Cambia completamente il comparto ruote e gomme. Per l’olandese un paio di Shimano Dura-Ace da 50 (tubolare) di ultima generazione e gomme Dugast Typhoon da 33 con tassellatura media, non da fango e non per i terreni secchi.

«Di sicuro correre sulla neve è particolare – dice Van der Poel – ma il setting della bicicletta non cambierà rispetto ad una gara tradizionale. Potremo fare solo alcune piccole variazioni in merito alle pressioni delle gomme, pur mantenendo le ruote con il profilo da 50».