L’Ora di Bussi, per abbattere i 50 chilometri e i pregiudizi

27.07.2023
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FIORENZUOLA – Ad oggi l’unica certezza è che Vittoria Bussi si sta preparando forte per il suo secondo assalto al record dell’Ora femminile. Un appuntamento che vuole significare qualcosa in più del mero sforzo fisico o della relativa campagna di crowdfunding. La prima volta ce l’aveva fatta ad Aguascalientes il 13 settembre del 2018 al terzo tentativo facendo registrare 48,007 chilometri.

Da allora la nuova misura da battere è diventata quella di Ellen Van Dijk della Lidl-Trek – attualmente ai box per la maternità – che a maggio 2022 a Grenchen aveva fermato la distanza a 49,254 chilometri. Cinque anni fa Bussi era stata la seconda italiana della storia, dopo la pionieristica Mary Cressari, a centrare questo primato. Adesso però la 36enne romana vuole alzare l’asticella e possibilmente sdoganare qualche pregiudizio sulla specialità femminile. Avvicinare o meglio ancora superare la soglia dei 50 chilometri è l’intenzione principale, considerando tutto quello che c’è dietro ad un’atleta piuttosto anacronistica. E’ per questo motivo che una chiacchierata con Vittoria non è mai banale.

Per quattro volte Bussi è salita sul podio agli italiani a crono. Quest’anno ha disputato la prova senza una preparazione specifica
Per quattro volte Bussi è salita sul podio agli italiani a crono. Quest’anno ha disputato la prova senza una preparazione specifica
Una buona prestazione nella crono tricolore su strada, poi seconda nell’inseguimento individuale agli italiani in pista. Queste corse facevano parte dell’avvicinamento al record dell’Ora?

No, per una serie di ragioni. Il mio staff ed io a giugno saremmo dovuti essere in un altro posto in un altro continente per fare delle prove per il record in un impianto candidato e molto interessante. Purtroppo quella trasferta è saltata per lavori sulla pista e così all’ultimo momento abbiamo rimontato la bici da crono facendo qualche lavoro specifico. In pista ci passo molto tempo, ma anche l’inseguimento individuale lo avevo accantonato. A quel punto il mio allenatore ha ritenuto che dovessi fare entrambe queste prove. Il percorso della crono non era adatto alle mie caratteristiche e l’inseguimento non l’avevamo preparato. Tuttavia io non gareggiando mai, dovevo correre per vivere più l’adrenalina di gara che altro. Arrivare al record senza nessuna gara poteva essere pesante a livello mentale.

La crono aveva una durata che potrebbe tornarti utile…

Sì certo. Era una prova lunga quasi 26 chilometri con un dislivello di 400 metri, ma soprattutto erano quaranta minuti di sforzo psicofisico intenso. Solitamente faccio allenamenti molto duri in un velodromo, lontana dalle distrazioni e restando concentrata sull’obiettivo. Quaranta minuti a crono però volano rispetto a girare in pista. Su strada mantieni sempre alto il livello dell’attenzione. Ci sono rotonde, curve, discese, salite. In un velodromo invece c’è il rischio che la noia prenda il sopravvento.

Agli ultimi tricolori in pista, Bussi ha conquistato l’argento nell’inseguimento individuale dietro Paternoster e davanti ad Alzini (foto fiorenzuolatrack)
Agli ultimi tricolori in pista, Bussi ha conquistato l’argento nell’inseguimento individuale dietro Paternoster e davanti ad Alzini (foto fiorenzuolatrack)
C’è un modo per combattere quella noia?

Diciamo di sì. Programmo dei lavori a bassa intensità per abituarmi alla concentrazione. Non bisogna avere paura della noia in pista. Bisogna farci amicizia ed imparare ad usarla. Prendo quei sessanta minuti come tempo per me, visto che la vita di adesso è sempre frenetica. Dipende dalla giornata ma penso sempre a tante cose, ad esempio cosa mangiare a cena o il programma del weekend (sorride, ndr).

Ed i dati non vuoi saperli mentre giri?

I valori sono importanti, ma il computerino ho imparato a non guardarlo perché contano altre cose. Quell’allenamento è un atto ad ascoltare il proprio corpo. Il record dell’Ora è una specialità a sé, non paragonabile ad una crono o un inseguimento. So che forse è un po’ utopistico, ma sarebbe bello vederla inserita ogni tanto in qualche manifestazione importante. Magari ad un campionato italiano dare possibilità ad un uomo e ad una donna di misurarsi con l’Ora, anche se è una prova che deve essere preparata tantissimo.

E tu come stai procedendo con i tuoi programmi?

Mi sto allenando tanto. Ho iniziato la preparazione ad inizio anno ad Aguascalientes, in Messico. Mentre la prima volta ho fatto il record dell’Ora perché volevo farlo, stavolta la faccio per portarmi al limite. Mi piace superarlo. Potrebbe essere un modo per chiudere la mia carriera dicendo: «Ho fatto davvero tutto quello che potevo fare». Voglio sorprendermi.

Quando e dove lo farai questo tentativo?

Non possiamo dire nulla sulla data così come sul posto. Ci sono continue novità. Fra poco saprete tutto, ma posso dirvi che ho valutato varie cose tra cui il farlo in altura piuttosto che a livello del mare. Ho fatto tanti test. A giugno vi dicevo che ho avuto alcuni intoppi per le trasferte nei velodromi. Purtroppo contano ancora i nomi ed io, non avendo gareggiato tanto, non ho la fama necessaria che ti permette di essere accettata anche solo per fare allenamenti in questi velodromi. Ho fatto tante domande e ho ricevuto tante risposte negative. Però non ho mai mollato o demorso.

Perché Vittoria Bussi vuole riprovare a battere il record dell’Ora?

E’ una prova inusuale per il ciclismo femminile, però attraverso il mio tentativo vorrei raccontare una storia, a prescindere che io riesca o meno a batterlo. La storia di una donna che viaggia un po’ a rilento rispetto agli uomini. Una donna che non ha un nome, ma che vuole fare qualcosa di grande portando un messaggio. Ovvero, ognuno di noi se si impunta può fare qualcosa di importante. Sono fuori dal grande ciclismo, dove i team maschili e femminili arrivano con grandi bus. Vorrei tornare appena indietro, a quel ciclismo essenziale dove bastano una bici, buone gambe, sacrificio e organizzazione per realizzare imprese. Sono romana e, scusate, ma mi piace farmi il mazzo (sorride, ndr). Sono sempre stata abituata così.

Bussi in pista si concentra, combatte la noia e si prepara ad andare oltre i propri limiti (foto Edoardo Frezet)
Bussi in pista si concentra, combatte la noia e si prepara ad andare oltre i propri limiti (foto Edoardo Frezet)
Da una Vittoria all’altra. Tra le stradiste, secondo te Guazzini potrebbe essere l’equivalente di Ganna nel femminile?

Il record dell’Ora è massacrante, lo abbiamo visto proprio con Filippo. Negli uomini però molti cronoman ci hanno provato e vorrei che anche tante ragazze che fanno doppia attività potessero farlo. Magari lei, e non solo, potrebbe riuscirci. Ovvio che devi avere il supporto del proprio team altrimenti direi di non farlo perché lo sto vivendo sulla mia pelle. Io non ho una squadra e ho passato molto tempo a fare test aerodinamici o lavorare sullo sviluppo dei materiali. Ho dovuto studiare tante cose o fare tanti calcoli alla scrivania sfruttando anche il mio dottorato in matematica pura. Ganna è un fenomeno però ha avuto il supporto della squadra e di Bigham che aveva fatto tanti test, oltre che il record prima di lui. Per me era impossibile preparare a dovere un tricolore a crono, un inseguimento individuale ed un record dell’Ora. Mi mancava il tempo perché ho seguito personalmente tutta la burocrazia che c’è dietro. Ma questo lo sapevo già e per me rende tutto più stimolante per centrare il bersaglio.

La storia di Mary Cressari: quell’Ora da cui nacque tutto

12.12.2022
5 min
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«Tempo fa partecipavo a un dibattito. A un certo punto un giornalista specializzato disse che il ciclismo femminile in Italia è nato negli anni Ottanta. Non ci ho visto più: “E allora, caro il mio signore, il record dell’Ora del 1972 chi lo ha stabilito?”. E’ diventato di tutti i colori». Parole di Mary Cressari, che a 78 anni non ha perso neanche una briciola della sua verve, di quel carattere spumeggiante che la portò a emergere nel ciclismo a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta.

La Cressari è stata per lungo tempo l’unica italiana capace di stabilire il record dell’Ora (poi ci è riuscita Vittoria Bussi), quello che ora, in campo maschile arricchisce il palmares di Filippo Ganna. La conquista di quel record fu un’autentica avventura e a cinquant’anni di distanza molti si sono ricordati di questa ricorrenza. Mary si sottopone di buon grado, ogni volta, ad aprire lo scrigno dei ricordi, ma ogni volta compare sempre qualche spunto diverso, importante.

La Cressari vanta 4 titoli italiani su strada dal 1964 al 1973, più due nell’inseguimento
La Cressari vanta 4 titoli italiani su strada dal 1964 al 1973, più due nell’inseguimento

«Chi ci mette i soldi?»

La storia di quel record nasce da prospettive ben diverse: «Il mio obiettivo era conquistare i record dei 5, 10 e 20 chilometri, ma decisero che il 30 ottobre avrebbero chiuso il Vigorelli e quindi mi trovavo senza velodromo dove allenarmi e tentare i primati. Venne da me il presidente della società Terraneo suggerendomi di provare i record in Messico dove Merckx aveva appena realizzato il primato dell’ora, a patto che provassi anche io ad allungare. “Bell’idea – feci io – ma chi ci mette i soldi?”. Da lì Terraneo mise in moto tutto il movimento e arrivarono i fondi per provarci.

«Mi allenai a Busto Garolfo, ma l’ora non l’avevo mai fatta, così iniziai ad allungare. Il 17 novembre siamo partiti, un po’ all’avventura. Solo il giorno prima avevamo pagato la tassa necessaria per il tentativo e fatto la richiesta del medico perché fosse valido. Le difficoltà però erano tante e avevamo solo una settimana a disposizione».

La Cressari in pista a Città del Messico: il caschetto è quello del tentativo di Merckx
La Cressari in pista a Città del Messico: il caschetto è quello del tentativo di Merckx

Una Pogliaghi personalizzata

I problemi principali riguardavano la bici: «Prima di partire, il mio diesse Alfredo Bonariva chiese informazioni su tutto quel che sarebbe servito e su quel che avremmo trovato a Città del Messico ad Albani, il direttore sportivo che aveva accompagnato Merckx nel suo riuscito tentativo. Avevamo impostato la preparazione su molte delle sue indicazioni, ma non avevamo una bici adatta. Mi offrirono una Pogliaghi superleggera, pesava 4,7 chili, l’avevano realizzata proprio per il record dell’ora tentato dal dilettante Brentegani tre anni prima. Le misure c’erano, ma c’era da lavorarci sopra perché al tempo sulla bici non potevano apparire pubblicità all’infuori del mio gruppo sportivo.

«Toccò lavorare di carta vetrata sui tubi e anche sulla sella per togliere il marchio Selle Italia. Il risultato fu che andavo avanti e indietro sulla bici e non era proprio la situazione ideale… Pochi però sanno che come casco utilizzai lo stesso di Merckx, nel senso che il campione belga lo aveva dimenticato negli spogliatoi del velodromo. Lo riadattammo alla mia testa con un po’ di imbottiture…».

«Rinunciare? Non se ne parla…»

L’appuntamento era previsto per il mercoledì mattina, era il 22 novembre: «Realizzai i record dei 10 e 20 chilometri e tirai dritto, ma avevo speso tanto nella prima parte. Alla fine mancai il record per appena 70 metri e scoppiai a piangere. Non avevamo i fondi per restare e riprovarci. Venne da noi il console italiano e ci disse che era esaltato dall’impresa e che non se ne parlava di rientrare. Dovevo riprovarci, avrebbe sostenuto lui tutte le spese supplementari».

L’esperienza fu utile per riuscire nell’intento: «Il giorno dopo riposai perché ero distrutta, al venerdì feci il tentativo di record sui 5 chilometri che riuscì. Dovevamo però concentrarci sull’Ora. Prevedemmo di provarci il giorno dopo ma cambiammo i rapporti, passando dal 51×15 al 55×16. E questa volta partii più piano, d’altronde dovevo pensare solo all’Ora, così nel finale avevo più energie e chiusi con 41,471 metri e 74 centimetri. Sì, ricordo anche quelli…».

Il miglior risultato ai mondiali per la bresciana arrivò alla sua ultima presenza: decima nel 1973
Il miglior risultato ai mondiali per la bresciana arrivò alla sua ultima presenza: decima nel 1973

I rapporti con la Fci

Quel record ebbe risonanza? «Molta, ma erano tempi diversi e non era facile gestirla. Mi offrirono molti ingaggi pubblicitari ad esempio, ma non potevo accettarli perché avrei perso lo status di dilettante. Il nostro, quello femminile, era un ciclismo alla disperata. Non ci voleva nessuno e le cose non cambiarono così tanto. Soprattutto la Federazione mal ci sopportava. Pensate ad esempio che nel 1974 non ci portarono ai mondiali perché dicevano che non eravamo all’altezza. Io per tutta risposta andai al Vigorelli e feci il record mondiale sui 100 chilometri: altro che non all’altezza…».

La carriera di Mary è vissuta spesso su scontri con la Fci: «Avevano messo il limite di attività a 30 anni, ma io andavo ancora forte, protestai e lo tolsero, poi lo posero a 35 anni. Dissi: “Ma come, ai mondiali la Burton partecipa a oltre 40 anni con sua figlia? Il limite dobbiamo averlo solo noi?”. Lo tolsero, ma io avevo praticamente saltato la preparazione per colpa loro e non ottenni risultati all’altezza degli anni precedenti. Era il 1979 e decisi che ne avevo abbastanza».

La consegna della sua bici al Museo del Ghisallo: a sinistra il diesse Bonacina, a destra il presidente Terraneo
La consegna della sua bici al Museo del Ghisallo: a sinistra il diesse Bonacina, a destra il presidente Terraneo

Lo sgarbo di Los Angeles ’84

Poco dopo le offrirono l’incarico di commissario tecnico della nazionale femminile: «Naturalmente gratis… Intanto però era stata accettata la proposta di portare le donne alle Olimpiadi, io cominciai a lavorare con tre ragazzine che mi sembravano adatte al percorso di Los Angeles. La Canins non lavorava con noi, ma d’altronde era una ciclista atipica. Doveva per forza staccare tutte perché non aveva volata, io volevo lavorare con atlete più adatte. In Federazione fecero storie, io dissi che avrei pagato di tasca mia per la loro permanenza. Risultato: a Los Angeles portarono la Canins e tre altre atlete, le mie, quelle federali, non vennero neanche tenute in considerazione. Era troppo…».

La Cressari diede le dimissioni e da allora ha guardato in tv la crescita del ciclismo femminile, invitata spesso da organizzatori e appassionati: «Quando guardo le campionesse di oggi penso che siano lì anche per le battaglie che sostenni io, per i sacrifici che affrontavamo in famiglia pagando tutto di tasca nostra. Oggi? Un altro mondo…».