Sanchez ha detto basta: ultimo, ma da vincitore

25.09.2023
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Vuelta, tappa con arrivo a Bejes. Vingegaard, il vincitore è arrivato da 19 minuti, i Jumbo-Visma hanno sistemato la loro classifica, ma la gente non è andata via. E’ lì. Aspetta. Aspetta che Luis Leon Sanchez arrivi al traguardo. E’ caduto, i dolori gli fanno compagnia nelle faticose pedalate verso il traguardo. E’ ultimo, ma la gente gli tributa un’ovazione come se fosse il primo. Perché sa che non lo vedrà più correre.

L’arrivo a Rejes, ultimo e staccato, con i segni della caduta. La folla lo acclama come se avesse vinto
L’arrivo a Rejes, ultimo e staccato, con i segni della caduta. La folla lo acclama come se avesse vinto

20 anni da professionista

Sanchez ha deciso di chiudere. «Avevo già detto che lo avrei fatto a Madrid, chiudendo la mia ultima Vuelta – afferma ai giornalisti presenti – e neanche l’ultima, ennesima caduta della mia carriera me lo impedirà. E’ un atto dovuto a tutti i miei tifosi, per ringraziarli del sostegno che non mi hanno mai fatto mancare. Il mio sogno era di fare anche un solo anno da professionista: ne ho fatti 20…».

Sanchez è uno che ha vinto, tanto: 47 successi in carriera, fra cui 4 tappe al Tour de France e 2 Clasica di San Sebastian, oltre a 5 titoli spagnoli di cui 4 a cronometro. Ma non è con queste che è riuscito a essere più popolare anche di suo fratello Pedro Leon, calciatore del Murcia passato anche nelle fila del Real Madrid di Mourinho e ricordato con poco piacere dai tifosi del Milan per quel gol al 93° in Champions League 2011 costato la vittoria. Non è con queste che è riuscito a far passare sotto traccia la sospensione per doping che lo ha coinvolto nel 2015, quand’era nelle file dell’olandese Blanco/Belkin per essere legato al famigerato dottor Fuentes, quello dell’Operation Puerto. Sospetti costatigli tutta la stagione ma mai effettivamente affluiti verso una vera squalifica.

Sanchez premiato a Madrid, dopo la conclusione della sua ultima Vuelta, la tredicesima
Sanchez premiato a Madrid, dopo la conclusione della sua ultima Vuelta, la tredicesima

La perfetta vita da atleta

La grande forza di Sanchez è stata la sua simpatia, la sua disponibilità. Stefano Zanini ha vissuto parte della sua vita ciclistica insieme allo spagnolo, dal 2015 a oggi all’Astana con la parentesi del 2022 alla Bahrain Victorious e lo conosce bene: «Lo conoscevo già, nei miei ultimi anni da corridore lui iniziava la sua avventura e si vedeva il suo talento. Sanchez è quello che si chiama uomo-squadra, quell’elemento che tutti vorrebbero avere all’interno del proprio team perché fa gruppo ed è di esempio ed è su questo aspetto che voglio mettere l’accento.

«Lo spagnolo è sempre stato un corridore vecchio stampo. Uno attentissimo a ogni aspetto della propria vita d’atleta, guardava all’alimentazione, alla preparazione con un’attenzione pari a quella di oggi, ma quando lui iniziò non era così. E’ stato un antesignano. Un professionista vero, che non ha mai mollato neanche un secondo.

La vittoria nella tappa del Tour del 2008, battendo il tedesco Schumacher poi squalificato e Pozzato
La vittoria nella tappa del Tour del 2008, battendo il tedesco Schumacher poi squalificato e Pozzato

Gli esercizi per la schiena malandata

«Tanto per fare un esempio, Luis ha sempre avuto una particolare attenzione per la schiena, sentendo col passare degli anni i naturali problemi di postura e di risentimento che l’attività può comportare. Ebbene, non ha mai rinunciato agli esercizi specifici, neanche a fine carriera. Un altro avrebbe potuto mollare, lui no, fino all’ultimo giorno è stato un professionista serissimo».

Tra le vittorie, quali pensi siano quelle che tiene nel cuore? «Si sarebbe portati a dire le due prove di San Sebastian perché per uno spagnolo vincere in casa è il massimo, ma so che tiene particolarmente ai successi al Tour perché è l’espressione ciclistica per eccellenza. Ad esempio quella del 2012, quando dopo la lunga fuga è ancora in testa con 4 uomini fra cui Sagan ma approfitta della distrazione dello slovacco per allungare senza essere più ripreso».

Il momento dello scatto decisivo nella tappa di Foix al Tour 2012. Beffati i compagni di fuga
Il momento dello scatto decisivo nella tappa di Foix al Tour 2012. Beffati i compagni di fuga

Al servizio di Cavendish

Per Zanini l’essere un uomo-squadra significa anche sapersi mettere in discussione: «Sanchez è stato competitivo fino all’ultimo, ma ha saputo essere utile per il team anche in maniera diversa. Ad esempio all’ultimo Giro d’Italia si è messo al servizio di Cavendish e gli ha tirato la volata verso la vittoria. Ha sempre saputo mettersi a disposizione degli altri quando capiva che la corsa non era per lui e questo è un pregio».

Tecnicamente come può essere identificato? «E’ stato un corridore completo, capace di vincere su diversi percorsi. Non era certamente uno scalatore ma sapeva domare anche le alte montagne altrimenti non finisci nella Top 10 al Tour e alla Vuelta come ha saputo fare. Era fortissimo sul passo, capace di fare la differenza anche su salite non troppo dure come dimostrato a San Sebastian, anche veloce, mai averlo con se in una fuga ristretta…».

Per Sanchez 48 vittorie in carriera, tra cui anche due Clasica di San Sebastian (qui nel 2012)
Per Sanchez 48 vittorie in carriera, tra cui anche due Clasica di San Sebastian (qui nel 2012)

Il dolore per Michele

E al di fuori delle corse? «Uno attaccatissimo alla famiglia, quando ci vivi assieme durante l’anno cogli quel legame, quel bisogno di sentire sempre i propri cari vicino, anche solo con una telefonata. Era uno che dava tutto, ma io ricordo un momento particolarmente doloroso della sua carriera e fu quando morì Michele Scarponi. Luis era stato nella stanza con Michele al Tour of the Alps, la sua ultima corsa. Erano molto legati e la notizia della sua scomparsa fu per lui un colpo duro da assorbire. Io spero che rimanga nell’ambiente, uno così in una squadra è sempre una figura importante, qualsiasi ruolo ricopra».

Bahrain addio, Sanchez si riprende l’Astana

30.12.2022
6 min
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In un’intervista rilasciata in Spagna poco dopo il ritiro di Valverde, Luis Leon Sanchez ha raccontato che sua moglie Laura ha fatto per lui una previsione. Dato che è sulla bici da quando aveva cinque anni, il momento del ritiro per lui potrebbe essere davvero pesante. E adesso “Luisle”, il sorriso più buono del gruppo su un fisico ogni anno più scolpito e potente, abbassando lo sguardo ammette che potrebbe essere proprio così. Sono gli ultimi giorni del ritiro di Altea, dopo le Feste si ripartirà dal Tour Down Under.

«Quando ero giovane – dice – non mi aspettavo di arrivare a questa età ed essere ancora professionista. Sai, alla fine mi piacciono troppo questo sport e questa vita, ma devo vedere il mio ruolo e devo pensare alla famiglia. Mia moglie è da sola con tre bambini, per lei non è facile. Tanti mi dicono che quando scenderò dalla bici dovrei fare il direttore sportivo. Ma i direttori sportivi passano molti giorni fuori casa e se io smetterò di correre, sarà per stare più tempo a casa. Non so se cercherò un ruolo come quello…».

San Sebastian 2012, vince Sanchez. I complimenti di Vinokourov, suo compagno nel 2006 e oggi suo datore di lavoro
San Sebastian 2012, vince Sanchez. I complimenti di Vinokourov, suo compagno nel 2006 e oggi suo datore di lavoro

Sanchez è passato professionista nel 2004 ed è ancora qui. Vincente, gregario: qualsiasi sia stato il ruolo che gli hanno assegnato, ha saputo interpretarlo senza che qualcuno abbia potuto lagnarsene. Ha lavorato per Valverde, per Nibali e per Aru. Un metro e 86 per 74 chili, ha vinto per due volte la Clasica San Sebastian, 4 tappe al Tour, una Parigi-Nizza e il Tour Down Under. E oggi che è tornato alla Astana Qazaqstan Team dopo il breve passaggio alla Bahrain Victorious, il suo ruolo è quello di dare l’esempio e gli riesce benissimo.

Un anno di contratto e l’opzione per il secondo…

Sono fortunato ad avere l’appoggio della mia famiglia per cui quando sono in ritiro oppure in gara, la tranquillità è sapere che loro stanno bene, che i ragazzi stanno con la loro mamma. E’ la tranquillità che a volte manca al professionista e gli impedisce di fare il suo lavoro al 100 per cento.

Con Valverde (e Fuglsang) sul podio della Valenciana 2018: i due spagnoli sono cresciuti insieme
Con Valverde (e Fuglsang) sul podio della Valenciana 2018: i due spagnoli sono cresciuti insieme
Soffri di… longevità come il tuo amico Valverde?

Alejandro è un corridore che ho visto vicino a me per tutta la carriera. Si è fermato a 42 anni, ma lui è un grande campione che ha vinto più o meno tutto. Alla fine la sua vita è stata sempre quella di un atleta, anche quando andava in vacanza e mangiava solo riso e pollo. Io non riuscirei a fare sempre così, se non quando è necessario.

Vuoi dire che si può durare tanto senza essere attenti in modo maniacale?

Non ho detto questo. Mi prendo cura di me 365 giorni all’anno. Non mi rilasso per un mese, non me lo posso permettere. Preferisco andare in bicicletta tutti i giorni che posso, per muovermi. Cammino e gioco a tennis perché il mio corpo non si addormenti e tornare alla routine di allenamento non diventi pesante. Il fatto che gli atleti professionisti durino più a lungo ha a che fare con la loro professionalità. Ora sono di nuovo all’Astana, vedremo cosa potrò fare.

In fuga verso Sierra de la Pandera alla Vuelta 2022: Sanchez con Champoussin e Lutsenko
In fuga verso Sierra de la Pandera alla Vuelta 2022: Sanchez con Champoussin e Lutsenko
Che cos’è per te questa squadra?

Una famiglia, mi trovo troppo bene. E’ facile lavorare con loro. Se c’è qualcun problema, trovo subito la soluzione. Prendo il telefono e chiamo Martinelli, oppure Mazzoleni o Rachel, la dottoressa, o chiunque altro di cui abbia bisogno. Mi sono trovato bene sin dal primo giorno in cui ci sono arrivato, anche con Vinokourov che tanti anni fa è stato mio compagno alla Liberty Seguros. Sono contento di ritrovarlo nella sua squadra.

Infatti quando Vino fu allontanato, tu te ne andasti…

Andai via perché c’era una situazione diversa. Non c’era grande stabilità economica, tanto che partimmo in 15. Non era più la squadra di Vinokourov, ma la dirigeva una donna che si chiama Yana Seel. Era una situazione troppo diversa e alla fine, quando è finito quell’anno e Vinokourov è tornato, ha parlato anche con me. Ha detto che non era possibile rompere l’accordo con la Bahrain, per cui sono rimasto per un anno di là e ora sono di nuovo qui. Contento di esserci.

Con Landa alla Vuelta in maglia Bahrain: i due avevano già corso insieme all’Astana
Con Landa alla Vuelta in maglia Bahrain: i due avevano già corso insieme all’Astana
I corridori più giovani ti vedono come un punto di riferimento.

Sono contento. Lo so che non sono giovane, ormai sono quasi il più vecchio del gruppo. Per cui sono contento di essere un uomo di riferimento per loro e di poter fare qualcosa per aiutarli. Sono qua anche per questo, per riportare positività e far crescere la squadra.

TI guardi intorno e cosa vedi?

Un ciclismo diverso, come il resto del mondo. Le velocità sono più alte, sono cambiati i rapporti e anche le ruote sono più veloci. Sono dovuto cambiare anche io. Una volta i massaggiatori preparavano il riso o i cereali per dopo la gara. Ora è tutto molto diverso, anche la pasta viene pesata, i carboidrati vengono dosati e si fa tutto perché il corpo possa dare di più. Per questo i corridori giovani hanno numeri incredibili, delle velocità molto alte. Io ricordo di quando sono passato professionista e i primi due mesi andavamo in gara per prendere un po’ di ritmo. Invece adesso arriviamo al Down Under o a Mallorca o in Argentina e si va subito tutti a tutta dal primo giorno.

Al Beghelli del 2017 vince e dedica la vittoria a Scarponi, scomparso pochi mesi prima
Al Beghelli del 2017 vince e dedica la vittoria a Scarponi, scomparso pochi mesi prima
Non avere un grande capitano cambia qualcosa?

La squadra è diversa. In passato il nostro obiettivo è sempre stato vincere un grande Giro con Nibali, con Fabio. Ci siamo arrivati vicino con Landa, con Miguel Angel Lopez. Ora non abbiamo grandi campioni da difendere, vediamo dove arrivano Lutsenko e qualche giovane. Ma il nostro ruolo deve cambiare e un po’ anche la mentalità.

Hai parlato di Nibali e di Aru che ti ricordi di loro?

Sono stati due corridori diversi. Nibali dava la tranquillità di un uomo che ha vinto tutto. E tu accanto stavi tranquillo perché sapevi che quando lui si metteva una gara in testa, si vinceva o si andava vicini a vincerla. Fabio invece era impulsivo, un corridore con cui non era facile stare calmi. Quando ha vinto la Vuelta si è tranquillizzato un po’, ma per il resto erano due mondi completamente diversi.

Ti aspettavi che Fabio smettesse così presto?

No e neanche saprei dare una spiegazione. Alla fine è stata una decisione sua e della sua famiglia, sua e di sua moglie. Ha deciso e ne sarà felice. Io non so se ci riuscirei, ma è la mia mentalità. Io continuo perché ho voglia di farlo, mentre lui ha deciso fermarsi. E’ vero però, come dicevo, che quando smetterò probabilmente non farò il direttore sportivo per stare a casa con la mia famiglia.

Da dove cominci?

Cominciamo in Australia, mi piace cominciare presto. Vivo vicino a Murcia e sono fortunato che il tempo è buono, non piove troppo. Così riesco ad allenarmi bene per cominciare forte l’anno. E se comincio forte, magari non mi peserà essere il nonno del gruppo.

Zambanini alla Vuelta e l’emozione della prima volta

15.09.2022
5 min
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Con la Vuelta ormai alle spalle il sole inizia a tramontare anche su questa stagione agonistica. Non prima, però, di illuminare gli ultimi impegni, tra cui mondiale e Giro di Lombardia, ultima classica monumento del calendario. In terra iberica è stato definitivamente consacrato il talento cristallino di Evenepoel. Il giovane belga ha indossato la maglia rossa alla sesta tappa e l’ha portata fino a Madrid. Tra i giovani in corsa si è messo in luce anche Edoardo Zambanini, migliore italiano in classifica generale: 36° a un’ora e mezza da Evenepoel. 

Il trentino di Riva del Garda era alla sua prima esperienza in un grande Giro. Si è messo a disposizione della squadra, portando a casa una bella prestazione ed un terzo posto alla nona tappa, che regala tanta motivazione e la voglia di tornare alla Vuelta e riprovarci. 

Edoardo Zambanini si è messo in luce dando una mano alla squadra e andando a caccia di fortuna in altre tappe
Zambanini si è messo in luce dando una mano alla squadra e andando a caccia di fortuna in altre tappe
Cosa fa un corridore quando torna dalla Vuelta?

Dopo tre settimane di corsa ininterrotta mi sono goduto la famiglia. Stare lontano da casa per così tanto tempo è strano, perché quando corri tutto scorre veloce, ma appena ti fermi realizzi che sei stato via un mese. Quindi, in questi giorni poca bici e tanto tempo con amici e parenti, mancavano. 

Qual è la cosa che ti ha colpito maggiormente?

Direi tante, ma quella che mi ha lasciato senza parole è il livello che si trova in corsa. Andavamo fortissimo tutti i giorni, praticamente sono state 21 corse di un giorno raggruppate tutte insieme.

Prima di partire che hai pensato?

Inizialmente ero abbastanza agitato, quando è arrivata la chiamata dalla squadra ero davvero nervoso. I miei diesse: Pellizotti e Florencio, mi hanno tranquillizzato dicendomi di pensare giorno dopo giorno. Così ho fatto, anche se, devo ammettere, che certi giorni pensavo «abbiamo ancora tante tappe davanti e tutte dure» poi mi ricomponevo e cercavo di non pensarci.

Zambanini Battistella 2022
Zambanini sulla ruota di Battistella, i due si sono messi in mostra alla Vuelta entrando in molte fughe
Zambanini Battistella 2022
Zambanini sulla ruota di Battistella, i due si sono messi in mostra alla Vuelta entrando in molte fughe
Quando hai scoperto che saresti andato alla Vuelta?

Pochi giorni prima dell’inizio, da un certo punto di vista è stato un bene, anche perché non ho avuto tanto tempo per tempestarmi di domande e agitarmi ancora di più (dice ridendo, ndr). Uscivo dal Giro di Polonia dove ho lavorato bene con il mio preparatore: Paolo Artuso. Abbiamo trovato un bel modo di fare e grazie a lui sono riuscito ad essere costante per tutta la stagione.

I giorni prima della partenza come li hai vissuti?

Ho realizzato di partire per la Vuelta solamente quando mi sono trovato la valigia vuota davanti. Lì, in quel preciso momento la tensione è schizzata ai massimi livelli. 

Immaginiamo allora in aereo, seduto davanti al finestrino…

Il viaggio l’ho fatto da Venezia, insieme a Franco (Pellizotti, ndr) e Roman Kreuziger, e direi per fortuna. Li ho tartassati di domande e dubbi, loro mi hanno tranquillizzato, mi hanno davvero aiutato molto. 

Qual è stata l’emozione più grande, la prima tappa o l’ultima?

Sono state due emozioni differenti: quella di Utrecht era un mix di agitazione e tensione, la partenza di un grande Giro. Prima lo avevo solamente sognato. Quella di Madrid è stata da pelle d’oca, c’era un mare di gente ad aspettarci nel circuito finale, in quel momento ho realizzato che avevo portato a termine una bellissima esperienza ed una grande corsa. 

Ti sei anche goduto la passerella finale di Nibali e Valverde.

Sì, che roba. Indescrivibile. Nel corso della tappa finale ho avuto anche modo di parlare con Vincenzo. Abbiamo avuto modo di confrontarci: sulle tappe, l’emozione di quel saluto calorosissimo… E’ un momento che ricorderò per sempre. E’ un corridore che ho sempre ammirato, ho il ricordo di me da bambino che lo guardavo vincere queste corse in televisione. Essere presente alla sua ultima è stato davvero particolare.

Con chi eri in stanza?

Con Luis Leon (Sanchez, ndr). Mi ha aiutato molto, soprattutto nella fase iniziale. Anche lui aveva capito che i primi giorni ero agitato, mi ha rassicurato dicendomi che sarebbe stata dura ma che facendo tutto per bene ce l’avrei fatta. 

Zambini in mezzo ai suoi due mentori di questa Vuelta: a sinistra Landa, a destra Luis Leon Sanchez
Zambini con al suo fianco Landa: un esempio da seguire, in corsa e fuori
Correre con Landa come capitano che sensazione ti ha lasciato?

Avevamo già corso insieme, al Tour of the Alps. Lui dietro lo schermo sembra sempre serio ma in squadra è molto gentile e simpatico. E’ un corridore che mi piace davvero molto, un esempio per tutti, soprattutto per me, anche come tipologia di atleta. E’ serio quando deve, insegna sempre qualcosa, e sa cogliere i momenti giusti per una battuta o uno scherzo.

Tappa preferita?

Mi è piaciuta molto quella di Sierra Nevada. Eravamo ben coperti in fuga con Gino Mader. Prima della salita finale ne dovevamo affrontare un’altra di 8-9 chilometri dove il gruppo si è frazionato. Sono riuscito a rimanere insieme ai primi, stare con loro mi ha dato una grande carica. Sulla salita finale sono rimasto fino a quando ho potuto con Landa, poi ho continuato con il mio passo. Avevo anche il tifo da casa, sono venuti a trovarmi i miei genitori e mia sorella, è stata una sorpresa, non ne sapevo nulla. Averli così vicini mi ha dato una carica in più. 

Durante l’ultima tappa Zambanini ha assistito alla passerella finale per Nibali e Valverde: una grande emozione
A Madrid Zambanini ha assistito da vicino alla passerella finale per Nibali e Valverde
Il giorno più difficile?

La 19ª tappa. Mi sono venuti i crampi in cima all’ultima salita, mi sono idratato poco e l’ho pagata. Ero riuscito a rimanere nel gruppo principale e in discesa ero pronto a lavorare per Landa. Ma appena passato lo striscione del Gpm ho sentito le gambe bloccate, ad un certo punto mi sono dovuto fermare a bordo strada dal dolore. E’ la tappa che mi è rimasta più indigesta, avevo praticamente terminato, mancavano solo la discesa e l’arrivo, invece i crampi mi hanno fermato. 

Insieme a Tiberi eri uno dei più giovani in gruppo. 

Era strano, soprattutto i primi giorni. Essere accanto a persone con così tanta esperienza, che sanno gestire queste corse mi ha messo un po’ in difficoltà mentalmente. Tiberi ed io siamo molto amici, negli anni abbiamo condiviso tante esperienze, anche in nazionale. Ci siamo sostenuti a vicenda, dicendoci che in futuro ci riproveremo, anzi magari ci daremo battaglia proprio noi due su queste strade (dice con voce allegra Zambanini, ndr).