Il diario di Pallini, viaggio nel Nibali mai visto

23.10.2022
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Non basterebbe un libro. E se uno l’hanno scritto su Nibali dopo il Tour, quello di Michele Pallini che racconta le stesse cose dal suo punto di vista sarebbe una lettura interessante. Così quella che voleva essere una telefonata per raccogliere gli aneddoti del massaggiatore si è trasformata nel viaggio di un’ora e mezza da sintetizzare per ragioni di spazio e perché certe cose dette in confidenza è bene non scriverle. Ma quando abbiamo chiuso, la sensazione è stata di aver appena iniziato il discorso.

Giro d’Italia 2022, Nibali si dirige al Processo alla Tappa, Pallini accanto a lui: sta per annunciare il ritiro
Giro d’Italia 2022, Nibali si dirige al Processo alla Tappa, Pallini accanto a lui: sta per annunciare il ritiro
Pallini-Nibali: dopo 14 anni, come definiresti il vostro rapporto?

Lo pensavo solo sotto il profilo professionale, invece ci ho dovuto mettere anche qualcos’altro. Nel senso che quando vivi a stretto contatto con un’altra persona, qualcosa nasce, un’amicizia un po’ più profonda. Mia moglie dice che abbiamo lo stesso carattere. Quindi anche se due segni uguali si respingono, tante volte essere simili ci ha aiutato. Siamo abbastanza taciturni, non ci piacciono le feste. Magari, vista la differenza di età, lui è un filo più festaiolo, ma tutto preso con le dovute proporzioni. Abbiamo fatto dei viaggi in cui non abbiamo parlato mai. Però a me andava bene così e a lui andava bene così.

Il successo ha cambiato le cose?

A un certo punto, Vincenzo è diventato Nibali. In quel momento, come dice Martino, ti tirano tutti per la giacchetta, nel senso che anche professionalmente si sono avvicinate tante persone e penso di aver attirato l’antipatia di qualcuno. Perché magari mi sono permesso di dargli dei consigli, anche se chiaramente Vincenzo ha sempre fatto di testa sua. Pesava quello che gli dicevo, però alla fine il dito ce lo voleva mettere. Ho sempre cercato di mettere lui al centro dell’attenzione e creare un team che lo aiutasse a dare il meglio. Il primo anno di Astana ero da solo, Slongo non c’era, il dottor Magni non c’era. E così mi sono trovato a gestire tante situazioni.

Pallini con Geoffrey Pizzorni al Tour del 2018, prima della caduta sull’Alpe d’Huez
Pallini con Geoffrey Pizzorni al Tour del 2018, prima della caduta sull’Alpe d’Huez
Cosa non facile…

In realtà Paolo nel 2013 c’era già, ma dietro le quinte. Il problema maggiore ce l’aveva lui, dato che lavorava ancora per la Liquigas. Se veniva fuori in modo troppo evidente, poteva avere dei problemi. Amadio lo voleva tenere, poi invece si trovò un accordo per il 2014 con Zani e passò con noi. A quel punto mancava una figura nello staff medico e venne fuori il nome di Emilio Magni, che si occupava anche della parte nutrizionale. Durante la tappa andavo sul bus della Liquigas e mi facevo dire cosa dovesse mangiare o la quantità. Ci mancava anche un addetto per voi giornalisti e arrivò Geoffrey Pizzorni (oggi nello stesso ruolo alla Bike Exchange, ndr).

I momenti belli coincidono con le vittorie?

Non per forza, perché quando si vince si soffre, non è tutto luccicante. Quel che pesa lavorando con un atleta come lui è il senso di responsabilità e la paura che succeda qualcosa. La responsabilità crea ansia, perciò se dovessi dire che al Tour vinto ho vissuto 21 giorni meravigliosi, sarei un bugiardo (sorride Pallini, ndr). Sei sempre con l’ansia che cada, la paura che succeda qualcosa. Lavori perché tutto vada bene, che la squadra si comporti bene. E poi succedono cose che da fuori non si vedono.

Pallini ha seguito Nibali in tutta la carriera, inclusa la vittoria del Tour 2014
Pallini ha seguito Nibali in tutta la carriera, inclusa la vittoria del Tour 2014
Ad esempio?

Nel 2012 quando ha fatto terzo al Tour, alla partenza di una tappa pirenaica arrivò e aveva un piccolo stiramento dal giorno prima, ma di cui non mi aveva parlato. Non ci si poteva fare niente, quindi applicai un piccolo bendaggio e a quel punto Basso giocò di esperienza. Praticamente hanno tirato tutto il giorno, facendo credere che Vincenzo facesse la tappa. In realtà tiravano perché stava male e facevano il passo che poteva sopportare. Due giorni dopo c’era la cronometro che vinse Wiggins.

Che ansia…

Sono tutte preoccupazioni. Alla fine te la godi, ma non è che durante la corsa vada sempre tutto liscio. I particolari da curare sono tantissimi. Vi dico una stupidata di quando abbiamo vinto il Tour. Dopo l’arrivo, Vincenzo beve acqua gassata, ma quando andavi nel backstage delle premiazioni, non potevi portare niente che non fosse sponsorizzato da Vittel. Neppure le borracce della squadra. Per cui io riempivo le bottiglie della Vittel con l’acqua gassata e gliela portavo. Seduti qua è tutto facile, sembrano cose strane. Però in un Tour, specialmente verso la 13ª-15ª tappa, quando magari la giornata è andata male e hai fatto più fatica del solito, anche al corridore più tranquillo viene un po’ di ansia. Quindi devi fare di tutto per tenerlo tranquillo. Magari da fuori non si vede niente…

Solo stress?

Chiaramente ci sono anche i momenti belli. Penso che contento come quando ha vinto la Sanremo non l’ho mai visto. Continuava a dirmi: «Ma come ho fatto? Ho vinto la Sanremo, ma ti rendi conto?». Continuava a dirmi queste frasi. Sono cose che ti vengono d’improvviso, perché una Sanremo non ce la saremmo mai aspettata e meno ancora quella lì. Avevamo vissuto una vigilia tranquillissima, perché sapevamo di dover correre per Colbrelli. Sul bus la tensione c’era, perché la Sanremo ne crea sempre, però non era come quando sai che devi fare la corsa. Lui passa per quello tranquillo, che poi gli ultimi anni lo è sempre stato meno, ma comunque pensi che non vuoi sbagliare niente, l’alimentazione per non spegnerti troppo presto…

Champs Elysées 2014, Nibali ha vinto il Tour. Pallini lo aspetta al traguardo
Champs Elysées 2014, Nibali ha vinto il Tour. Pallini lo aspetta al traguardo
Credi che alla fine abbia sofferto il passare del tempo?

No, ma penso che abbia capito di non essere più competitivo e questo gli ha dato un po’ di insicurezza e di conseguenza anche un po’ di ansia e di nervosismo. Eppure per capire che si è ritirato dovranno passare due o tre anni, forse quando smetterà di fare anche qualche gara in mountain bike. Sono andato lunedì a pranzo da lui e non ha fatto altro che raccontarmi della gara all’Elba, che l’aveva sottovalutata, che ha mangiato poco e ha consumato tanto… Io credo che non esista l’interruttore che spegne l’agonismo, penso che in proporzione sia stato più cosciente Fabio (Aru, ndr).

Valverde ha detto più o meno le stesse cose.

La differenza tra Vincenzo e Alejandro è che Valverde è stato un po’ più costante. Forse è meno dotato in bici, però a guardarli sono praticamente uguali e dovrebbero avere lo stesso peso o comunque una differenza minima. Invece dalle foto si vede che Alejandro è stato più attento fino all’ultimo. Se Vincenzo fosse pesato come Valverde al Lombardia, sul Civiglio non lo staccavano. Al Giro ha fatto una gran fatica, perché ci sono anche gli anni. Però a un certo punto, quando si è ritirato Lopez, gli è scattato il fatto che toccasse a lui. Un po’ di condizione c’era, abbiamo parlato con Magni e gli abbiamo detto: «Guarda che se tu arrivi alle salite con questo peso, si riesce a restare là, poi vediamo dove si arriva». E nella seconda settimana lui ha fatto un sacrificio che non faceva già da un po’ ed è riuscito a calare durante il Giro. Siamo arrivati all’inizio dell’ultima tappa di montagna con il peso di metà Tour 2014 . Nella tappa di Risoul, pensava 63 chili, al Lombardia era forse a 67. Quei 4 chili a questi livelli sono tanti per tanti motivi.

Difficile scendere?

Quando abbiamo dovuto scegliere per tornare all’Astana l’anno scorso, c’era stata l’offerta della Quick Step che gli aveva fatto una mezza proposta per affiancare Evenepoel. Io gli dissi: «Ascoltami, se mi dici che vuoi fare una stagione dedicata solo al ciclismo, perché è l’ultima e non vuoi nessuna distrazione e vivrai solo per quello, sono con te. Ma basta che tu mi dica una mezza volta che ci vuoi pensare, allora dico che è meglio di no. Perché se non sei convinto al 100 per cento, alla prima difficoltà molli tutto». E’ stato anche bravo a riconoscerlo, perché poteva pure illudersi che ce l’avrebbe fatta e poi magari pigliava la porta in faccia. Aveva già provato ad allenarsi in maniera diversa quando ha discusso con Slongo, però anche lì le cose non sono andate bene…

Giuseppe Martinelli, Vincenzo Nibali, Paolo Slongo, Tour de France 2014
Martinelli, Nibali e Slongo. Il rapporto fra Vincenzo e il suo allenatore si è concluso nel secondo anno alla Trek
Giuseppe Martinelli, Vincenzo Nibali, Paolo Slongo, Tour de France 2014
Martinelli, Nibali e Slongo. Il rapporto fra Vincenzo e il suo allenatore si è concluso nel secondo anno alla Trek
I momenti brutti sono coincisi coi momenti difficili in corsa?

Forse sì, perché sono andati di pari passo con i problemi fisici, che creano ansia, depressione e paure. Conoscono tutti la caduta al Tour o la caduta alle Olimpiadi, ma nessuno immagina ad esempio quanto gli sia pesata la caduta al campionato italiano del 2011 in Sicilia, vinto da Visconti, dopo un Giro in cui sperava di fare molto meglio. Quello fu un colpo di cui nessuno ha mai parlato, ma che gli pesò molto.

Invece la caduta del Tour?

Il problema fu la coincidenza di un mondiale adatto a lui, cui voleva andare. Se fosse stato come quest’anno, non si sarebbe operato e quindi avrebbe avuto qualche problema in meno. L’operazione in se stessa non era tanto invasiva, ma per uno sportivo di quello spessore serviva del tempo per ritornare a un certo livello. Noi invece abbiamo dovuto stringere i tempi. Dopo 3-4 giorni siamo andati a casa. Il dottore gli aveva detto che poteva salire sui rulli dopo 5 giorni, invece lui è montato subito sulla bici e gli sembrava di non esserci mai andato in vita sua. Siamo ripartiti da lì. Con suo cugino Cosimo che lo staccava e lui che diceva: «Ma io come faccio a correre la Vuelta, se mi stacca Cosimo?». Lo dice sempre: «Tornassi indietro, non farei il mondiale e non mi opererei».

Tour 2018, la caduta sull’Alpe d’Huez: Nibali decise di operarsi alla vertebra rotta per rientrare ai mondiali di Innsbruck
Tour 2018, la sull’Alpe d’Huez: Nibali decise di operarsi alla schiena per rientrare ai mondiali di Innsbruck
Pallini come vede il Nibali dell’età matura?

Il Nibali adulto deve ancora crescere. Vincenzo è diventato adulto in bici e adesso è di nuovo bambino, perché questo è tutto un altro tipo di approccio e di lavoro. Quindi bisogna che si faccia le ossa, che cresca, che faccia le sue esperienze e dopo secondo me può anche essere un ottimo team manager. Perché ha le possibilità. Lui dice di no, però secondo me è un ottimo collante con gli sponsor e sa quello che serve all’interno di una squadra di ciclismo. E se riesce a capire quali sono le problematiche anche all’interno, le dinamiche tra staff, corridori, management e sponsor, secondo me lo può fare.

Pensi che lo massaggerai ancora?

Lo aspetto al varco, sicuramente sì. Infatti ho lasciato il lettino a casa sua. Gli ho detto di tenerlo, che può far comodo. Ne avevo una a casa sua, in una stanzina dove faceva i massaggi. Prima o poi si finirà per farlo ancora…

I giorni dello Squalo / Asolo 2010, la prima vittoria al Giro

14.08.2022
6 min
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Qualche goccia di pioggia sull’arrivo e, stando alle immagini, anche nella discesa del Grappa. Giro d’Italia del 2010, sono già successe un sacco di cose. C’è stato lo sterrato infangato di Montalcino in cui Nibali è caduto e nel giorno della vittoria di Evans, ha ceduto la maglia rosa a Vinokourov. Il giorno dopo, vittoria del compianto Sorensen sul Terminillo. Poi la fuga bidone dell’Aquila, con lo stesso Vinokourov a fondo e il primato sulle spalle di Richie Porte, che è giovane e veste la maglia bianca con le insegne della Saxo Bank. Il Giro risale. Brinda con Belletti a Cesenatico e nella Ferrara-Asolo affronta il Monte Grappa, prima vera montagna davanti alle ruote della Liquigas. Basso deve recuperare minuti, ma il gruppo dei fuggitivi dell’Aquila è composto da gente coriacea che non ci pensa a farsi sbranare.

La 14ª tappa del Giro 2010 parte da Ferrara e arriva ad Asolo, con il Monte Grappa nel finale
La 14ª tappa del Giro 2010 parte da Ferrara e arriva ad Asolo, con il Monte Grappa nel finale

I giorni dello Squalo

Nibali ha 25 anni. Il suo palmares parla finora di 12 vittorie, tra cui il Giro del Trentino del 2008 e il Tour de San Luis del 2010. E’ un predestinato e puntualmente la sua carriera sta prendendo la strada giusta. Al Giro è al fianco di Basso, arrivato in squadra nella stagione precedente. In realtà le cronache dicono che Vincenzo al Giro l’hanno portato per sostituire Pellizotti alle prese con le irregolarità del passaporto biologico. Nel percorso del siciliano, tuttavia, il 2010 è l’anno della rivelazione e da qui partiamo per raccontare i momenti chiave della sua carriera, alle porte del ritiro cui onestamente dobbiamo ancora abituarci.

Il 22 maggio del 2010 è il giorno della prima vittoria di tappa al Giro d’Italia, che Vincenzo coglierà mettendo a frutto le sue doti di discesista, di cui presto tutti si renderanno conto.

Il forcing di Nibali sul Grappa fa staccare Porte e infiamma la tappa
Il forcing di Nibali sul Grappa fa staccare Porte e infiamma la tappa

Il Grappa da Semonzo

La cronaca è scarna. Porte in maglia rosa inizia a mostrare il fianco e sulle pendenze del Grappa si fa avanti minaccioso lo spagnolo Arroyo, un altro degli uomini dell’Aquila.

Pozzato veste la maglia Katusha e ha già vinto la tappa di Porto Recanati. Ma il Grappa è casa sua e fa il diavolo a quattro per entrare nella fuga giusta, che si concretizza in un gruppetto di sei che arrivano ai piedi del monte, che dal versante di Semonzo misura 18 chilometri con punte del 14 per cento.

La fuga si sgrana come chicchi di un rosario, l’ultimo a cedere è Bisolti, mentre dietro la Liquigas fa il forcing, con Sylwester Szmyd che vive una delle sue giornate campali.

Scatto sul Grappa, discesa e pianura fino ad Asolo: Nibali al comando per 30 chilometri fino alla vittoria
Scatto sul Grappa, discesa e pianura fino ad Asolo: Nibali al comando per 30 chilometri fino alla vittoria

Il morso dello Squalo

Dal gruppo maglia rosa scatta Wiggins. Il pistard britannico ha in testa il sogno di vincere un grande Giro e corre nel neonato Team Sky. La Liquigas prosegue il suo lavoro e con il passare dei chilometri ne fanno le spese Garzelli e Porte.

A 9 chilometri dalla cima, Bisolti ha ancora pochi secondi su Monier e Wiggins, su cui tornano Evans, Scarponi, Vinokourov, Arroyo, Uran, Sastre, Tondo, Cunego, Basso, Nibali, Szmyd, Samoilau, Mollema, Cioni, Gerdemann e poco dietro Pinotti.

E’ il momento in cui lo Squalo getta la maschera. Il giovane siciliano alza il ritmo. Gli rispondono Scarponi, Evans e Basso. I fuggitivi vengono ripresi e staccati, mentre la corsa si infila nelle nuvole che coprono la Cima Grappa. Dopo il passaggio in vetta, Nibali molla gli ormeggi, approfittando della strada appena bagnata.

Il giorno dopo Asolo, sullo Zoncolan il primi attacco di Basso che recupera 4’10” ad Arroyo
Il giorno dopo Asolo, sullo Zoncolan il primi attacco di Basso che recupera 4’10” ad Arroyo

Discesa da maestro

Nibali si infila nella nebbia, dietro si guardano. Il siciliano ha 11’18” dalla maglia rosa, nessuno vuole rischiare l’osso del collo per seguirlo. Il suo vantaggio aumenta e le quasi 200 mila persone assiepate sull’arrivo di Asolo capiscono che in quelle curve al limite c’è un talento fuori del comune.

«La sera prima – racconterà dopo l’arrivo con gli occhi che esplodono di felicità – sentivo che poteva essere il giorno giusto per provarci. La salita del Grappa è stata perfetta per fare la selezione. Poi, con Ivan, Evans e Scarponi che si marcavano per la classifica, ho colto l’attimo e ho sfruttato la discesa per attaccare. Il resto è stato come una crono a testa bassa per non farmi riprendere. E’ stato un grosso sforzo, 30 chilometri da solo e domani c’è lo Zoncolan, una salita durissima e spero di non risentirne. Fra me e Basso non cambia niente, c’è unità di intenti. Oggi c’era la discesa e ho attaccato io, domani magari in salita prova Ivan». 

Sul Mortirolo Nibali sarà una pedina fondamentale accanto a Basso, lanciato verso la vittoria
Sul Mortirolo Nibali sarà una pedina fondamentale accanto a Basso, lanciato verso la vittoria

Piano perfetto

In casa Liquigas si fa festa. Porte ha perso la maglia rosa, che ora è sulle spalle dello spagnolo Arroyo. E l’indomani sullo Zoncolan, Basso potrà continuare la rimonta di un Giro da rincorrere e vincere.

«Avevamo organizzato tutto alla perfezione – commenta Zanatta, che ha seguito la tappa dalla prima ammiraglia – Vincenzo ha fatto un capolavoro. Ha aumentato il vantaggio in discesa e ha resistito nei 14 chilometri finali. In ammiraglia eravamo elettrizzati. Oggi è davvero iniziata la rincorsa alla maglia rosa».

A cena con Fignon

Quella di Asolo rimarrà una notte magica. Per Nibali e per il ciclismo, perché in una cena magica organizzata da Marcel Tinazzi, farà l’ultima apparizione al Giro Laurent Fignon, fiaccato dalla malattia. 

Nella sera di Asolo, l’ultima apparizione di Fignon in Italia alla cena di Marcel Tinazzi
Nella sera di Asolo, l’ultima apparizione di Fignon in Italia alla cena di Marcel Tinazzi

«Gli amici sono importanti – dice il vincitore di un Giro e due Tour – ringrazio Marcel per avermi chiamato a questa festa. Ho ricevuto chiamate che non mi sarei mai aspettato da Eddy Merckx e Felice Gimondi, oppure da Luc Leblanc e Alain Gallopin. Io continuo a vivere. Giorno per giorno. E spero che la prossima terapia sarà quella giusta. Ma so anche che per quanto io possa lottare e avere voglia di vivere, se non troveranno la cura dovrò arrendermi. Non ho voglia di morire a cinquant’anni, ma se è incurabile cosa posso farci?».

E’ seduto a tavola in una bolla di Francia, il suo nido protetto. Solo a tratti, Laurent si estrania dalla conversazione e fissa il vuoto. Si ferma, mette giù le posate e resta a guardarsi dentro. Brevissimi momenti di solitudine, in cui è banale cercare di riconoscere la riflessione o la paura. Fignon se ne andrà il 31 agosto, meno di tre mesi dopo, nei giorni in cui il morso dello Squalo addenterà la Vuelta. Ma questa è già un’altra storia…

Vincenzo Nibali corre verso il 2022, ce lo racconta l’amico Agnoli

15.01.2022
5 min
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Quando Valerio Agnoli parla di Vincenzo Nibali la voce si fa più vivace, come se si accendesse un interruttore. D’altronde hanno corso gomito a gomito per 12 stagioni, dal 2008 in Liquigas passando per Astana e Bahrain. I due oltre ad essere stati compagni di squadra sono tuttora ottimi amici. Si sentono spesso, un messaggio, una chiamata e… qualche pedalata insieme.

«Quando viene a Fiuggi dai suoceri ci vediamo sempre, quasi tutti i giorni – inizia Valerio – e spesso andiamo in bici. Lui ha il suo ritmo… andante (ride, ndr), una delle ultime volte che siamo usciti insieme, a ottobre, abbiamo fatto due ore di gravel e per stargli dietro sono andato a 175 battiti medi…»

Nibali ed Agnoli hanno corso per la prima volta insieme in Liquigas nel 2008: qui al Giro del 2010
Nibali ed Agnoli hanno corso per la prima volta insieme nel 2008: qui al Giro 2010

«A Natale è stato qui, mi ha detto che vuole portarmi a fare la Cape Epic (una corsa in mountain bike in Sud Africa che si corre a coppie, ndr). Gli ho risposto che mi aggrappo tranquillamente con le mani alla sella e lui mi trascina».

Vi sentite spesso?

Ci siamo sentiti dieci minuti fa. Mi ha mandato il link per una corsa gravel in Sardegna… Calcolate che siamo stati testimoni di nozze l’uno dell’altro, è un rapporto che è sempre andato oltre la bici.

Ecco, aiutaci a capire cos’è la bici per Vincenzo…

Tutto ciò che gira intorno alla bici per lui è passione: dal cambiare una ruota al sistemare i pedali. Lui è un perfezionista, cura tutto nei minimi dettagli. Quando correvo e dovevo montare delle tacchette, chiedevo a lui (ride di nuovo, ndr).

Hanno continuato in Astana, qui festeggiano la vittoria del Giro d’Italia 2013 insieme ai compagni ed allo staff
Hanno continuato in Astana, qui festeggiano la vittoria del Giro d’Italia 2013
Cosa spinge Vincenzo a continuare a questi livelli rilanciandosi sempre in sfide nuove?

Oltre alla sua passione immensa per la bici, ha quel dono innato che hanno solamente i fuoriclasse. Ci sono pochi corridori che hanno questa cosa: Contador, Froome, Valverde… Sono in eterna sfida con se stessi prima che con gli altri.

Quanto è stato difficile stare accanto a lui in questi anni?

Devo dire che ci siamo accettati, pregi e difetti. La cosa bella che c’è in un rapporto di amicizia è l’accettare l’altra persona per quella che è. Personalmente quando c’era da parlare o anche da discutere io mi ci mettevo, poi amici come prima. Ma è importante far valere le proprie ragioni.

Sono diventati molto amici negli anni, tanto da diventare testimoni di nozze l’uno dell’altro
Sono diventati molto amici negli anni, tanto da diventare testimoni di nozze l’uno dell’altro
Voi avete corso insieme in Astana, dal 2013 al 2016, cosa lo ha spinto a tornare?

L’ambiente. Negli anni che siamo stati lì, ci siamo trovati bene con tutto lo staff, ma soprattutto con Vinokourov e poi con “Martino (Giuseppe Martinelli, ndr). Lui, secondo me, ha giocato un ruolo chiave per il ritorno di Vincenzo. E’ tornato per continuare e concludere un progetto di vita iniziato anni fa.

E con i compagni come si trova?

Mi ha già parlato in maniera positiva del rapporto che ha con loro. Ha detto che se anche li conosce da poco, ride e scherza con Moscon e anche con Boaro.

Negli anni alla Trek come ti sembrava?

Male non stava, ma non mi sembrava molto sereno. In un ambiente così ci sono tante pressioni, ma Vincenzo è abituato. Non so, detto sinceramente, come mai non abbia continuato. Onestamente in una persona come Nibali ci avrei investito. Anche lo sponsor, Segafredo, avrebbe avuto piacere a continuare con lui…

Il loro legame si è consolidato anche al di fuori della bici
Il loro legame si è consolidato anche al di fuori della bici
Le dinamiche in una squadra sono tante e delicate…

Assolutamente, poi il corridore va seguito con attenzione, ricordandosi dapprima che è un essere umano. Quando a inizio stagione fai un programma, il corridore si immedesima in quello. Se inizi a cambiargli delle cose perché secondo te non rende come deve, ne risente. E’ difficile ricalibrare gli obiettivi ed avere nuovi focus.

L’ultima vittoria al Giro di Sicilia, da amico, come l’hai vista?

Per lui è stata una scarica di super felicità, vincere è sempre bello per tutti, pensate per uno che è sempre stato abituato a farlo… Era l’iniezione di fiducia che gli serviva per rilanciarsi e approcciare la nuova stagione nel modo giusto. Appena superata la linea del traguardo mi ha mandato lo screen del ciclocomputer per farmi vedere i watt sull’ultima salita: 400 watt medi (sull’ultima salita della quarta tappa, Nibali ha ottenuto il KOM con una Vam di 1.700 m/h, ndr).

Insomma, per come ce lo hai descritto dopo quella vittoria avrebbe voluto incominciare la nuova stagione subito.

Per come è fatto lui, quella vittoria gli ha dato un morale incredibile per iniziare il 2022 e sono sicuro che ci farà vedere belle cose.

Vincenzo e Valerio hanno corso insieme anche in Bahrain fino al 2019, anno del ritiro di Agnoli
Vincenzo e Valerio hanno corso insieme anche in Bahrain fino al 2019, anno del ritiro di Agnoli
Vincenzo ha mosso una generazione di corridori e di tifosi.

Tanti giovani si sono ispirati a lui, ma anche gli appassionati gli vogliono bene. Questo perché è una persona gentile e alla mano, si è creato da solo. Noi che veniamo da giù avevamo poche opportunità per andare a correre, l’unica soluzione era fare trasferte chilometriche in Toscana, Veneto… Se ami davvero questo sport, non le vivi come delle difficoltà, ma come delle opportunità per far vedere quanto vali e lui lo ha ampiamente dimostrato.

Tu che lo hai visto da vicino, in cosa è cambiato di più negli anni?

E’ diventato più metodico, più perfezionista. Se quando era giovane era al 99 per cento ora è arrivato al 101. Mentalmente ha imparato a non staccare mai, cura sempre tutto nei minimi particolari.

Agostini, una storia (illuminante) di dolore e rinascita

05.12.2021
6 min
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Stefano Agostini aveva 24 anni, quando nel 2013 firmò la lettera di licenziamento e lasciò il quartier generale della Liquigas con un sospiro di sollievo. Stefano non è mai stato un ragazzo banale, aveva cose interessanti da dire e la reazione violenta della squadra alla positività per aver usato una pomata contro le scottature lo scosse e scosse l’ambiente. Fu troppo, ma forse fu la spinta che il ragazzo di Udine aspettava per liberarsi da un ciclismo che si era fatto opprimente e che si avviava a schiacciare alcuni dei talenti più belli. Quelli del 1989 e del 1990. Quelli che tranne pochi casi hanno smesso tutti.

«Sapete – dice – che parlavo di questa cosa un paio di settimane fa con Battaglin? Siamo stati compagni di squadra, poi l’ho visto al suo matrimonio, mentre lui non è potuto venire al mio perché mi sono sposato in pieno Covid. Così finalmente ci siamo ritrovati a cena. E gli ho chiesto: “Ma ti ricordi il mondiale juniores del 2007? Sembravamo votati a carriere di successo, invece ci siamo persi un po’ tutti. E’ rimasto Ulissi, ma non a livello di uno che ha vinto due mondiali juniores”. E lui con la solita sintesi ha risposto che non ci capisce più niente e che vanno tutti più forte di lui. Che i nuovi arrivati sembrano tutti dei piccoli Sagan…».

Battaglin, Agostini, Boem: quelli del 1989 della Zalf, destinati a carriere luminose
Battaglin, Agostini, Boem: quelli del 1989 della Zalf, destinati a carriere luminose

Lo zampino di Rui

Non ci sentivamo da un pezzo e c’è voluto “Ciano” Rui per recuperare i contatti. E così Stefano racconta che dopo il primo anno lavorando in Selle Italia per il mercato britannico e spagnolo, ha accettato l’offerta di Salomon, partendo come rappresentante dell’abbigliamento e poi crescendo. Non voleva più stare nel ciclismo, invece nel 2020 lo ha chiamato Fantic Motor, da poco rilevata da VeNetWork, pool di imprenditori veneti che ne hanno fatto esplodere il valore puntando sulle e-Bike.

«Sono responsabile commerciale per l’Italia – racconta – cercavano una figura che seguisse il mondo bici e così ho iniziato il 3 febbraio del 2020. E’ stato strano rientrare nel ciclismo. Fuori c’è un mondo enorme, ma volevo fare un lavoro più manageriale dopo gli anni sul campo e vedere se facesse per me. Ho scoperto che funziona. Ho 11 agenti sul territorio e il 5 settembre del 2020 mi sono sposato con Vittoria. Stavamo insieme da 17 anni, era giusto farlo. Lei è magistrato e viviamo vicino Noale».

Alla Liegi del 2013 all’ultimo anno in gruppo, senza mai rendere come sperava e meritava
Alla Liegi del 2013 all’ultimo anno in gruppo, senza mai rendere come sperava e meritava
Segui le gesta dei tuoi ex colleghi?

Un po’ sì. Non metto la sveglia per seguire le corse, ma faccio parte della Sacra Confraternita Unita e ci sono sempre. Seguo le corse più importanti. Sono stato a Eicma per l’elettrico e mi sto appassionando ad altre dinamiche della bici. Ieri però ho fatto il primo giro in bici dopo due mesi. Faccio i miei 70-80 chilometri. Di solito arrivo in negozio da Marco Bandiera, prendiamo il caffè e torno indietro. Non sono più competitivo (ride, ndr).

Che cosa pensi della tua generazione?

Io faccio parte dei disillusi, ma in assoluto penso che in quegli anni non c’era tempo per crescere e aspettare. Alcuni sono passati e hanno vinto subito, chi arrivava secondo lo viveva come una sconfitta. Quand’è così la testa diventa fondamentale, perché per preparazione e alimentazione sono tutti lì. Vedere un Battaglin o anche Moser che si stacca da un gruppo di 30 corridori è un fatto di testa.

Perché è successo?

Il 1989 sembrava l’anno dei fenomeni, per fortuna alcuni tengono duro. Secondo me c’erano tante aspettative e non s’è costruito sotto, nei dilettanti. Non si voleva restarci troppo a lungo. Quando ho visto che non rendevo, ho cominciato a pensare che non fosse il mio lavoro. Aru stessa cosa. E’ passato ed è andato più forte di quanto si potesse immaginare. Ma quando tutti ti aspettano, la squadra conta su di te e i giornali ti puntano, diventa un peso che ti schiaccia. E ti senti inadeguato.

Per un po’ su tutti i social lo si vedeva correrea piedi in gare di resistenza come la Spartan Race
Per un po’ su tutti i social lo si vedeva correrea piedi in gare di resistenza come la Spartan Race
Non si riesce a farla scivolare addosso?

Ogni ciclista è sensibile, non siamo calciatori. Ti scivola addosso forse se sei come Sagan e hai vinto tutto, ma io non ho mai visto un ciclista che non andasse a spulciare l’articolo di giornale oppure a vedere cosa facesse il suo rivale.

Ti manca?

E’ stato duro all’inizio, ma davvero ho tirato un sospiro di sollievo dopo due anni in cui ero una delusione per me stesso e per gli altri. Io ho bisogno di stimoli, non ci sto ad accontentarmi. L’anno in Selle Italia è stato duro perché ero giovane, mi conoscevano ed ero ancora in condizione per essere un atleta di vertice. E ad essere sincero, mi scocciava veder vincere i miei coetanei, perché pensavo che potevo esserci io. Ora però non ci penso più. Sono contento quando vedo vincere Colbrelli o Trentin e sono orgoglioso dicendo che correvano con me. Mi sta bene la vita che faccio, non rimpiango niente, soprattutto pensando ai ragazzi che ogni anno devono lottare per cercarsi un contratto. Alcuni a volte mi dicono che ho fatto meglio io.

Due anni di delusioni per te e per gli altri: sul serio?

Soffrivo parecchio. Ricordo una volta che sperai di avere la febbre per non andare a correre in Belgio. Facevo la vita. Mangiavo al meglio. Mi allenavo tutti i giorni con Tosatto, eppure non andavo avanti. Avevo accanto l’esempio di Moreno Moser, che trasformava in oro tutto quello che toccava (i due sono insieme nella foto di apertura, ndr). Già Vittoria mi aveva detto di pensarci bene, così il licenziamento mise fine sotto una vita di stress, di Adams, problemi…

Difficile da accettare?

Ho iniziato a vincere a 16 anni e trovarmi in una squadra di fenomeni che si ricordavano com’ero mi dava la sensazione di rovinare il buono che avevo fatto. Una volta parlavo con Marangoni. Eravamo poco sopra al minimo di stipendio e lui diceva che finché avesse trovato chi gli dava quei soldi, avrebbe continuato. Io invece volevo di più, non mi stava bene. E alla fine ho preso la mia strada.

In casa hai qualcosa che parla di ciclismo?

A casa dei miei c’è ancora tutto. La maglia tricolore degli under 23 in un quadro, quella del Giro, tutti i trofei. A casa mia non c’è niente, a parte la bici. Per me ora il ciclismo è nel lavoro e in quei giri per andare a salutare Marco Bandiera. E sono felice così.