E Museeuw ci parla di Van Aert: «Il Giro? Un rischio»

24.11.2023
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GAND (Belgio) – Metti una sera un vecchia Colnago con i colori della Mapei. «Bella – pensiamo noi – un classico. Una “botta” di puri anni ’90. Chissà di chi sarà?». Ebbene apparteneva al misterioso ospite di una delle super serate passate al velodromo Kuipke, per la Sei Giorni. Quando poi lo speaker ha dato le tre opzioni su chi fosse questo personaggio, vista quella bici non c’erano più dubbi. Il personaggio misterioso era Johann Museeuw.

Un’improbabile tutina gialla, un casco in testa e tre giri di pista tra due ali di folla già in delirio. Museeuw ha avuto due grandi eredi, Tom Boonen, prima, e Wout Van Aert, adesso. E avendo noi vissuto da vicino Boonen e ancora di più Van Aert è facile capire perché tanto calore anche per Johan.

«Ma quello è Museeuw!», pubblico in delirio e fuori gli smartphone
«Ma quello è Museeuw!», pubblico in delirio e fuori gli smartphone

Emozioni calde

Il campione belga è sempre sul pezzo. Tra l’altro gli facevamo le domande in francese e lui ci rispondeva in italiano. «Amo sempre l’Italia», ci ha detto Museeuw. Segno che tanti anni in Mapei qualcosa hanno lasciato… oltre alle bacheche piene di trofei s’intende!

«Dopo 25 anni ho rimesso piede su una pista. Il che è molto strano! Come è strana questa uniforme… che mi fa sudare tantissimo. La gente viene per la gara (la Sei Giorni di Gand, ndr), per divertirsi e per scoprire il personaggio misterioso. 

«Dopo tanti anni fa piacere questo calore del pubblico. Non è vero che un ex corridore non sente niente in certe situazioni».

Oggi il più applaudito in Belgio è Van Aert. Ormai lo abbiamo appurato nelle tante trasferte fatte in questa terra. 

«Beh – dice Museeuw – Wout è un grande corridore, ma non c’è solo lui in quanto a calore. Anche Remco Evenepoel è un atleta importantissimo e amato. In questo momento in Belgio abbiamo grandi corridori per il futuro. Meno male che voi non li avete e li abbiamo noi! Qui siamo a posto per i prossimi dieci anni».

Il tema di Van Aert al Giro d’Italia tiene banco in Belgio
Il tema di Van Aert al Giro d’Italia tiene banco in Belgio

Van Aert, rischio rosa

Con Museeuw abbiamo parlato proprio del corridore della Jumbo-Visma. In quei giorni Van Aert aveva detto di voler fare, e bene, il Giro d’Italia. Senza contare che aveva anche annunciato la sua assenza ai mondiali di cross seguita qualche giorno dopo anche da quella alla Sanremo. In Belgio non si parlava d’altro, almeno in ambito sportivo.

«L’idea della classifica al Giro – spiega perplesso Museeuw – per me è un po’ difficile per Van Aert. Quando puoi vincere il Fiandre o la Roubaix, puntare alla corsa rosa è molto rischioso. In classiche di quel genere lui ha nove possibilità su dieci di vincere, mentre di vincere il Giro ne ha cinque su dieci. Io non ho mai vinto la Sanremo, per esempio, ci ho provato, ho fatto tre volte secondo. Ma Sanremo e Giro sono due cose differenti. Se ho vinto il Fiandre, punto ancora al Fiandre».

Il discorso di Museeuw è chiaro: insistere laddove si può vincere. Ci sentiamo di dire che è anche un po’ una mentalità figlia di quegli anni. Anni in cui la specializzazione era massima, ma di certo non è da biasimare da un punto di vista prettamente tecnico.

Tour de France 2022, verso Hautacam, Van Aert resta da solo con Vingegaard e Pogacar. Quel giorno forse scatta qualcosa nella sua mente
Tour 2022, verso Hautacam, Van Aert resta da solo con Vingegaard e Pogacar. Quel giorno forse scatta qualcosa nella sua mente

Hautacam galeotto

L’idea di sacrificare troppo le classiche non convince dunque l’iridato di Lugano 1996.

«Se puoi vincere dalla Sanremo alla Liegi, passando per Fiandre e Roubaix, e forse tutti e cinque i monumenti, per me non devi cambiare le tue caratteristiche. Ma io sono vecchio!».

E’ voce più che comune che il tarlo della classifica sia entrato nella testa di Van Aert durante lo scorso Tour de France. In particolare quando verso Hautacam mise in difficoltà persino Pogacar, per di più dopo aver tirato come un folle per chilometri e giorni interi. Quel giorno Wout giunse terzo sul traguardo pirenaico.

«Che lui abbia fatto un Tour eccezionale è vero – prosegue Museeuw – Van Aert ha contribuito tantissimo al successo di Vingegaard, ma non vuol dire che può vincere il Giro o il Tour. E’ un’altra cosa fare classifica. Però è vero anche che ha un grande motore e vediamo a maggio cosa potrà fare. Per me comunque questa cosa è “pericolosa”».

Johan Museeuw (classe 1965) con la maglia iridata, oggi si gode il ciclismo da casa (foto Instagram)
Johan Museeuw (classe 1965) con la maglia iridata, oggi si gode il ciclismo da casa (foto Instagram)

Ciclismo e cappuccino

Museeuw è stato un campionissimo delle classiche. Specie quelle delle pietre. Tre Fiandre, tre Roubaix, un mondiale. Su 50 partenze nelle classiche monumento solo cinque ritiri. Lui è davvero il classico “fiammingone” e proprio per questo il ciclismo ce l’aveva e ce l’ha ancora dentro. Tanto è vero che segue moltissimo le corse. Ed è anche un accompagnatore cicloturistico: viene spesso in Italia.

«Cosa mi piace di questo ciclismo di oggi? Che vanno forte dall’inizio alla fine. Sono davvero dei fenomeni. E’ tutto un altro modo di correre rispetto a noi. Le gare sono divertenti.

«I corridori di oggi mi piacciono praticamente tutti. Okay i fenomeni, come Pogacar, Alaphilippe, Van der Poel, ma apprezzo anche i giovani corridori. Oggi i ragazzi hanno un bel carattere. E io seguo il ciclismo alla tv, con un cappuccino e un pezzo di torta… così è meno dura che pedalare!».

Van Aert è uomo da grandi Giri? Risponde Saronni

12.11.2023
5 min
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La prima bordata l’ha portata Adrie Van Der Poel, padre di Mathieu, parlando dell’intenzione di cambiare strategia da parte di Van Aert: «Penso che sia il più grosso errore che possa fare – ha dichiarato a Het Nieuwsblad – inizierebbe a gareggiare contro la sua stessa natura. Dovrebbe pensare agli errori commessi: la cessione della vittoria a Laporte alla Gand-Wevelgem o la tattica sbagliata che ha impedito a De Lie di vincere per distacco gli europei».

A metterci il carico da dodici è stato Johan Museeuw: «Forse gli manca lo spirito omicida per vincere una gara – ha sentenziato a GCN – una come la Gand-Wevelgem non si regala: alla fine della carriera la cosa più importante è quanto hai vinto e non ciò che hai dato via. Van der Poel a volte fa da apripista per Philipsen, ma questo è tutto, è più assassino. Van Aert è bravo nelle gare di un giorno: ecco dove dovrebbe essere la sua attenzione».

Van Aert agli europei al fianco di Stuyven. La condotta in gara di Wout ha dato adito a polemiche
Van Aert agli europei al fianco di Stuyven. La condotta in gara di Wout ha dato adito a polemiche

Gli esempi di Maertens e Saronni

E’ chiaro che fa molto discutere la stagione vissuta dal belga, intrisa di secondi posti (ma potremmo dire l’intera carriera), unita alle voci di mettersi alla prova come leader della squadra in un grande Giro, certamente non il Tour, magari la corsa rosa. Non sarebbe la prima volta che un grande specialista delle classiche, che fa della velocità allo sprint la sua forza, prova il grande colpo: uno sprinter puro come Maertens vinse una Vuelta e tutti ricordano Saronni capace di elevarsi fino al doppio trionfo al Giro d’Italia.

Proprio il grande Beppe è l’uomo adatto per provare a entrare nei meandri di Van Aert, alle prese con un bivio fondamentale per la sua carriera: «Wout è uno di quei 5-6 corridori che ti fanno appassionare al ciclismo. Io da spettatore lo adoro, ma se poi mi metto a ragionare da ex corridore e da manager quale sono stato allora le cose cambiano. Se Van Aert corresse meglio, vincerebbe molto di più: è evidente».

Giuseppe Saronni, 66 anni, ha vinto il Giro d’Italia nel 1979 e 1983
Giuseppe Saronni, 66 anni, ha vinto il Giro d’Italia nel 1979 e 1983
L’idea di fare il capitano in un grande Giro ti trova d’accordo?

Forse andrò controcorrente, ma io dico di sì. Non dico che vincerà, anzi è molto probabile che ciò non avvenga, ma deve farlo ora perché il tempo passa. Deve però mettere prima di tutto ordine in se stesso, nelle sue ambizioni perché non puoi fare tutto, devi saper rinunciare. E’ un po’ il discorso di Pogacar, che può vincere davvero dappertutto come nessun altro, ma non ci riesce e col livello generale che c’è deve per forza fare delle scelte.

Ha ragione allora Museeuw nella distinzione che fa tra l’olandese e il belga…

Sicuramente. Fino allo scorso anno VDP correva in maniera sin troppo generosa, faceva spettacolo ma perdeva troppe occasioni. Poi ha fatto delle scelte, ha orientato la programmazione in funzione degli obiettivi mirati e i risultati si sono visti. Che sia chiaro un punto: a me Van Aert piace da morire, lo ricordo giovanissimo che correva con le bici Colnago, solo che deve disciplinarsi e sacrificare qualcosa.

L’ultima delle 6 vittorie del belga nel 2023, alla Coppa Bernocchi. Un bilancio insoddisfacente
L’ultima delle 6 vittorie del belga nel 2023, alla Coppa Bernocchi. Un bilancio insoddisfacente
Un Van Aert capitano in un grande Giro significa dover anche gestire la squadra nei tapponi di montagna. Per uno che è abituato a farlo nelle classiche d’un giorno è la stessa cosa?

No, cambia molto. Devi saper gestire la situazione, la classifica, saper valutare quali sono le tappe più dure per te e sfruttare la squadra in modo da perdere il meno possibile. Il vero e proprio “correre in difesa”, sapendo che le crono possono essere invece un dato a favore come anche gli abbuoni in tante tappe. Evenepoel è la stessa cosa, si sa ormai che nei tapponi ha dei limiti, sulle salite lunghe e ripetute alla fine paga dazio. Bisogna saper gestire proprio quelle situazioni per poter emergere.

Tu per impostazione tecnica ti sei trovato a gestire la stessa situazione e hai portato a casa la maglia rosa…

E’ improponibile fare paragoni fra epoche così diverse, il ciclismo è cambiato enormemente da allora. Io ero veloce perché da dilettante avevo svolto un’attività prevalentemente da pistard, anzi la strada non l’avevo mai preparata realmente. Quando sono passato e ho iniziato a fare la vita da professionista è cambiato tutto, ma proprio a livello esistenziale. Ho iniziato a preparare l’attività su strada in maniera metodica, vedevo che in salita e a cronometro mi difendevo, mi sono evoluto tecnicamente e alla fine ho capito che potevo essere competitivo anche in un grande Giro. Ma rispetto a oggi c’è una differenza fondamentale…

Nel gravel, Van Aert ha conquistato uno dei 6 successi 2023, ma l’impegno in più specialità rischia di costargli caro
Nel gravel, Van Aert ha conquistato uno dei 6 successi 2023, ma l’impegno in più specialità rischia di costargli caro
Quale?

Io arrivai a essere pro’ che dovevo imparare tutto, dovevo anche evolvermi muscolarmente. Oggi invece i ragazzi fanno attività metodica sin da giovanissimi, arrivano alla massima categoria che sono già svezzati da quel punto di vista, devono solo adeguarsi alle esigenze dell’attività. Sono già formati, preparati. Quel salto non c’è.

Tornando a Van Aert, non pensi che i tanti secondi posti alla fine pesino psicologicamente?

Questo può essere. Alcune vicende, come quella della Gand-Wevelgem, dicono che Wout è uno buono per carattere e questo pregio può anche diventare un difetto. C’è il rischio che alla fine ti abitui a finire secondo, che perdi quella grinta necessaria per dare la zampata finale. Vincere è qualcosa di particolare, può anche farti scattare qualcosa nella testa. Meglio non abituarsi ai secondi posti, lo dico per lui…

Bike Passion… il meglio per passione!

03.08.2023
5 min
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MONZA – “Il meglio per passione!”. E’ questo lo slogan scelto da Bike Passion per presentarsi al pubblico. Stiamo parlando di un’azienda tedesca, ma con un’anima fortemente italiana, specializzata nella commercializzazione di brand che offrono prodotti davvero unici. Per capire fin da subito di quale tipologia di prodotti stiamo parlando, basta citare il marchio Lightweight, le cui ruote ancora oggi rappresentano il desiderio non molto velato di tanti ciclisti.


Per conoscere meglio la realtà Bike Passion, siamo venuti a Monza per incontrare Andrea Rovaris, Product Marketing and Sales dell’azienda.

Staff Bike Passion a Eurobike: da sinistra Giovanni Mastrosimone, Claudia Raggi, Dino Favoino, Andrea Rovaris
Staff Bike Passion a Eurobike: da sinistra Giovanni Mastrosimone, Claudia Raggi, Dino Favoino, Andrea Rovaris

Per quanti ancora non conoscono la realtà Bike Passion, da dove vogliamo iniziare?

Dal 2005. Anno in cui nasce Bike Passion, che è la scommessa, vera e propria, di Giovanni Mastrosimone. Una scommessa, ad oggi, sicuramente vinta. A quell’epoca Giovanni lavorava nel campo dell’automotive e gli venne proposto di iniziare a occuparsi delle ruote Lightweight in Italia. Fino a quel momento nessuno ne sapeva niente, anche se le ruote Lightweight avevano già avuto un debutto nel mondo dei professionisti e fu un debutto vincente. Pochi infatti sanno che, quando Johan Museeuw nel 1996 divenne campione del mondo a Lugano, aveva proprio delle Lightweight.

Inizialmente avete avuto delle difficoltà nel farle conoscere?

Ho parlato volutamente di scommessa in quanto nel 2005 Lightweight era un marchio sconosciuto e, per di più, le nostre ruote erano estremamente costose, e lo sono ancora per la verità. Soprattutto, eravamo in un periodo in cui non esistevano i social media e quindi era davvero molto complicato farsi conoscere. La spinta iniziale fu che, proprio in quel periodo, gli atleti più forti iniziarono ad acquistare di tasca propria le nostre ruote, che erano di gran lunga più leggere e performanti rispetto a quelle che avevano in dotazione nelle loro squadre. 

Questo che cosa comportò?

Il gap prestazionale fu così ampio, che l’ingresso del marchio Lightweight nel mondo del professionismo costrinse le aziende che producono ruote e componenti a mettere a punto contratti di fornitura “blindati” per le squadre, per evitare di vedere gareggiare i loro atleti con prodotti di un altro brand. In un certo senso, si può dire che l’impostazione degli attuali accordi di sponsorizzazione tecnica sia stata indirettamente plasmata da Lightweight.

Una piccola curiosità: nel 1996 Musseeuw vinse il mondiale con le ancora sconosciute ruote Lightweight
Una piccola curiosità: nel 1996 Musseeuw vinse il mondiale con le ancora sconosciute ruote Lightweight
Oggi Bike Passion non significa solo Lightweight, ma anche altri brand. In attesa di poterli conoscere in maniera più approfondita, ci può descrivere con una frase ogni singolo marchio?

Lightweight, tecnologia per andare nello spazio, condensata in una coppia di ruote. SLF Motion, la ricerca spasmodica della riduzione degli attriti. Schmolke Carbon, il primo costruttore di manubri da corsa in carbonio. Stoll, biciclette in cui tutto è esasperato e minimale. SWI, dal mare alla strada attraverso l’utilizzo di carbonio nato per le vele più evolute al mondo. Revoloop, poliuretano evoluto, leggero e riciclabile. THM, artigianalità e qualità ai massimi livelli.

Cosa accomuna fra loro tutti questi marchi?

Dietro a ciascun marchio ci sono costruttori che producono con un livello tecnico “esasperato”, di difficile o impossibile industrializzazione e che, per questo, sostengono costi di realizzazione estremamente elevati, come le performance dei loro prodotti.

Prodotti non per tutti…

Siamo noi per primi ad essere consapevoli che il nostro sia un portfolio di oggetti costosi. Dobbiamo però tenere presente che ogni prodotto è il risultato di un processo lungo, complesso, estremamente curato. Dalla progettazione, fino ai materiali utilizzati, rappresentiamo aziende che tendono ad evitare scorciatoie e, inevitabilmente, tutto questo influisce sul prezzo finale. Il nostro obiettivo è anche quello di far capire alle persone che il costo dei nostri prodotti è determinato dal lavoro che racchiudono e che, di conseguenza, ne rispecchia il valore tecnico.

Davvero nessuna scorciatoia…

Non sarà mai possibile realizzare una ruota Lightweight o un telaio Stoll attraverso un processo industriale. Il costo elevato è dovuto principalmente a questo.

Una nostra visita allo stand di Bike Passion a Eurobike e due parole con Andrea Rovaris
Una visita allo stand di Bike Passion a Eurobike e due parole con Andrea Rovaris
Come scegliete i brand con i quali collaborare?

Possiamo tranquillamente dire che ci permettiamo il lusso di lavorare con i brand che ci piacciono. Quelli che ci fanno innamorare dei loro prodotti.

Come avviene la selezione?

Tra le mansioni che ricopriamo Giovanni Mastrosimone ed io, c’è proprio il compito di selezionare i marchi che, per le loro caratteristiche, si adattano alla filosofia Bike Passion. Intuito il potenziale di una soluzione tecnica, c’è il test del prodotto su strada, il vero termometro di un prodotto. Infine il primo contatto con l’azienda, spesso informale, per verificare che ci sia una compatibilità di intenti e anche affinità personale. La collaborazione con SLF Motion, ad esempio, è nata guardando la Strade Bianche. Da una chiacchierata sulla corsa, siamo finiti col far debuttare SLF Motion al World Tour, con il Astana Qazaqstan Team.

Come è strutturata la vostra realtà?

La nostra sede è a Suessen a circa 50 chilometri da Stoccarda. Possiamo tranquillamente affermare che abbiamo una struttura agile. Siamo infatti in cinque. Oltre a Giovanni Mastrosimone, che ne governa il timone, Bike Passion può contare su un account manager, un addetto all’assistenza e un direttore operazioni che coordina il magazzino, evasione degli ordini e quant’altro. Infine ci sono io.

Di cosa si occupa Andrea Rovaris?

Oltre a ricoprire la carica di Product Marketing and Sales, provo per primo i prodotti che abbiamo intenzione di commercializzare. Dopotutto, ho più di 20 anni esperienza come collaudatore nel settore. Vogliamo infatti essere sicuri della reale qualità ed efficienza, perché siamo convinti che ogni singolo componente debba contribuire a rendere migliore la prestazione dell’utilizzatore finale, sia un professionista o un semplice praticante.

Il marchio di biciclette Stoll è ideato perché tutto sia “minimal”
Il marchio di biciclette Stoll è ideato perché tutto sia “minimal”
Chiudiamo con un’ultima domanda relativa alla vostra presenza alla recente fiera di Eurobike. Perché avete deciso di presentarvi a Francoforte con un vostro stand?

La nostra presenza a Eurobike può essere considerata come un ulteriore passo in avanti nel nostro processo di internazionalizzazione. Ormai Bike Passion ha intrapreso un percorso che la sta portando a rappresentare i propri marchi, anche al di fuori di Italia e Svizzera. Alla Spagna, aggiunta di recente, seguiranno prossimamente altri Paesi: Eurobike ci è servita per presentarci ai mercati su cui non ci siamo ancora affacciati.

Un impegno ambizioso?

Uno sforzo organizzativo non indifferente, ma il risultato ottenuto ci ha pienamente soddisfatti e ulteriormente incoraggiati. Siamo una realtà consolidata da quasi vent’anni, ma che vuole crescere ancora.

Bike Passion

Vi ricordate di Museeuw? Ora a Roubaix corre suo figlio

17.01.2023
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Il ciclismo non è un lavoro semplice. In tanti ambiti siamo abituati a vedere genitori che trovano nei figli la loro ideale continuazione lavorativa, lasciano loro il posto, spianano la strada per il loro futuro. Nel ciclismo è molto difficile, ancor più se chi è tuo padre è stato un grande campione, di quelli che hanno contrassegnato un’epoca. E’ il caso di Stefano Museeuw, il figlio di Johan (nella foto d’apertura insieme durante il ritiro in Spagna).

Per i più giovani, Johan Museeuw è stato una colonna della Mapei, di quel nucleo di campioni dal quale è scaturita una storia ininterrotta di successi che prosegue ancor oggi attraverso la Soudal-Quick Step di Evenepoel e Alaphilippe. Allora, il team voluto da patron Squinzi aveva già una conformazione come quella degli ultimissimi anni, ossia di una squadra votata a fare il botto in ogni classica e Johan Museeuw era la perfetta incarnazione di quel profilo. Tre volte vincitore della Parigi-Roubaix come del Fiandre, iridato nel 1996 e poi una pioggia di altre classiche dal 1988 al 2004. Un fuoriclasse capace di affascinare un popolo come oggi fa Van Aert. Essere figlio di cotanto padre non è semplice.

Stefano Museeuw, 25 anni, è alla sua prima stagione con il Vc Roubaix
Stefano Museeuw, 25 anni, è alla sua prima stagione con il Vc Roubaix

Il figlio d’arte Stefano Museeuw ha 25 anni. E’ passato professionista nel 2020, ha sempre corso in squadre continental, quest’anno approda alla Go Sport-Roubaix Lille Metropole e la cosa affascina suo padre.

«Mi ha fatto davvero piacere – racconta Johan – quando ho saputo che passava nel team francese, Roubaix è una località che porta in me sempre dolci ricordi, anche quando sono stato battuto. Stefano ha iniziato a fare seriamente il ciclista 3 anni fa, ma era il tempo del Covid e non era davvero semplice potersi adattare. Ha corso in un team tedesco, poi uno belga e ora va in Francia. Ha bisogno del suo tempo».

Il fatto che abbia un nome italiano incuriosisce…

Anche suo fratello Gianni ha un nome italiano. Sono nati quand’ero in Italia e i loro nomi sono legati a due miei grandi amici e persone che stimo come Stefano Zanini e Gianni Bugno, compagni e avversari allo stesso momento. Io sono sempre stato innamorato dell’Italia, sono rimasto amico di tanti colleghi italiani tanto che preferisco parlare italiano piuttosto che francese. Però non ho mai baciato una ragazza italiana… 

Stefano Zanini e Johan Museeuw, primo e terzo all’Amstel ’96. Un’amicizia che dura ancora oggi. A sinistra, Mauro Bettin
Stefano Zanini e Johan Museeuw, primo e terzo all’Amstel ’96. Un’amicizia che dura ancora oggi
Com’è Stefano come corridore?

E’ difficile fare il ciclista se hai avuto un padre famoso. Io ho corso con Axel Merckx, era davvero bravo ma quel nome lo schiacciava, tutti facevano continuamente paragoni. Per Stefano è lo stesso, ma so che è spinto da una grande passione. Io sono contento dei suoi inizi, sta imparando tanto. Quando deve fare allenamenti sul ritmo usciamo spesso insieme, quando ha lavori più specifici chiaramente no, non ho più il fisico.

Ha qualche caratteristica che ha ereditato da te?

E’ un corridore molto tattico, sa leggere bene la corsa e quando si trova in gruppi di 30-40 corridori può dire la sua perché è abbastanza veloce. In salita tiene anche meglio di come riuscivo a fare io. Sa gestirsi bene anche se non ha un gran motore, lo sa bene lui stesso, ma è molto intelligente. Credo che gli manchi solo quel pizzico di furbizia che viene dall’esperienza, poi potrà togliersi delle soddisfazioni. Poi, è chiaro che per essere un campione devi avere tutto al massimo grado, ma io credo che un posto nel mondo del ciclismo importante potrà trovarlo.

Il figlio d’arte belga ha corso due anni con la Beat Cycling, formazione continental tedesca
Il figlio d’arte belga ha corso due anni con la Beat Cycling, formazione continental tedesca
Stefano corre in un’epoca di grandi campioni e dove il gruppo ha un’età media molto diversa da quella dei tuoi tempi. Quanto è cambiato il ciclismo da allora?

Tantissimo, strumenti come il power meter noi non li avevamo, ma non avevamo neanche le radioline in corsa e quindi dovevamo continuamente pensare a che cosa fare. E’ cambiato tutto: la dieta, l’allenamento, i tanti ritiri in altura, anche i soldi… Oggi è un ciclismo talmente sofisticato che anche la più piccola cosa, magari un capo d’abbigliamento diverso fa la differenza.

Tu sei stato il riferimento del ciclismo e quindi dello sport belga a cavallo del secolo. Oggi c’è Van Aert che smuove masse enormi quando gareggia nel ciclocross. Avveniva lo stesso ai tuoi tempi?

Ogni generazione ha i suoi fenomeni, oggi ce ne sono tanti e Van Aert è uno di questi. In Belgio il ciclocross poi è un’autentica cultura, anch’io l’ho fatto e so che l’importanza che ha il ciclocross in Belgio non è paragonabile a nessun’altra nazione. Van Aert è un campione universale, ma i vari Iserbyt o Vanthourenhout, al di là dei confini nazionali, non hanno grande visibilità. E’ la strada che dà la gloria imperitura, questo non cambierà mai.

La Roubaix del ’96 con il famoso arrivo in parata Mapei: 1° Museeuw, 2° Bortolami, 3° Tafi
La Roubaix del ’96 con il famoso arrivo in parata Mapei: 1° Museeuw, 2° Bortolami, 3° Tafi
Ti piace il ciclismo di adesso?

E’ molto diverso dal mio, ma mi piace, lo seguo sempre con passione. Anche se, a essere sincero, con tutti questi strumenti elettronici che si portano appresso, con quei cellulari con i quali riprendono tutto e sui quali sono costantemente appiccicati, lo trovo un po’ meno genuino di allora. Ma io sono di un’altra generazione…