Dunbar al Giro, parla Piva «Una top 5 è possibile»

22.04.2024
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Scatta domani il Tour de Romandie e tra i partecipanti ci sarà anche Eddie Dunbar. L’irlandese della Jayco-AlUla è atteso protagonista all’ormai imminente Giro d’Italia. Lo scorso anno infatti è arrivato settimo nella classifica generale. Va da sé che le attese non sono banali.

Tolto Tadej Pogacar, fuori portata per il mondo intero, a meno che non ci si chiami Jonas Vingegaard, alle sue spalle la lotta è alquanto aperta. Eddie è un ragazzo in crescita, ha mordente, l’aspirazione e la maturità per fare bene. E ha anche un’ottima squadra che lo supporta, a partire dal direttore sportivo che lo guiderà nella corsa rosa, Valerio Piva.

Valerio Piva (classe 1958) è stato un corridore fino al 1991 poi diesse. Da quest’anno è alla Jayco-AlUla
Valerio Piva (classe 1958) è stato un corridore fino al 1991 poi diesse. Da quest’anno è alla Jayco-AlUla
Valerio, dunque, cosa possiamo aspettarci da Dunbar al Giro?

Io sono arrivato quest’anno in squadra e non lo conoscevo molto prima, però so che lo scorso anno è andato come è andato senza aver preparato in modo specifico il Giro. Quest’anno l’idea era di farglielo preparare come primo obiettivo, di farcelo arrivare come leader. C’è dunque tutta l’impostazione della preparazione invernale.

Però sin qui lo abbiamo visto poco, come mai?

In effetti ha avuto qualche problemino di salute. Prima l’influenza e la tosse, che gli hanno fatto saltare l’Oman, dove era previsto. In teoria poteva anche andarci, ma dopo una riunione tutti insieme abbiamo deciso che sarebbe stato meglio rimandare. Poi ha subito una caduta alla Valenciana, riportando un piccolo trauma cranico, e abbiamo cambiato ancora i programmi. 

Ecco spiegato il perché dei suoi pochi giorni di corsa sin qui…

Così ha saltato la Tirreno è andato ai Baschi e da domani sarà al Romandia. Però adesso è in tabella. Eddie, come detto, sarà uno dei nostri leader al Giro, e con lui anche Luke Plapp. Chiaramente Eddie non è il favorito, ma intanto sia lui che Plapp iniziano ad imparare come si affronta una corsa simile da leader.

Dunbar (classe 1996) a crono non è un drago, ma non è fermo per essere uno scalatore
Dunbar (classe 1996) a crono non è un drago, ma non è fermo per essere uno scalatore
Non siete i favoriti, ma si può fare bene. Aspirare ad un podio sarebbe troppo?

Il podio sarebbe un risultato eccezionale. Diciamo che una top dieci è realistica e una top cinque un grande obiettivo. Per un podio firmerei in partenza, come chiunque del resto. Però non posso dire andiamo al Giro per questo o quel piazzamento. Parliamo di un ragazzo che deve conoscere realmente le sue possibilità. Anche perché un conto è andare forte una volta e un conto è confermarsi. In più bisogna considerare una cosa.

Cosa?

Le due crono. Dunbar non va fortissimo contro il tempo, non è uno specialista e per questo dico che una top cinque sarebbe già un ottimo risultato.

Valerio, tu sei arrivato quest’anno in Jayco-AlUla e chiaramente non lo conosci a fondo, ma per quel che hai visto cosa ti è sembrato di questo ragazzo?

L’ho diretto ai Baschi e l’ho trovato un ragazzo molto tranquillo, che non si atteggia a leader. Anche perché forse deve ancora dimostrare di essere un certo tipo di leader. E anche per questo non mi sbilancio su quel che potrà fare al Giro. Di certo Eddie ha delle qualità, ma andiamoci piano. Vuol fare bene in classifica e non viene al Giro alla leggera. Abbiamo visionato, anche con altri tecnici molte tappe, alcune dopo la Tirreno, altre in occasione del Tour of the Alps. E qualcosa vedrò io prima del Giro. Andremo ad Oropa due giorni prima di Torino.

E a te che sei un direttore sportivo italiano cosa chiede Dunbar del Giro?

Sostanzialmente delle tappe e delle salite in particolare. Ma ha già corso un Giro e sa cosa aspettarsi.

Lo scorso anno Dunbar è arrivato 7°. Spesso in salita ha avuto il supporto di Zana, anche stavolta dovrebbe essere così

Lo scorso anno Dunbar (classe 1996) è arrivato 7°. Spesso in salita ha avuto il supporto di Zana, anche stavolta dovrebbe essere così
Oltre a Dunbar ci hai parlato anche di Plapp. Lui però prima della Sanremo ci ha detto che non pensa alla classifica. Quindi dov’è la verità?

E ha ragione lui. E’ un po’ lo stesso discorso di Dunbar. E’ giovane e non sa come andranno le cose. Dove potrà arrivare. Con due cronometro lunghe può fare bene. Per esempio se tiene bene nelle prime due frazioni, Torino e Oropa, magari uno come Luke può pensare alla maglia rosa con la prima crono. Ecco Plapp rispetto a Dunbar è più aggressivo. Uno devi quasi fermalo, l’altro devi spronarlo. Entrambi hanno qualche problemino di posizionamento in gruppo e nei grandi Giri non è una bella cosa per chi pensa alla classifica. Il rischio è quello di essere attaccati nel momento sbagliato. E poi ci sarà anche Caleb Ewan per le volate.

Caspita, portate una gran bella squadra…

Ma sì, lasciamoli crescere. Gli diamo questa responsabilità e se alla fine non saranno andati bene non saremo arrabbiati. Qui al Giro non portiamo il nostro numero uno, Simon Yates, e così possono fare esperienza.

Insomma Valerio, Dunbar, Plapp, Ewan… e anche Zana. Che ruolo avrà Pippo?

Non farà classifica. Filippo sarà un cacciatore di tappe. Le crono sono il suo limite, mentre ha già dimostrato di saper vincere una tappa e di andare forte in salita.

Magari uno come lui potrebbe puntare alla maglia dei Gpm?

Sì, ma non sono cose che puoi decidere prima. Anche con Caleb Ewan, che parte per arrivare a Roma, potremmo puntare alla maglia ciclamino, ma per questo tipo di obiettivi si deve valutare strada facendo. Intanto partiamo per il Giro e partiamo bene… poi vediamo. 

Coppi e Bartali, sul taccuino i nomi di Ulissi e De Pretto

24.03.2024
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FORLì – Le curve ripide in cemento del velodromo Glauco Servadei fanno da eco alle urla del giovane Jenno Berckmoes. Sul prato gli atleti iniziano a scrollarsi le fatiche di oggi e di questa Settimana Internazionale Coppi e Bartali. Dopo cinque giorni di corse due nomi ci hanno colpito per costanza e permanenza nelle prime posizioni, Ulissi e De Pretto. Esperienza e gioventù che oggi si sono incrociate ancora una volta sull’ultima salita all’epilogo di questa settimana. Per Diego un’ulteriore conferma di competitività, avendo conquistato la sua 46ª vittoria da pro’. Per Davide una presa di coscienza per nulla scontata da neoprofessionista. Non a caso i due nel retropodio a distanza di pochi secondi si sono scambiati parole di stima reciproca.

De Pretto, 21 anni, è al suo primo anno tra i pro’
De Pretto, 21 anni, è al suo primo anno tra i pro’

Soddisfatto

Per De Pretto è la prima stagione tra i pro’. In Jayco-AlUla sembra aver trovato il giusto contesto per essere competitivo fin da subito. L’ambizione di vittoria è già lì a rendere l’atteggiamento di Davide agguerrito senza timori reverenziali. «Sono soddisfatto – afferma De Pretto – di questa Coppi e Bartali. Non mi aspettavo di essere a livelli così alti. Ho già finito quarto nella generale, quindi per un neoprofessionista penso sia una buona cosa. Ho fatto tutti i piazzamenti nella top 6, quindi sono abbastanza soddisfatto. Sperare in una vittoria è sempre difficile. Oggi ho preso troppo dietro l’entrata del velodromo, che era molto insidiosa. Poi il ragazzo della Lotto è molto forte e veloce, quindi mi sono accontentanto del terzo posto.

«Sapevamo che non era una corsa così semplice da gestire, perché c’era la Visma che aveva poco vantaggio, quindi ci sono stati molti attacchi. Sull’ultima salita nessuno attaccava, quindi ho provato ad accelerare io. Poi l’esperienza di Ulissi si è fatta sentire, ha guidato il gruppo e in cima mi ha rispreso. Da solo era difficile andare via, a poco dal GPM mi sono girato e ho visto il gruppo e ho smesso di insistere nell’azione. In volata ho provato a sprintare, sono sempre lì e spero di arrivare a questa vittoria».

Dopo il podio è tempo di sorridere e pensare ai prossimi appuntamenti
Dopo il podio è tempo di sorridere e pensare ai prossimi appuntamenti

Consapevolezza

Al termine di questi cinque giorni di gara il veneto si porta a casa la consapevolezza di aver già un buon ritmo gara e un primo accenno positivo di risposta dal proprio fisico in più giorni di corsa. Come detto da lui le sue top sei nelle cinque tappe ne sono la conferma.  «A Inizio stagione – spiega De Pretto – sono partito forte, non pensavo di tenere la condizione così tanto e adesso avrò un altro blocco di gara in Spagna e poi in Belgio, quindi è ancora lunga prima di riposare, però anche negli scorsi anni ho notato questa capacità di tenere la condizione alta gran parte della stagione, quindi speriamo di continuare così.

«Ritmo gara? Mi sento pronto. Il ritmo è più alto dell’anno scorso, però nel finale sono sempre lì davanti. Esco consapevole di avere un buon recupero tra una gara e l’altra, di tenere le salite, di essere veloce nel sprint».

Per Diego Ulissi la 46ª vittoria è arrivata nella seconda tappa a Sogliano al Rubicone
Per Diego Ulissi la 46ª vittoria è arrivata nella seconda tappa a Sogliano al Rubicone

Contento e vittorioso

L’Ulissi che abbiamo incontrato è sembrato davvero pieno di energie e rilassato. Pienamente cosciente di aver raggiunto egregiamente i suoi obiettivi. E’ stato la guida per una UAE Team Emirates giovane e vogliosa. «Sto bene – dice sorridente Ulissi – sono contentissimo della vittoria di tappa e ho chiuso sul podio. Bisogna essere felici perché per l’ennesima stagione ho trovato la vittoria e ho lottato tutta la settimana. Questi ragazzi stanno venendo fuori veramente bene. Io sono contento di essere lì. La Coppi e Bartali era una gara dove ero libero e di cercare il mio risultato nonostante avessimo comunque una squadra giovanissima. Sono contento che i ragazzi sono andati veramente bene e spero di avergli trasmesso qualcosa di buono

«Ero un po’ anche preoccupato per il fatto che non ero stato bene dopo l’Oman, ero stato quasi una settimana senza bici, però dopo mi sono allenato bene ed era venuto fuori un bel piazzamento alla Milano-Torino. Qua sono riuscito a conquistare un buon podio. Adesso andiamo avanti, faremo il Giro d’Abruzzo che sarà uno step importante perché poi andremo a fare l’Ardenne con Tadej e cercheremo di essere in condizione per far bene».

Una Coppi e Bartali soddisfacente per Ulissi
Una Coppi e Bartali soddisfacente per Ulissi

Tra i giovani

Per Diego è la 14ª stagione tra i pro’. In ognuna di queste ha vinto e quest’anno il primo sigillo è arrivato nella seconda tappa a Sogliano sul Rubicone. Tanta esperienza che si è incontrata con un ricambio generazionale importante qui alla Coppi e Bartali. Così gli abbiamo chiesto cosa ne pensasse di questi giovani promettenti.

«Ci sono ragazzi – spiega Ulissi – molto interessanti come De Pretto, perché è sempre lì, ha costanza e spero per lui che prima o poi arrivi la vittoria per sbloccarsi e per far sì che ne arrivino altre. Non voglio elencare nomi, ma di giovani italiani ce ne sono tanti che vanno forte. L’unica cosa, spero per loro che non gli venga messa pressione e che riescano con calma a tirare fuori tutta quella potenzialità che sono sicuro hanno. 

«Esco da questa Coppi e Bartali felice perché comunque quest’anno compio 35 anni. Io l’unica cosa che cerco ogni stagione è di dare il cento per cento e penso di aver fatto una buonissima carriera, e sono sempre qui a farmi valere anche se ci sono questi ragazzi davvero forti».

Van der Poel e la Liegi: per Piva è una sfida possibile

10.03.2024
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Il ciclismo entra nel vivo con le grandi e grandissime corse come stiamo vedendo tra Tirreno-Adriatico e Parigi-Nizza, tuttavia c’è anche il tempo di parlare anche di altro. Mathieu Van der Poel ha inserito nel suo programma la Liegi-Bastogne-Liegi. E quando il campione del mondo si muove non lo fa mai tanto per farlo. La classica belga però è, almeno su carta, parecchio diversa dagli obiettivi consueti di VdP.

La Liegi è anche “casa” di uno dei tecnici più esperti in assoluto del circus del grande ciclismo: Valerio Piva. Il direttore sportivo della Jayco-AlUla da quelle parti ci vive.

In questa “chiacchiera da bar tecnica” lo abbiamo voluto coinvolgere sottoponendogli di base questa domanda: Van der Poel può vincere la Liegi?

Valerio Piva (classe 1958) è passato alla Jayco-AlUla questo inverno
Valerio Piva (classe 1958) è passato alla Jayco-AlUla questo inverno
Insomma Valerio, Mathieu ha inserito la Doyenne nella sua lista di gare. La può conquistare?

Eh – sospira e sorride Piva – Van der Poel può vincere quasi qualsiasi corsa. Chiaramente per le sue caratteristiche la Liegi è dura. Ci sono salite che magari d’estate e in altri periodi non mettono in grosse difficoltà uno come lui, come invece potrebbero fare quelle più lunghe del Lombardia. In poche parole non lo escluderei dai candidati per la vittoria della Doyenne. Una cosa a suo sfavore è che non ha una grandissima esperienza con la corsa e questo conta.

Hai parlato d’estate: perché? Cosa cambia?

Per la mia esperienza, vedendo tante corse in estate su quelle strade come il Wallonie o il Giro del Belgio, quelle salite non hanno lo stesso effetto che in aprile. Chiaramente sulla Liegi incide anche il chilometraggio. Ma la scorsa estate, per esempio, sono state affrontate tre salite in successione, tra cui Redoute e Roche aux Faucons e non è successo granché. Questo perché d’estate gli atleti hanno un’altra condizione, perché non tutti sono al 100 per cento come quando ci si presenta ad una gara come la Liegi. E anche perché un conto è una corsa di un giorno e un conto una corsa a tappe. Il livello è diverso. Ad una Liegi prendono parte corridori che puntano al Giro d’Italia, i quali tra l’altro ormai sono in forma, e al Tour.

Tecnicamente però la Liegi-Bastogne-Liegi sarebbe per VdP? Alla fine ha già fatto sesto una volta, nella sua unica partecipazione…

Sono salite che richiedono esplosività, quindi direi che vanno bene per lui. Al massimo sono lunghe tre chilometri e il tratto duro veramente della Redoute stessa è di 1,5 chilometri e su questo genere di salite Van der Poel ha dimostrato che può fare bene. Molto bene. Nei suoi anni migliori, ai tempi della BMC, provammo a farla con Van Avermaet e ci andammo vicino. Quindi non dico che Van der Poel possa vincere sicuramente la Liegi, ma ci può riuscire. Una cosa è certa, se si presenta al via, lo metto tra i candidati alla vittoria.

Nella unica Liegi disputata, Van der Poel è arrivato 6° a 14″ dal vincitore Roglic. Era la Doyenne 2020, disputatasi ad ottobre
Nella unica Liegi disputata, Van der Poel è arrivato 6° a 14″ dal vincitore Roglic. Era la Doyenne 2020, disputatasi ad ottobre
Con un Van der Poel in gara, i Pogacar, gli Evenepoel, farebbero una corsa differente?

L’anno scorso alla Sanremo c’erano tutti e tutti hanno attaccato sul Poggio: io non credo quindi. Penso che ognuno faccia la sua corsa e non si cambi il modo di correre perché c’è questo o quel corridore.

L’ipotesi era che con un Van der Poel in gara magari le squadre di corridori “più scalatori” impostino un ritmo elevato sin dall’inizio…

Una squadra non fa una certa azione perché c’è Van der Poel, non si corre contro uno. Una squadra fa la strategia che l’avvantaggia. Il discorso cambia se i veri pretendenti sono due. A quel punto è chiaro che se Pogacar si ritrova contro Evenepoel o contro Van der Poel, corre diversamente.

Secondo te la “scintilla della Liegi” a VdP si è accesa lo scorso anno quando ha fatto il Giro del Belgio?

No, per me già ce l’aveva. Semmai la scintilla gli si è accesa quando ha vinto l’Amstel che non è poi così lontana dalla Liegi, tutto sommato è una gara “simile”. C’è un bel dislivello, ci sono salite esplosive. Chiaro, alla fine è una gara diversa, le salite della Liegi sono un po’ più lunghe.

Van der Poel è in una squadra che mira bene agli appuntamenti, specie con lui. Pensi che tra Sanremo e Liegi possa perdere quel chilo o addirittura quegli etti che lo possano aiutare sulle salite delle Ardenne?

Oddio, mi sembra molto al limite come ipotesi… non so. Magari succederà anche, ma nella mia squadra per esempio non siamo a questo livello di esasperazione che riguarda gli etti in più o in meno per una determinata corsa. Poi ogni cosa, ogni dettaglio conta. Di certo ai miei tempi si veniva su al Nord con una squadra e con la stessa facevano tutte le corse. Noi vincevamoo il Fiandre con Argentin e poi la Liegi sempre con lui ed eravamo gli stessi. Oggi ci sono gli specialisti delle prime classiche e quelli delle Ardenne. Qualcuno si mischia nell’Amstel.

L’altimetria della prossima Liegi. Per dare un’idea: il dislivello di questa prova è di 4.097 metri. Quello dell’Amstel di 3.290 e quello dell’ultimo Lombardia di 4.650 metri
Il dislivello della Liegi è di 4.097 metri. Quello dell’Amstel di 3.290 e quello dell’ultimo Lombardia di 4.650 metri
Prima, Valerio, hai accennato alle salite del Lombardia. E’ off-limits per VdP la Classica delle Foglie Morte?

Il Lombardia no, non penso sia adatto alle sue caratteristiche. Ha percorsi troppo selettivi. Per questo dico anche che per me Mathieu non ci pensa. Almeno per ora. Poi in futuro chissà. Può diventare un obiettivo, ma più a lungo termine. Ci sono salite troppo lunghe e dure per lui.

Però è anche vero che spesso il Lombardia, arrivando a fine stagione, è per quei pochi che hanno qualcosa nella scorta di energie…

Però se così fosse, se partisse da protagonista non credo lo lascerebbero andare via. Perché è chiaro che dovrebbe attaccare prima, non può tenere il testa a testa in salita con Pogacar o Vingegaard.

Insomma il Lombardia potrebbe essere l’anello debole per la conquista di tutti e cinque i Monumenti… Vale anche per Van Aert che invece ha dimostrato di essere forte anche sulle salite lunghe?

Sì, forse è la sfida più difficile per Van der Poel per la conquista dei cinque monumenti. Riguardo a Van Aert: è vero, in salita va forte, però lo ha mostrato al Tour, in una corsa a tappe. Nella gara di un giorno è più difficile. Per me il Lombardia è molto difficile anche per lui, che tra l’altro pesa anche più di Van der Poel. Alla Liegi non sarei stupito di vederli davanti, al Lombardia sì.

L’addio di Stybar, un dio del cross. Oppure è un arrivederci?

24.12.2023
6 min
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A 38 anni Zdenek Stybar ha deciso di chiudere la sua carriera, lunga ben 18 anni. Il che può anche starci. Ma quando sei un campione che ha scritto pagine storiche su strada e ancor di più nel ciclocross non puoi andartene così, con un semplice annuncio. Stybar lo farà a inizio febbraio, prendendo parte all’ennesimo campionato mondiale, nella “sua” Tabor. Lo farà a dispetto dei dolori (è stato operato alle arterie femorali di entrambe le gambe) e di un fisico che giocoforza non risponde più come prima, ma sarà una festa e conoscendolo si sa già che ha in mente degli obiettivi precisi, anche agonistici.

Per ora la sua vita, nel cuore delle feste natalizie, è fatta di obblighi familiari e allenamenti (a Gavere, a Santo Stefano, farà l’esordio stagionale in Coppa del mondo) e fare due chiacchiere sulla sua carriera rappresenta anche un modo per uscire dalla routine, «ma dopo aver espletato i miei compiti di papà…».

Il ceko ha esordito il 9 dicembre a Essen, chiudendo 18° a 7’03” da Van Aert (foto Facebook)
Il ceko ha esordito il 9 dicembre a Essen, chiudendo 18° a 7’03” da Van Aert (foto Facebook)
Che cosa ti ha spinto a cercare la partecipazione ai mondiali di Tabor?

In realtà è molto semplice. A Tabor è iniziata sostanzialmente la mia carriera. E’ lì che ho ottenuto una delle vittorie più grandi della mia storia, il mio primo mondiale nel 2010. Quindi sarebbe bello chiudere la carriera nello stesso posto. Ho effettivamente finito la mia carriera su strada a Hong Kong ed è stato bello, perché c’erano molti amici, quindi ho potuto ancora chiacchierare con molti ragazzi ed è stato bello dire addio alla maggior parte dei miei colleghi. Ma ovviamente mi piacerebbe disputare la vera ultima gara della carriera in un posto che per me è molto simbolico, che significa qualcosa per me. Davanti ai tifosi del Belgio e della Repubblica Ceka. E voglio ancora presentarmi nella migliore forma possibile. Ci sto davvero lavorando duro.

Tu sei stato un monumento nel ciclocross, dedicandoti poi su strada. Ti sei mai pentito della scelta?

No, per niente. Penso che sia stata davvero un’ottima scelta perché ho conosciuto tantissime persone. Ho vissuto qualcosa d’importante, come vincere con la Quick Step sia alla Vuelta che al Tour. Tutte le vittorie hanno per me un sapore speciale, quindi non me ne pento mai. Penso che fosse anche il momento giusto per passare alla strada, avevo vinto tanto nel ciclocross, tutto quel che contava davvero, non vedevo come avrei potuto ancora migliorare. Quindi penso che andare sulla strada e fare progressi, sia dal punto di vista della condizione, sia dal punto di vista fisico, sia stata la scelta giusta al momento giusto.

A Tabor nel 2010 la sua prima vittoria iridata da elite. Si ripeterà nel 2011 e 2014
A Tabor nel 2010 la sua prima vittoria iridata da elite. Si ripeterà nel 2011 e 2014
Dieci-quindici anni fa una doppia attività come quella di Van Aert e Van der Poel era possibile?

Sì, era possibile, ma nessuno ci credeva veramente. E inoltre nessuno voleva davvero correre il rischio perché la squadra mi ha ingaggiato per esibirmi su strada e non nel ciclocross. Anche se pensavo sempre che fosse una buona preparazione per la strada anche avere qualche uscita agonistica in inverno, anche a livello d’immagine. Il ciclocross penso che sia davvero propedeutico alla preparazione per la strada, soprattutto per le corse. Ma allora era ancora un’altra cultura, vecchia scuola che imponeva il raduno a Calpe a dicembre e a gennaio e di nuovo a fine gennaio.

Era un sistema funzionante?

Sicuramente, ma penso che tu possa davvero riempire l’inverno con qualche gara di ciclocross o su pista, non perdi l’intensità e non perdi l’esplosività e movimenti la tua preparazione, anche mentale. Sei più concentrato perché hai ancora il numero di gara addosso e vuoi ancora esibirti. Quindi, voglio dire, ci sono molti vantaggi nel correre anche durante l’inverno. Quel che è certo è che Van Aert e VDP hanno sicuramente rivoluzionato quel modo di pensare.

Uno dei maggiori successi di Stybar, la Strade Bianche del 2015 (foto Cor Vos)
Uno dei maggiori successi di Stybar, la Strade Bianche del 2015 (foto Cor Vos)
Quando hai vinto i mondiali, come nazioni leader c’era più concorrenza rispetto a oggi, dove Olanda e Belgio dominano?

No, era fondamentalmente lo stesso, io mi confrontavo con Nys, Wellens, Pauwels leader dello squadrone belga. C’erano ovviamente quei pochi ragazzi ceki, come Simunek, poi qua e là qualche svizzero, ma soprattutto sempre belgi, soprattutto per le grandi gare.

Secondo te la situazione cambierà, ci saranno altre nazioni che emergeranno anche fra gli Elite contro Olanda e Belgio?

Sì, potrebbe. Vedo ad esempio molta effervescenza fra gli inglesi. Presto i ragazzi più giovani si renderanno effettivamente conto che non è una cattiva preparazione verso la strada o la mountain bike. Proprio perché Wout e Mathieu sono un grande esempio per i giovani e stanno dimostrando che è possibile esibirsi in inverno e in estate sempre al massimo grado.

Roubaix 2017, Stybar insieme all’iridato Sagan. Alla fine sarà secondo, battuto in volata da Van Avermaet
Roubaix 2017, Stybar insieme all’iridato Sagan. Alla fine sarà secondo, battuto in volata da Van Avermaet
In che situazione lasci il ciclismo del tuo Paese?

Penso che in generale ci sia molto talento, ma sfortunatamente ci manca ancora una vera via d’accesso al ciclismo professionistico. Quando i corridori lasciano la categoria juniores devono trovare spazio all’estero. Così molti smettono quando hanno meno di 23 anni, perché non vedono alcun futuro. Non vedono la possibilità di dove andare, a quale team unirsi. Serve un riferimento reale, che vada al di là della trafila attraverso i team Devo.

Qual è stato il momento più bello della tua carriera su strada?

Non direi davvero i miei risultati personali anche se ho portato a casa 21 vittorie, perché ho sempre apprezzato il lavoro di squadra, i grandi successi che abbiamo ottenuto insieme, alla Roubaix come alla Sanremo, con il team, come costruirli, lavorarci tutti insieme. Era il Wolfpack e penso che probabilmente resterà per sempre il ricordo più bello.

Con Asgreen e Senechal al Fiandre 2021 vinto dal danese. Ma per Stybar era una vittoria di tutti
Con Asgreen e Senechal al Fiandre 2021 vinto dal danese. Ma per Stybar era una vittoria di tutti
Dopo Tabor ti vedremo ancora, magari nel gravel?

Potrebbe essere. Dipende che lavoro avrò, quali opportunità ci saranno. Ma se mi fermo, voglio solo prendermi del tempo per la famiglia. Voglio passare più tempo con loro e non voglio più concentrarmi sulla performance. Certo, probabilmente farò ancora sport cinque volte a settimana, ma non dalle 4 alle 7 ore al giorno. Mi divertirò di più. Andare a correre, fare 2 ore in bici, ma a tutta velocità, oppure andare nel bosco con la mountain bike o per un’escursione. Farò un po’ di tutto, mi piacerebbe fare ancora qualche gara, ma probabilmente sarà più per divertimento. A meno che non diventi un ambasciatore di qualunque azienda, cosa possibile visti i contatti in corso. Staremo a vedere cosa porterà il nuovo anno…

Un test sul Col de Rates e la stagione di Zana può iniziare

15.12.2023
6 min
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ALTEA (Spagna) – Quando spunta dalla curva, una delle ultime del Col de Rates, Filippo Zana ha il fiatone. Però è ancora lucido. Il dottor Luca Pollastri e il preparatore Marco Pinotti lo aspettano per il prelievo del sangue, dal lobo dell’orecchio. Una puntina, nulla più più. Quanto basta per valutare la quantità di acido lattico che il veneto ha accumulato nei 6′ di sforzo.

La Jayco-AlUla ha scelto il versante di Parcent per questo test incrementale. Si finisce un chilometro scarso prima dello scollinamento. Coach Pinotti ha scelto questo punto perché la salita è più regolare e c’è un comodo spiazzo, tra l’altro anche panoramico, dove parcheggiare le ammiraglie. 

E’ dunque in questo contesto che Zana sta preparando la stagione che verrà. Certi dati, chiaramente restano segreti, ma le sensazioni sembrano buone. E il volto di Filippo non fa che assecondare le nostre sensazioni.

Filippo Zana (classe 1999) col Pirata. Il ritiro del veneto durerà in tutto 13 giorni
Zana (classe 1999) col Pirata. Il ritiro del veneto durerà in tutto 13 giorni
Filippo, se ti dovessi paragonare a un anno fa come stai? Dodici mesi fa c’era uno Zana che approdava al WorldTour, adesso?

Credo di essere più motivato. E sicuramente più consapevole di aver lavorato bene, di essere riuscito a togliermi delle soddisfazioni. Di aver raggiunto degli obiettivi e di averne fissati altri, forse ancora più alti.

Quali sono questi obiettivi ancora più alti?

Penso alla Strade Bianche. Stavolta spero di far bene fino in fondo, di essere protagonista, visto che l’anno scorso è andata abbastanza bene. Ero davanti, ma nel finale mi sono mancate un po’ le gambe. Poi ci sarà il Giro d’Italia dove darò una mano ad Eddie Dunbar, con la speranza di essere ancora più pronto.

Quindi non ci sarà Simon Yates al Giro?

In teoria no, poi vediamo. Siamo ancora a dicembre, ma dovrebbe essere questo il nostro programma.

Credevamo che non andando al Tour, come avevi paventato, saresti stato il capitano e che stessi lavorando “sull’operazione Giro”?

No, credo sia ancora presto. Intanto diamo supporto ad Eddie…

Come nel 2023, Zana aiuterà Dunbar al Giro, con la sensazione che entrambi saranno più forti e consapevoli
Come nel 2023, Zana aiuterà Dunbar al Giro, con la sensazione che entrambi saranno più forti e consapevoli
Parliamo del tuo lavoro qui in Spagna. Cosa stai facendo in questo ritiro?

Viste anche le temperature che ci sono qui, specie nella prima parte della settimana (oltre 25 gradi, ndr), stiamo facendo un bel po’ di ore che servono come base. A casa con certe temperature riesci a fare un po’ meno. Credo che alla fine in questa dozzina di giorni di allenamento faremo 40 ore più o meno. Che corrisponderanno immagino a 1.000-1.200 chilometri.

Ti abbiamo visto fare quel test, di cosa si trattava?

Abbiamo fatto un primo test del lattato. Un test utile per vedere più o meno i valori su cui lavorare. E’ noto che fare un test adesso, a inizio stagione, non è come farlo magari prima del Giro, quando si è in forma. Ma proprio per questo è utile, perché ti dà i giusti valori per allenarti. E’ molto importante avere questi riferimenti per riuscire a lavorare al meglio. 

E rispetto all’anno scorso i numeri sono migliorati?

Un po’ sì, ma a dire il vero mi sento anche meglio dell’anno scorso. Mi sento meglio in generale. Sono contento di come abbiamo iniziato.

Col peso come va? A prima vista sembri già molto magro, ma tu non fai testo!

In effetti sono messo già bene… senza volerlo. Non ho fatto niente di particolare. Ho sgarrato quando volevo sgarrare. E poi ho anche più muscolo rispetto a dicembre dell’anno scorso. 

Come in corsa, anche in ritiro, Filippo ha prestato grande attenzione all’alimentazione
Come in corsa, anche in ritiro, Filippo ha prestato grande attenzione all’alimentazione
E’ una tua valutazione o lo dicono gli strumenti?

Lo dice il test della Bia. Da questa riesci ad estrapolare la quantità di massa magra, la percentuale di muscolo. 

Conosci la tua percentuale di grasso?

Varia un po’ nel corso dell’anno. Per esempio quest’anno prima del Giro era al 6 per cento, poi è risalita un po’, specie dopo la frattura della clavicola, ma alla Vuelta era di nuovo al 6 per cento. Adesso sarò un poco di più, ma va bene. Diciamo che abbiamo individuato un peso ideale e quando devo andare forte lo devo raggiungere.

Hai lavorato in palestra in questo periodo?

Sì, sì, come l’anno scorso del resto. La palestra è stata una parte fondamentale del mio allenamento. L’ho mantenuta per tutto l’anno, anche durante le corse. Facevo un richiamo a settimana. Mentre in questa fase arrivo anche a tre sedute. Mi trovo bene e quindi penso che continuerò a lavorarci. Faccio lavori con il bilanciere, la pressa, esercizi a corpo libero anche per lavorare sul core.

Avete un preparatore specifico per la palestra?

Un po’ di esercizi me li dà la squadra. E poi anche i fisioterapisti ci danno degli esercizi specifici. In questo modo possiamo lavorare anche sui punti deboli.

Solo parte della Jayco-AlUla è venuta in ritiro. Ma per gennaio saranno al completo
Solo parte della Jayco-AlUla è venuta in ritiro. Ma per gennaio saranno al completo
Fare la base, cosa che sentiamo spesso: a che intensità pedali?

Sostanzialmente Z2, che diventa una Z3 in salita. Io lo chiamo “il lungo”, alla vecchia maniera. E’ quell’intensità in cui hai la gamba in tiro, ma non fai tanta fatica da produrre acido lattico. E’ anche un’andatura ideale per bruciare i grassi.

A proposito di grassi, una volta in ritiro non si mangiava in bici, o lo si faceva molto poco. Adesso invece vediamo che molti ragazzi hanno una tabella di carbo da ingerire anche in questa fase. Vale anche per te?

Per tutto il ritiro, in bici e non, abbiamo la tabella alimentare: colazione, pranzo, cena e bici. Ed è importante per riuscire a sostenere i carichi e a stare bene al tempo stesso, tanto più che io non ho bisogno di dimagrire, ma devo solo mantenere. 

In bici opti per un’alimentazione solida o liquida?

Un po’ di tutto. Abbiamo barrette, gel, rice cake, paninetti e anche dei dolcetti che ci fa la squadra, molto graditi per variare un po’ dal resto della stagione. In più abbiamo anche i carboidrati nelle borracce. 

Con la bici come va invece? Dopo un anno la senti tua del tutto?

Con Giant mi sono trovato veramente bene. Una gran bici. Poi tutto continua ad evolversi, continuano ad arrivare cose nuove. Bisogna ringraziare anche Marco Pinotti per questo: lui è fissato sui materiali e sull’aerodinamica in particolare. Fa evolvere la squadra ed è fondamentale al giorno d’oggi.

Finché è stato campione italiano, Zana ha utilizzato una Propel tricolore. Quest’anno il veneto ha optato per un manubrio più stretto
Finché è stato campione italiano, Zana ha utilizzato una Propel tricolore. Quest’anno il veneto ha optato per un manubrio più stretto
Preferisci la TCR o la Propel?

Quest’anno ho usato soprattutto la Propel, ma so che c’è qualche novità in arrivo. A quel punto vedremo quale userò. Per ora vado ancora con la Propel.

Hai ritoccato qualcosa?

Ho cambiato il manubrio. L’ho messo più stretto. Prima era da 42 centimetri ora è da 39: è una misura che ha fatto Giant per il nostro manubrio che è un semintegrato. Lo sto provando proprio in questi giorni in ritiro. Per ora mi trovo bene, l’aerodinamica ne guadagna. In pianura e in salita, anche quando mi alzo, non sento grandi differenze, vediamo un po’ come va in discesa. Ma prima di giudicare mi serve qualche giorno.

Cambiando il manubrio, hai toccato anche un po’ la posizione della sella, dell’attacco o magari le tacchette?

No, tutto uguale. Gli angoli non cambiavano.

Con quanti chilometri hai finito la scorsa stagione?

Sui 30.000 chilometri.

Stai utilizzando le corone 54-40?

Sì, sempre quelle. Mi ci sono trovato bene durante tutto l’arco dell’anno e non le ho mai cambiate.

Rottura del crociato e ciclismo: una casistica molto rara

14.12.2023
4 min
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Sentito che Lara Vieceli si è rotta il crociato, a seguito di una caduta dove aveva subito una frattura del piatto tibiale, ci siamo incuriositi. Prima di tutto la rottura dei legamenti del crociato è un infortunio raro nel ciclismo (in apertura foto Alessio Biazzo). Per rispondere alle varie domande e per fare chiarezza su questo tipo di trauma siamo andati da Carlo Guardascione: medico del team Jayco-AlUla.

«Innanzitutto bisogna dire – parte a spiegare Guardascione – che la rottura del legamento crociato anteriore è estremamente rara nei ciclisti. Si tratta di un infortunio che colpisce maggiormente altre tipologie di atleti, come calciatori e rugbisti. Probabilmente Vieceli ha subito una rotazione innaturale del ginocchio in seguito ad una caduta. Per capirci meglio: le è rimasto il piede agganciato ai pedali e questo ha portato alla rottura del legamento. Il fatto che annessa ci fosse una frattura del piatto tibiale, mi porta a pensare proprio a questo».

Il dottor Carlo Guardascione, medico del team Jayco-AlUla
Il dottor Carlo Guardascione, medico del team Jayco-AlUla
Durante la pedalata non si può subire un infortunio del genere?

Impossibile, proprio a livello dinamico. Anzi, pedalare rinforza molto i muscoli che stabilizzano il ginocchio. E’ una delle terapie consigliate a chi subisce un intervento di ricostruzione del crociato. 

Vieceli però non si è operata subito, ma dopo un periodo di stop è tornata in corsa…

La frattura del piatto tibiale porta comunque ad uno stop di 6-8 settimane, dove la frattura deve essere curata. Questo vuol dire che prima si viene ingessati e poi si usa un tutore. 

La caduta ha provocato la rottura del piatto tibiale e la conseguente lesione del legamento (foto FisioScience)
La caduta ha provocato la rottura del piatto tibiale e la conseguente lesione del legamento (foto FisioScience)
Ma questo è possibile? Non si rischiano complicazioni?

In realtà no. L’attività ciclistica, come detto prima, viene usata per le riabilitazioni post operatorie. Continuare a pedalare con un crociato rotto è possibile e anche utile. Serve per mantenere il tono muscolare, in modo che si abbia un mantenimento. Maggior tono muscolare si ha prima dell’operazione più diventa facile il recupero post intervento. 

La pedalata risulta compromessa?

La forza si mantiene uguale e l’efficienza non cambia. L’unica cosa da controllare è che non ci siano versamenti di liquidi nel ginocchio. Se il ginocchio è asciutto, come si dice in gergo, pedalare non è un problema. Le uniche complicazioni possibili possono derivare da una caduta. 

Vieceli è tornata in sella tre mesi dopo la rottura del crociato e ha terminato la stagione
Vieceli è tornata in sella tre mesi dopo la rottura del crociato e ha terminato la stagione
Poi comunque ci si deve operare, però è possibile finire una stagione con un crociato rotto…

Sì, senza problemi. Considerate che un utente medio può vivere una vita normale anche senza il legamento anteriore del crociato. Per atleti professionisti l’operazione è sempre consigliata. 

La riabilitazione come procede?

Una volta ricostruito il legamento il paziente si muove con l’aiuto delle stampelle a causa del dolore e del gonfiore. Poi si passa a degli esercizi isometrici per il rinforzo della muscolatura di supporto. Per questo è importante fare attività anche con il crociato lesionato, chiaramente attività come nuoto o bici. Una volta tolto il tutore e le stampelle, si aumentano i gradi di flessione del ginocchio.

Pedalare da fermo, con cyclette o rulli, è una parte importante della riabilitazione post operatoria
Pedalare da fermo, con cyclette o rulli, è una parte importante della riabilitazione post operatoria
Quando si può tornare in bici?

Dalle 4-5 settimane post operazione si può tornare a fare il gesto della pedalata ed è consigliata la cyclette. Un atleta professionista torna ad una performance accettabile dopo quasi 6 mesi. Il ciclismo non è uno sport impattante, si possono accorciare i tempi di recupero, ma non di molto. 

E’ comunque un tempo lungo di stop.

Infatti finire la stagione e operarsi nel periodo di pausa aiuta a non perdere troppo tempo. Il crociato, una volta operato, ci mette un po’ a tornare al 100 per cento.

Crono e lavori specifici: non solo Roglic li fa sui rulli

06.12.2023
7 min
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«Se fossi ancora corridore – riflette Marco Pinotti alla fine della chiacchierata – forse anche io farei sui rulli i lavori specifici per la crono. Sempre che la pista su cui li ho sempre fatti fosse chiusa. Altrimenti non avrei dubbi e tornerei a Dalmine…».

Un passaggio dell’incontro con Giampaolo Mondini, parlando dell’arrivo di Roglic alla Bora-Hansgrohe e di conseguenza su bici Specialized, continuava a risuonarci nelle orecchie. Per mandare via il ronzio, serviva un esperto di crono e preparazione, per cui ci siamo rivolti a Marco Pinotti.

«Una cosa molto interessante che mi ha detto Primoz – aveva raccontato Mondini – è che lui usa la bici da crono anche tre volte a settimana, però sui rulli, come fanno i triatleti (in apertura, lo sloveno sui rulli in un’immagine da Instagram, ndr). Magari prima fa l’uscita su strada, poi se deve fare un’ora di variazioni di ritmo, le fa sui rulli. Mi ha spiegato che è soprattutto un fatto di sicurezza, perché i lavori con la bici da crono si fanno ad alta velocità e le strade di Monaco non sono le più adatte».

La pista di Dalmine è stata a lungo il teatro degli allenamenti specifici di Pinotti (foto L’Eco di Bergamo)
La pista di Dalmine è stata a lungo il teatro degli allenamenti specifici di Pinotti (foto L’Eco di Bergamo)

Un’abitudine diffusa

In realtà, quella che poteva sembrare un’originalità dello sloveno ha preso la forma di un’abitudine ormai radicata: «Anche qua (riferendosi alla Jayco-AlUla di cui Marco è preparatore, ndr) tanti australiani fanno lavori sui rulli – è stata la prima risposta di Pinotti su whatsapp – per una questione di sicurezza delle strade e per mantenere la posizione. Io li facevo in pista».

E allora andiamo a capire quali siano i lavori che vengono meglio sui rulli e se ci siano delle criticità, legate ad esempio alla dimestichezza con la bici, ai valori fisiologici espressi e alle temperature che si raggiungono sui rulli. Pinotti prende il filo del discorso e si incammina.

«Il primo con cui ho avuto questo tipo di esperienza – dice – è stato Patrick Bevin, il neozelandese che avevo quando eravamo al CCC Team. L’ho seguito per un anno e mi diceva che i lavori specifici li faceva sui rulli. Io ne prendevo atto, anche se viveva a Girona, che non dà l’idea di un posto così trafficato. Non è che fossi troppo favorevole, perché va bene lavorare in posizione, però dopo quando vanno in bici sanno fare le curve? Fra gli australiani è una cosa abbastanza comune. Magari fanno sui rulli il lavoro più impegnativo, poi escono con la bici strada e allungano».

Luke Durbridge, in una foto di tre anni fa, lavorando sui rulli con la bici da crono (foto Instagram)
Luke Durbridge, in una foto di tre anni fa, lavorando sui rulli con la bici da crono (foto Instagram)

Sicurezza e valori certi

Quali siano i lavori che vengono meglio sui rulli è facile da intuire. Si tratta di quelli che richiedono strada libera perché si svolgono ad alta velocità, con la visibilità limitata dal fatto che con la bici da crono si tende spesso a guardare verso il basso.

«Magari si tratta di lavori di alta intensità – dice Pinotti – e non continui. I classici over-under, cioè un minuto in soglia e due minuti sotto. Oppure 40 secondi sotto e 20 secondi sopra. Lavori un po’ strutturati che su strada sono difficili da programmare. Difficilmente si ha la strada libera e senza traffico o rotonde. Per cui c’è sicuramente la componente della sicurezza e un po’ l’esigenza di fare bene il lavoro. Fare per quattro volte 10 minuti consecutivi su strada non è semplice. Magari puoi aggiustarti un po’ andando a cercare qualche pendenza. Ma se qualcuno è un po’ più fissato sui valori, quindi preferisce avere dati privi di variazioni, allora sul rullo li ha proprio esatti. Potrei obiettare che le curve e l’esigenza di frenare le hai anche in gara, ma se è una necessità legata alla sicurezza, allora alzo le mani.

«Sono lavori che si fanno in pianura, mentre con la bicicletta da strada si fanno per la maggior parte in salita, quindi la velocità è più bassa e c’è meno traffico. Se anche vuoi trovare la strada secondaria in pianura, l’imprevisto può sempre saltar fuori. Perché con la bici da crono vai a 50 all’ora e ti trovi quello allo stop che sottovaluta la velocità del ciclista e si immette lo stesso. Basta un attimo e ci scappa l’incidente…».

E’ rischioso circolare a testa bassa su strada, a 50 all’ora, simulando le condizioni di gara
E’ rischioso circolare a testa bassa su strada, a 50 all’ora, simulando le condizioni di gara

Meglio in pista

Servono rulli di nuova generazione, chiaramente. Fare certi lavori con quelli di una volta, che frenavano la gomma posteriore e davano una pedalata a scatti, sarebbe impensabile e poco produttivo.

«I nuovi rulli hanno la pedalata molto simile a quella su strada – spiega Pinotti – ma certo non ti danno l’abitudine a guidare la bici fra gli imprevisti della strada. Non perché uno improvvisamente diventi incapace di fare le curve, ma perché comunque stare in posizione e assorbire le folate di vento, che è l’ostacolo principale, è soprattutto un fatto di esperienza. E poi ci sono l’asfalto irregolare, le buche, gli ostacoli improvvisi. Per questo io preferivo andare a fare i miei lavori in salita oppure nella pista di Dalmine

«E’ una pista abbastanza lunga – fa notare Pinotti – alla fine il vento c’è e c’è anche la sicurezza. E poi comunque piuttosto che stare fermo come sul rullo, ti muovi e hai ventilazione naturale. Poi possono esserci tante variabili. Magari Roglic sta sui rulli anche per stimolare l’adattamento al caldo: ci sono tanti studi in questo senso. Ma se lo scopo è solo fare lavori specifici, allora è bene che ci siano ventilazione e temperatura sufficientemente bassa».

Le brevi progressioni che si fanno nel riscaldamento prima di una crono somigliano ai lavori che si fanno anche a casa
Le brevi progressioni che si fanno nel riscaldamento prima di una crono somigliano ai lavori che si fanno anche a casa

Watt e sudore

L’adagio è ben noto: un’ora sui rulli, vale come un’ora e mezza su strada. E se questo è vero per il semplice girare le gambe, quando si passa sul fronte dei lavori specifici, che sono brevi e di durata controllata, le cose cambiano?

«A livello generale – sorride Pinotti – una differenza c’è. Se io faccio un’ora e mezza di rulli, in termini di consumo in kilojoule è come farne due su strada. In pratica pedalo sempre e la potenza media che ne deriva viene più alta. Invece su strada c’è il momento in cui non pedalo, per cui la potenza media si abbassa. Invece se parliamo di lavoro specifico, non c’è grossa differenza. Parliamo di piccoli intervalli, quindi se sei a casa e pedali in un ambiente adeguatamente ventilato, dovresti riuscire a non sentire tanta differenza».

Il tema della sicurezza per gli alleamenti su strada si amplifica in caso di cronosquadre
Il tema della sicurezza per gli alleamenti su strada si amplifica in caso di cronosquadre

Ottimizzare il tempo

Però ci piace tornare alla frase da cui questo articolo ha avuto inizio, al fatto che se fosse ancora corridore e fosse impossibilitato a usare la pista, anche Pinotti sceglierebbe di fare i suoi lavori sui rulli.

«Ovviamente – sorride – continuerei a preferire la pista. Però la stagione fredda crea delle situazioni che vanno calcolate. Qui dove abito, d’inverno le strade sono ancora meno percorribili, perché nelle vallate fa troppo freddo. Quindi se l’alternativa fosse vestirmi come un palombaro e fare l’impossibile per trovare una strada su cui fare dei lavori, magari finirei col farli sui rulli. Sarebbe il modo migliore per ottimizzare il tempo e risolvere il problema sicurezza.

«In effetti, se non vuoi fare i lavori in salita, perché non sei comodissimo e stando basso non respiri bene, per avvicinarti al modello della gara dovresti fare i lavori in pianura, dato che la maggior parte delle crono ormai sono in pianura. E non è tanto raccomandabile farli su strade con il limite a 50 e doverlo superare con la bici. Ed è peggio quando dobbiamo preparare la cronosquadre. A volte si affittano gli autodromi, ma non sempre si può. Quest’anno ne avevamo una alla Parigi-Nizza. Ho guardato di trovare una strada adatta intorno Parigi, ma invano. Alla fine abbiamo scelto di non far niente e siamo stati bravi lo stesso (la Jayco-AlUla concluse al 3° posto, a 4″ dalla Jumbo-Visma, ndr).

Zana brinda al 2023 e intanto culla il sogno del Tour

23.11.2023
4 min
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SAN GIOVANNI IN MARIGNANO – Per Filippo Zana la “Serata di Grande Ciclismo” è diventata un appuntamento fisso. L’anno scorso il premio della maglia tricolore della Challenge bici.PRO era andato a lui. Quest’anno ha passato il testimone a Simone Velasco.  

La vittoria di tappa al Giro e quella dello Slovenia sono stati due assoli che hanno posizionato Zana ai vertici di un’ipotetica classifica degli italiani più forti in questo 2023. Poi però sono arrivati la rottura della clavicola e il ritiro dalla Vuelta a causa di un virus. Una stagione positiva e di crescita che ben fa sperare per il 2024. Dopo quattro anni di Giro d’Italia, la voglia di misurarsi al Tour de France è chiara, così come quella di provare a fare classifica.

Che stagione è stata?

La prima parte è andata veramente bene. Dal fare il Giro in maglia tricolore con il successo di tappa, poi la vittoria al Giro di Slovenia. Dopodiché, non ho potuto fare il campionato italiano ed è stata una vera sfortuna perché stavo bene. Ho cercato di rifarmi alla Vuelta, ma sono stato male. Poi abbiamo fatto questo finale di stagione in Italia dove abbiamo cambiato un po’ i piani e non è andata malissimo. Diciamo che nel complesso è stata un’ottima stagione di crescita e sono contento. Sicuramente c’è stato un po’ di sfortuna e avrei potuto fare di meglio. Speriamo di continuare a crescere così anche per il prossimo anno.

Negli occhi di tutti c’è anche la caduta allo Slovenia…

Quella tappa ero da solo ed ero riuscito a staccare tutti, però in discesa ho sbagliato la curva, ed è andata veramente molto bene. Infatti, penso di aver finito tutta la fortuna che avevo, perché tre giorni dopo mi sono rotto la clavicola in allenamento a 500 metri da casa.

A livello personale il fatto che a metà stagione hai avuto quelle sfortune e non hai più indossato la maglia tricolore, ti ha un po’ destabilizzato?

Indossare la maglia è un privilegio. Mi è dispiaciuto non essere nemmeno partito per difenderla perché sapevo di stare bene. Però ho cercato comunque di lavorare duro per ritornare com’ero prima, facendo tutto il possibile. Quando pensavo di aver ritrovato la forma, ho preso il virus e la stagione è andata un po’ calando.

Il Giro chiuso in crescendo (qui la cronoscalata del Lussari) lo ha lanciato verso lo Slovenia
Il Giro chiuso in crescendo (qui la cronoscalata del Lussari) lo ha lanciato verso lo Slovenia
A livello fisico, le prestazioni che hai avuto fino alla Slovenia erano le migliori che hai mai espresso?

Sì. Spero di riuscire a ritrovare una condizione così anche il prossimo anno, magari cercare di arrivare al Giro o quello che si farà con la condizione che avevo quest’anno. 

Questo inverno cambierai qualcosa nella preparazione, anche in base alle ambizioni che hai per il 2024?

Farò più o meno come l’anno scorso. Cambieremo un po’, magari come arrivare ad un grande Giro. Cercherò di fare un lavoro molto più duro e cercherò insomma di far molta più fatica.

Perchè?

Nello specifico ho visto che comunque il Giro sono tre settimane di grande fatica. Un grande stress, ma il mio fisico ha dimostrato di reagire bene. Sopratutto dopo la metà della seconda settimana. Perciò vorrei fare in modo di arrivare alla partenza già “caldo”

Alla “Serata di Grande Ciclismo” erano presenti anche Rachele Barbieri, Filippo Baroncini, Simone Velasco
Alla “Serata di Grande Ciclismo” erano presenti anche Rachele Barbieri, Baroncini e Velasco
Sembra il discorso di uno che vuole fare classifica. E’ così? 

Diciamo che in squadra abbiamo gli uomini di classifica e io sarò di supporto ai capitani. Poi sicuramente in seconda battuta, non si sa mai cosa può succedere. Avrò l’approccio del primo gregario che tende a non uscire di classifica. Cercherò di stare lì, poi si vedrà durante la corsa. 

Hai detto che ti piacerebbe fare il Tour dopo quattro anni di Giro…

Adesso stiamo parlando con la squadra. Dobbiamo ancora decidere il calendario. Sicuramente il Giro mi piace tanto. In più si passa sulle strade di casa, perché il tappone del Grappa è praticamente dove mi alleno e sarebbe bellissimo esserci. Vorrei essere al Giro, ma allo stesso tempo dico che sarebbe bello anche correre al Tour, che per di più parte dall’Italia. Mi piacerebbe un po’ cambiare. 

Appuntamenti per questo inverno?

Ho iniziato gli allenamenti: tra poco faremo due ritiri, uno a dicembre, uno a gennaio. Poi se tutto va bene dovrei iniziare a febbraio in Spagna.

Piva alla Jayco-AlUla, lavoro di squadra e polso fermo

14.11.2023
6 min
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Quando è uscita la notizia che Valerio Piva sarebbe passato dalla Intermarché alla Jayco-AlUla, ci siamo tutti guardati, perché nessuno lo avrebbe immaginato. Avevamo la sensazione che il tecnico mantovano, già pro’ dal 1982 al 1991, detenesse le chiavi del successo della squadra belga, sia pure a capo di un 2023 non proprio esaltante. C’era arrivato nel 2021 alla chiusura della CCC Polsat, quando il team manager Jim Ochowitz vendette la licenza WorldTour al team belga. Nonostante venisse da una storia professionale molto diversa, l’approdo era parso quasi naturale, dato che fino alla stagione precedente la squadra era stata professional e aveva bisogno di qualcuno che la traghettasse al livello superiore.

E quando ormai si era quasi convinto che, avendo raggiunto quota 65 anni, fosse arrivato il momento di fermarsi, gli è arrivata la chiamata di una vecchia conoscenza: Allan Peiper, con cui ha condiviso cinque anni alla BMC e che ha lasciato il UAE Team Emirates per diventare uno dei consiglieri del Team Jayco-AlUla. L’australiano, che ha da poco sconfitto un cancro, gli ha chiesto se avesse voglia di accettare questa nuova sfida e il lume della passione ha impiegato meno di un secondo per riaccendersi.

«Non mi aspettavo una proposta – racconta Piva dal Belgio, dove vive – la Jayco è una squadra di alto livello, organizzata come si deve. A me piace lavorare in un ambiente positivo dove si possono ottenere delle soddisfazioni ed è stata questa la ragione per cui ho accettato. Alla Intermarché si sono dispiaciuti e da un certo punto di vista dispiace anche a me, perché comunque il lavoro fatto è stato buono e penso di aver lasciato qualcosa».

Oltre a Peiper (nella veste di consigliere), alla Jayco-AlUla Piva troverà anche Pinotti: uno spicchio di BMC
Oltre a Peiper (nella veste di consigliere), alla Jayco-AlUla Piva troverà anche Pinotti: uno spicchio di BMC
In qualche modo immaginiamo che tu l’abbia sentita tua…

La Intermarché era una squadra professional, gli serviva una mano. Partire non è stato facile, ma credo di aver fatto qualcosa di buono, che abbiano imparato qualcosa. Mi sento parte di questa evoluzione. Il primo anno c’è stato tanto da lavorare. Il secondo anno abbiamo raccolto i frutti eccezionali, il 2022 è stato un’annata incredibile. Invece quest’anno, secondo me la squadra si è adagiata sui successi dell’anno precedente, esattamente quello che avevo detto di non fare. E’ stato un anno difficile, abbiamo perso corridori di valore. Alcuni giovani hanno avuto infortuni e cadute che capitano spesso. E’ stata una stagione difficile dal punto di vista della gestione. Io ero in scadenza di contratto, ero curioso di vedere che cosa mi avrebbero proposto, perché quasi 200 giorni all’anno via da casa non avrei più voluto farli.

Pensi che ti avrebbero tenuto?

Eravamo in contatto, penso di sì. Chiaramente è una squadra un po’ particolare in tutte le sue cose. La comunicazione è complicata e spesso si riducono all’ultimo momento. E mentre aspettavo, è arrivata la Jayco.

Come vedi il futuro della Intermarché?

Dovranno cambiare. Purtroppo non hanno tanti soldi e questo è il vero problema. Non trovano sponsor e alla fine sono limitati al gruppo di corridori che già hanno e investono nei giovani. Hanno buoni talenti, ma alla fine perdono i corridori di livello come Rui Costa e Kristoff. Vanno via sempre quelli che fanno grandi risultati, che possono vincere corse di alto livello, e li sostituiscono con dei giovani che all’inizio fanno fatica a venire fuori. C’è ancora Biniam Girmay, quindi è una squadra che secondo me farà bene, ma soffrirà sicuramente per i punteggi.

Il 2023 di Girmay è stato al di sotto delle attese dopo il grande 2022, a causa di qualche caduta e vari imprevisti (foto Intermarché)
Il 2023 di Girmay è stato al di sotto delle attese dopo il grande 2022, a causa di qualche caduta e vari imprevisti (foto Intermarché)
E questo oggi è il vero problema…

Chiaramente non hanno grossi nomi. Un anno negativo c’è già stato, ma gli auguro che i corridori di talento vengano fuori. Credo abbiano inquadrato e messo a fuoco cosa non ha funzionato. Hanno un manager capace, Aike Visbeek, che è olandese e ha gestito Dumoulin quando vinse il Giro d’Italia. E’ preparato e secondo me la scelta in futuro sarà di investire nei giovani, visto che hanno una squadra under 23 che funziona. Chiaramente non so se questo gli permetterà poi di rimanere nelle 17-18 squadre WorldTour, perché fare i conti non è semplice. L’anno scorso abbiamo finito quinti, superati in extremis dalla Bora. Quest’anno abbiamo finito quattordicesimi, quindi la differenza si capisce chiaramente.

Non si vede uno scenario super tranquillizzante.

Penso che una prospettiva potrebbe essere quella di lavorare con i giovani e dare una chance a corridori più maturi, che vogliano dimostrare di avere ancora qualcosa da dire, come con Taaramae, Kristoff o Rui Costa. Atleti su cui abbiamo investito e che alla fine ci hanno dato grandi risultati.

Lasci un bel gruppetto di italiani, forse la tua uscita li ha spiazzati.

L’altro ieri mi ha chiamato Rota. La sua evoluzione l’ho seguita proprio da vicino, lo abbiamo preso quando sono arrivato io, quindi era un corridore mio ed è cresciuto tantissimo. Quest’anno ha avuto una frenata, ma le risposte ci sono e forse le dirà lui. Comunque io ho sempre investito in questi ragazzi. Parlo la stessa lingua quindi per loro ero diventato un punto di riferimento. Anche per Busatto, che ha fatto qualche corsa con me. E’ un bel talento, ha bisogno di crescere.

Rota è arrivato alla Intermarché proprio con Piva: la loro collaborazione ha dato ottimi frutti
Rota è arrivato alla Intermarché proprio con Piva: la loro collaborazione ha dato ottimi frutti
Che idea si è fatto Piva della sua nuova squadra?

Sono stato un giorno nei loro uffici, conoscevo Brent Copeland (il team manager della Jayco-AlUla, ndr) da lungo tempo. Da fuori è sempre sembrata una grande squadra, organizzata e con corridori di nome. Negli ultimi anni i risultati sono un po’ mancati, bisognerà fare un’analisi per trovarne la ragione. Da quello che ho capito mi hanno contattato anche per questo. Per avere qualcuno che arrivando da fuori gli dia un punto di vista sul perché una squadra con un budget così elevato e la quantità atletica dei corridori non abbia i risultati che merita.

Un compito non semplice…

Ho lavorato tantissimo con squadre di mentalità anglosassone, dalla HTC alla BMC, fatta salva la parentesi russa della Katusha, dove comunque ho portato le mie conoscenze e il metodo di lavoro che avevo imparato con gli americani. Mi sono sempre trovato bene con questa mentalità, con il fatto che ti lascino lavorare tranquillamente. A volte però il “good job” non mi piace tanto. Secondo me va detto se davvero hai fatto un buon lavoro o quando si vince, non quando arrivi staccato a minuti. Va bene motivare la gente e aiutarla, ma quando si sbaglia o non si lavora per come si è detto, bisogna ugualmente dirlo: con educazione, ma in modo chiaro

E’ il tuo modo di fare?

Io sono abbastanza schietto quando gestisco il gruppo. Quindi mi entusiasmo come tutti quando la squadra funziona, ma mi arrabbio quando non va e quando non fanno quello che è stato programmato, quando non si rispettano le regole e le strategie che si sono discusse insieme. Le corse si vincono con il collettivo, anche se sull’arrivo passa un corridore solo. E’ uno sport individuale dal punto di vista del risultato, ma sul piano del funzionamento è uno sport di squadra. E’ importante che tutti lo sappiano.

Simon Yates, come Matthews, è una delle bandiere della Jayco-AlUla: ritroverà consistenza?
Simon Yates, come Matthews, è una delle bandiere della Jayco-AlUla: ritroverà consistenza?
Ci sarà dunque una squadra australiana nell’Hotel Malpertuus di famiglia?

Purtroppo no, mi dispiace molto. Abbiamo la Bahrain e l’Astana, che dopo la Liegi prenotano già per l’anno dopo. Qualcuno mi ha fatto anche la battuta, che mi hanno preso solo per l’albergo, ma lo spazio è quello. Due squadre ci stanno bene, per tre non c’è posto.

Battute a parte, come sei stato accolto?

Ho parlato con molta gente che conoscevo già e ho visto entusiasmo. Non arrivo facendo promesse e dicendo che con me cambierà tutto. Voglio essere parte del gruppo e mettere a disposizione l’esperienza dei tanti anni che ho passato nel professionismo. Ho visto tante situazioni, tanti corridori, tante gare. Quello che conosco e che so fare sarà a disposizione della mia nuova squadra.