Preparazione: per Pozzovivo l’unico vero dogma è adattarsi

06.12.2023
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Qualche giorno fa coach Leonardo Piepoli è intervenuto su Davide Formolo. Si parlava di cambiamenti nella preparazione, di approcci differenti da avere… ma siamo sicuri che un corridore riesca a cambiare tanto facilmente, specie se over 30? Spesso insistere sui determinati concetti, se non addirittura gli stessi allenamenti veri e propri, era un dogma imprescindibile.

In tanti facevano fatica a cambiare. Il concetto era ed è: “Quell’allenamento è andato bene, lo faccio di nuovo”. In realtà non è proprio così. E non lo è per una lunga serie di motivi: età, stimoli fisici in senso stretto, cambio di ruolo in squadra…

Domenico Pozzovivo, per esempio, il pro’ in attività più esperto con i suoi 41 anni, ha vissuto ormai diverse epoche del ciclismo e si è sempre adattato. Magari, visto da fuori, il corridore ancora in forza alla Israel-Premier Tech può sembrare uno dei più abitudinari: i ritiri sullo Stelvio o sull’Etna, gli allenamenti costanti anche quando il meteo non è buono… «Quando hai poca grinta, vai con Pozzo», parola di Alberto Bettiol, suo vicino di casa a Lugano, tanto per dirne una. Per Domenico ieri mattina un’ora di nuoto e poco dopo un’uscita in mtb nelle zone del suo Pollino.

Pozzovivo, che sta prendendo la seconda laurea proprio in Scienze Motorie, ci ha spiegato che cambiare è quasi un imperativo, specie nel ciclismo di oggi. L’approccio alle uscite in bici, ma anche all’alimentazione, al riposo, all’integrazione… è totalmente diverso che in passato.

Domenico Pozzovivo (classe 1982) in compagnia di alcuni amici in mtb
Domenico Pozzovivo (classe 1982) in compagnia di alcuni amici in mtb
Domenico, partiamo dal concetto che emerge dalle parole di Piepoli: si riesce a cambiare i propri allenamenti dopo tanti anni da professionista?

Questo concetto del non cambiare è proprio contrario ai principi basilari dell’allenamento. Una seduta, una preparazione, per essere stimolante deve essere differente. Deve variare, altrimenti non produce più stimoli. Bisogna cambiare, altrimenti si ha una sorta di assuefazione.

Assuefazione, il corpo riconosce certi stimoli e certi limiti. E lì resta, insomma…

Esatto, si ha un’assuefazione che non è solo fisica, ma anche mentale. Non arrivi più al limite. Non ci riesci perché vivi l’allenamento come una routine e non come una sfida. E a mio avviso questo aspetto di sfida non dovrebbe mai mancare neanche nell’allenamento.

Nella tua tua nuova avventura universitaria si parla espressamente anche di questi concetti?

Più che altro sono concetti a cui arrivi dopo che li hai messi in pratica, ma a livello accademico non si parla di questi aspetti mentali, specialmente legati al ciclismo di altissimo livello. Si parla di quelli fisici chiaramente, dei principi base sugli stimoli.

Pozzovivo è passato nel 2005: anni, soprattutto in questo periodo, dai ritmi più blandi. Eccolo nel 2012 con Modolo provando i materiali per la crono
Pozzovivo è passato nel 2005. Eccolo durante un ritiro del 2012 con Modolo provare i materiali per la crono
Quindi è facile o no modificare le proprie abitudini?

La verità è che alla fine tutti fanno fatica a modificare loro abitudini, ma bisogna imporselo. Devi. Io per esempio faccio più difficoltà ad affrontare i lavori brevi e intensi come i 30” o un minuto a tutta. E faccio fatica sia fisicamente che mentalmente. Ogni anno quando devo iniziarli, devo quasi fare una sorta di training autogeno: «Dai, da oggi li devi fare!», mi dico. E devi avere la capacità di toccare i tuoi limiti in quei lavori. Tanto più che sono uno scalatore e una volta, non era così. Non ci ero abituato.

Cosa è cambiato di più in tanti anni dunque? In cosa ti sei dovuto adattare?

Una volta, e non parlo di 15 anni fa ma molti meno, non facevi quei lavori così brevi, almeno se eri uno scalatore. Però io credo che devi stare al passo coi tempi. Essere chiusi mentalmente non va bene, ogni certezza la devi rimettere in discussione e non parlo solo di allenamenti, ma anche di integrazione, alimentazione.. Insomma per me i dogmi non esistono. Oggi ancora di più. Una volta i cambiamenti importanti avvenivano ogni cinque anni, adesso ogni 2-3 anni tutto è rivoluzionato.

Facciamo un esempio pratico: le SFR per esempio. Come le fai adesso e come le facevi prima?

Forse questo è l’aspetto che meno è cambiato, specie per me. Io non faccio delle SFR vere e proprie, ma faccio una parte a potenza costante e una parte con cadenze alte. Un alternarsi di forza e trasformazione, di “in e out”… Quindi questo non è variato, quello che semmai è cambiato è l’approccio alla forza. Una volta uno scalatore non faceva la forza massima, adesso sì. E lo stesso l’approccio alla soglia, quello sì che è cambiato parecchio.

L’approccio alla forza (e non solo) è cambiato anche per gli scalatori. Magari se ne fa meno in bici, ma più a secco, almeno in certi periodi dell’anno
L’approccio alla forza (e non solo) è cambiato anche per gli scalatori. Magari se ne fa meno in bici, ma più a secco, almeno in certi periodi dell’anno
E come ti sei adattato?

Prima si faceva poca soglia, proprio in termini di volumi, e sempre molto “flat”, lineare. Adesso, numeri alla mano, se ne fa almeno il triplo e con delle variazioni d’intensità del fuorisoglia stesso.

Però i chilometri sono scesi?

Un po’ sì: aumenta la qualità e un po’ si riduce la quantità. Ma sono calati anche perché ad esclusione delle grandi classiche, le tappe sono più corte e anche nei grandi Giri non ci sono più i tapponi di un tempo. Io ormai le sei ore, sei ore e mezzo, le faccio giusto prima di un Lombardia o di una Liegi.

Quindi nessun dogma, “obbligo” di cambiare anche contro le proprie voglie: così si adatta il pro’, giusto?

Continuo parlando della soglia. Una volta non ti sognavi di fare i lavori a soglia o fuorisoglia a dicembre. Oggi invece sono due aspetti caratterizzanti nell’inizio della preparazione: la base, che che forse è l’unico dogma esistente, e la soglia appunto. E questi due aspetti vanno di pari passo. Se ci si pensa sono i due estremi della preparazione: s’inizia facendoli insieme e poi si riempie quello che c’è nel mezzo. E’ quasi una manipolazione matematica della curva della preparazione.

Woods non molla, anzi rilancia e pensa al Giro

24.11.2023
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Per un certo periodo, nel corso del ciclomercato, sono girate voci su una possibile fuoriuscita di Michael Woods dalla Israel Premier Tech. Il che sembrava strano considerando che il canadese è come il vino buono, migliora invecchiando. Anche nel 2023 è riuscito a mettere la sua firma risultando tra i più brillanti del suo team, conosciuto per essere quello che, fra WorldTour ed ex WT, ha l’età media più alta, in controtendenza rispetto al ciclismo attuale.

Le voci poi sono svanite nel tempo, la realtà è che Woods resta parte integrante del team, sicuramente scosso dagli ultimi accadimenti che hanno coinvolto il Paese come raccontava il nuovo acquisto Sheehan. Woods ora è in famiglia, dall’altra parte dell’Atlantico ad affrontare la primissima parte della preparazione in attesa del ritiro prestagionale di dicembre, prestandosi così a una chiacchierata a bocce ferme su quel che è stato e quel che verrà.

Il trionfo sul Puy de Dome al Tour de France, staccando Latour di 28″. Al Tour ha chiuso 48°
Il trionfo sul Puy de Dome al Tour de France, staccando Latour di 28″. Al Tour ha chiuso 48°
Come giudichi la tua ultima stagione?

Certamente è stato un successo. Ho ottenuto il risultato più importante della mia carriera vincendo una tappa al Tour de France. Non sarà stata la mia stagione migliore in quanto a costanza di risultati, ma sono rimasto piuttosto soddisfatto e questo mi ha dato la motivazione per la stagione a venire.

Che cosa ti ha lasciato la vittoria nella tappa del Puy de Dome?

Molta soddisfazione, anche sollievo. Dopo aver detto che volevo vincere una tappa del Tour da così tanto tempo, temevo che quel momento non sarebbe più arrivato. E alla fine mi ha lasciato molta motivazione. Ora ho un nuovo obiettivo, ovvero cercare di ottenere un’altra vittoria di tappa al Giro e completare la collezione di vittorie in tutti e tre i grandi Giri. Penso che sarebbe davvero speciale.

Michael Woods, Vuelta 2020
La vittoria a Villanueva alla Vuelta 2020. Ora Woods punta a completare la collezione di tappe nei grandi Giri
Michael Woods, Vuelta 2020
La vittoria a Villanueva alla Vuelta 2020. Ora Woods punta a completare la collezione di tappe nei grandi Giri
In questo periodo ti senti più competitivo nelle classiche in linea o nelle brevi corse a tappe?

Penso che il livello si sia alzato. Ci sono molti corridori ora nel World Tour che sono semplicemente incredibili. All’epoca di Valverde c’erano solo uno o due corridori dominanti, io sono arrivato vicino quando era alla fine della sua carriera. Quando ho iniziato a emergere, mi sentivo come se fossi un po’ più competitivo rispetto ai migliori. Oggi la situazione è diversa, ma ciò non significa che non ho ancora la possibilità di fare bene in queste gare e sono ancora piuttosto entusiasta per lottare con i più giovani negli anni a venire.

Hai chiuso con buoni risultati nelle corse italiane di fine stagione: ti aspettavi di più fra Emilia, Tre Valli Varesine e Lombardia?

Sono rimasto abbastanza soddisfatto dalle prime due prove, ma un po’ deluso dal Lombardia. Mi sono sentito davvero bene in queste classiche, come se fossi tornato al mio vecchio livello. Ma sfortunatamente al Lombardia ho sbagliato dal punto di vista dell’esecuzione sulla salita finale ed ero troppo indietro quando l’attacco ha iniziato a partire. Ho notato davvero come negli ultimi due, tre anni se non sei nella posizione perfetta, è quasi impossibile competere contro i migliori ciclisti del mondo. In passato potevi commettere un errore ed essere un po’ troppo indietro, ma rimediare. Il ritmo delle gare adesso è così inesorabile, così alto che se commetti un errore, finisci per pagarlo. E così ho finito per non far parte di quel primo gruppo, anche se sentivo di avere davvero le gambe per esserci.

Woods al Lombardia, chiuso al 12° posto perdendo sull’ultima salita il treno dei migliori
Woods al Lombardia, chiuso al 12° posto perdendo sull’ultima salita il treno dei migliori
Le corse delle Ardenne continuano ad essere un tuo obiettivo?

Sì, sicuramente. Sono davvero concentrato su di loro. Tuttavia, il grande obiettivo per me l’anno prossimo è il Giro d’Italia, dovrò essere al massimo della forma per l’avvio della corsa rosa.

Affronterai il quarto anno alla Israel: come ti trovi nel team e cosa rispondi a chi dice che ha un’età media troppo avanzata?

Sono davvero entusiasta di far parte di questa squadra per il quarto anno, per me è una famiglia che si prende cura di me e mi sento davvero privilegiato. Detto questo, la nostra età media è sicuramente una delle più alte nel gruppo e io con i miei 37 anni contribuisco sicuramente a questo. Ma penso di essere davvero fortunato a far parte di una squadra che non guarda a questo aspetto. Geraint Thomas ha dimostrato la scorsa stagione, come ho dimostrato anch’io al Tour, che puoi ancora essere al meglio nella tua carriera. Anche Alejandro Valverde ne è un ottimo esempio. E sono entusiasta di continuare a esplorare le mie capacità fino alla fine dei trent’anni. E chissà, forse anche oltre.

Per il canadese il 2024 sarà il quarto anno all’Israel. Team fra i più anziani, con 10 elementi sopra i 30 anni
Per il canadese il 2024 sarà il quarto anno all’Israel. Team fra i più anziani, con 10 elementi sopra i 30 anni
Hai 37 anni: sei d’accordo con chi dice che il ciclismo attuale renderà impossibile nel futuro continuare a correre a un’età simile?

No. Penso che sicuramente la tendenza stia andando verso i ciclisti più giovani. Penso che ora, con l’accesso alle informazioni migliori come tecnologia, coaching, nutrizione, diventare un giovane corridore di vertice stia diventando molto più semplice. Non è necessario passare anni di esperienza per raggiungere un livello superiore. Puoi semplicemente seguire qualcuno su Strava o farti seguire da un buon allenatore nei picchi di allenamento, puoi guardare tutte le gare online e imparare molto più velocemente di quanto potevi prima.

Al Giro d’Italia Woods manca dal 2018, quando sfiorò la vittoria a Caltagirone
Al Giro d’Italia Woods manca dal 2018, quando sfiorò la vittoria a Caltagirone
Tempi duri quindi per chi viene da un’altra cultura ciclistica…

Mah, penso che l’età abbia ancora un ruolo nello sport. Io stesso sto ancora imparando. Questo è uno sport in cui impari costantemente e, man mano che migliori, diventa più facile esibirsi a questo livello. Per quanto mi riguarda, fisiologicamente mi sto avvicinando al massimo delle mie capacità, ma sento ancora che sto migliorando mentalmente. Avere quell’esperienza che l’età porta con sé aiuta. È ancora uno sport di squadra e avere ragazzi che hanno solo anni di esperienza aiuta molto all’interno del team.

Se ti guardi indietro, hai qualche rammarico per un’occasione perduta?

Anche se ho avuto dei fallimenti nella mia carriera, ho avuto anche dei grandi successi. E certamente quei fallimenti, quegli errori che ho commesso, mi hanno reso un pilota e una persona migliore.

Fuglsang: «Anno sfortunato, ma ho ancora fame»

27.10.2023
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Tosto, sfortunato, esperto: Jakob Fuglsang non si smentisce. Il danese della Israel–Premier Tech ci racconta della sua stagione e soprattutto di quella che verrà. Di questo ciclismo che cambia alla velocità della luce. Sembra passato un secolo da quando vinse la Liegi, invece è storia del 2019. E lo stesso vale per il Lombardia dell’anno successivo.

Quest’anno Jakob era partito benino. Discrete sensazioni e programmi importanti. Ma già la sua prima gara, il UAE Tour, era terminata con un ritiro. Fuglsang aveva avvertito dei dolori al soprassella. Fu costretto a fermarsi anticipatamente. Da lì il dolore è dilagato. Problemi ai testicoli. Mesi di stop. Alle fine il bilancio del suo 2023 agonistico ha detto: 33 giorni di gara e due sole top ten.

Jakob Fuglsang (classe 1985) in carriera vanta successi di prestigio e anche la medaglia d’argento olimpica a Rio 2016
Jakob Fuglsang (classe 1985) in carriera vanta successi di prestigio e anche la medaglia d’argento olimpica a Rio 2016
Jakob, una stagione difficile…

Sì, decisamente. Non è stato di certo il miglior anno. Ma non c’è niente da fare. Lo butto via e penso a quello prossimo. 

Dopo i tuoi problemi iniziali, alla ripresa questa estate hai avuto altri intoppi in Lussemburgo…

Ho avuto un virus intestinale. Lo aveva preso tutta la famiglia. All’inizio pensavo di averlo evitato, ma la mattina della prima tappa ho vomitato anche io. Davvero una stagione da buttare. Era difficile già ritrovare un buon livello dopo lo stop d’inizio anno, figuriamoci dopo. In più anche il calendario non mi favoriva (la Israel non ha fatto la Vuelta, ndr). Non avevamo moltissime gare da fare. Se ti alleni sempre devi ogni volta fare almeno la prima gara solo per ritrovare il ritmo. Anche questa poca continuità non mi ha aiutato. Il team ha corso molto nella prima parte della stagione. Ma dal Tour de Suisse in poi non c’era tanto da fare… se non facevi il Tour de France.

Come si fa a mantenere la concentrazione e i nervi saldi dopo un’annata del genere?

Posso dire che almeno in queste ultime settimane dell’anno ho corso un bel po’ e non mi sono dovuto allenare troppo. Per il resto, cosa si pensa? Che è il mio lavoro. E in qualche modo si cerca sempre di farlo al meglio in ogni condizione. 

La mente è già all’anno prossimo?

Sì, sì… Già sto pensando che voglio partire bene. E mostrare che quel che mi è successo quest’anno non è perché sono vecchio o non abbia voglia, ma solo perché sono stato davvero sfortunato.

Il danese ama la Strade Bianche anche in virtù delle sue doti di ex biker (iridato U23 nel 2007). Qui con Alaphilippe nel 2019
Il danese ama la Strade Bianche anche in virtù delle sue doti di ex biker (iridato U23 nel 2007). Qui con Alaphilippe nel 2019
Jakob, hai detto che comunque ti sei allenato molto, ma hai corso poco. Come ci si regola in queste situazioni? Continuerai a spingere ancora un po’, oppure osserverai il classico periodo di riposo?

No, riposo. Dopo l’ultima gara (la Veneto Classic, ndr) faccio almeno un paio di settimane di riposo assoluto. Poi riprendo a metà novembre. Magari nel mezzo farò qualcosa altro, non so, correre un po’ a piedi, andare in palestra. Provo sempre a lasciare la bici per un po’. Mi serve anche per la testa e per avere poi la fame di bici quando devo tornare ad allenarmi.

A proposito di palestra, dopo lo stop d’inizio anno quando hai ripreso l’hai fatta?

Assolutamente sì. Sono proprio dovuto ripartire da zero. Dovete pensare che per un mese intero non potevo, e non dovevo, toccare la bici, né fare alcuna attività fisica. Addirittura non potevo stare troppo in piedi. In più dovevo prendere gli antibiotici: cicli intensissimi. Quindi per forza sono dovuto ripartire dalla base.

Sagan ha detto di voler finire come ha iniziato, con la Mtb. Anche tu sei stato un grande biker. Farai la stessa cosa? Ci pensi a questa soluzione?

No, no – ride – io ho ancora un contratto per un anno e non è detto che il prossimo sia l’ultimo. Sto pensando di fare ancora una stagione, specie se andrà bene il 2024. Chiaro che se andrà come quest’anno non ha senso.

E questo ipotetico anno in più è legato alla sfortuna di questa stagione?

No, questa è andata. L’anno in più dipenderà da come andrà la prossima stagione. Ho voglia, voglia di finire ad un buon livello e con le gambe per essere competitivo.

Fuglsang è un ottimo discesista…
Fuglsang è un ottimo discesista…
Hai già in mente qualche obiettivo per il 2024?

Mi piacerebbe fare il Tour de France, anche perché parte dall’Italia, che mi piace tanto, ed è un po’ particolare. In più arriva vicino casa, a Nizza. E poi potrebbe essere il mio ultimo Tour. Per il resto l’obiettivo è quello di partire bene, come ho detto, trovare subito una buona condizione. Anche perché ad inizio anno ci sono classiche, una su tutte la Strade Bianche, in cui vorrei fare bene.

Sei ormai un veterano, i giovani ascoltano oggi? O sanno già tutto, come ci dicono molti?

Pensano di sapere tutto, ma alla fine non è così! Alla fine per me i corridori con esperienza servono ancora. Lo so che tante squadre guardano molto ai giovani e sono tutte alla ricerca del nuovo Remco o del nuovo Pogacar, ma anche ad atleti così servono vicino corridori di esperienza. Anche sotto questo punto di vista per esempio sento di avere ancora molto da dare. Ho anche corso come gregario in passato e so cosa vuol dire. Quindi spazio a noi vecchi!

Ultima domanda, abbiamo toccato il capitolo dei giovani. Nella tua squadra ce n’è uno, italiano, che promette molto bene: Marco Frigo. Cosa ci dici lui?

Marco è fortissimo. Sereno, sostanzioso. Per me può diventare un gran bel corridore e conquistare vittorie di peso. Come si sa, ha qualche problema in discesa, ma ci sta lavorando. Ed è già migliorato molto da quando è venuto da noi. 

Beh, tu ne sai qualcosa delle discese! Avete mai lavorato insieme in tal senso?

Un po’ sì, nei ritiri… 

Frigo in nazionale: Bennati lo chiama per Pantani e Matteotti

15.09.2023
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Marco Frigo è un’altra delle belle novità di questo 2023 ciclistico, dei giovani italiani che crescono e che si fanno largo nel WorldTour. Abbiamo ancora in mente le sue fughe al Giro d’Italia, il primo della sua carriera.

Da qualche settimana il veneto della Israel-Premier Tech ha ripreso il cammino per la sua seconda parte di stagione. Prima il ritorno in Repubblica Ceca, poi l’Arctic Race in Norvegia, poi ancora la trasferta in America per la Maryland Cycling Classic. Ma all’orizzonte per Frigo ci sono anche le classiche italiane e un paio le farà in maglia azzurra.

Marco Frigo (classe 2000) in Norvegia ha corso per il compagno Williams, poi vincitore della gara
Marco Frigo (classe 2000) in Norvegia ha corso per il compagno Williams, poi vincitore della gara
Marco, partiamo proprio dall’America…

La trasferta negli Stati Uniti è stata un po’ stancante. Non che sia stanco fisicamente, ma nonostante le precauzione il fuso orario si fa sentire. Bisogna attuare i migliori metodi per subirlo il meno possibile. Detto questo è stata una bella esperienza.

Che corsa hai trovato?

Veramente un bel percorso, magari non molto selettivo, ma di certo curioso. Sembrava di essere sulle montagne russe. Un continuo su e giù. Mi sono sentito bene. E’ stata una bella gara. Ero anche lì per giocarmela, ma nel finale purtroppo ho avuto un problema meccanico che mi ha tagliato fuori, ma succede.

Frigo (secondo da destra) è un amante dello sci di fondo e correre al circolo polare artico per lui è stata una doppia emozione (foto Instagram)
Frigo (secondo da destra) è un amante dello sci di fondo e correre al circolo polare artico per lui è stata una doppia emozione (foto Instagram)
Quindi la condizione è buona. Com’è stato questo anno col primo grande Giro nelle gambe? 

Se dovessi già tirare una prima linea, anche se probabilmente ne andrà fatta un’altra a fine stagione, dico che sono contento di come ho reagito al mio primo grande Giro. Tuttavia in futuro avrei forse un approccio un po’ diverso al recupero, post Giro. Starei un po’ più tranquillo nell’immediato. Quest’anno forse ho continuato a spingere un po’. Forse proprio perché uscivo bene dal Giro, forse per l’euforia di una buona corsa rosa… Col tempo un pelo l’ho pagato e quindi immagino che quella fase di recupero sarà da ritoccare. Ma parliamo di dettagli, comunque sto bene.

Come hai lavorato questa estate?

Dopo i campionati italiani ho recuperato per bene. E’ seguita una fase di altura nella quale ho costruito di nuovo una bella base per tutta questa seconda parte di stagione. Sono andato prima con la squadra a Livigno e poi ho aggiunto una settimana da solo sul Pordoi.

Due giorni fa hai disputato il GP de Wallonie, corsa di un giorno…

Avevamo una buona squadra per fare bene e io avevo un ruolo di supporto. Ero pronto e contento di dare il mio contributo. Le gare a tappe ormai sono finite. C’è rimasto qualcosa in Asia, ma da dopo la Norvegia solo corse di un giorno per me.

E poi ci sono le classiche italiane…

Sabato e domenica correrò il Pantani e il Matteotti con la nazionale. Dopodiché mi aspetta qualche gara del calendario italiano. Penso ad un Giro dell’Emilia o ad una Bernocchi, gare accattivanti che mi è sempre piaciuto fare e che non ho ancora mai corso e per questo sono molto curioso. Ce ne sono poi un paio come le ultime due in Veneto, vicino casa, che mi piacciono parecchio. Le sento di più.

Dopo Giro lungo per Frigo: Giro del Belgio, campionato italiano a crono e in linea
Dopo Giro lungo per Frigo: Giro del Belgio, campionato italiano a crono e in linea
Torni in azzurro dai tempi dell’under 23 in quella grandiosa nazionale che salì sul podio dell’Avenir e vinse il mondiale… Com’è andata questa convocazione?

In realtà dovreste chiederlo a Bennati! Una cosa è certa: anche se non è una convocazione per un europeo o un mondiale, mi fa sempre piacere indossare una maglia azzurra. E’ successo che nelle seconda metà di agosto mi è arrivata la telefonata di Bennati che mi ha chiesto se volessi fare queste due corse in azzurro. Io ho detto di sì. Chiaramente prima di una risposta definitiva, per non creare conflitti, ho chiesto il via libera alla mia squadra. E tutto è andato bene.

Quindi ti ha un po’ sorpreso questa convocazione?

Sinceramente sì, come ho detto mi fa piacere. Sono due belle gare e per entrambe sarà la mia prima partecipazione. Mi aspetto di fare una buona prestazione, poi se sarà per dare supporto o per cogliere un risultato questo non lo so. Quello che mi interessa è andare forte.

Woods nel vuoto del Puy de Dome. Colpi di stiletto fra “i due”

09.07.2023
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Due corse in una sul Puy de Dome, incredibilmente vuoto e silenzioso senza pubblico. Stavolta al Tour de France si è corso in modo simile al Giro d’Italia con due corse in una. E le due corse di oggi se le sono aggiudicate Michael Woods e Tadej Pogacar.

Due sfide dai contenuti tecnici più profondi di quanto non si sia visto da fuori e per questo Domenico Pozzovivo ci aiuta ad analizzarli. Il lucano ha una doppia valenza, è compagno di Woods alla Israel-Premier Tech ed è uno scalatore e visto che si parla di salita…

Per la tappa

La corsa si potrebbe riassumere in un “tanto tuonò che non piovve”, o quanto meno fece una “pioggerellina”. C’era un’attesa enorme attorno a questa tappa e a questa montagna, che mancava da 35 anni. L’Equipe aveva proposto una copertina dal sapore storico, giocando sul duello del 1964 fra Poulidor e Anquetil.

Invece il gruppo degli uomini di classifica lascia andare. La fuga va via al primo tentativo e prende un margine enorme, il cui vantaggio massimo supererà i 16′. 

All’imbocco della salita Matteo Jorgenson scappa e sembra averla fatta franca. Tutti gli occhi sono puntati su Woods, il favorito, che invece non reagisce. 

Woods mette Jorgenson nel mirino. Recupera qualche istante, poi scatta. Per il canadese (classe 1986) un successo che corona una lunga carriera di sport
Woods mette Jorgenson nel mirino. Recupera qualche istante, poi scatta. Per il canadese (classe 1986) un successo che corona una lunga carriera di sport
Domenico, ha vinto un tuo compagno. Complimenti!

Missione compiuta! Quando una squadra come la nostra, allestita per le tappe, ne vince una può ritenersi soddisfatta. Adesso i ragazzi correranno in modo più rilassato e magari potranno correre anche rischiando di più e, perché no, vincere ancora. 

Vincere porta a vincere, insomma?

Sì, sei più rilassato, non hai paura di perdere e rischi. E tutto sommato già oggi Woods è come se avesse giocato a poker. Si è un po’ rilassato ad inizio salita e poi è stato costretto a recuperare. Ma è riuscito a sfruttare le sue qualità.

E quali sono le sue qualità?

Quelle di un corridore molto bravo su salite di questo tipo: dure ma non troppo lunghe. Lui è molto esplosivo e venendo dall’atletica, dal mezzofondo, ha una capacità lattacida invidiabile.

Tu già lo conoscevi?

Sì, sono anni che lo conosco, che siamo avversari e poi da quest’anno corriamo insieme. Una persona di qualità, forte…

E anche lui non è proprio un bimbo! Woods conosceva questa frazione? Era venuto in avanscoperta in quella giornata organizzata da ASO?

No, perché non era al Delfinato. Michael era con me al Tour d’Occitanie, dove ha anche vinto. E’ riuscito a sfruttare questa tappa. La fuga è stata favorita dall’andamento tattico. Ci si aspettava un controllo fra Vingegaard e Pogacar, una partita a scacchi che appunto ha favorito la fuga. Se uno dei due doveva recuperare avrebbero chiuso, ci sarebbe stato un altro ritmo e la fuga non sarebbe arrivata.

L’altra corsa…

E poi appunto c’è stata la partita a scacchi fra la Jumbo-Visma e la UAE Emirates. Solo poco prima della salita la squadra di Vingegaard ha preso in mano la corsa. Poi sono subentrati i ragazzi di Pogacar e di nuovo i gialloneri. Fino allo scatto dei due a 1.500 metri dal traguardo.

Domenico, passiamo dunque alla sfida fra i due grandi di questa Grande Boucle… Tanto tuonò che non piovve: anche tu la vedi così?

Come detto prima si sono controllati. Quando poi di mezzo non c’è la vittoria di tappa le polveri inevitabilmente si bagnano un po’, non c’è mai la stessa carica agonistica. Per di più oggi la tappa è filata via tranquilla e ci hanno messo un po’ per passare alla modalità aggressiva.

Si conoscono molto bene. Pogacar ha portato un attacco di “X” secondi e l’altro sapeva che il suo affondo sarebbe durato così. Poi ha tenuto duro, ma l’altro ha insistito un pelo di più. Erano sul filo. Tutto molto tecnico-tattico. Tu come la vedi?

La verità è che io ho visto più preoccupato Pogacar che Vingegaard. Per me Tadej era molto attento al caldo. Se ci avete fatto caso si bagnava spesso su tutto il corpo. Sappiamo che quando fa caldo lui ha spesso una piccola contro-prestazione. Vingegaard dal canto suo contava su questa cosa e forse si aspettava che calasse un filo. Mentre Pogacar si è sentito meglio di quel che credeva e ha attaccato.

E riguardo ai watt?

Credo che entrambi ne abbiano espressi un filo meno che sui Pirenei, e credo dipenda proprio dal caldo.

Pogacar e Vingegaard sono davvero al limite e alla pari. Ormai si parla di metri, neanche di secondi. Sarà una lotta anche di nervi?

Senza ombra di dubbio. Questa è una componente fondamentale nella sfida uno contro uno. E in questo Tadej forse ha qualche chance in più, anche se l’altro ha una grande squadra.

Froome, addio Grande Boucle. Viaggio fra le sue ombre

30.06.2023
5 min
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Mancano poche ore al Tour de France numero 110 e quando a Bilbao si abbasserà la bandierina dello start non ci sarà Chris Froome. La Israel-Premier Tech infatti lo ha tagliato fuori dalla corsa che il britannico ha vinto quattro volte.

In questi giorni, la notizia non è freschissima, siamo stati alla finestra per vedere come evolveva la situazione, ma tutto è rimasto avvolto in un grande silenzio. Nessuna dichiarazione forte né da parte di Froome, né del team.

Froome sulle strade di Sierra Nevada: professionalità massima per il classe 1985 (foto Instagram)
Froome sulle strade di Sierra Nevada: professionalità massima per il classe 1985 (foto Instagram)

Delusione Froome

«Sono ovviamente deluso – aveva detto a caldo Froome a Gcn- anche perché il Tour de France occupa un posto incredibilmente speciale nel mio cuore. Mi spiace perché fisicamente ero pronto, ma purtroppo non sono riuscito a dimostrare la mia condizione nelle gare che mi sono state assegnate, a causa di problemi meccanici».

E ancora: «Rispetto la decisione della squadra e mi prenderò del tempo prima di concentrarmi nuovamente sui prossimi obiettivi della stagione. Voglio tornare al Tour de France nel 2024».

Partiamo da queste parole. Froome, al netto di qualche fiammata lo scorso anno proprio sulle strade del Tour de France, non si è più visto molto. 

In questa stagione ha infilato 29 giorni di corsa e il miglior risultato è un 12° posto in una piccola gara australiana. Questi 29 giorni di corsa sono stati divisi in due blocchi: uno fino a febbraio chiusosi al Tour du Rwanda, e uno da maggio in poi. L’unica corsa WorldTour a cui ha preso parte è stato il Romandia.

E’ anche vero che la Israel-Premier Tech non è più nella massima serie e ci sta che faccia qualche gara di altissimo livello in meno, ma nell’insieme non è certo un segnale positivo per Chris. 

Nelle ultime tre stagioni, Froome è entrato solo una volta nei primi 10: 3° lo scorso anno sull’Alpe d’Huez
Nelle ultime tre stagioni, Froome è entrato solo una volta nei primi 10: 3° lo scorso anno sull’Alpe d’Huez

Si fanno i conti

Froome in quei due mesi si è allenato con la solita grinta e la professionalità di sempre. In primavera era stato a lungo sulle alture di Sierra Nevada e poi, prima del Tour, si era spostato ad Andorra, ancora in altura.

Stavolta tutto questo lavoro non è bastato per il re del Giro 2018. Neanche il suo blasone. Va considerato che in casa Israel-Premier Tech deve tirare un’aria un po’ tesa. Dopo l’uscita dal WT dello scorso anno, non si “guarda più in faccia” nessuno. Un bel colpo di spugna. 

E’ finito fuori dalla lista del Tour anche l’altro atleta di spicco: Jakob Fuglsang. Servono punti per risalire la china, per cui corre chi dà più certezze. Il triennio è appena iniziato e per adesso la squadra di Sylvain Adam è 15ª nel ranking UCI.

Per quel che riguarda il danese, che invece sembra averla presa meno bene, oggettivamente era davvero difficile che potesse partire per il Tour. Ha avuto enormi problemi al soprassella ad inizio stagione, tanto da dover lasciare con una certa fretta il UAE Tour. Fuglsang non si è allenato per due mesi interi. Il Tour de Suisse era la sua ultima chance, ma si è fermato prima della crono finale.

Froome (a destra) e Fuglsang sono i grandi esclusi della Israel dal Tour. Eccoli al Romandia 2022

Polemiche e considerazioni

E’ inevitabile che tutto ciò inneschi delle polemiche. Froome ha parlato di problemi meccanici che nella corsa del Mont Ventoux e a alla Route d’Occitaine non gli hanno permesso di rendere al meglio (per onor di cronaca, va detto che i suoi compagni vincevano o salivano sul podio in quelle stesse corse e con quelle bici). 

In particolare sembra che Chris si riferisse ai freni. E non era la prima volta che il britannico si lamentava di questo aspetto tecnico.

Ma qualcosa dev’essere accaduto proprio a pochi giorni, se non ore, dalla comunicazione del team per la Francia. Fin lì infatti – ed è storia 8 o 9 giorni fa – Froome era convinto di farlo: «Sto migliorando poco a poco – aveva detto prima alla Cic Ventoux – le ultime sei, sette settimane sono andate bene in allenamento. Ho lavorato senza problemi. Le cose sembrano andare nella giusta direzione.

«Ovviamente non andrò al Tour per lottare per la classifica generale, ma per provare a vincere una tappa: sarebbe fantastico».

«Non sono dove immaginavo di essere adesso, ma mi sto divertendo», così ha commentato Chris sulle sue pagine social dopo l’esclusione
«Non sono dove immaginavo di essere adesso, ma mi sto divertendo», così ha commentato Chris sulle sue pagine social dopo l’esclusione

Tour 2024: un’utopia?

Un altra querelle è quella che riguarda il contratto di Froome. Ufficialmente è fino al 2023, ma c’è chi dice che si sarebbe dovuto chiudere lo scorso 31 dicembre con la retrocessione del team a professional e chi invece che durerà fino al 2025.

«Preferisco non parlare di alcun elemento del contratto di Froome – ha detto patron Adam – abbiamo un accordo con Chris che la sua ultima squadra sarà proprio questa». Volendo fare le pulci alle sue parole, Adam non menziona le date e parla di accordo, non di contratto. Ma questo cambia poco.

Ci auguriamo che Froome, ma anche Fuglsang, possano tornare ad esprimersi al meglio. Se poi il livello sarà quello per competere al top, questo ce lo potranno dire solo le gare. Ma gli anni passano e il livello si alza: non sarà semplice questa sfida.

Frigo, il diario del mio primo Giro. Dalle Alpi a Roma

29.05.2023
6 min
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ROMA – «Mi sono goduto così tanto la passerella di Roma che avrei continuato per altre tre settimane». Marco Frigo inizia così la terza ed ultima puntata del diario del suo primo Giro d’Italia. Ma da una frase del genere già si capisce che il ragazzo sta bene, che fisicamente ha tenuto botta e questo in chiave futura è molto importante. 

L’atleta della Israel-Premier Tech è stato una delle sorprese italiane di questa edizione della corsa rosa. E sono tutte sorprese giovani: il più “vecchio” – che infatti proprio sorpresa non è – è stato Alberto Dainese, poi Jonathan Milan e Filippo Zana. Okay, Marco rispetto a loro non ha vinto, ma è stato protagonista, spesso in fuga.

Marco Frigo (classe 2000): un Giro affrontato col sorriso
Marco Frigo (classe 2000): un Giro affrontato col sorriso

Ultima settimana 

Un diario che si rispetti, vede le sue pagine compilate giorno dopo giorno e così iniziamo dove ci eravamo lasciati: alla vigilia della tappa del Bondone, la prima dopo il secondo riposo.

«Come vi avevo detto – spiega Frigo – il secondo giorno di riposo era stato più desiderato del primo e la tappa del Bondone, in accordo con la squadra, abbiamo deciso di viverla come se fosse un’altro giorno di “riposo” per me.

«Accusavo ancora un po’ la fatica. A Bergamo ne avevo fatta davvero tanta. Era una tappa così dura che non avrebbe avuto senso spingere forte in prospettiva delle frazioni a venire. E così quel giorno ho preso mezz’ora. Ma è stata comunque molto bella».

Ad una manciata di chilometri dalla sua Bassano si raduna il fan club di Frigo. Marco si ferma per la classica visita parenti
Ad una manciata di chilometri dalla sua Bassano si raduna il fan club di Frigo. Marco si ferma per la classica visita parenti

Visita parenti

E il giorno dopo, se vogliamo per Marco si è trattato di un terzo giorno di riposo consecutivo. Dopo quello vero e proprio e dopo il Bondone, c’è stata la frazione di Caorle. Un piattone, non adatto a Frigo, ma per certi aspetti quella è stata la tappa per lui più bella. Di certo la più significativa.

«E’ stato fantastico quel giorno – racconta Frigo – assieme a quella del Giau è stata la tappa che più mi ha emozionato. Desideravo viverle a fondo. Verso Caorle, in particolare, si passava a casa mia. Il mio fan club mi ha accolto poco prima di Bassano per farmi festa, per salutarmi. Io mi sono fermato obbligatoriamente, non potevo non farlo… Ho anche preso un goccio di prosecco!».

Insomma, una visita parenti in pieno stile. Immagini sempre più rare, ma sempre suggestive. Marco però non aveva chiesto il permesso di andare “in fuga” come si faceva una volta, semplicemente si era avvantaggiato nelle prime posizioni del gruppo e poi si era fermato.

«Mi sono fermato anche per mantenere quelle tradizioni che magari con il passare degli anni si stanno perdendo. Ma penso che il ciclismo, quello di una volta di cui tanto si parla, nel bene o nel male, conti ancora tanto. Una volta non c’erano i riferimenti social, non ci si seguiva come adesso, e appunto c’era la visita parenti. Quindi è stato veramente bello conciliare un po’ di “casino” e al tempo stesso mantenere viva una tradizione».

In fuga coi giganti, Frigo con Pinot e Barguil
In fuga coi giganti, Frigo con Pinot e Barguil

Si torna a menare

Ma al Giro Frigo ci è andato con intenzioni serie: imparare e, se possibile, andare forte. Obiettivi colti entrambi.

Dopo Bergamo, in Val di Zoldo è di nuovo protagonista. La volta scorsa Frigo ci aveva confidato che si era studiato bene questa tappa. L’aveva percorsa nel ritiro pre-Giro sul Pordoi. Peccato però che non fosse al meglio.

«Negli ultimi 4-5 giorni del Giro – racconta il veneto – ho iniziato ad avere qualche problema di respirazione, di tosse. Ero un po’ congestionato. E questo è stato l’unico neo di questo mio primo Giro.

«Tuttavia, quel giorno man mano che andavo avanti non stavo malissimo. Sapevo che poteva essere una buonissima tappa. In più si era creato lo scenario tattico ideale con la Ineos-Grenadiers che ci aveva lasciato andare. In qualche momento ci ho creduto veramente. La fuga era andata via di forza e io ci ero entrato e poi ero molto motivato perché sapevo che sarebbe stata l’ultima vera possibilità di vittoria».

«Peccato mi sia staccato in discesa. Ho speso tanto per rientrare e poi ho pagato nel finale. Ma va bene così. Era la tappa numero 18 del Giro. E se a Fossacesia mi avessero detto che dopo tutte quelle frazioni sarei stato lì a giocarmela ne sarei stato più che contento».

La folla delle Tre Cime. Marco ha detto che certe scalate hanno un fascino particolare
La folla delle Tre Cime. Marco ha detto che certe scalate hanno un fascino particolare

Onore Tre Cime

Restavano due ostacoli per arrivare a Roma: le Tre Cime e il Lussari. Altri due momenti topici di questa edizione della corsa rosa. E Frigo, da vero appassionato, è sembrato portare rispetto a queste vette.

«Sono state salite splendide. L’atmosfera che c’era nel pubblico in strada mi ha emozionato. Il carisma di una tappa dolomitica per di più con l’arrivo sulle Tre Cime è unico. Lo senti. Credo sia stato il vero tappone del Giro. Io ero cotto, ma tutta quella gente non me la scordo».

E più o meno le stesse cose Frigo le ha vissute sul Lussari. Anche se in quel caso forse la fatica iniziava ad emergere con più prepotenza.

«Iniziavo a sentirla in effetti. Io ho dormito tranquillo, nel senso che materiali, ruote, rapporti – ho montato il 36×34 – era già stato tutto deciso, però era importante fare una buona scalata, anche per conoscersi.

«Ma ammetto che negli ultimi giorni della terza settimana l’appetito era diminuito. E anche per prendere sonno avevo qualche difficoltà in più. Me lo avevano detto: ora ho capito di cosa parlavano».

«Però in maniera inversamente proporzionale tra noi compagni si era creata un’atmosfera d’intesa quando mangiavamo la sera. Scherzavamo di più. Io dicevo che eravamo ubriachi di fatica ed essendo ubriachi sparavamo più cavolate!».

L’acquazzone poco dopo lo start da Pergine Valsugana… costato “caro” a Frigo
L’acquazzone poco dopo lo start da Pergine Valsugana… costato “caro” a Frigo

Marco il meteorologo

E parlando di scherzi e risate sentite questa. Senza più Pozzovivo in squadra il meteorologo era Marco. Al via da Pergine Valsugana, proprio nella tappa di casa, il meteo promette bene, ma…

«Ma all’orizzonte – racconta Frigo – si affacciano dei nuvoloni. I miei compagni, tanto più che ero del posto, mi chiedono come sarebbe andata. E io: “Ma no, verso Sud dove andiamo noi è bello. Vedrete che non pioverà”».

«Partiamo e dopo venti minuti ecco qualche gocciolina. Allora Stephens (Williams, ndr) mi fa: “Marco, ma cosa succede?” E io: “Tranquillo non piove”. Dopo trenta secondi è venuto giù il mondo e lui mi ha mandato a quel paese! E’ andato in ammiraglia a prendere la mantellina e quando è tornato è uscito il sole».

Israel a Roma. Marco (primo a destra) ha concluso il suo primo Giro d’Italia in 32ª posizione (foto Israel-Premier Tech)
Israel a Roma. Marco (primo a destra) ha concluso il suo primo Giro d’Italia in 32ª posizione (foto Israel-Premier Tech)

Marco entra a Roma

E ora il grande finale. Il folle ultimo giorno di Roma, iniziato con un aereo a Trieste e terminato con una bici sui Fori Imperiali. Il culmine di un viaggio indimenticabile.

«Anche ieri – racconta Frigo – è stato molto emozionante. Me la sono goduta tutta la passerella. Mi sono messo in fondo al gruppo e ho pedalato con la mente più libera, più tranquilla. Non avevo nessuna ambizione di fare la volata, né per me, né per i compagni. Tutto è filato liscio: un’emozione dal primo all’ultimo metro».

«Quasi mi dispiaceva che il Giro stava finendo. Sarei andato avanti altre tre settimane. E’ stato il mese più bello della mia vita. L’ho visto e l’ho vissuto un po’ come un traguardo. Ma quell’arrivo ai Fori al tempo stesso è stato anche un sollievo. Ci tenevo a finire bene questo viaggio».

Frigo, il diario del mio primo Giro. La folla di Bergamo

22.05.2023
7 min
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BERGAMO – E’ il secondo giorno di riposo e riprendiamo il filo del discorso con Marco Frigo per il diario del suo primo Giro d’Italia. Tra l’altro Marco è uno dei freschi protagonisti della tappa di ieri, che lo ha visto terzo e mai domo, se non sulla linea del traguardo.

Una settimana fa eravamo a Bologna e il corridore della Israel-Premier Tech era fresco come una rosa. «Oggi – ci disse – avrei fatto un’altra tappa». Ebbene, le cose cominciano a cambiare. Segno che il Giro d’Italia inizia a farsi sentire, nonostante entusiasmo alto e gambe buone.

Frigo tra le ali di folla verso Bergamo Alta. Era la prima volta che correva con così tanto pubblico. «Anche sulle altre scalate c’e n’era»
Frigo tra le ali di folla verso Bergamo Alta. Era la prima volta che correva con così tanto pubblico. «Anche sulle altre scalate c’e n’era»

Quelle ali di folla

Con il veneto partiamo proprio dalla tappa di eri. Al primo Giro arrivare là davanti, in una frazione tanto dura non è cosa poco. Le emozioni sono ancora calde, caldissime…

«E’ stata una frazione per me emozionante – attacca Marco – un percorso spettacolare. E anche il meteo ci ha aiutato. Il pubblico è stato fantastico. Queste due ali di folla così rumorose, che ti urlavano nelle orecchie… Era la prima volta che ne vedevo così intense. Fa piacere. Ringrazio i tifosi. Mi hanno dato energia».

Marco doveva andare in fuga. Questo era il primo obiettivo di giornata. Poi cogliere quanto di meglio possibile.

«Come squadra – dice Frigo – stiamo veramente facendo un bel Giro. Stiamo centrando quasi tutte le fughe buone e riusciamo ad alternarci con i compagni. Sì, dovevo andare in fuga, poi con l’ammiraglia avremmo deciso il da farsi.

«Le mie sensazioni erano buone e volevo anticipare gente come Mollema o Rubio, senza aver paura di lanciare l’offensiva. E infatti sono stato io ad aprire la guerra. Alla fine sono un corridore che predilige gare di fondo, di fatica: meglio renderle dure».

Il veneto (classe 2000) imita con le mani le fasi della volata di ieri a Bergamo
Il veneto (classe 2000) imita con le mani le fasi della volata di ieri a Bergamo

Finale (quasi) perfetto

Nel finale Frigo esegue mosse da manuale. Tiene duro, non naufraga, rientra in fondo alla discesa e tira dritto.

«Ho deciso di attaccare presto – spiega Marco – perché comunque mi sentivo bene. Poi McNulty e Healy hanno dimostrato di avere delle buonissime gambe, ma tenendo duro e rientrando ho creduto di giocarmela per davvero. Poi – ripeto – quel pubblico ti aiutava a dare tutto. Ero quasi in trans agonistica, anche per questo ho tirato dritto».

Marco gesticola e ci fa rivivere quel finale. Sostiene che se fosse partito 50 metri più tardi e sull’altro lato della strada, forse sarebbe andata diversamente. Non è un rammarico, solo un racconto. E col senno del poi… è facile ragionare. 

«Ed è anche vero che comunque gli avevo preso una bella scia. Per partire 50 metri dopo avrei dovuto rallentare».

Marco ha ritrovato un buon feeling con la discesa. Qui eccolo su quella della Croix de Coeur, da lui definita pericolosa (foto Instagram)
Marco ha ritrovato un buon feeling con la discesa. Qui eccolo su quella della Croix de Coeur, da lui definita pericolosa (foto Instagram)

Discesa, feeling ritrovato

Ma questo finale ci ha dato un’altra bella notizia. Per Frigo il fattaccio di Rodi è alle spalle. Per chi non lo sapesse, due stagioni fa Marco ebbe una rovinosa caduta in discesa in una corsa a tappe in Grecia. Era caduto, per colpa di un sasso, ad oltre 70 chilometri orari e da lì si era bloccato. 

«Pian piano – spiega Frigo – sto riacquisendo un buon feeling e non nascondo che quest’inverno, con la squadra ci abbiamo lavorato. Ho fatto dei corsi per per migliorare in discesa e devo dire che in questo il team mi ha sempre supportato. E’ stato un lavoro che ha pagato, visto che ieri non sono naufragato in discesa e mi sono potuto giocare la tappa».

Frigo a ruota di Pozzovivo. I due era spesso vicini anche in corsa. D’altra parte non capita sempre un maestro come il lucano
Frigo a ruota di Pozzovivo. I due era spesso vicini anche in corsa. D’altra parte non capita sempre un maestro come il lucano

Da Pozzo a Riccitello

In questo diario, stavolta un po’ a ritroso, la settimana di Marco Frigo non era iniziata per il meglio. Proprio alla ripresa del Giro, dopo il riposo di Bologna, ecco una doccia gelata ulteriore, oltre a quella del meteo che intanto flagellava la Romagna.

«Il martedì – racconta Frigo – mi sono svegliato con Domenico Pozzovivo che mi lasciava (i due condividevano la camera, ndr) a causa del Covid. E’ stato un momento veramente triste per me.

«Ero contento di condividere questo mio primo viaggio con Domenico. Ero consapevole che perderlo mi avrebbe tolto la possibilità di imparare molto, specie nella terza settimana e specie da uno esperto come lui. Però in qualche modo lui c’è ancora. Ci siamo sentiti per qualche consiglio su un paio di situazioni, per i complimenti…».

Però la camera non è vuota: «Eh no. Sono passato dal più vecchio del Giro al più giovane, Riccitello. Un bravo ragazzo. Ora tra i due il vecchio sono io!».

Senza Pozzovivo è anche un po’ cambiata la corsa della Israel-PremierTech. Non che il lucano blindasse le fughe, ma un occhio di riguardo giustamente lo richiedeva. 

Ora Frigo e compagni possono attaccare di più. Gli Israel non hanno pressioni, possono sbagliare e magari anche divertirsi… nonostante la pioggia.

E a proposito di pioggia e freddo, Marco racconta che proprio all’inizio della scorsa settimana in gruppo c’era paura e che qualcosa era cambiato nell’atmosfera. In 72 ore la cosa rosa aveva perso quasi 40 elementi. Qualcosa è dunque scattato nella testa degli atleti e dei team. Da lì le mascherine e una maggiore attenzione verso il Covid.

A Borgofranco d’Ivrea partenza fittizia, poi tutti sui bus per il trasferimento a Le Chable. Una querelle poco chiara anche per Frigo
A Borgofranco d’Ivrea partenza fittizia, poi tutti sui bus per il trasferimento a Le Chable. Una querelle poco chiara anche per Frigo

Il fattaccio di Crans

E magari la boutade di Crans Montana è figlia di quel sentimento diffuso. Marco per la prima volta si è trovato a vivere anche momenti particolari e insoliti che in un palcoscenico come quello del Giro d’Italia vengono amplificati a dismisura.

«Un bel caos – spiega Frigo – noi corridori ci siamo mossi in anticipo come ci aveva chiesto Rcs Sport in caso situazioni simili. Così anche loro le avrebbero potuto gestire meglio e non ritrovarsi con certe richieste mezz’ora prima della tappa. 

«Abbiamo fatto questa votazione la sera prima ed stata una mossa giusta. Quello che secondo me poi è stato sbagliato, è stato quanto accaduto la mattina dopo. C’erano altre condizioni meteo rispetto a quelle previste. Tuttavia non mi sento di dare la colpa al sindacato dei corridori. Piuttosto sono per un concorso di colpa con l’organizzazione. Dal mio punto di vista ci sono ancora tante cose da fare per migliorare queste situazioni in futuro». 

Si potrebbero e dovrebbero avere info dal percorso in tempo più reale. Il senso è questo. Ed è anche la tesi di Frigo. «Affinché si abbiano protocolli meteo più adeguati».

Ieri Frigo era sfinito dopo l’arrivo. Tre giorni prima era stato quinto a Rivoli, sempre al termine di una lunga fuga
Ieri Frigo era sfinito dopo l’arrivo. Tre giorni prima era stato quinto a Rivoli, sempre al termine di una lunga fuga

Stanchezza, gambe e Inter

«Le sensazioni – racconta Marco – sono buone… almeno fino a ieri! Questo giorno di riposo arriva dopo una giornata intensa come quella di ieri e rispetto alla settimana scorsa è un po’ più desiderato».

«Ma nel complesso va bene. Approccio quest’ultima settimana con ottimismo e tanta voglia di continuare a provarci per fare bene e per una vittoria di tappa. Sia da singolo che come squadra».

Il diario di Frigo passa anche per gli aneddoti della strada. L’altra volta c’era stato il sassolino nella scarpa durante la tappa di Napoli. «Stavolta invece un tifoso mi ha fatto un regalo particolare. All’arrivo di Bergamo un signore alle transenne, dopo l’arrivo, mi ha messo al collo una sciarpa dell’Atalanta. Me l’ha data come fosse qualcosa di scaramantico… Ora la porto con me».

Ed è ancora un richiamo calcistico a chiudere il diario della seconda settimana. Dopo la prima puntata eravamo in sospeso con la partita di ritorno in Champions dell’Inter. 

«Beh, è andata bene! Siamo passati in finale – dice Marco – e adesso ce la giocheremo ad Istanbul. L’unica differenza è che stavolta purtroppo non mi sono potuto complimentare con Cimolai perché nel frattempo lui è andato a casa».

Casco e occhiali, nulla di banale: ne parliamo con Clarke

22.05.2023
5 min
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SAN GIOVANNI IN PERSICETO – Spesso gli accessori del ciclista vengono dati per scontati e si può cadere nell’errore di non carpirne quanto siano importanti. Mettici che devono essere indossati per 21 tappe di seguito sotto vento, pioggia, sole (si spera), ed ecco che questi complementi acquistano tutta un’altra importanza. Abbiamo bussato al bus della Israel Premier Tech e ci ha aperto un Simon Clarke sorridente e rilassato nel primo giorno di riposo del Giro tra le campagne bolognesi. Con l’australiano abbiamo messo sotto la lente il suo kit protettivo firmato Ekoi, composto da casco e occhiali. 

Casco aero sempre

Lo abbiamo notato in corsa durante la tappa di Napoli, quando per un soffio, insieme al suo compagno di fuga De Marchi hanno sfiorato la vittoria. Clarke in quel caso indossava il modello AR14 di Ekoi. Un casco aero che per la verità sta indossando fin dalla prima tappa. Una scelta, quella dell’aerodinamica, che sempre di più si vede in gruppo. 

«E’ un casco – spiega – con cui mi trovo molto bene. Lo uso in tutte le occasioni. Con tutti i giorni di pioggia che stiamo affrontando questo modello aiuta a proteggersi maggiormente. Il sistema Mips oltre ad essere protettivo aiuta anche a fare entrare meno aria. Il fatto che sia aerodinamico per me vuol dire avere un vantaggio in più. E’ leggero e rimane sempre in posizione. Non sono uno che regola il casco di continuo. Lo sistemo prima di partire e così lo tengo per tutta la tappa. La rotella ATOP permette di essere molto precisi. 

«Il comfort è un altro punto a favore dell’AR14. I laccetti si regolano bene e credo che un amatore si possa trovare bene anche per questo. Le imbottiture interne sono morbide e non si appiattiscono. Io utilizzo una S che è la taglia più piccola disponibile».

Occhiali per tutto

Vederci chiaro in ogni condizione. Gli occhiali Premium 90 LTD di Ekoi sono un modello rivolto a chi della bici fa un mezzo per la ricerca della velocità e della prestazione. Ma sono anche una tipologia di prodotto che va in contro ad un gusto estetico improntato all’anima da gara. Discorso parallelo ma leggermente rivolto ad un utilizzo più versatile riguarda il modello E-Lens Evo con il sensore di oscuramento automatico elettronico. 

«Mi piace molto – dice – usare il modello Premium 90. Li uso da molti anni e mi sono sempre trovato bene. Sono ben areati e come il casco hanno una linea aerodinamica e racing. Anche il colore è molto bello. Sono occhiali leggeri e seguono bene la linea del mio viso. Come lenti utilizzo sempre quelle a specchio, mentre per le tappe di pioggia uso quelle più chiare. 

«Ekoi mi ha fornito anche il modello E-Leans. Ha un sistema davvero reattivo e interessante per oscurare la lente. Non lo uso in corsa perché ha un’inclinazione della lente che alle alte velocità non mi si addice. Però sono leggeri e sono molto comodi. Sono adatti a chi cerca un occhiale versatile e che deve indossare per molte ore. Io li uso anche nella vita di tutti i giorni».

Come si può vedere dalla foto la linea del casco segue la posizione di Clarke
Come si può vedere dalla foto la linea del casco segue la posizione di Clarke

Crono su misura

In questo Giro d’Italia le cronometro sono tre: resta ormai solo quella del Monte Lussari. L’aerodinamica del casco ad oggi è diventata un elemento determinante su cui le aziende produttrici investono sempre di più in fase di ricerca e sviluppo. Il modello TTRB LTD di Ekoi è un concentrato di velocità e fluidità dinamica durante il massimo sforzo. Quando Simon ce ne parla la crono è passata da meno di 24 ore e il feedback è più fresco che mai, per questo si nota anche un certo entusiasmo nelle sue parole. Questo nonostante la cronometro non sia mai stata un suo obiettivo primario.  

«Mi piace tantissimo – conclude – è il primo casco da crono della mia vita che si adatta alla mia posizione. La coda infatti si allinea perfettamente con la mia schiena. Ho sempre utilizzato dei modelli che avevano una coda che puntava verso l’alto rovinando così la mia aerodinamica. Il TTRB mi ha dato ottime sensazioni fin dal primo utilizzo. La lente ha una visibilità ideale, protegge molto bene e si vede in modo chiaro la strada. Dietro, nella coda ha una parte chiusa che aiuta a ridurre i flussi d’aria. E’ una parte chiusa che aiuta l’aerodinamica complessiva».