Crono finale al Tour, una storia ricca di pathos

19.03.2023
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Nel 2024 il Tour de France cambierà completamente faccia. Già è noto che gli organizzatori hanno scelto di lasciare Parigi per la conclusione della Grande Boucle, una decisione obbligata visto che pochi giorni dopo si apriranno i Giochi Olimpici, quindi non c’era materialmente la possibilità di allestire la solita kermesse agli Champs Elysees. Si correrà dal Principato di Monaco a Nizza una cronometro che chiuderà la corsa, un evento estremamente raro, che riporterà le sfide contro il tempo al loro ruolo decisivo e finale in termini di classifica. Non è stata una decisione facile, ma certamente non contrastata come quella della prima crono al Tour…

Sapete quando la sfida contro il tempo venne introdotta al Tour? Il 27 luglio 1934, ma fu una decisione dolorosa. Il patron Henry Desgrange era da anni sollecitato a inserire una prova a cronometro dal giornalista Gaston Benac, di Paris Soir. Un appassionato, tanto che si era inventato nel 1931 il Gran Prix des Nations dandogli una tale enfasi che una folla enorme si schierò ai lati delle strade per applaudire i protagonisti.

In apertura la sorpresa sul viso di LeMond, qui tutta la delusione per Fignon, ancora una volta…
In apertura la sorpresa sul viso di LeMond, qui tutta la delusione per Fignon, ancora una volta…

Lo smacco francese del 1933

Desgrange però era dubbioso, esitava, perdeva tempo. Non altrettanto avvenne in Italia dove il clamore del GP des Nations spinse la Gazzetta dello Sport a inserire nel 1933 una prova contro il tempo, riscuotendo grande successo e destando l’ira dell’organizzatore transalpino, che licenziò in tronco uno dei suoi collaboratori addossandogli la colpa e decidendo di seguire la stessa strada l’anno successivo.

Da allora le crono del Tour sono state qualcosa di fondamentale ed è curioso il fatto come quest’anno avranno un peso specifico minore rispetto al Giro perché normalmente è sempre stato il contrario. E’ piuttosto raro però il fatto che la corsa francese si concluda proprio con una crono, infatti è avvenuto solamente 9 volte.

Anquetil e Poulidor, acerrimi nemici. Il Tour del 1964 fu una sfida all’OK Corral…
Anquetil e Poulidor, acerrimi nemici. Il Tour del 1964 fu una sfida all’OK Corral…

Una sfida fatta in casa

Una scelta stranamente rara perché quando è stata presa, ha spesso regalato spettacolo, sin dalla sua prima volta. Era il 1964 e la maglia gialla era sulle spalle di Jacques Anquetil, ma il suo vantaggio era esiguo nei confronti di Raymond Poulidor, il suocero di Mathieu Van Der Poel che voleva fortemente quella maglia che non è mai riuscito a prendere. La crono finale, da Versailles a Parigi di 37,5 chilometri premiò proprio il suo nemico, pronto ad allearsi con chiunque pur di sconfiggerlo. Alla fine Anquetil vinse di 55”, uno dei distacchi più risicati al termine della corsa.

Al tempo la crono si disputava sì l’ultimo giorno, ma era una semitappa (sembra strano vedendo i chilometraggi, ma è così…) insieme a una prova in linea che solitamente si concludeva in volata. L’anno dopo la sfida da Versailles a Parigi fu l’apoteosi di Felice Gimondi che diede un altro dispiacere al popolare Poupou. Sui 38 chilometri il bergamasco, che aveva un minuto e mezzo di vantaggio ma le cui possibilità a cronometro erano sconosciute, vinse con 30” su Motta e 1’08” su Poulidor. Il pubblico francese la prese comunque bene, commosso per la delusione del beniamino di casa ma ammirato dal personaggio italiano e dalla sua signorilità.

Per Gimondi il trionfo inaspettato del 1965 sancito a cronometro (foto Getty Images)
Per Gimondi il trionfo inaspettato del 1965 sancito a cronometro (foto Getty Images)

La tripletta gialla di Merckx

Poulidor la tappa finale a cronometro la vinse nel 1967, ma non fu sufficiente per recuperare il divario dal connazionale Roger Pingeon. Fu l’ultimo caso in cui a vincere la frazione finale non fu la maglia gialla: nel 1968 trionfò l’olandese Janssen, i tre anni successivi non c’era storia vista la presenza e il dominio di Eddy Merckx. Poi la tradizione s’interruppe, fino al 1977.

Nel frattempo, dal 1975 la corsa a tappe non ci concludeva più nel tradizionale teatro del Velodromo La Cipale, ma finalmente era approdata nello scenario dei Campi Elisi. In quel 1977 si tornò alla tradizione delle due semitappe: prima una cronometro di appena 6 chilometri vinta dal tedesco Thurau, poi quella che diventerà la passerella finale con tanto di sprint. Per la cronaca il Tour lo vinse Bernard Thevenet, al suo secondo successo. Se parlaste di lui oggi agli appassionati d’oltralpe risponderebbero in coro: «Averne…».

LeMond e Fignon affiancati, al Tour del 1989. Un’edizione storica, risolta all’ultimo metro
LeMond e Fignon affiancati, al Tour del 1989. Un’edizione storica, risolta all’ultimo metro

8 secondi che cambiarono la storia

L’ultima volta della crono conclusiva è anche quella più famosa. Quella della grande beffa. Il Tour era stato incerto sin dall’inizio, innanzitutto per le peripezie del campione uscente Pedro Delgado, presentatosi in ritardo al prologo e non atteso dal suo team nella cronosquadre, accumulando oltre 7 minuti di ritardo. Intanto l’americano Greg LeMond aveva preso la maglia nella cronometro individuale della quinta tappa, utilizzando un manubrio da triathlon che aveva fatto storcere il naso a molti (salvo poi diventare di uso comune).

Il francese Fignon gli strappò il primato per 7” nella decima tappa, ma nella cronoscalata di Orcieres-Merlette l’americano tornò davanti. Sull’Alpe d’Huez il transalpino tornò in testa, nelle successive tappe le schermaglie tra i due non mancarono, con un successo in salita a testa. Risultato: ultima tappa a cronometro, 24,5 chilometri da Versailles a Parigi e 50” di bottino a favore di Fignon.

L’altimetria già diffusa del percorso finale del 2024, 35 chilometri non senza difficoltà
L’altimetria già diffusa del percorso finale del 2024, 35 chilometri non senza difficoltà

E ora si ricomincia…

La distanza appariva ridotta pur in presenza della superiorità dell’americano, ma LeMond nell’occasione tirò fuori dal cilindro una prestazione spaventosa, alla media di 54,545, la più alta mai registrata fino allora. Fignon aveva resistito con le unghie e con i denti, ma alla fine perse di 8”. Ancora una volta la crono finale gli era stata fatale, come al Giro nel 1984, di fronte a Francesco Moser. Da allora, forse anche per il grande dolore che i francesi avevano provato, la crono tornò alla sua collocazione del sabato, lasciando spazio al carosello finale sulle strade della capitale. Ma nel 2024 non sarà così…

Evenepoel 2018

Se vinci da junior farai fortuna? Non sempre…

28.10.2021
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Per Strand Hagenes e Zoe Backstedt, le vittorie ai mondiali di Leuven, per come sono arrivate, sono foriere di grandi speranze, ma quante volte avere vinto il titolo iridato junior ha poi portato realmente fortuna? Analizzando gli albi d’oro si scoprono storie molto interessanti. Non sempre emergere in età così giovane porti poi a una grande carriera. L’esempio di Alessandro Ballan, del quale abbiamo recentemente parlato, è solo uno dei casi di campioni scopertisi tali nel tempo, grazie alla propria costanza e soprattutto alla pazienza di chi li ha gestiti.

Mondiali juniores, via nel 1975

I mondiali juniores presero il via nel 1975 e subito a emergere fu un nome di un certo peso: Roberto Visentini, grande talento italiano delle corse a tappe, vincitore di un Giro d’Italia ma che aveva davvero tutto per imprimere il suo marchio su un’epoca, visto come andava a cronometro ma anche in salita. Dal 1975 al 2021, considerando naturalmente l’edizione persa lo scorso anno a causa del Covid, ci sono state quindi 46 edizioni. Solo in due casi il biennio fra gli juniores è stato coronato da due titoli iridati e in entrambe le occasioni a riuscirci sono stati ciclisti italiani.

Il primo a realizzare la doppietta è stato Giuseppe Palumbo, nel 1992 e 1993. Sul corridore siracusano e un futuro luminoso erano tutti pronti a scommettere. Alla fine ha vissuto per 12 anni fra i professionisti, con 3 vittorie in tutto e una carriera vissuta soprattutto sulla partecipazione a cinque Giri d’Italia, senza però acuti. Tornando al biennio da junior, allora il ciclismo italiano dominava: nel 1992 Palumbo batté Pasquale Santoro, professionista per un paio d’anni, mentre terzo fu il compianto belga Frank Vandenbroucke, protagonista di tante classiche.

Van Der Poel 2013
Una delle “tante” maglie iridate di VDP, mondiali junior 2013, fra Pedersen e l’albanese Nika
Van Der Poel 2013
Una delle “tante” maglie iridate di VDP, mondiali junior 2013, al suo fianco il danese Mads Pedersen

Italia padrona

Nel 1993 terzo giunse Michele Rezzani, che ha fatto maggior fortuna nelle gran fondo. Il culmine si raggiunse nel 1997, con Valentino China davanti a Ivan Basso e Rinaldo Nocentini: paradossalmente l’iridato ha vissuto una fugace esperienza fra i pro’, gli altri hanno invece scritto pagine importanti, soprattutto Basso.

Ben diverso il discorso per Diego Ulissi, anche lui capace della magica doppietta nel 2006 e 2007. Ancora oggi il portacolori della Uae Team Emirates è un protagonista fra classiche e brevi corse a tappe. Nel complesso l’Italia comanda il medagliere alla stragrande, con 30 medaglie fra cui 11 ori per 9 atleti. Non tutti loro, come si è visto, hanno però potuto esplodere fra i pro’. Damiano Cunego iniziò nel 1999 la sua grande carriera. Altri come Roberto Ciampi (1980), Gianluca Tarocco (1988), Crescenzo D’Amore (1997) non hanno avuto la stessa fortuna. Marco Serpellini, iridato nel 1990, è rimasto per 12 stagioni tra i pro’, cogliendo 9 vittorie e partecipando anche ai mondiali pro’ di Verona del 1999.

Cunego Ulissi 2007
Due giovani campioni del mondo junior, Cunego e Ulissi. Da pro’ hanno continuato sulla stessa strada…
Cunego Ulissi 2007
Due giovani campioni del mondo junior, Cunego e Ulissi. Da pro’ hanno continuato sulla stessa strada…

Il primo squillo di Lemond

Allarghiamo però il discorso: chi è davvero riuscito, fra i campioni del mondo juniores, a imprimere il proprio marchio anche da grande? In definitiva sono solamente 8, considerando vittorie in grandi giri oppure classiche di peso.

Detto di Visentini e Cunego, pochi ad esempio ricordano un ragazzino con la maglia a stelle e strisce che vinse nel 1979. Si chiamava Greg LeMond e avrebbe cambiato la cultura ciclistica americana per sempre con i suoi trionfi al Tour de France.

L’America chiama, l’Unione Sovietica risponde, nel 1987 con Pavel Tonkov, che poi con la nazionalità russa conquisterà un Giro d’Italia e sarà uno dei grandi rivali di Marco Pantani. Dobbiamo poi saltare al nuovo secolo: nel 2004 il titolo va a Roman Kreuziger, ancora oggi in carovana e con tanti successi al suo attivo tra cui un’Amstel Gold Race; nel 2009 Jasper Stuyven, l’ultimo Mister Sanremo; nel 2012 Matej Mohoric, esponente di punta dell’ondata slovena (capace quell’anno di precedere un velocista in erba come Caleb Ewan). L’anno dopo altra accoppiata di spicco con Mathieu Van Der Poel davanti a Mads Pedersen (un oro perso ma si rifarà tra i grandi…). Infine nel 2018 l’esplosione della galassia Evenepoel (nella foto d’apertura) che sta rivoluzionando il ciclismo dalle fondamenta.

Pirrone 2017
Elena Pirrone iridata junior nel 2017, con lei Letizia Paternoster che vinse il bronzo
Pirrone 2017
Elena Pirrone iridata junior nel 2017, con lei Letizia Paternoster che vinse il bronzo

Fra le donne porta bene…

Già, ma per le donne? Qui il discorso cambia un po’. I mondiali juniores iniziarono nel 1987, quindi più tardi con una vincitrice di lusso come Catherine Marsal, la francese che avrebbe rappresentato l’antitesi dell’infinita Jeannie Longo. Spesso, negli anni a seguire, sono arrivati successi di atlete che poi si sarebbero confermate fra le “adulte” dalle tedesche Ina-Yoko Teutenberg e Hanka Kupfernagel alla lituana Diana Ziliute, dalla britannica Nicole Cooke (due vittorie nel 2000 e 2001) a Marianne Vos che dall’oro conquistato nel 2004 non ha smesso più, dalla francese Pauline Ferrand Prevot iridata quasi in ogni disciplina ciclistica a Elisa Balsamo, “bimba d’oro” nel 2016 e fra le elite 5 anni dopo.

Anche qui il medagliere è guidato dall’Italia con 20 medaglie di cui 5 ori. Anche restringendo il panorama dall’arcobaleno all’azzurro, si scopre che chi vince fra le junior poi avrà il suo spazio quasi sempre.

E’ accaduto così con Alessandra D’Ettorre, prima nel 1996, poi campionessa d’Europa U23 e stella della pista quando ancora doveva iniziare il cammino della ripresa. E’ accaduto con Elena Pirrone, prima nel 2017 e che la sua carriera se la sta costruendo con pazienza e fiducia. Eleonora Patuzzo, prima nel 2007, ha corso fino al 2011 approdando anche alla Bepink prima di appendere la bici al chiodo e dedicarsi agli studi. Rossella Callovi, vincitrice nel 2009, ha corso fino al 2015. D’altronde, per spiegare ancor meglio il concetto, basta guardare questo podio: prima Marianne Vos, seconda Marta Bastianelli, terza Ellen Van Dijck: non è una gara della stagione appena conclusa, ma l’ordine d’arrivo dei mondiali junior 2004…