In Veneto si respira aria di bicicletta

16.10.2022
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In Veneto la bicicletta trova una delle sue massime espressioni, una terra che da sempre è fucina di talenti e dove la bici fa parte del tessuto produttivo. Il mondiale gravel è stata una sorta di ouverture che ha anticipato le ultime competizioni di alto livello della stagione 2022. Una vetrina importante e un biglietto da visita, ma non c’è solo il gravel.

Il pubblico ad applaudire il passaggio della corsa non manca mai e quello che abbiamo potuto vivere alla rassegna iridata dello scorso week end, è un biglietto da visita da presentare al mondo intero. La conferma che la formula degli amatori che corrono al fianco dei professionisti può funzionare alla grande. E’ il gravel, ma non c’è solo questo.

Cittadella, un affascinante borgo tra modernità e storia
Cittadella, un affascinante borgo tra modernità e storia

Storia ed esigenze attuali

Lo scorso fine settimana, quello della rassegna iridata gravel, il Veneto ha dato una prova di forza incredibile in termini di totalità. Non era semplice mettere insieme le esigenze degli sportivi e della bicicletta, del territorio e di una regione che è anche una delle locomotive d’Europa, per la produzione e l’industria. Al tempo stesso era necessario rispettare i luoghi storici, valorizzandoli e integrandoli nel modo più opportuno all’interno delle attività ciclistiche.

Anche questo è un modo di pensare che strizza l’occhio al futuro, dove lo sport e la bicicletta sposano sempre di più il contesto turistico, diventando un messaggio di promozione per il territorio.

La partenza del mondiale gravel a Campo Marzio Vicenza
La partenza del mondiale gravel a Campo Marzio Vicenza

Veneto, gravel e riscoperta

Dentro e fuori l’asfalto, su e giù per gli argini, i sentieri dei campi che collegano i paesi, utilizzando le vie di comunicazione di una volta. La riscoperta delle “strade zitte” è uno dei nuovi messaggi che nascono grazie al ciclismo e alla bicicletta, sono divertenti e faticose, ma anche fuori dal traffico.

La salita verso il santuario e verso i Colli Berici, il balcone di Vicenza
La salita verso il santuario e verso i Colli Berici, il balcone di Vicenza

I pro’ sono un’opportunità

Torniamo ancora una volta sui passi del mondiale gravel UCI. C’erano tanti atleti professionisti che normalmente svolgono la loro attività su strada, nelle corse di un giorno e pedalando nei grandi giri. E’ stata anche la prima rassegna iridata, in ambito amatoriale, nella quale gli amatori hanno avuto l’opportunità di incolonnarsi alla partenza con i pro e affrontare il medesimo tracciato. Da pelle d’oca, per chi ha avuto la fortuna di vivere questa giornata. Entusiasmo e una fiumana di gente, non solo alla partenza dove l’affollamento è facilmente preventivabile, ma lungo tutto il percorso (a tratti è sembrato di essere in una corsa belga) e all’arrivo in Cittadella. Davvero emozionate, un’occasione ghiotta per capire quanto conta il supporto del pubblico.

Poco dislivello, meglio così

Prima delle gare del week and se ne sono dette e scritte di tutti i colori. La mancanza di un dislivello positivo importante è stato uno degli argomenti più dibattuti. Eppure le facce degli atleti al traguardo non lasciavano dubbi, stremati da una gara impegnativa e tirata fin dalle prime battute.

Buona parte del dislivello era concentrato nei primi 35 chilometri, grazie alla partenza in salita ed un paio di strappi impegnativi posizionati nella cresta collinare dei Monti Berici intorno a Vicenza. Un paio di settori di single-track, dove era fondamentale far correre la bici cercando di evitare i sassi sporgenti. Parecchi i mangia e bevi. La conferma della durezza della competizione arriva anche dai numerosi ritiri.

Poi tanta velocità, tantissimi cambi di direzione e un terreno che variava la sua consistenza senza soluzione di continuità, obbligando a tenere la concentrazione sempre a livelli massimi. Tutte situazioni dove è importante avere il feeling con la bicicletta, capire dove sfruttare il grip, oppure dove era meglio far scivolare le gomme sfruttando l’elasticità dello pneumatico, oltre alle pressioni ridotte. Non facile.

Tutti hanno sofferto, anche gli atleti di vertice, perché era necessario avere tanta forza nelle gambe e dosarla nel modo corretto. Il mezzo meccanico e il setting adeguato di quest’ultimo poteva fare una grande differenza, anche in termini di comfort, fondamentale quando si pedala su terreni morfologicamente differenti tra loro.

E poi il caldo, il vento e la polvere, nemici in più con i quali confrontarsi. Non c’è stata l’epicità della pioggia, ma è stato meglio così, perché anche il pubblico ha potuto godere a pieno del passaggio dei corridori.

L’arrivo iridato in Cittadella, pro ed amatori tutti insieme
L’arrivo iridato in Cittadella, pro ed amatori tutti insieme

In conclusione

La settimana ciclistica che si è svolta in Veneto, a partire proprio del mondiale gravel, dimostra quando il ciclismo giochi un ruolo fondamentale nella politica di promozione della Regione Veneto e delle sue provincie. C’è un senso di coesione in tutto questo, una considerazione non banale che contrasta con le tante divisioni politiche delle quali siamo testimoni in Italia (e non solo). Un esempio da seguire e che deve trovare sostegno e supporto per il futuro, lo scriviamo con forza, perché è bello immaginare che, tutto quello di cui siamo stati testimoni abbia un seguito di successo.

Strada vs gravel: approccio e guida. Parola a Oss

15.10.2022
6 min
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Giusto ieri si è corsa la Serenissima Gravel. C’è stato l’esordio del campione del mondo Gianni Vermeesch, ma non c’era il vice: Daniel Oss. “Danielone” è già proiettato verso il il 2023. Visite mediche, test… e non vi ha potuto prendere parte suo malgrado.

Con l’atleta della TotalEnergies torniamo sui dettagli tecnici di questa specialità di cui tanto si è parlato e tanto riscuote curiosità, soprattutto per quel che potrà essere. Chiara Teocchi ha tirato in ballo persino le Olimpiadi. Con Oss però cerchiamo soprattutto di fare un paragone tecnico con la strada.

Daniel, partiamo dalle tue sensazioni: cosa ti è parso di questo evento e di questa disciplina?

Sono stato contento di esserci. Avevo la curiosità di vedere questa aria nuova che veniva dagli Stati Uniti. Non sapevamo se era un’avventura o una gara vera… alla fine è stata una gara vera.

Quale è stato il tuo approccio?

L’ho presa con serietà, ma al tempo stesso con quella leggerezza di quando non sai ancora bene dove vai. Era tutto nuovo. E così anche quella voglia di attaccare. Dopo aver visionato il percorso, il background da stradista, mi ha consigliato di stare davanti. E per stare avanti devi “menare”. Anche alla partenza è stato particolare. Non avevamo i bus, eravamo tutti mischiati. Non si sapeva se scaldarci o no… Per non parlare dell’arrivo: pazzesco! Tutta quella gente, un grande seguito… E a Cittadella c’era il delirio. Ci sarà un bel futuro, è stata una figata! Molto bello anche l’ambiente della nazionale con questo mix di giovani, biker, stradisti…

Tu avevi fatto anche delle esperienze in America…

Sì e infatti è stato ben diverso da un gravel tipo Unbound da 400 chilometri. Quella è più un’avventura che una gara. Alla fine è gravel, ma oggi chi può dire cos’è il gravel?

Che tipo di sforzo è stato?

Direi molto somigliante ad una Strade Bianche o a una Roubaix. Non avevo il power meter, ma parlando con Vermeesch e facendo un piccolo confronto con i suoi dati adattati al mio peso, dovrei essere stato sui 330-340 watt di potenza media (non normalizzata). Quindi li paragono a percorsi “facili” dal punto di vista altimetrico, ma più difficili tecnicamente: una curva su un prato, sul ghiaino, sui sassi. E poi cambia la pedalata in gruppo.

Cioè?

Devi spingere sempre, se c’è vento non stai a ruota facilmente, non crei i ventagli… Anche una rampa in più non sarebbe servita a molto vista la selezione che c’è stata. Noi siamo andati via tra due o tre ponticelli, un paio di cambi di direzione e siamo riusciti a scappare. Poi mettiamoci anche che correndo per nazionali e non per squadre questa dinamica diventava più appetibile.

Certo, organizzare un gioco di squadra era più complicato… E da lì all’arrivo?

Alla fine prendere il via ad una corsa WorldTour o della Coppa di Francia non è meno faticoso, anzi… Fare 330 watt per cinque ore a 37 e passa di media in due su quel fondo vi assicuro che non è stato un gioco.

Che rapporti avevi?

Avevo il 53-39, un filo più corto di quanto ormai siamo abituati su strada. Il 54 è la normalità, ma al Saudi Tour viste le velocità ho montato il 56 e in qualche altra occasione il 55. Al mondiale gravel avevo la classica guarnitura 53-39 e 11-28 al posteriore. E andavano bene. Le rampe iniziali erano dure. Lì ho usato il 39×25, se fosse stato su asfalto avrei usato un 39×19. Ma tornando al discorso dello sforzo, bisogna valutare anche le ruote.

Spiegaci meglio…

Avevo le Roval Rapid alte, ma non c’erano coperture tubeless da 28 millimetri, bensì da 32 millimetri che non sono così leggere, devi spingere per fare velocità. Noi andavamo a 45 all’ora, ogni tano dopo qualche rilancio si toccavano i 50. A quelle velocità con un 53×11 sei sulle 100 rpm e non ti imballi, ma devi spingere appunto.

Stare a ruota è importante come su strada?

Se sei secondo, massimo il terzo, sì, altrimenti diventa un bel problema. Ad uscita di curva già se sei il decimo della fila ti ritrovi con 10” perché c’è chi frena di più, chi sbaglia traiettoria… Anche i tempi di visualizzazione della curva sono diversi. Non è facile a spiegare. Su strada ti metti a ruota, più vicino possibile e vai. Sullo sdrucciolevole non puoi farlo. Per noi stradisti sono dinamiche tutte nuove. E quindi anche se non ci sono salite bastano poche curve che si creano dei gruppetti. Poi magari rientri, ma spendi tanto.

Hai utilizzato una Specialized Roubaix, bici da strada che meglio digerisce i terreni più accidentati, hai tuttavia toccato qualcosa per quanto riguarda le misure?

No, erano esattamente quelle che avevo su strada. L’unica differenza, come detto, erano le gomme. Ho utilizzato un tubeless Pathfinder da 32 millimetri con il “salsicciotto”, gonfiate a 4,2 bar all’anteriore e 4,4 al posteriore.

Parecchio!

Sì, ho pompato bene perché comunque bisognava far scorrere la bici. Preferivo perdere qualcosina nelle curve sdrucciolevoli, ma avere una bici più scorrevole nei lunghi rettilinei.

Il mondiale gravel, un cantiere aperto e un’opportunità

14.10.2022
4 min
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Il post mondiale gravel è difficile e complicato. Si tirano le somme, si valutano i diversi aspetti, cosa c’è di positivo e dove è necessario migliorare. E’ pur vero che una prima edizione, come la è stata questa rassegna iridata UCI Gravel sancisce l’inizio di un’era.

Si amplia ulteriormente il progetto UCI legato alla multidisciplinarietà? Il dibattito è aperto. Abbiamo avuto l’opportunità di fare due chiacchiere con Nathan Haas, grande interprete del gravel race e con Nicolas Roche.

Vicenza, sede di partenza
Vicenza, sede di partenza

Il primo mondiale della storia

Il primo Mondiale Gravel della storia si è svolto in Italia e anche questa è storia, come ha affermato Pozzato. Ha avuto luogo in una terra che mastica il ciclismo, ovvero il Veneto e grazie ad un’organizzazione che la bicicletta la conosce bene.

La nostra non vuole essere una disamina dell’evento. Non spetta a noi far luce sugli aspetti positivi e dove è fondamentale migliorare, a questo penseranno lo stesso gruppo organizzatore e anche l’UCI, che proprio qui ha messo il primo tassello per una nuova categoria di competizioni.

Noi vogliamo dare voce e riportare alcuni concetti interessanti espressi da Nathan Haas e Nicolas Roche. Il primo prosegue la sua carriera di atleta professionista elite, è uno dei più grandi interpreti del gravel race e anche per questo non è categorizzabile come ex pro’ su strada. “Nico” Roche è uomo esperto ed appassionato, particolarmente legato alle attività UCI in ambito gravel e delle attività ciclistiche nel Principato di Monaco (dove risiede), oltre ad essere direttore del programma di ciclismo su strada della Nazionale Irlandese.

Tra i più grandi interpreti del gravel, Lachlan Morton e Nathan Haas (a destra)
Tra i più grandi interpreti del gravel, Lachlan Morton e Nathan Haas (a destra)

Format non nuovo, ma diverso

Il format utilizzato per il primo mondiale gravel della storia è “paragonabile” a quello utilizzato nel competizioni Mtb marathon, dove professionisti e amatori sono allo stesso livello nelle fasi partenza. Non è un aspetto banale, perché obbliga a gestire in modo oculato tutte le fasi di controllo, partenza e gestione del percorso, ma al tempo stesso mette ogni tipologia di atleta sullo steso piano. L’UCI e le organizzazioni devono essere pronte a questo anche e soprattutto in ottica futura.

Alla partenza del mondiale gravel, Van Avermaet e accanto Nathan Haas
Alla partenza del mondiale gravel, Van Avermaet e accanto Nathan Haas

Parla Nathan Haas

«Da sempre il ciclismo è come un percorso di crescita – dice – e prevede un iter da seguire, così dovrebbe e deve essere anche nell’ambito del gravel race. Il primo mondiale gravel è una cosa molto buona, un aspetto davvero positivo per il movimento ed è anche per questo motivo che non capisco l’assenza di un ranking della categoria gravel. C’è nel settore road, nella mtb e nel ciclocross. E’ fondamentale creare una lista che si basa sui punteggi anche nel gravel, fondamentali per stilare le starting grid delle competizioni. Uno strumento utile anche per creare uno storico e capace di fare ordine.

«Questo non significa che lo stradista, il biker e/o il ciclocrossista devono passare in secondo piano – continua Haassiamo noi del gravel i primi a sapere e capire che questo mondo nasce adesso e ha bisogno di tutti. Ma è pur vero che in una competizione gravel, gli interpreti della disciplina devono avere la precedenza. Se io mi presento ad una gara su strada non mi fanno partire davanti ed è giusto così».

Per la cronaca, Nathan Haas è riuscito a partire a ridosso della prima fila e ha concluso la sua fatica in 16ª posizione a 6’23” da Vermeersch.

“Nico” Roche in gara a Vicenza con gli elite
“Nico” Roche in gara a Vicenza con gli elite

Parla Nicolas Roche

«L’UCI deve ascoltare anche i corridori che stanno correndo nelle competizioni gravel – dice – perché possono dare un grande aiuto e fornire dei feedback necessari alla crescita di questa categoria. Anche io mi sto spendendo a favore di un’evoluzione del movimento, ho voluto scrivere le mie considerazioni all’UCI e anche con la Federazione del Principato di Monaco c’è la volontà di far evolvere il movimento. Negli ultimi anni la federazione monegasca è sensibile allo sviluppo del ciclismo su diversi fronti.

«Restando nell’ambito gravel e gravel race, il primo mondiale segna la storia ed è chiaro che c’è molto da fare e costruire. Sappiamo benissimo che una prima edizione non può essere perfetta – continua Roche – e anche per questo motivo l’intervento degli atleti che contribuiscono a veicolare il messaggio gravel in giro per il mondo è fondamentale. Il gravel è una grossa opportunità per tutti. Le stanze dei bottoni sono necessarie, ma lo sono anche i corridori che vivono il ciclismo da dentro».

Nicolas Roche, classe 1984 ha chiuso il mondiale gravel 2022 alla posizione 47 della classifica assoluta a 19’38” dal vincitore.

Schwalbe G-One Overland, la gravel che non ti aspetti

14.10.2022
4 min
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Schwalbe G-One Overland, possiamo definirla come una gomma gravel da allenamento, ma anche uno pneumatico robusto, tanto scorrevole e un riferimento per chi percorre tanti chilometri senza l’assillo di rovinare il battistrada.

La tassellatura ricorda vagamente il G-One R (che però è molto più racing) e la robustezza della carcassa si basa sullo sviluppo SuperGround, capace di sopportare carichi di lavoro importanti. Ecco il nostro test.

TLE, l’acronimo Schwalbe per la categoria tubeless
TLE, l’acronimo Schwalbe per la categoria tubeless

Gravel per tutte le esigenze

Con tutta probabilità la scelta delle gomme gravel Schwalbe è la più ricca del mercato, con pneumatici per ogni esigenze ed impiego. Concentrandoci sull’Overland, questa è prima di tutto una gomma veloce, poco pastosa nel battistrada e nei tasselli, adatta ai macinatori di chilometri che percorrono in egual misura asfalto e strade zitte con un fondo compatto. Anche sulla roccia trova un ambiente ideale.

Il disegno della tassellatura si basa su una rete fitta nella parte centrale e mediana (lo pneumatico è direzionale), con dei veri e propri ramponi laterali che sporgono in modo importante. Questi sono mutuati dalla mtb, apprezzabili e ampiamente sfruttabili dai biker.

Il peso di una singola gomma
Il peso di una singola gomma

G-One Overland, come è fatto

E’ un tubeless non racing di una generazione evoluta, perché è sviluppato per adattarsi anche alle esigenze di chi utilizza la e-bike. Ha una carcassa SuperGround da 67 fili per pollice, molto resistente e originariamente pensata per i discesisti ed enduristi. L’intreccio dei fili è composto da tre strati sovrapposti, da un rinforzo nella zona del tallone e da un cerchietto pieghevole con l’aggiunta di kevlar.

La parte superiore e i bordi sono protetti dalla membrana protettiva SnakeSkin.

La mescola è la Addix SpeedGrip, veloce e anche durevole.

Overland è sviluppato grazie alla tecnologia Schwalbe Tubeless Technology, che facilita l’ingaggio al cerchio e permette delle veloci operazioni di tallonatura. Fin dal primo gonfiaggio un tubeless Schwalbe è un esempio e un riferimento.

E’ disponibile in tre larghezze, 40 (quella del test), 45 e 50. Il prezzo di listino è di 64,90 euro.

Uno pneumatico da usare con una sola direzione
Uno pneumatico da usare con una sola direzione

Come va

Prima di tutto è necessario gestire la pressione di esercizio, perchè l’Overland è uno pneumatico duro, poco elastico, ma che mette in campo una fase ammortizzante eccellente che arriva dai tasselli: ricorda (in parte) una gomma da enduro Schwalbe, dove lavorano prima i tasselli e poi la carcassa.

Su asfalto e sui terreni battuti la sua scorrevolezza è al livello di uno pneumatico stradale di buona qualità. E’ tosto e si sente, ma se gestito nel modo adeguato sorprende per affidabilità. Sulla ghiaia e sui terreni inconsistenti ha un comportamento di alto livello, soprattutto quando l’appoggio viene scaricato ai lati. Qui il vantaggio arriva dai tasselli che mordono parecchio.

Sono pronunciati e si aprono coprendo una buona superficie della spalla, un fattore non secondario, decisamente apprezzabile da chi ha una guida aggressiva, ma anche per chi affronta il “brecciolino” per le prime volte e non ha confidenza con lo scivolamento della gomma.

In conclusione

Schwalbe G-One Overland racchiude molte caratteristiche apprezzabili da chi vuole un prodotto di qualità, facile da portare in diversi contesti ambientali e non vuole spendere una follia. E poi è uno pneumatico che dura molto. Non è estremamente tecnico e non richiede sacrifici nella guida, anzi è piuttosto facile, ma occhio alle pressioni di esercizio.

Overland è facilissimo da montare sul cerchio, fattore che non mette in crisi neppure chi è alle prime armi con i tubeless.

Schwalbe

Teocchi: bronzo, tecnica, alimentazione… Olimpiadi

13.10.2022
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Non solo l’argento di Daniel Oss, il campionato mondiale gravel ci ha regalato anche il bellissimo bronzo di Chiara Teocchi. La biker della  Trinity Racing, e dell’Esercito per quanto concerne gli impegni “istituzionali”, anche un po’ inaspettatamente è stata protagonista di una gara lunga per le sue caratteristiche. Mentre i dubbi non c’erano per la durezza, che la Teocchi sia una tosta non è certo una novità.

Come è stato dunque questo primo mondiale gravel al femminile? E’ la stessa azzurra che ci porta alla scoperta.

Nella fuga a quattro anche la tedesca Treffeisen, quarta. La Teocchi in testa a fare l’andatura
Nella fuga a quattro anche la tedesca Treffeisen, quarta. La Teocchi in testa a fare l’andatura
Chiara, prima di tutto complimenti! Abbiamo visto che tra gli uomini c’è stato un dominio degli stradisti, mentre tra le donne voi biker avete “massacrato” tutte le altre…

Sì, però è anche vero che se andiamo ad analizzare il podio maschile sono tutti ragazzi che hanno o hanno avuto a che fare con la mtb e il cross. Vermeersch è un crossista, Daniel (Oss, ndr) ha fatto cross e non era nuovo del gravel, e Van Der Poel… lo conosciamo. Ciò che ho notato io è che nella prima parte di gara le stradiste perdevano molto nei tratti di sterrato, in curva e nei tratti più guidati. Non erano abituate e si vedeva proprio che frenavano di più. E credo che sia anche per questo motivo che la fuga poi abbia preso tanto vantaggio.

E voi l’avevate capito? Meglio approfittarne subito?

Più che altro quando ho visto che si erano mosse la Ferrand-Prevot e la Frei, mi sono mossa anche io. Le stradiste hanno preso la cosa sotto gamba. «Ma si, lasciamole andare queste biker che tanto 140 chilometri non li tengono». In realtà poi li abbiamo tenuti! Abbiamo chiuso la gara a 33 di media, e su sterrato e in 140 chilometri di corsa non è proprio poco.

Come hai fatto ad allungare così tanto questo range d’azione?

In realtà ero rimasta delusa per la non convocazione per europei e mondiali e quindi mi sono detta: «Devo prendermi una rivincita. Devo essere convocata per il mondiale gravel”. Nell’ultimo periodo mi ero focalizzata molto sul gravel. E volevo anche divertirmi. E poi essendo una cosa nuova l’ho affrontata con meno ansie e forse anche per questo è andata bene.

Come è andata la corsa? Cosa passava nella tua testa e nelle tue gambe?

Continuavo a ripetermi di non staccarmi, assolutamente. Perché se avessi perso cinque metri sarei rimasta al vento. Poi ci siamo un po’ parlate e soprattutto Pauline continuava ad incitarmi: «Andiamo, andiamo». Ma quando mancavano 40 chilometri e avevamo un minuto, sono stata un po’ titubante, pensavo ci venissero a prendere. Però vedevo che continuavamo a pedalare bene. A quel punto ho pensato: se ci vengono a riprendere pazienza, però ci proviamo.

La tua bici rispetto a quella di Argenta era settata diversamente?

In realtà posso dire di aver davvero corso un mondiale gravel, perché la Specialized Diverge è una bici gravel. Non avevo una bici da strada o una Roubaix (in riferimento alle altre Specialized, ndr) con le gomme da cross. E mi fa piacere essere salita sul podio con una vera bici gravel che pesava tre chili più delle altre. Senza contare che per questo avevo rapporti da gravel, quindi un monocorona, mentre la Frei per esempio aveva una doppia da strada. Poteva usare rapporti più lunghi.

Pensi che ti avrebbero fatto comodo quei rapporti?

Sì, perché ogni tanto mi mancava qualche dente. Però, ripeto, io sono partita con una bici gravel al campionato del mondo gravel. Sono stata coerente.

Sul podio tre grandi biker: Pauline Ferrand-Prevot, Sina Frei e la nostra Teocchi
Sul podio tre grandi biker: Pauline Ferrand-Prevot, Sina Frei e la nostra Teocchi
Che futuro può avere per te il gravel?

Secondo me si svilupperà tantissimo e non è detto che non diventerà disciplina olimpica a Los Angeles. Le aziende ci investiranno tantissimo, altrimenti atleti come Van der Poel e Ferrand-Prevot non sarebbero venuti. E poi è una bici che ti permette tanto. Durante la preparazione nei giorni che dovevo andare a fare la distanza montavo le ruote da strada e via. Nei giorni che volevo fare un’uscita più tecnica mettevo le ruote da gravel. Chiaro non fai le discese da enduro, ma se non ci sono troppe insidie ci vai tranquillamente. Per me è la bici del futuro.

Alla luce di quanto detto, cioè che bastavano poche curve per guadagnare terreno sulle stradiste, con un pizzico di tasso tecnico in più il biker è molto avvantaggiato?

Sì. E da quel che ho sentito il prossimo anno la gara sarà meno lunga, ma più selettiva dal punto di vista tecnico: più salita, più discesa e più fuoristrada guidato.

Dal punto di vista alimentare come ti sei regolata?

Il mio piano erano di assumere 70 grammi di carboidrati l’ora. Avevo un piccolo schema: sempre una borraccia di malto e una di acqua, anche per “sciacquare” la bocca. Ogni 20′ mandavo giù qualcosa. Poi dei gel, uno di malto e uno alla caffeina nei 20 chilometri finali, poi le gelatine e una barretta che ho mangiato metà nella prima ora e metà dopo la terza ora.

Mondiale gravel, le curiosità dai box

13.10.2022
7 min
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Il mondiale gravel, organizzato da Pippo Pozzato e vinto da Gianni Vermeersch, ci lascia anche un’importante eredità tecnica, un bagaglio di soluzioni adottate dagli specialisti della categoria, ma anche dagli stradisti. Siamo andati a curiosare nei vari momenti che hanno anticipato la rassegna iridata, tra normalità e scelte interessanti.

Il punteruolo di Haas

Inserito nel terminale della piega della Colnago di Nathan Haas abbiamo visto una sorta di punteruolo. Il corridore australiano usa questo strumento (già impiegato nella mtb) in caso di foratura, ma ha adattato il supporto integrandolo nel manubrio.

Per lui inoltre 3 centimetri di spessori tra stem e battuta dello sterzo, per respirare meglio e non sovraccaricare la parte lombare, oltre a voler guidare meglio nei tratti di sconnesso estremo. Sempre la corona singola da 40 denti, per essere pronto a rilanciare costantemente e cercare di non appesantire la pedalata anche dopo tante ore di competizione.

SuperSix Evo SE per Lachlan Morton

Tutto quello che serve per stare in giro ed in totale autonomia. Sacca sopra l’orizzontale, ma montata vicino al seat-post, manubrio aerodinamico della Vision e trasmissione ad 11 rapporti con doppia corona anteriore (con il power meter). Ruote Metron ad alto profilo e tubeless della Vittoria gonfiati a 2 bar. Tasche della maglietta colme di barrette e giubbino per ogni evenienza, oltre ad un marsupio con musica a palla. Questo è Lachlan Morton.

Il 105 meccanico di Eva Lechner

La Trinx della campionessa altoatesina era montata con uno Shimano 105 ad 11 rapporti e meccanico (ad esempio anche Sagan aveva la trasmissione meccanica, però Dura-Ace). Interessante anche la scelta delle ruote Reynolds con cerchio full carbon dal profilo medio, ovviamente tubeless.

Bombolette e scanner anche al Mondiale gravel

Buona parte dei corridori, a prescindere dalla nazionalità hanno nastrato le bombolette di schiuma, al reggisella oppure al telaio. Lo hanno fatto in modo importante, senza lesinare sulla quantità dell’adesivo. Ma anche tante pompette e camere d’aria posizionate in ogni punto della bicicletta.

Qualcuno ha fatto stringere i portaborraccia, non molti a dire la verità.

Doping meccanico, molti controlli. In particolare prima delle partenze delle categorie femminili, sono stati eseguiti diversi controlli con gli scanner dei giudici.

E’ anche stato bello vedere due atlete afgane al via della competizione elite femminile e speriamo di vederne di più in futuro. Diversi anche gli atleti africani maschi al via, per un ciclismo che si sta aprendo sempre più nella direzione di tutti i continenti.

I copriscarpe di Pauline

La Prevot è partita con i copriscarpe da crono, quelli lisci nella parte bassa e costruiti con la calza dalla caviglia in su. Calzature comunque da off-road, visto il pedale Time. Che abbia utilizzato delle scarpe non convenzionali?

La campionessa francese ha usato la nuova BMC Kaius, con trasmissione Sram Red eTap AXS. Particolare la scelta delle ruote Duke, con profilo basso ed in carbonio.

Team Bardiani-CSF, presenza in grande stile
Team Bardiani-CSF, presenza in grande stile

Non solo nazionali

Al mondiale gravel 2022 era nutrita anche la presenza degli staff dei team, qualcuno con una presenza massiccia di uomini e mezzi. E’ giusto ricordare che il ciclismo professionistico questa settimana avrà il suo ombelico proprio in Veneto.

Tubeless Challenge, molti utilizzati al Mondiale Gravel
Tubeless Challenge, molti utilizzati al Mondiale Gravel

Gomme Challenge e compressorini

Tra le gomme più utilizzate, le Vittoria in versioni diverse e le Challenge, queste ultime spesso presenti sulle ruote di atleti e palesemente oltre le sponsorizzazioni tecniche. I compressorini portatili ormai sono una costante.

La bici di Oss
La bici di Oss

Oss con il power meter

Sulla Specialized S-Works Roubaix di Daniel Oss c’erano i pedali da strada, la trasmissione road e il power meter. Le ruote alte e i tubeless Specialized Pathfinder da 36 (gomma utilizzata da quasi tutti gli atleti Specialized)

Deda Alanera anche per il gravel
Deda Alanera anche per il gravel

Alanera anche nel gravel

Diversi atleti del Team Bardiani (Italia Team) hanno utilizzato le nuove bici gravel Cipollini Ago e hanno riportato su questo mezzo anche il manubrio Deda Alanera normalmente utilizzato in ambito road. Questo cockpit integrato è parecchio rigido.

Una Wilier Rave SLR speciale

E’ quella che l’azienda di Rossano Veneto ha voluto dedicare ad Ivar Slik e che in un certo senso celebra il mondiale gravel in terra veneta. La foto è stata scattata all’IBF di Misano lo scorso settembre e non pubblicata per rispettare l’embargo di Wilier. La Wilier Rave SLR che Slik ha utilizzato per la competizione era montata con trasmissione Shimano e gomme Schwalbe.

Davide Rebellin al termine della gara
Davide Rebellin al termine della gara

L’eterno Rebellin tra i ragazzi

Avrebbe potuto correre il mondiale gravel e probabilmente stravincere nella sua categoria “age group”, che ha corso sabato al pari della competizione femminile e invece ha onorato se stesso, la sua carriera e terra di origine. Davide Rebellin, classe 1971 ha preso il via con gli elite, classificandosi 39° a poco più di 12 minuti dal vincitore (classe 1992).

gravelworldchampionship

Sagan si racconta: gravel, futuro e Nibali

11.10.2022
5 min
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Siamo sulle colline vicentine su una terrazza naturale che vede la Pianura Padana accarezzata dai raggi del tramonto autunnale. A pochi chilometri il mondiale gravel ha fatto il suo esordio immerso nella curiosità generale. Vediamo Peter Sagan che sta parlando con il suo migliore amico che gli ha fatto una sorpresa percorrendo 800 chilometri per venire a seguirlo in questa corsa iridata. Gabriele Uboldi, addetto stampa del fuoriclasse slovacco, ci viene incontro e fa le presentazioni con il campione. 

Qui Peter Sagan insieme al suo addetto stampa Gabriele Uboldi
Qui Peter Sagan insieme al suo addetto stampa Gabriele Uboldi

Sagan ci accoglie con il sorriso e con la spensieratezza di chi sa che la stagione è finita e che questo mondiale ha tutta l’aura di un’esperienza nuova. Il primo passo di una disciplina che dirotta verso l’agonismo e il palcoscenico dei pro’. Premiamo rec sul registratore, Peter raccontaci…

Come sei arrivato a questo mondiale?

Mah… Bene, ho provato solo i primi 30 chilometri e fatto solo i 15 chilometri finali del percorso. La condizione era buona anche se siamo tornati da tre giorni dal Giappone e tra fuso orario e tutto non è facile riprendersi dal jet leg.

E’ la prima corsa gravel che fai?

Ho fatto la Unbound in America ma lì avevo un approccio diverso. Non è stata una gara, ma una pedalata tra la gente. 

Che corsa è un mondiale gravel?

E’ una gara molto dura.

Per la gara hai scelto la bici da corsa, come mai?

Sì, la Roubaix. E’ un percorso abbastanza tecnico. Se prendi una bici gravel puoi fare percorsi più impegnativi tipo Mtb. Però io credo che serva qualcosa di molto veloce e scorrevole. Le strade sono lineari, c’è tanto asfalto e quindi bisogna stare attenti alla velocità. 

La bici scelta era la Specialized Roubaix utilizzata per le classiche del Nord e l’Eroica
La bici scelta era la Specialized Roubaix utilizzata per le classiche del Nord e l’Eroica
Scorrevolezza e velocità quindi sono determinanti?

Se prendi come esempio l’Eroica, noi la corriamo con la bici normale. Se parti da quel setup, e prendi una bici Roubaix con le stesse gomme, si adatta bene per questo percorso.

Dinamiche di corsa completamente nuove per il gravel…

Sì, è difficile da dire, perché è una corsa tutta nuova. Ci sono corridori da tutte le discipline e non c’è una vera e propria organizzazione di squadra come per le corse professionistiche. Io credo che molto importante sia la partenza come nella Mtb. E’ altrettanto importante in queste gare stare nel primo, secondo, massimo terzo gruppetto fin da subito. 

Quali erano i tuoi favoriti alla vigilia?

Sempre i soliti. Van der Poel sapevo che fosse capace di fare tutto. Van Avermaet mi ha detto che ci avrebbe puntando tanto, non ha fatto i mondiali su strada e lo ha trasformato in un vantaggio. Sono tanti i professionisti della strada, erano tutti favoriti. 

Vedi la disciplina gravel nel tuo futuro affiancato ad una stagione su strada?

Io credo che la gravel sia ancora più dura di una classica. Tipo Roubaix o Fiandre. Ho tutto l’inverno per decidere come programmare la stagione. 

Un Sagan provato dopo il traguardo e come lui molti altri
Un Sagan provato dopo il traguardo e come lui molti altri
Hai fatto una buona stagione, quali obiettivi hai per la prossima?

Non ho fatto una stagione tanto buona… Questo inverno sarà prezioso per staccare e ricaricarsi. Non so ancora cosa farò e quali obiettivi avrò. Al primo ritiro, quando andrò con la squadra, parlerò del programma e vedremo insieme come organizzare il calendario. Adesso non ci ho ancora pensato.

Com’è andato questo primo anno in TotalEnergies?

Mi sono trovato molto bene. Anche con i problemi di salute che ho avuto a inizio anno, mi hanno sempre supportato. Sono molto contento dell’organizzazione della squadra da parte di tutti, staff e compagni. Pensavo di trovare un’altra situazione e invece sono stato molto sorpreso positivamente dalla squadra e di quello che c’è dietro. 

Che effetto ti fa vedere Nibali e Valverde dire addio al gruppo? Con Vincenzo hai condiviso anche un periodo in squadra insieme…

Rimarranno per sempre parte del movimento. Vincenzo è uno dei pochi corridori che ha vinto i tre grandi Giri e anche le classiche. Ci mancherà perché ha dato tanto al ciclismo, soprattutto al ciclismo italiano. La vita è così, nasci come una stella, dopodiché ognuno arriva alla sua fine. E’ importante che la decisione l’abbia presa lui. Se è così, va più che bene. 

Per lo slovacco la prova mondiale è stata sotto le aspettative della vigilia
Per lo slovacco la prova mondiale è stata sotto le aspettative della vigilia

Il mondiale di Sagan

A laurearsi campione del mondo è stato il belga Gianni Vermeersch dopo una fuga durata 140 chilometri insieme a Daniel Oss secondo all’arrivo. A completare il podio Mathieu Van der Poel che da super favorito, beffato dalla fuga, ha regolato il gruppetto degli inseguitori conquistando un bronzo che gli è valso l’onore di averci provato.

Per Sagan l’epilogo seppur positivo non ha rispettato le attese. Peter ha infatti chiuso 14° a cinque minuti dalla testa. Inneggiato tra i big fino alla vigilia forse il campione slovacco ha accusato il jet lag delle ultime trasferte stagionali e il finale affaticato di una stagione che conta due vittorie. Di buono rimane il fatto che la sua presenza ha attirato pubblico ed è stata onorata con impegno e voglia di mettersi in gioco come ha testimoniato il suo volto impolverato che abbiamo scorto dopo la linea d’arrivo. Ora per Peter è tempo di ricaricare le pile e pensare al 2023.

Mondiale gravel, Pozzato: «Abbiamo fatto la storia»

10.10.2022
6 min
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L’esordio del mondiale gravel è alle spalle. l’Italia è stata protagonista della consacrazione iridata di una disciplina nuova che sta attirando sempre di più l’interesse del movimento ciclistico in generale. Filippo Pozzato ha timonato l’organizzazione della sua PP Sport Events sapientemente portando a casa una prima edizione esemplare, ricca di nomi importanti e senza lacune di alcun tipo dal punto di vista del percorso e della sicurezza. 

I mondiali donne e uomini si sono corsi in un territorio che rappresenta un polmone del ciclismo in Italia e non solo. Per il Veneto le due ruote a pedali sono una cosa seria e questa due giorni di corse su sterrato ne è stata la dimostrazione. Il pubblico ha risposto numeroso. L’aria dell’autunno ha dipinto le rive dei canali vicentini per poi addentrarsi accarezzando Padova ed infine con l’arrivo degno di un quadro rinascimentale dentro le mura di Cittadella. Pippo è provato, ma sorridente, il clima è disteso e i calici di prosecco dello staff e dei collaboratori si alzano in un sentimento di soddisfazione e orgoglio per quanto fatto. E’ ora di festeggiare. 

Podi degni dell’iride

Spesso per determinare la valenza di una corsa ci si affida alla lista partenti e all’ordine d’arrivo. Nei mesi che precedevano questa rassegna iridata i dubbi e gli interrogativi non sono mancati. Una disciplina nuova partita da una vena turistica rivolta al viaggio e all’esplorazione che da qualche tempo si sta iniziando a vestire di agonismo. I pro’ hanno spazzato via ogni dubbio rispondendo “presente” a questo mondiale. 

La starting list vedeva nomi come Sagan, Van der Poel, Van Avermaet, Lutsenko, Stybar, Lopez. E poi la nazionale italiana con  il tricolore Zana, Oss, De Marchi, Ballerini, per citarne alcuni. Così come per le donne con Pauline Ferrand Prevot, la fuoriclasse pluriridata nella Mtb cross country, short track e marathon. Le azzurre Bertizzolo, Sanguineti, Guarischi, e le specialiste del cross country Teocchi e Lechner.

«Abbiamo avuto – dice Pozzato – un ottimo campione del mondo come Vermeersch che ha disputato una gara bellissima. Secondo Daniel Oss che è un nome importante per il panorama italiano e non solo. Terzo Van der Poel, quarto Van Avermaet, nomi che danno un segnale chiaro e forte che ci sono corridori importanti che credono in questo e l’hanno dimostrato perché hanno interpretato la corsa dando anche spettacolo, non sono venuti qua per partire e basta. Stesso discorso per le donne con la campionessa Pauline Ferrand Prevot davanti alla Frei e alla nostra Teocchi terza».

Anno zero

Oltre 500 corridori provenienti da 39 nazioni. Un campionato del mondo che ha saputo partire dal suo anno zero con un parterre di tutto rispetto muovendo una mole importante di atleti e addetti ai lavori. Proprio così perché oltre alle categorie elite di donne e uomini anche le categorie amatoriali hanno percorso le stesse strade ghiaiate. 

«Penso – racconta Pozzato – che abbiamo scritto una pagina di storia del ciclismo. Non noi, non io, ma tutti quanti insieme. Intendo addetti ai lavori, giornalisti, l’UCI, noi che abbiamo organizzato e non per ultimi i corridori che hanno partecipato. Sicuramente è un punto di partenza importante, secondo me storico, che darà il via con le prossime edizioni ad un movimento importante e del tutto nuovo con dinamiche proprie. Già al primo anno aver portato a termine una corsa con questi risultati è un qualcosa che dà un segno».

Obiettivo raggiunto

Il gravel è una disciplina nuova che, come detto, si sta approcciando ad un movimento sempre più rivolto alle gare agonistiche. L’UCI quest’anno ha stilato un programma di competizioni a cui atleti presi in prestito da altre discipline si sono approcciati e di conseguenza hanno conquistato la qualificazione per questa prova. Di pari passo alle dinamiche di corsa nuove per tutti ci va il saper organizzare e mettere in sicurezza una competizione di questa caratura. 

«E’ andata bene – spiega Pippo – senza ombra di dubbio. Ieri e oggi c’era grande entusiasmo. I corridori si sono divertiti. Il pubblico era contento. Diciamo che l’obiettivo nostro era questo: fare divertire la gente e far divertire i corridori. E’ andato tutto liscio, l’UCI è stata molto contenta, la corsa l’abbiamo portata a casa, l’obiettivo l’abbiamo raggiunto

«Era difficile da chiudere il percorso – dice – come le corse su strada tra polizia e tutto, ma alla fine siamo riusciti nel nostro intento garantendo la sicurezza in tutte le corse senza incidenti o imprevisti. Per noi la tutela dei corridori è la cosa più importante».

Gravel anche in futuro

Un anno fa la Serenissima Gravel vinta da Alexey Lutsenko ci ha fatto capire che questo tipo di corse se organizzate con un obiettivo chiaro possono avere un palcoscenico internazionale. Pippo ha saputo fin da subito carpire ciò che questa specialità delle due ruote potesse regalare agli atleti e agli appassionati e si è messo in gioco dando il via ad un movimento che ha raggiunto già un primo picco con questo mondiale.

«Con la Serenissima Gravel – conclude Pozzato – siamo stati i primi a far la corsa per i pro’. Oggi siamo stati i primi a fare il mondiale e adesso faremo sicuramente la Serenissima (in programma il 14 ottobre, ndr) con il campione del mondo e con Van der Poel, quindi diciamo che siamo veramente contenti di questo perché era quello che volevamo fare». 

Oss nel retro podio ci ha confidato che questo format gli piace e che il gravel può diventare un obiettivo per il futuro. L’anno zero è alle spalle, l’alba della nuova disciplina è sorta, il gravel è realtà. 

Oss ci prova, Vermeersch è il primo campione del mondo gravel

09.10.2022
5 min
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Il gravel ha un re e si chiama Gianni Vermeersch. Daniel Oss ha conquistato un argento che non ha il sapore della sconfitta. A pochi metri dall’arrivo ha chinato il capo e lo ha alzato con un sorriso autentico di chi sa di aver dato il massimo per 190 chilometri. «Ho dato il tutto – dice soddisfatto Oss – non ho nessun rammarico. E’ la prima medaglia internazionale a livello individuale e sono felice così».

Temperatura perfetta, merito di un autunno gentile, alleggerito anche da un vento fresco che ha accompagnato gli atleti senza penalizzarli da Vicenza a Cittadella. La fuga di Daniel e Gianni è partita dopo appena 40 chilometri e una volta attestatosi il vantaggio sui cinque minuti per il gruppo dietro si è pensato solo alla medaglia di bronzo. Mathieu Van Der Poel, ha provato ad organizzare l’inseguimento, ma la polvere dello sterrato veneto non ha permesso una rincorsa costante e si è dovuto accontentare del bronzo. Il merito è anche della nazionale italiana e di quella belga che hanno tenuto cucito il vantaggio agendo come pacer per il gruppo. 

La prima medaglia

Per Daniel Oss è arrivata la prima medaglia internazionale e anche se di colore argento ha un significato importante dopo stagioni di umile gragariato in TotalEnergies. Il secondo posto è giunto dopo una fuga di 150 chilometri che ha reso il mondiale un duello alla messicana, tra sguardi, sorsi dalla borraccia e cambi regolari tra l’azzurro e il belga.

«La giornata è stata bellissima – dice Oss – merito di questa manifestazione fantastica di un evento nuovo tutto da scoprire. Ero curioso, volevo esserci ed è andata anche bene con il risultato. L’Italia quando corre vuole competere al meglio e oggi lo abbiamo fatto. Il risultato è stato tutta una conseguenza dello svolgimento».

Daniel ha alzato bandiera bianca e visto sfumare il sogno iridato a cinque chilometri dalla fine. Una beffa che si è tradotta in 43 secondi subita in un mondiale giocato in casa. «Gianni ha solo accelerato nel punto più tecnico – racconta Daniel – l’ha interpretato al meglio. Io ero un po’ con i crampi ed ero affaticato. E’ un format che mi piace che approvo per il futuro. Spero sia d’esempio per le future edizioni con più campioni. Se questa è una prova, è andata benissimo e farà da apripista per tutte le altre».

Un sogno che si realizza

Vermeersch, un talento belga in grado di tirare fuori il meglio di sé su un percorso molto tecnico. In questo mondiale gravel l’approccio ai settori e uno sforzo sempre al limite lo hanno incoronato il migliore di tutti in questa disciplina. Il feeling con la sua Canyon Ultimate Cfr e lo stile si sono visti anche sul percorso perlopiù pianeggiante ma ostico come quello di oggi.

«Mi sento al settimo cielo – dice Vermeersch – è incredibile per me. Era un sogno per me diventare campione del mondo. Ci sono riuscito nella prima edizione dedicata al gravel e ha un sapore davvero speciale».

L’attacco che è valso la vittoria al ventinovenne della Alpecin è arrivato proprio nel finale quando l’arrivo a due sembrava cosa fatta. Tecnica, lucidità e coraggio sono gli aspetti che gli hanno consegnato la maglia arcobaleno sulle proprie spalle. 

«Sapevo che – racconta Gianni – il single track nel circuito finale si adattava alle mie caratteristiche. L’ho fatto a tutta fino alla fine del settore e sono riuscito a prendere un gap di 50 metri su Daniel e ho pensato solo a dare tutto quello che avevo fino alla fine».

Pontoni è soddisfatto della prova degli azzurri che hanno conquistato due medaglie in due giorni tra donne e uomini
Pontoni è soddisfatto degli azzurri che hanno conquistato due medaglie tra donne e uomini

Pontoni orgoglioso

Ieri un bronzo oggi l’argento. L’oro è mancato ma sui volti dello staff e degli atleti si nota un sorriso condiviso da tutti. Sintomo anche che l’onore ai vincitori è stato dato in virtù del fatto che Chiara Teocchi ieri e Daniel Oss oggi hanno dato il massimo.

«Abbiamo interpretato la gara – dice Pontoni – nel modo migliore in cui potevamo interpretarla. I ragazzi sono stati fantastici. E’ un argento pesante e importante anche in visione futura. Oggi ne abbiamo messi tre nei dieci (7° De Marchi, 9° Ballerini, ndr) . Se uniamo le due gare elite di donne e uomini credo che abbiamo fatto un risultato importante».

«L’attacco di Oss – spiega – era una delle nostre varianti previste durante la giornata di gare. Quindi il momento è stato giusto, abbiamo corso in maniera perfetta sin dall’inizio. Gli azzurri hanno corso sempre davanti, nelle posizioni dov’era importante esserci. La squadra è stata encomiabile

«E’ mancato l’oro – conclude Pontoni – ma credo che dobbiamo essere soddisfatti, sono strafelice. Credo che unito al bronzo di ieri abbiamo fatto un mondiale fantastico, approcciando una disciplina che ancora conosciamo poco. Come tecnico sono contento per le scelte che ho fatto. Ringrazio il mio staff perché abbiamo uno staff competente, importante che fa sentire i ragazzi a suo agio».