Pellizzari, la fama va bevuta a piccoli sorsi

21.06.2024
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ROMA – Alla Camera dei Deputati, martedì scorso, oltre a Tiberi c’erano anche Pellizzari e i suoi ventuno anni. Il marchigiano aveva da poco concluso il Giro di Slovenia con il terzo posto finale (alle spalle di Aleotti e Pello Bilbao) e la maglia dei giovani: dopo il Giro degli attacchi meravigliosi e i siparietti con Pogacar, un altro segno di continuità. Eppure la sensazione era che volesse soprattutto essere tenuto fuori dalle celebrazioni per stare sulla sua bici, in mezzo alle sue salite, facendo il suo mestiere.

L’accoglienza di Camerino al ritorno dal Giro lo ha frastornato e ancora adesso, pensandoci, si mette le mani nei capelli accorgendosi di esserci andato con la felpa e i bermuda. La leggerezza dell’animo è la dote principale di chi vuole arrivare lontano: se fosse schiavo a questa età di manierismi e convenzioni, probabilmente non andrebbe lontano.

«Per me è rimasto tutto uguale – dice – sono quello di sempre. E’ stato bello essere accolti a quel modo, però poi sono tornato alla vita di tutti i giorni. Sono stato anche contento di correre in Slovenia, anche se è stato duro. Prima di partire abbiamo parlato con Piepoli. Mi ha chiesto quali fossero i miei obiettivi. Gli ho risposto: il podio e la maglia bianca e li abbiamo raggiunti entrambi».

Con Tiberi e il Presidente della Camera Fontana, a Montecitorio c’era anche Pellizzari (foto Lega ciclismo)
Con Tiberi e il Presidente della Camera Fontana, a Montecitorio c’era anche Pellizzari (foto Lega ciclismo)

Avenir: no, grazie

Allo Slovenia è mancata forse la brillantezza di certi attacchi, probabilmente perché la curva della condizione è in fase discendente, dopo aver corso il Tour of the Alps e appunto il Giro d’Italia. Proprio nei giorni scorsi si ragionava con Mirco Rossato della scelta di portarlo al Giro dei grandi e non puntare su di lui per quello Next Gen. La stessa logica ha portato Pellizzari a declinare l’invito del cittì Amadori per il Tour de l’Avenir. Dicono che in casi come questi si abbia più da perdere che da guadagnare: l’esempio di Riccitello dello scorso anno è ancora negli occhi. Protagonista al Giro d’Italia, l’americano andò alla corsa francese e venne preso… a legnate, risalendo a fatica fino al quarto posto finale, giusto dietro Del Toro, Pellizzari e Piganzoli.

La curiosità sarebbe semmai quella di vederlo andare all’Avenir preparandolo come il Giro d’Italia, ma è qualcosa di cui dovremo fare a meno. La strada è tracciata. Giulio correrà il resto della stagione con la maglia del VF Group-Bardiani e poi dal prossimo anno indosserà quella della Red Bull-Bora, entrando a 22 anni nel grande gruppo.

Al Tour de l’Avenir del 2023, Pellizzari vinse una tappa, finendo secondo nella generale
Al Tour de l’Avenir del 2023, Pellizzari vinse una tappa, finendo secondo nella generale

Ipotesi austriaca

«Dopo il Giro – racconta – ho staccato per una settimana. Poi ho visto che stavo davvero bene, sentivo che la gamba veniva fuori, quindi andare in Slovenia è stato azzeccato, anche se nelle ultime due tappe ero un po’ in calando. Non ero certo al 100 per cento, sono curioso di vedere come andrà al campionato italiano.

«Comunque dopo la prima settimana, sono andato un po’ in Trentino da Andrea, anche perché su la temperatura era migliore che da me. C’è da capire cosa farò dopo l’italiano, se qualche corsa o subito stop. Andrea farà il Giro d’Italia, io potrei approfittarne per aggregarmi ai miei che vanno in vacanza in Puglia, ma non ho ancora deciso niente».

Pellizzari ha conquistato il podio dello Slovenia nella tappa di Krvavec, con il 4° posto all’arrivo
Pellizzari ha conquistato il podio dello Slovenia nella tappa di Krvavec, con il 4° posto all’arrivo

Obiettivo tricolore

Il campionato italiano lo chiama e la sua squadra al via è sempre una delle più numerose. Difficile dire se Pellizzari potrà correre per se stesso, se davvero la condizione è in calo. Così come ci sarà da valutare la possibilità che corra anche il Giro d’Austria, che inizia il 2 luglio. Staccare subito dopo il campionato italiano significherebbe rimanere senza corse per più di un mese.

«Intanto spero che il campionato italiano sia duro – dice – noi siamo una gran bella squadra, allo Slovenia siamo andati forte e forse abbiamo raccolto meno di quello che potevamo. All’italiano ci teniamo, ma questo non significa che si correrà soltanto per me, anzi. Nei giorni scorsi mi hanno aiutato tanto, voglio ricambiare perché non sono l’unico che va forte in squadra. C’è qualcuno che forse è ancora più adatto alle caratteristiche del percorso, quindi io mi metto a disposizione. Sarà Reverberi a dirmi cosa devo fare».

La ricetta di Casagranda: «La differenza si fa col coraggio»

02.06.2024
4 min
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Al quinto posto della classifica delle giovani alla RideLondon Classique, conquistata da Eleonora Gasparrini, si incontra il nome di Andrea Casagranda a 10 secondi e due anni di età dalla torinese. Classe 2004, la trentina è passata in due stagioni dal faticare nel trovare posto in una continental all’essere diventata uno dei pezzi più interessanti della BePink-Bongioanni. Strada da fare ce n’è chiaramente tanta, ma 19 anni sono la sicurezza di avere anche tanto margine.

La squadra nel frattempo si è rifondata. Sono andate via fra le altre Zanardi e Vitillo, che in altri tempi avrebbero garantito la presenza al Giro. Pertanto, in attesa che RCS Sport diffonda l’elenco delle squadre invitate, parte del gruppo è impegnato alla Vuelta Andalucia, alcune sono oggi in corsa alla Alpes Gresivaudan Classic e altre, fra cui la stessa Casagranda, sono al lavoro per una convocazione al Giro di Svizzera che inizierà il 15 giugno.

In azione a Le Samyn, per la prima volta quest’anno Casagranda ha provatole pietre del Nord
In azione a Le Samyn, per la prima volta quest’anno Casagranda ha provatole pietre del Nord

Al Giro con Giulio

Quando a metà maggio il suo ragazzo Giulio Pellizzari si era messo in testa di ritirarsi dal Giro, anche Andrea ha avuto da fare per convincerlo a tenere duro. Lei a quella voglia di mollare non ha mai creduto del tutto, ma era fra i nomi ringraziati dal giovane marchigiano dopo il secondo posto di Monte Pana. Nonostante Andrea dovesse partire per la Gran Bretagna, i due si sono visti all’arrivo del Brocon.

«E’ stato molto emozionante sentirgli dire quelle parole – racconta – perché la settimana prima l’avevo visto molto giù e mi dispiaceva tantissimo per lui. Però non ha mollato e sono felice per questo, perché è riuscito a cogliere quel bel secondo posto. Non credevo che si sarebbe ritirato, però capivo che non avesse un gran morale, visto che era malato. Ha avuto vicino molte persone, è un ragazzo che si fa voler bene, quindi tanti l’hanno aiutato e per fortuna non ha mollato».

Uno scatto con Giulio durante la nostra visita a casa Pellizzari dopo il Giro
Uno scatto con Giulio durante la nostra visita a casa Pellizzari dopo il Giro
E tu come stai? Ti aspettavi di trovare tanto spazio alla BePink?

No, non me l’aspettavo. Ho ancora tanto da imparare, sono una delle più giovani in squadra e sono contenta di poter crescere piano piano. Ho ancora tanta strada da fare, però qui sto bene. Rispetto ad altre squadre italiane, quando si parla di far crescere giovani atlete, è la migliore.

L’anno scorso hai chiuso la stagione con 40 corse. Quest’anno sei già a 39…

L’anno scorso ho corso parecchio, ma anche quest’anno siamo invitati a tante gare, quindi abbiamo la possibilità di fare doppia attività. Anzi, qualche volta addirittura mancano i corridori per partecipare a tutte le gare cui potremmo partecipare. E’ una fortuna poter fare tante esperienze diverse.

Quando ti sei sentita la migliore Andrea di stagione?

Credo nelle prime tappe della Vuelta. Stavo molto bene fisicamente. Dopo aver inseguito la condizione nella prima parte di stagione, in Spagna mi sono sentita bene, pur vedendo di dover ancora lavorare molto per crescere.

Nonostante i 4 anni di differenza, fra Zanardi e Casagranda c’è stato un passaggio di testimone
Nonostante i 4 anni di differenza, fra Zanardi e Casagranda c’è stato un passaggio di testimone
In cosa, secondo te? E da cosa te ne accorgi?

Ho bisogno di prendere un po’ più di coraggio, ho sempre paura di non essere ancora all’altezza. Devo fare leva sul fatto di essere giovane e correre qualche rischio in più. Non ho niente da perdere, invece mi accorgo che a volte l’unica cosa che riesce a fermarmi è la paura di non riuscirci. Devo togliermela di dosso. Poi fisicamente c’è da crescere, ma quello verrà con i chilometri di corsa e di allenamento.

Tuo padre Stefano ha fatto il professionista per nove anni, è uno che dà consigli oppure segue in silenzio?

No, mi dà consigli, ma senza entrare troppo nella mia sfera. Mi lascia i miei spazi. Quando dice qualcosa, sono felice di ascoltarlo perché lo ammiro e so che non parla mai a vanvera.

Il tuo allenatore è Walter Zini?

No, mi segue un ragazzo di Trento che si chiama Stefano Nardelli e che ha corso in bici. Mi sto trovando molto bene, perché lo conosco ed è facile raggiungerlo.

Il debutto 2024 è avvenuto in Spagna, fra Almeria e la Valenciana
Il debutto 2024 è avvenuto in Spagna, fra Almeria e la Valenciana
Nell’ipotesi di fare il Giro d’Italia, quale potrebbe essere un tuo obiettivo?

Non lo so, mi piacerebbe mettermi in mostra il più possibile. Provare ad andare in fuga e rischiare, superando i miei limiti. E poi farei del mio meglio per aiutare le compagne. Quest’anno ce ne sono alcune che se la cavano veramente bene nelle gare a tappe e in salita e sarei felice se riuscissimo a ottenere un risultato di squadra.

Come cambia l’integrazione col passare degli anni?

31.05.2024
4 min
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Il discorso dell’integrazione è sempre più al dettaglio. E anche più determinante. Oggi spesso vince chi arriva nel finale con la gamba più piena. Chi si è alimentato meglio. Ma il capitolo è vastissimo.

Se tante volte abbiamo parlato di prodotti specifici, di alimentazione liquida, di quantità di carboidrati l’ora, oggi facciamo un paragone tra metabolismi giovani e metabolismi più esperti. E lo abbiamo fatto con il supporto di Luca Porfido, nutrizionista della VF Group Bardiani-CSF-Faizanè, che al Giro d’Italia aveva il corridore più giovane, Giulio Pellizzari, e quello più vecchio, Domenico Pozzovivo. Tra i due ballano ben 21 anni.

Con il passare degli anni, il recupero si fa più difficoltoso. Saper integrare alla perfezione diventa sempre più importante
Con il passare degli anni, il recupero si fa più difficoltoso. Saper integrare alla perfezione diventa sempre più importante
Dottor Porfido, come cambia il metabolismo nel corso degli anni?

In effetti cambia. Pozzovivo viene da tantissimi anni di esperienza. Era al suo diciottesimo Giro d’Italia quindi è passato attraverso tante “ere”, tra queste anche quella che riguarda l’integrazione e l’alimentazione. Vi dirò che avere un atleta come Pozzovivo è utile anche per me.

Perché?

Per una questione di conoscenze in generale, perché è un esempio per il Pellizzari di turno e per gli altri ragazzi, così distanti come generazione e per confrontare abitudini diverse in corsa e fuori.

Quante calorie brucia uno scalatore giovane come Pellizzari e uno più esperto come Pozzovivo? E’ possibile fare un confronto anche di numeri?

In modo così netto no. L’integrazione si fa in base all’efficienza e quindi in base a quello che realmente l’atleta poi va a consumare. E anche in base alle riserve di glicogeno che si valutano sul momento. Ed è’ dunque qualcosa di soggettivo.

Come cambia l’integrazione col passare del tempo?

Pozzovivo per esempio è abituato a stare un po’ più basso di carboidrati, 80-90 grammi l’ora, perché nel suo caso a livello gastrico, di stomaco, si trova meglio così. Pertanto non raggiunge le quantità che assume invece Pellizzari o altri ragazzi della squadra. Al Tour of the Alps, gara di preludio al Giro, e che ci è servita anche per mettere a punto gli ultimi dettagli sull’integrazione, Pellizzari viaggiava sui 90-100 grammi l’ora. Ma c’è anche altro da considerare.

La VF Group-Bardiani si affida a Cetilar per l’integrazione: sia in gara che per il recupero
La VF Group-Bardiani si affida a Cetilar per l’integrazione: sia in gara che per il recupero
Cosa?

Che l’integrazione va anche contestualizzata: tappa, meteo, ruolo del corridore… Una tappa può essere di trasferimento per un corridore e più importante per un altro. E chi punta deve arrivare full all’arrivo, cioè con la gamba piena nel finale. L’altro, che magari deve aiutarlo all’inizio, al contrario deve cercare di essere full nei primi chilometri.

E tu nutrizionista calcoli anche questo?

Chiaro, è un aspetto fondamentale ormai da tenere conto: al netto del consumo reale dei watt e quindi dei chilo-joule trasformati in calorie. Oggi più che mai, per avere un’integrazione ottimale, è fondamentale conoscere le caratteristiche dell’atleta, età compresa, del percorso e appunto anche delle strategie. Se un corridore punta al Gpm è chiaro che la sua gara finisce lì e da quel momento pensa al recupero… nei limiti delle possibilità ovviamente.

In base alla tattica, prepari il sacchetto per ognuno. Per sacchetto intendiamo non tanto il sacchetto vero e proprio quanto la strategia alimentare nel suo insieme…

Stabiliamo i classici grammi di carbo l’ora. L’integrazione in gara si fa sommando quel che dà l’ammiraglia (compresi i rifornimenti a terra, ndr) e quel che hanno dietro i ragazzi. Ma in partenza ognuno sa a quanti grammi deve andare e quando deve mangiare, anche in base al proprio ruolo, come dicevo. I ragazzi ormai sono ben istruiti. Abbiamo due grandi tipologie di borracce per esempio: quella con 40 grammi di carbo, quella con 80 grammi. Oltre alla borraccia di sola acqua.

Per ingerire tanti grammi di carbo l’ora bisogna allenare l’intestino. I più esperti tendono ad assumere qualche grammo di carbo l’ora in meno
Per ingerire tanti grammi di carbo l’ora bisogna allenare l’intestino. I più esperti tendono ad assumere qualche grammo di carbo l’ora in meno
Al netto di grammi e forse prodotti, noti differenze di approccio tra giovani ed esperti?

Come accennavo, Pozzovivo che viene dalla vecchia scuola, tende ad assorbire qualche grammo di carbo in meno. Pellizzari che è nato con la nuova integrazione già ne assorbe di più. Ma non è tanto questo, è proprio un concetto di approccio: quello dei numeri. Oggi i ragazzi sono abituati a guardare i numeri fra TrainingPeaks e varie App, controllano sempre tutto. Ci sono applicazioni per il computo delle calorie, che tengono conto anche dei macronutrienti… quindi gli viene automatico e naturale guardare i numeri, fare affidamento a quelli. Le nuove generazioni sanno “metabolizzare” i dati molto meglio di chi era abituato ad andare a sensazione.

Quindi non dipende solo ed esclusivamente dall’allenamento dello stomaco a mangiare determinate quantità…

Il “training gut”, allenare l’intestino, è comunque importante. E questo vale a prescindere se faccia parte della vecchia o della nuova generazione. E’ fondamentale per essere efficienti in quello che poi si va ad integrare. Io posso seguire la linea guida su un atleta che è abituato ad ingerire 120 grammi l’ora, ma se il suo intestino non è allenato si va solo a fare un danno e a compromettere la sua gara.

A Camerino con Pellizzari: un giorno di emozioni forti

30.05.2024
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CAMERINO – Lo sguardo abbraccia il mondo. La mattina si rischiara, dopo che l’alba ha coperto la campagna di un’insolita nebbia in quest’angolo silenzioso delle Marche. Pellizzari guarda giù, dopo aver raccontato la storia di un tunnel che collegherebbe la Rocca dei Borgia in cui ci troviamo con il castello dei Varano. Dice che quando erano bambini hanno provato a percorrerlo, ma di aver trovato una grata.

Si fanno quattro passi. Siete mai stati a Camerino negli ultimi otto anni? Era una città universitaria piena di vita, dopo il terremoto del 2016 è una città fantasma. Il centro è deserto, puntellato, ingabbiato, sfregiato. Fatti salvi pochi cantieri, è come se il tempo si sia fermato ai giorni del sisma. Tanta gente vive ancora nelle casette, altri se ne sono andati. Per questo quando Giulio ha attaccato sulle salite del Giro, è stato come se portasse nel petto anche il battito dei loro cuori. Glielo hanno detto martedì sera nella festa di bentornato, con una spinta d’animo che veniva da piangere. Erano quasi in 700 nell’Auditorium Benedetto XIII, intitolato al Papa che nel 1727 fondò l’Università di Camerino. E’ stato un incontro emotivo e dignitoso, con l’orgoglio marchigiano che si è sollevato sopra la difficile quotidianità.

Pellizzari ha corso un Giro a testa alta. Qui è secondo dietro Pogacar a Monte Pana, dietro Martinez
Pellizzari ha corso un Giro a testa alta. Qui è secondo dietro Pogacar a Monte Pana, dietro Martinez

Sveglia all’alba

Casa Pellizzari è una villetta divisa in due, che nell’altra metà ospitava il bed&breakfast di famiglia, ora occupato da una zia. Quando abbiamo mandato il messaggio per dire che eravamo arrivati, Giulio è sceso ad aprire con gli occhi di chi si è svegliato presto. Infatti alle 6,30 hanno suonato anche gli ispettori della Wada: quando entri nel gruppo di chi va forte, anche i controlli diventano più assidui. Un caffè farà bene ad entrambi. Il Giro d’Italia si è concluso da due giorni. Quando nella tappa di Roma abbiamo saputo che il martedì sera lo avrebbero accolto nella sua città, gli abbiamo chiesto di assistere e poi di fare due parole l’indomani. E’ tutto nuovo, aver incontrato la sua gente è stato un’esperienza inattesa.

«Beh, è stato emozionante – dice – non pensavo che fossero così tanti. Qua a Camerino ci conosciamo tutti, perché il paese è piccolino e tanti mi ricordano come il ragazzino che girava sempre in bici intorno alla città con gli amici. E ieri me l’hanno detto in tanti: “Allora era una cosa seria!”. E’ stato bello anche sentire questo…».

Il ragazzino che girava con la bici: eri così?

Sì, sempre. Facevamo le gare, partivamo da casa del mio amico Mirco, a 500 metri da qui. Andavamo in centro, ma qualcuno imbrogliava e prendeva le scale mobili. Poi scendevamo dalla Rocca e ritornavamo. Facevamo sempre lo stesso giro, sempre la gara: è stata così dai 7 ai 15 anni. In casa c’era una mountain bike, il mezzo più veloce per muoverci. Poi ogni tanto, quando finivamo giù in basso, le caricavamo nelle navette. Però solo quando c’era l’autista buono…

Massimiliano Gentili, il tuo padrino ciclistico, racconta che nella prima uscita con lui, a 16 anni, lo guardasti in faccia e poi scattasti…

E’ vero (sorride, e abbassa lo sguardo, ndr), è successo sulla salita di Trevi, vicino Foligno. Questa cosa di arrivare primo in salita ce l’ho sempre avuta, anche quando ero più piccolo e mi allenavo qua a Matelica. Volevo sempre fare la salita per scattare. La salita è quello che mi piace, il simbolo del ciclismo. Da bambino guardavo il Giro d’Italia, soprattutto con mio nonno Mario e con il mio amico Mirco. Mi ricordo il Giro del 2015 con Aru in maglia bianca, infatti i suoi cani si chiamavano Aru e Contador.

Il passagio in testa sul Passo Sella gli è valso il Trofeo Cima Coppi
Il passagio in testa sul Passo Sella gli è valso il Trofeo Cima Coppi
Martedì ti sei commosso al ricordo di tuo nonno…

Mario, detto Mariuccio (annuisce, ndr). Un signore accanto a me ha fatto un racconto su di lui: non volevo piangere, ma non ce l’ho fatta. Adesso gli anziani mi riconoscono come il nipote di Mariuccio e dicono che sarebbe orgoglioso di me. Ho scoperto al bar tramite amici che fosse un grande tifoso di ciclismo e suo padre anche più di lui. Gli assomiglio tanto. Quando nonna morì, andavo a dormire da lui e anche a tavola mangiavamo allo stesso modo. Strappavamo la carne col pane e mangiavamo pane e ciauscolo la mattina. Nonno se ne è andato nel 2015, l’anno prima del terremoto.

La gente, i tuoi compagni sanno che qui c’è stato il terremoto?

Ricordo che 3-4 mesi dopo, a mia madre è capitato di incontrare gente che le chiedeva dove si andasse per il centro. E lei doveva rispondere che il centro non c’era più. Erano passate poche settimane e nel telegiornale se ne era parlato anche parecchio…

Quei giorni ti hanno cambiato?

Se ci penso ora, magari non mi hanno cambiato, però mi dispiace non aver vissuto da grande lo splendore di Camerino prima che crollasse tutto. Il centro delle mie sfide in bici non c’è più. E allora penso alle nuove generazioni. Io potevo lasciare la bici per due giorni poggiata a un muro e trovarla ancora, oggi nel quartiere dei negozi che hanno costruito a valle non so se sia ancora così. Nel centro storico non passavano le auto, sotto ora c’è il traffico e non so se i bambini possono fare quello che facevamo noi.

Cosa ricordi di quei giorni?

Era mercoledì e io ero a casa di Mirco, praticamente ci ho passato l’infanzia. Stava venendo il temporale, così ho preso la bici per tornare che già cominciava a piovere. Nel parcheggio meccanizzato, quello con le scale mobili, le luci si accendevano e si spegnevano, c’erano tuoni e lampi. La sera eravamo qua e di colpo tutto ha iniziato a ballare. Due sono usciti da quella porta, uno si è messo sotto il tavolo, che era la cosa giusta da fare. In due siamo usciti dall’altra parte. Vedo diverse scene, una è quella delle coppe che cadono e si rompono. Subito dopo, la domenica, siamo andati con mia nonna a Bassano da amici di mio padre, però solo noi tre figli. Mamma e papà sono rimasti qui, perché giravano anche i ladri.

Nella ferramenta di Sandro Santacchi, a destra, covo dei ciclisti di Camerino
Nella ferramenta di Sandro Santacchi, a destra, covo dei ciclisti di Camerino

Il viaggio nel ciclismo

Il suo viaggio è iniziato a 16 anni, quando Massimiliano Gentili ebbe una visione e lo indicò come possibile corridore da corse a tappe. Glielo affidarono, riconoscendogli grande fiducia. «Suo padre Achille – raccontava l’altra sera l’umbro – è sempre stato presente, ma rigorosamente un passo indietro». Achille sorride e ringrazia, discreto e per questo elegante. Sa che i genitori possono essere un peso, così ha preferito lasciar fare, tenendo l’occhio vigile. Ed è stato così che crescendo, Giulio Pellizzari si è trovato catapultato fuori dalla dimensione ovattata e protetta di Camerino, per andare a scoprire il mondo.

I tuoi coetanei erano qui con la solita vita, mentre tu a 18 anni giravi già per aeroporti. Hai mai avuto paura?

Sì! Più che altro a 18 anni non avevo mai preso un aereo, per cui finché si girava con la squadra, non avevo problemi. Ma da solo era un’altra cosa, ho avuto le mie ansie. Oltre a tutte le esperienze, anche questa mi ha fatto crescere. Mi sono ritrovato da solo dall’altra parte del mondo, in un aeroporto immenso, con la borsa della bici e l’inglese un po’ così. Un po’ d’ansia ti prende. Però adesso ho imparato a gestire anche quello. I miei amici mi dicono: “Beato te che sei sempre in giro!”. E io gli rispondo: “Beati voi perché state a casa!”. Non c’è una via di mezzo. Girare il mondo fa tanto, fa crescere, però in certi momenti la vita di casa mi manca davvero.

Queste immagini hanno fatto storia: Pogacar regala a Pellizzari la sua maglia rosa a Monte Pana
Queste immagini hanno fatto storia: Pogacar regala a Pellizzari la sua maglia rosa a Monte Pana
Finalmente però sei arrivato a fare il Giro d’Italia…

E’ stato bello. Dopo il Tour of the Alps che è andato bene, il Giro diventava un banco di prova. Non volevo solo fare esperienza, volevo fare bene. All’inizio ero inquieto, perché tre settimane sono lunghe. Poi ho scoperto che diventa una routine e perdi anche il conto dei giorni. Solo a 3-4 tappe dalla fine, inizi a capire che sta per finire.

Hai vissuto giorni esaltanti e altri duri: come è stato correre per tre giorni con gli antibiotici in corpo?

Pesante, ti senti fiacco. Non riesci a spingere. Stare in gruppo non è mai facile, perché si va ogni giorno a tutta. Per fortuna l’unica partenza tranquilla del Giro è stata quella verso Francavilla in cui io stavo peggio e quindi mi sono salvato. Continuavo ad andare dietro e rientrare, andare dietro e rientrare. Per fortuna il giorno dopo si arrivava nelle Marche e mi sono ripreso, ma arrivare a Francavilla è stato davvero duro. Volevo mollare, ma mi hanno convinto a non farlo e devo dire grazie per questo. Una cosa che non ho mai raccontato è che nel riposo di Livigno, il giorno prima di fare secondo a Monte Pana, ho sognato che mi ero ritirato e il giorno dopo piangevo, pregando Roberto Reverberi che mi facesse rientrare in gara.

Giulio con la compagna Andrea Casagranda: trentina, anche lei atleta alla BePink
Giulio con la compagna Andrea Casagranda: trentina, anche lei atleta alla BePink
Il tuo amico Pogacar?

Prima del Giro, il sogno era correre con lui, adesso il sogno è staccarlo. Con calma, ovviamente, però alla fine se stacchi lui, vinci la corsa. La differenza fra me e lui è che lui è proprio un fenomeno, però un po’ mi rivedo nel suo modo di fare. Se avessi il suo motore, correrei allo stesso modo. Sempre per vincere. Alla fine, se uno ha le gambe… Corriamo per vincere, no? Ho letto un’intervista a Gianetti, ha detto che ci pagano per vincere ed è vero…

Come hai fatto a rientrare sulla fuga nel giorno del Grappa proprio a 100 metri dal GPM e prendere i punti per la maglia azzurra?

Ero partito per fare la gara, la squadra voleva che andassi in fuga. Io mi sentivo bene e sapevo che la fuga non sarebbe arrivata, quindi non volevo buttare via tutto. Però non ero certo che se mi fossi ritrovato con i primi venti, avrei avuto le gambe per attaccarli. Non sentivo bene la radio, perché prendeva poco e c’era tanta gente. Non sapevo quanto mancasse e nel dubbio sono partito a 3 chilometri dalla vetta. Alla fine tutti mi hanno chiesto come abbia fatto a riprenderli a 100 metri dal GPM, ma davvero penso che sia stato anche per fortuna.

Stremato dopo la fuga, sul Monte Grappa Pellizzari ha conquistato i punti per la maglia azzurra del GPM
Stremato dopo la fuga, sul Monte Grappa Pellizzari ha conquistato i punti per la maglia azzurra del GPM
Serve motivazione per andare in fuga sapendo che Pogacar punta alla stessa tappa?

Alla fine è una guerra persa, però ci provi: non sai mai come va. Se avessi preso un minuto in più, mi avrebbe ripreso un pezzettino dopo. Forse mi avrebbe staccato sullo strappo, ma rinunciare non mi appartiene. E’ stato bello correre a Roma con la maglia azzurra della montagna, il sogno però è arrivarci con un colore diverso. Alla fine ci siamo salutati, gli ho fatto i complimenti e in bocca al lupo per il Tour.

Com’è quando il giorno dopo si spengono le luci?

Un po’ mi manca. Quando c’è tanta gente che fa il tifo, i paesi in rosa, respiri l’aria di festa. Alla fine ti ci abitui, però è sempre emozionante. Negli ultimi giorni, ho capito che stava per finire, ma al contempo sono stanco, è giusto recuperare. Per cui farò lo Slovenia, il campionato italiano e poi si stacca per un po’ la spina.

Lo lasciamo alla sua casa, al suo cielo, alla famiglia e agli amici e andiamo a fare un giro in centro. Nella serata per Giulio abbiamo toccato con mano l’orgoglio. Ce ne andiamo con la speranza che la sua voce continui a raccontare la storia di Camerino e della sua gente. Basta che continui ad essere se stesso, il Giulio di sempre. Forse allora per queste strade l’oblio smetterà di essere l’unico destino possibile.

EDITORIALE / Pogacar, signori: lieto di stupire

27.05.2024
5 min
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ROMA – Il giorno dopo è difficile persino rendersi conto che non si tratti di un altro riposo. Si torna alla solita vita e il Giro di Pogacar rimane negli occhi e negli appunti: quelli già trasformati in articoli e quelli che presto lo saranno. Andando via dalla zona di arrivo dell’ultimo traguardo, la sensazione di aver preso parte a un grande evento è stata rafforzata dalla presenza oceanica di pubblico, che si è ripetuta anche a Roma come su ogni strada d’Italia. Pensavamo che il Veneto fosse stato un’eccezione, fra Padova e il Monte Grappa, ma scorrendo le foto delle 21 tappe è immediato rendersi conto che quest’anno il riscontro di pubblico sia stato ogni giorno impetuoso.

Il ragazzo biondo col ciuffo

Non è semplice spiegare il perché. La considerazione più ovvia è che il ragazzo biondo con il ciuffo abbia stregato i tifosi di tutta Italia. Sarebbe stato bello avervi a bordo per rendervi conto del quotidiano assedio del pullman della UAE Emirates, ma sarebbe riduttivo limitare tutto a Pogacar. I tifosi hanno avuto attenzioni per tutti i corridori, dimostrando di aver capito la sola cosa che conta di questo Giro d’Italia. Abbiamo assistito allo show del solista più grande, quello che dopo la Strade Bianche definimmo in un altro Editoriale il vero fenomeno di questo ciclismo. Perché vince le classiche, le crono, doma le montagne e lo fa senza la supponenza e la freddezza di alcuni suoi colleghi altrettanto forti.

La disponibilità di Pogacar verso i bambini non è venuta meno neppure sulle grandi salite
La disponibilità di Pogacar verso i bambini non è venuta meno neppure sulle grandi salite

Tadej Pogacar ha firmato migliaia di autografi e se lungo le salite ha avuto occhi e cuore per i bambini non è stato per ruffianeria, ma perché sente di dover fare qualcosa per i più piccoli. Allo stesso modo in cui, portato a seguire la tappa di Trieste al Giro del 2014, quando aveva 16 anni, trasse da quello sprint l’ispirazione per diventare un corridore. A ben vedere, andando da anni in cerca di un faro per il ciclismo italiano, quale fra i grandi azzurri degli ultimi tempi ha mostrato una simile disponibilità verso i piccoli? Pogacar ha mostrato lo stesso candido entusiasmo che nei primi anni fu di Sagan, non a caso altro beniamino di un pubblico ampio e trasversale.

Le regole di una volta

All’inizio del Giro ci sono state critiche, compresa quella di Bettini che abbiamo condiviso e in parte ancora sposiamo. Sembrava strano che il leader della corsa si mettesse a inseguire tutti, come animato da un’ingordigia mal mascherata. In realtà con il passare dei giorni abbiamo imparato a riconoscere nei gesti di Pogacar lo stupore per logiche che non gli appartengono, forse perché i campioni o o vecchi del gruppo che lo hanno accolto non hanno avuto il carisma, la capacità o la voglia di spiegarle. O forse perché a 25 anni non si ha troppa voglia di sottostare a schemi che si reputano vecchi e ti impediscono di dare un seguito e un premio al duro lavoro. La faccia di Pogacar nel giorno in cui ha lasciato andare la fuga di Cusano Mutri era piena di stupore, più che di convinzione. Avrebbe potuto e forse voluto vincere anche lassù, ma ha scelto di stare a quelle regole. Poi però basta. E dove ha potuto, ha vinto.

Un arrivo e un inchino: a Bassano del Grappa, Pogacar ha ringraziato così il pubblico del Giro
Un arrivo e un inchino: a Bassano del Grappa, Pogacar ha ringraziato così il pubblico del Giro

Dicono e pensiamo che lo abbia fatto con un margine così ampio perché non aveva di fronte avversari della sua altezza. Vero, ma se guardiamo la classifica dell’ultimo Tour in cui Vingegaard lo piegò a suon di scatti, i margini sono gli stessi di questo Giro. E alle spalle dei due giganti (pur divisi da 7’29”) c’erano stati baratri altrettanto profondi. La sua supremazia ha infastidito qualcuno? Immaginate di essere andati a un concerto di Eric Clapton e di annoiarvi per i suoi assoli di chitarra. Il Giro d’Italia del 2024 è stato un grande concerto, con momenti corali e altri splendidi assoli, ma quando Pogacar ha guadagnato il centro del palco, non s’è potuto fare altro che applaudirlo.

L’Italia che arriva

E l’Italia c’è stata, forse più che in un recente passato. Il quinto posto di Tiberi che riporta a casa la maglia bianca dopo nove anni è uno squarcio molto interessante di futuro. Gli scatti di Pellizzari hanno mostrato la grinta di un ragazzino per nulla intimorito dai nomi che ha osato sfidare. Piganzoli si è messo alla prova scegliendo di non uscire di classifica: il suo 13° posto al primo grande Giro dice che ha la testa dura e i mezzi per riprovarci. Milan sta diventando un gigante dello sprint, con ancora tanto da imparare per gestire i finali più complessi. Ganna ha ritrovato il passo nella crono di Desenzano e per il resto della corsa ha tirato per la squadra con una generosità a volte persino eccessiva. Sembrano piccoli sprazzi, al cospetto di un gigante come lo sloveno, ma sono molto di più.

Sportivi e tifosi

E sullo sfondo, ma più spesso davanti c’è stato Pogacar. Ha attaccato. Ha vinto, gestito e dimostrato qualità di leadership fuori del comune. Ogni giorno ha confermato una normalità e un’educazione sbalorditive. Ha mostrato coraggio nel correre il Giro prima del Tour e insieme la determinazione feroce nel cercare di migliorare ancora. Si è aperto con i giornalisti, ammettendo anche dei piccoli momenti di difficoltà. Ha raccontato di sé. Ha dato spettacolo in tappe da campioni che altrimenti sarebbero state consegnate a velleità di rango inferiore.

Non ha corso al risparmio, come avrebbe potuto fare avendo in testa il Tour: gli sarebbe bastato gestire il vantaggio delle crono e correre sulle ruote. Non l’ha fatto. A quelli che l’hanno criticato e hanno criticato il suo Giro chiediamo il favore di chiudere per un istante gli occhi. Di rivedere tutti i momenti salienti di questo Giro e le sue vittorie. E poi, arrivati al podio di Roma, di riaprirli e immaginare che Pogacar sia italiano. Parlerebbero ancora allo stesso modo?

Il Grappa si inchina a sua maestà Tadej: il Giro 2024 è suo

25.05.2024
7 min
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BASSANO DEL GRAPPA – E’ tutto un tripudio rosa, nello sventolare di bandiere slovene che ricorda le scene di Monte Lussari. La sensazione è che Roglic ne avesse richiamate di più, forse per la vicinanza del confine, ma certo oggi il Monte Grappa ha offerto uno spettacolo di folla che raramente è capitato di vedere negli ultimi anni. Solo qualche tifoso troppo irruente ha rischiato di rovinargli la festa, ma alla fine Tadej dirà grazie anche per loro. Adesso sorride nel recinto alle spalle del palco. Regala un mazzo di fiori alla figlia di Alex Carera e uno alla sua compagna Urska. Il terzo prova a lanciarlo dall’altra parte della strada dove sono assiepati i tifosi, ma il tiro è corto e i fiori finiscono per terra. Ci pensa Joseba Elguezabal, il massaggiatore basco, a raccoglierlo e tirarlo oltre la transenna.

Ha attaccato quando davanti era rimasto solo Pellizzari ed è piombato su di lui come una furia. Fra i due si è creata una sorta di legame. Giulio era al Processo alla tappa e ne è uscito quando Pogacar è uscito sul palco per ricevere la maglia rosa. Il marchigiano si è fermato con la bici dietro la schiera dei fotografi e l’ha guardato. Tadej l’ha visto, ha sorriso e l’ha salutato con il pollice in alto. Lo stesso ha fatto Giulio, che poi si è diretto verso la sua gente.

Il Veneto risponde alla grande. Dopo la folla di Padova, ecco Ca’ del Poggio sulla via per Bassano
Il Veneto risponde alla grande. Dopo la folla di Padova, ecco Ca’ del Poggio sulla via per Bassano

Umile e cannibale

Matxin si avvicina e racconta che le cose sono andate come avevano previsto. Che la squadra è stata grande e che lavorare per uno come Pogacar rende tutti dei leoni. Dice che il piano di spendere il giusto per non arrivare vuoti al Tour ha dato ottimi frutti. Ogni giorno si faceva il punto su quanto si potesse spendere e le cose sono andate come nei piani. Sulla strada invece c’è ancora Majka, che come al solito ha dato l’ultima stoccata prima dell’attacco del capitano.

«Si faceva due volte il Monte Grappa – dice Rafal – voleva vincere. Con la bici rosa e tutto quel pubblico, lo capite. Con Pogacar è tutto bello. Io avevo già vinto la Vuelta con Contador, il Tour e adesso il Giro con lui, ma è la prima volta in vita mia che incontro un ragazzo così forte e umile. Più che un vincitore è un cannibale. Sono molto contento. Il Grappa è stato bellissimo. Quando siamo rimasti in tre o quattro corridori, mi ha detto di fare l’ultima accelerata, ma oggi tutta la UAE Emirates è andata fortissimo. Siamo partiti che pioveva, ma quando siamo arrivati qua c’era il sole. E’ stata una giornata perfetta. Non l’ho mai visto in difficoltà, per me al Tour arriverà ancora più forte. Sta crescendo, adesso recupera e poi sarà pronto per la Francia».

Questo è il momento dell’attacco: Majka dà tutto, sta per scattare l’attacco di Tadej
Questo è il momento dell’attacco: Majka dà tutto, sta per scattare l’attacco di Tadej

Tadej è rilassato e capiremo a breve che il giorno della crono era nervoso per davvero. Un attacco imprevisto di allergia lo ha preoccupato per diversi giorni. Poi col cambiamento del meteo le cose sono andate a posto e il risultato si è toccato con mano. Così adesso il Pogacar che ci troviamo davanti è sereno, felice, consapevole e in apparenza ancora fresco. Certo anche lui avrà fatto fatica e avrà avuto qualche preoccupazione, ma dando sempre la sensazione di essere in controllo. Ci fosse stato qualche avversario più solido, forse l’asticella sarebbe stata più alta.

E’ stato davvero tutto facile?

In un grande Giro non c’è mai niente di facile. Sono state tre settimane difficili, a cominciare da questo problema di allergia che a Napoli si è fatto più fastidioso e non se ne andava nemmeno con la pioggia. Non è stato tutto liscio, ma siamo arrivati fin qui con un buon margine sul secondo, per cui sono contento.

Per 18 chilometri senza soluzione di continuità: il pubblico del Grappa è stato una cornice eccezionale
Per 18 chilometri senza soluzione di continuità: il pubblico del Grappa è stato una cornice eccezionale
Difficile valutare le prestazioni senza i numeri: pensi di essere il miglior Pogacar visto finora?

Forse sì. Ho fatto un altro passo avanti, ma ogni anno è più difficile migliorare. Sono fortunato di poter ancora trovare qualche margine durante l’inverno. Sto ancora crescendo, invecchio, per cui adesso entra in gioco anche l’esperienza. Non posso dire tutto quello che ho fatto di diverso nella preparazione, ma è certo che qualcosa volevo cambiare.

Perché?

Con Inigo Sanmillan (suo preparatore fino al 2023, ndr) ci siamo lasciati in ottimi rapporti. L’allenamento con lui è stato molto positivo, ma a volte hai bisogno di un po’ di cambiamento di ritmo e di cose diverse. Un diverso metodo di lavoro. Per cui dopo cinque anni, ho voluto provare qualcosa di nuovo, anche giù dalla bici. Ho lavorato di più anche sul fisico e devo dire che è stato un bel cambiamento. Niente di troppo grande, ma sono soddisfatto del risultato e di come sono andati il mio inverno e la preparazione per le gare.

Non solo il bambino visto in tivù: Tadej ha regalato borracce anche ad altri
Non solo il bambino visto in tivù: Tadej ha regalato borracce anche ad altri
Adesso che è finito si può dire: sei mai stato in difficoltà durante il Giro?

Certo, è successo. Mi sono sentito a disagio molte volte. Sono state tre settimane di gare e ci sono molti momenti in cui ti senti a disagio sulla bici, fuori dalla bici. Hai problemi a dormire e cose del genere. E’ stata una corsa dura, ma devo dire che è stato uno dei migliori grandi Giri che abbia mai fatto nella mia carriera. Mi sono sentito benissimo con le gambe durante le tre settimane.

Potresti descrivere due momenti della tappa? Il primo, quando hai affiancato i compagni prima dell’attacco. Il secondo quando hai preso una borraccia e l’hai data a un bambino…

Sulla salita finale era impossibile parlare alla radio, perché nessuno sentiva niente a causa del baccano della gente. Quindi se vuoi comunicare, devi andare dai tuoi compagni di squadra e dire quello che vuoi dire. In quel momento volevo solo sapere come si sentissero, quanto ancora potessero spingere. Così avrei saputo dove prepararmi per attaccare e ho potuto pianificare gli ultimi chilometri. Invece quel ragazzo è stato davvero fortunato ad essere lì e correre accanto a me. Ho visto un uomo della mia squadra con la borraccia. L’ho presa e gliel’ho data. Penso di avergli rallegrato la giornata e forse non solo quella. Forse sarà una storia che racconterà per tutta la vita. Io comunque avevo ancora le borracce piene dalla cima della salita, perché in discesa non sono riuscito a bere.

Un arrivo e un inchino: nell’ultimo chilometro Tadej Pogacar ha ringraziato i tifosi che lo hanno accolto
Un arrivo e un inchino: nell’ultimo chilometro Tadej Pogacar ha ringraziato i tifosi che lo hanno accolto
Sei riuscito a finire il Giro con il serbatoio ancora pieno?

Il piano era sicuramente quello di finire il Giro con il morale alto, buone gambe e buona forma e penso di esserci riuscito. Sono felice di aver raggiunto questo obiettivo. Oggi è stata la prova finale in salita, per vedere se esco dal Giro con buone gambe e sono davvero soddisfatto della risposta che ho avuto dalle gambe.

Ci sono stati momenti di tensione con i tifosi?

Il Grappa è stato fantastico. Dal basso verso la cima, c’era un’atmosfera pazzesca. Davvero, davvero incredibile. Non potevamo nemmeno parlare alla radio, non si sentiva niente. Abbiamo pedalato così per 18 chilometri, c’era un sacco di gente. Qualcuno ha cercato di avvicinarsi troppo e ha provato a toccarmi. Qualcuno mi ha colpito in modo un po’ troppo energico, ma bisogna essere preparati anche per questo. Devi essere abbastanza stabile sulla bici per non cadere. Tutto sommato non è stato così male. A un certo punto c’era un ragazzo con una torcia in mano che mi correva accanto, forse un po’ troppo vicino. Ho avuto paura che mi bruciasse, ho sentito le scintille sul braccio. Ma dico anche che senza di loro non ci sarebbe stato questo spettacolo, per cui gli sono grato.

Il bacio a Urska, arrivata sul traguardo pochi minuti dopo il trionfo
Il bacio a Urska, arrivata sul traguardo pochi minuti dopo il trionfo

Nessun rimpianto

Il discorso va avanti fra le motivazioni per cui secondo lui gli sloveni brillano in così tanti sport. Poi con la domanda se ci tenesse ad arrivare con 10 minuti sul secondo, che Tadej ha rispedito al mittente dicendo che è bello vincere anche con un solo secondo di vantaggio. E a chi gli chiede se non aver preso la maglia rosa il primo giorno gli abbia rovinato la festa, risponde con le parole che chiudono degnamente questa sua giornata tutto rosa.

«Non ho rimpianti – sorride – penso che abbiamo corso davvero bene. Ci manca una sola cosa, provare a vincere domani a Roma con Molano. Se ci riusciamo, sarà un Giro più che perfetto. Ma se anche non si riuscisse, posso dice che è andato tutto alla grande, non ci sono stati brutti momenti. Sono felicissimo di come è andata, non potevo chiedere di meglio».

Per due ore Pellizzari ha fatto sognare gli italiani

25.05.2024
5 min
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BASSANO DEL GRAPPA – «Quando mi ha ripreso mi ha detto di mettermi a ruota. Io ci ho provato ma andava troppo forte e mancavano ancora tre chilometri alla vetta. Era una volata per me quel ritmo. Sono passato da 350 a 600 watt». Tadej Pogacar che riprende Giulio Pellizzari. E’ questa “la foto” di oggi e, forse, dell’intero Giro d’Italia. Di certo lo è per il marchigiano.

Era già successo sul Monte Pana che Pogacar rintuzzasse Pellizzari, ma stavolta questo recupero ha un valore gigantesco. Stavolta Pellizzari era in fuga da solo. Stavolta era una tappa lunga.

E in tutto ciò la folla impazzisce. Quella a bordo strada. Quella all’arrivo di Bassano e quella alla televisione.

Qualche attimo di stanchezza, ma un minuto dopo Pellizzari era già pronto per le interviste
Qualche attimo di stanchezza, ma un minuto dopo Pellizzari era già pronto per le interviste

Per sé e per la gente

Appena arriva, il corridore della VF Group-Bardiani si appoggia alle transenne. Si siede. Ha il fiatone, ma poco dopo è già pronto a raccontare. Un recupero impressionante. Aspetto non secondario. Vuol dire che sta bene.

Pellizzari è un fiume in piena di emozioni: «Volevo assolutamente prendere quel Gpm, perché volevo indossare la maglia blu a Roma domani, anche se non è mia. Non pensavo di aver guadagnato così tanto quando sono partito».

«Sull’ultima salita ho dato tutto. E forse ad un certo punto ci ho anche creduto. C’era tanta gente sulla strada che urlava il mio nome e mi diceva di crederci. “Vai che è tua”. Io facevo le corna! Ma quel tifo è servito. E’ stato come avere una gamba in più. Ero qui nel 2014 da bambino a vedere Quintana e oggi c’ero io: un’emozione assurda».

Lo spettacolo del Grappa. «Mio padre è di queste parti. Ci tenevo a fare bene per tutta questa gente»
Lo spettacolo del Grappa. «Mio padre è di queste parti. Ci tenevo a fare bene per tutta questa gente»

Sguardo avanti

Quel ragazzino, under 23 di primo anno, che incontrammo al Giro della Valle d’Aosta, guarda caso in lotta per la maglia dei Gpm, sembra lontanissimo. E invece è storia di appena due estati fa. Condividevamo l’albergo e ogni sera si parlava un po’. Ma in quanto a spontaneità è lo stesso.

«Tutto il Grappa – va avanti Giulio – è stata una grande emozione, poi quando ho visto Pogacar che potevo fare? Ho pensato solo ad andare a tutta e di provare a tenerlo ma lui andava troppo, troppo forte. Speravo solo di arrivargli il più vicino possibile. Probabilmente se non ci fosse stato Tadej ora avrei due vittorie al Giro».

Prima abbiamo accennato al recupero di Giulio, qualità fondamentale per chi punta ai grandi Giri. L’aver concluso bene il Giro, essere stato così protagonista nella terza settimana, dopo aver persino superato dei malanni, ha un significato gigantesco in ottica futura.

«Il mio Giro non era iniziato proprio nel modo che volevo – riprende il corridore – Qualcuno addirittura mi aveva detto che non ero pronto a questo e al salto nel WorldTour: io volevo solo dimostrare il contrario, quindi sono contento anche per questo.
«Questa mattina ho sentito Massimiliano Gentili (il suo diesse tra gli juniores, ndr) e lui mi ha detto: “Dimostra che al ventesimo giorno sei questo”».

Tonelli sta tagliando il traguardo, Pellizzari al Processo alla Tappa si volta e lo cerca con lo sguardo
Tonelli sta tagliando il traguardo, Pellizzari al Processo alla Tappa si volta e lo cerca con lo sguardo

Tonelli, che guida

Ma oggi è stata brava anche la sua squadra, come del resto per tutto il Giro. La VF Group-Bardiani ci ha sempre provato e verso Bassano sono riusciti ad imbastire un gioco di squadra tra i giganti. L’aiuto di Alessandro Tonelli è stato funzionale… e bello.

«Stamattina – ha raccontato Tonelli – l’idea era di portare Giulio in fuga con uno tra me, Fiorelli o Tarozzi. Poi invece sono entrato io e Giulio si è mosso solo al primo passaggio sul Grappa. Io sono rimasto davanti ma senza forzare troppo. Anche perché hanno preso la salita come se il traguardo fosse a lì a tre chilometri. Io mi sono gestito. Poi quando è uscito Giulio ho pensato solo ad aiutarlo.

«Certo, nello strappo in discesa è stato un po’ frenetico. Mi ha fatto spendere tanto, magari senza quello sforzo sarei riuscito ad aiutarlo un pelo di più dopo».

Tonelli non solo ha tirato, e si è preso l’Intergiro, ma ha pensato a Pellizzari anche dopo che lui lo avrebbe lasciato.

«Nel breve tratto in pianura tra i due Grappa gli ho detto di mangiare, d’idratarsi e soprattutto di gestirsi in salita, perché la scalata sarebbe durata un’ora. Per due terzi di salita Roberto (Reverberi, ndr) mi teneva aggiornato. Sentivo che Giulio teneva bene. Poi è uscito Pogacar. Ma si sapeva…».

Tonelli (qui al podio per l’Intergiro) e la squadra hanno dato a Pellizzari un ottimo supporto
Tonelli (qui al podio per l’Intergiro) e la squadra hanno dato a Pellizzari un ottimo supporto

Futuro Pellizzari

Il ciclismo può diventare tecnico e futuristico quanto vuole, ma il nocciolo resta questo: il ragazzo che attacca in salita. E’ l’emozione, il sogno.

E non si può non insistere sul coraggio di Pellizzari e su quella manciata scarsa di chilometri con Pogacar.

«Quando Tadej mi ha ripreso – continua il marchigiano – ho pensato proprio a lui l’anno scorso al Tour, quando andando in crisi disse: “I’m gone, I’m dead”. Pensavo a come oggi questa frase la dicano gli altri… ed anche io». 

Giulio Pellizzari (classe 2003) in azione sul Grappa. Alla fine ha chiuso 6° con il drappello dei big
Giulio Pellizzari (classe 2003) in azione sul Grappa. Alla fine ha chiuso 6° con il drappello dei big

E ora Roma

Il fatto di aver tenuto il ritmo dei migliori, stando già fuori da oltre un’ora, nel secondo passaggio sul Grappa non è una cosa banale.

«La resistenza – prosegue Pellizzari – è un po’ il mio punto di forza. Ho cercato di procedere con regolarità. L’ho scalato entrambe le volte con lo stesso ritmo. Il Grappa è davvero duro, ma è il tipo di salita che piace a me».

«Sono contento del mio Giro d’Italia. Tanti tifosi mi chiedevano una tappa, ma ora sono anche contento che sia finito perché sono veramente stanco».

Giulio Pellizzari alle 21:45, come tutta la carovana, volerà verso Roma. La valigia che caricherà sull’aereo conterrà un’esperienza in più… e ovviamente gli occhiali e la maglia rosa che Pogacar gli ha dato sul Monte Pana.

Ancora su Pellizzari, a botta calda con Roberto Reverberi

22.05.2024
5 min
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MONTE PANA – Non è bastata la notte a mandare via dalla testa le immagini di Giulio Pellizzari che sul Monte Pana sfiora la vittoria al Giro d’Italia. L’attacco, il recupero di Pogacar, lo sprint su Martinez. Il bimbo del Giro, il più giovane al via, che lotta coi grandi sulle grandi montagne: sogno o realta?

E la gioia era anche quella che veleggiava in casa VF Group-Bardiani. Da Roberto Reverberi agli altri ragazzi del team, anche quelli che erano a casa. E persino qualche rivale sorrideva. Pensate che mentre stavamo parlando con il manager e direttore sportivo emiliano, passavano altri diesse e si complimentavano con lui. Pellizzari ha saputo entusiasmare anche loro. Insomma, ci è voluto Pogacar per ripigliarlo!

Con Roberto Reverberi partiamo proprio dalle emozioni.

Anche grazie ai suggerimenti dell’ammiraglia, Pellizzari si è mosso bene con gli avversari. Qui era con Costiou
Anche grazie ai suggerimenti dell’ammiraglia, Pellizzari si è mosso bene con gli avversari. Qui era con Costiou
Roberto, ma che emozione è stata vederlo lottare quassù?

Bellissimo, davvero. Ed è stato bellissimo anche perché Giulio si è mosso bene. Con i tempi giusti.

Il suo attacco quindi era programmato?

Sì, abbiamo cercato di anticipare perché chiaramente con Pogacar c’è poco da fare. L’idea era di fargli prendere il tratto duro, quello finale del Monte Pana, il più adatto a lui, con più margine possibile. Nella fuga a quattro abbiamo cercato di farlo lavorare il giusto. Che fossero un po’ più gli altri a muoversi. Poi sul tratto duro li ha staccati. Sapevamo che poteva farlo. Ma poi è arrivato il fenomeno e… c’è stato poco da fare a quel punto.

Quando hai visto Pogacar che prendeva Pellizzari, un po’ ci hai pensato che gliela lasciasse?

Ci ho sperato a dire la verità, però erano ancora un po’ lontani dal traguardo. Magari se l’avesse preso a 200 metri dall’arrivo o anche ai 300 metri, forse gli avrebbe lasciato la vittoria. Forse. Tadej non aveva bisogno di guadagnare ancora terreno rispetto agli altri uomini di classifica – breve pausa – Sì, ci ho sperato. Però devo dire che è stata bellissima anche la scena.

Giulio Pellizzari (classe 2000) è il più giovane del Giro
Giulio Pellizzari (classe 2000) è il più giovane del Giro
A quale delle tante ti riferisci?

Ho visto dalla tv che si sono abbracciati. Pogacar gli ha regalato gli occhiali e anche la maglia rosa. Insomma, Giulio è un giovane di 20 anni, un corridore di belle speranze. E’ un ragazzo che ha grossi margini di miglioramento e queste tappe, queste prestazioni, non fanno altro che confermarlo e dargli fiducia.

Roberto, il Monte Pana veniva dopo il giorno di recupero, magari i corridori più esperti lo pagano di più dei più giovani, almeno così si dice. Questa è stata un’arma in più per Pellizzari?

Noi con il nostro staff medico (il dottor Maurizio Vicini che è seduto al suo fianco, ndr) cerchiamo di gestire i ragazzi al meglio anche nel giorno di riposo. Ci sono degli accorgimenti particolari per quanto riguarda la dieta, il riposo e l’integrazione affinché il giorno successivo possano avere le batterie cariche sin da subito. E hanno funzionato.

Pellizzari è stato molto brillante all’inizio del Giro, poi c’è stato un momento di flessione, avete mai preso in considerazione l’idea di fermarlo? Magari proprio ieri, secondo giorno di risposo… In fin dei conti è giovanissimo e nessuno si sarebbe scandalizzato.

Giulio ha passato un brutto momento soprattutto nella tappa nelle Marche. Un momento difficile io credo più di testa che di gambe (quello fisico c’è stato qualche giorno prima, ndr), perché era stato caricato di grosse aspettative. Era un po’ deluso, un po’ amareggiato perché pensava di fare chissà cosa e lì c’erano molte attese su di lui. Però poi quella sera abbiamo fatto una bella chiacchierata e piano piano si è ripreso. Gli servivano i giusti tempi di recupero. E questo è il risultato.

Smaltiti i postumi dell’antibiotico, il marchigiano ha ritrovato le forze
Smaltiti i postumi dell’antibiotico, il marchigiano ha ritrovato le forze
Qual è stato l’oggetto di questa chiacchierata?

Una chiacchierata semplice, la stessa che potrei fare con mio figlio che è poco più grande di lui. Ho pensato soprattutto a tranquillizzarlo. Il linguaggio, diciamo così, è quello più o meno.

Domanda opposta a quando ti abbiamo chiesto se avevate pensato al ritiro. Cosa significa invece fare queste prestazioni alla terza settimana? Perché è giusto andare avanti?

E’ un segnale molto importante. Pellizzari si sta, e lo stiamo, ben gestendo. Dopo la tappa dell’altro ieri, il Mottolino, durissima, Giulio ha recuperato bene. E anche quel giorno aveva attaccato da lontano. Il gruppo della fuga si era sfaldato presto, per cui Pellizzari e gli altri erano rimasti scoperti per troppo tempo. Anche per questo non abbiamo ottenuto quello che volevamo. Che poi sarebbe cambiato poco, perché con un Pogacar così c’è poco da fare. Però, una volta che è stato ripreso, Giulio ha continuato piano, piano.

Pellizzari è passato con Roberto Reverberi direttamente dagli juniores nel 2022, a 19 anni (foto VF Group-Bardiani)
Pellizzari è passato con Roberto Reverberi direttamente dagli juniores nel 2022, a 19 anni (foto VF Group-Bardiani)
In effetti ha perso moltissimo, in pratica un minuto a chilometro, giustamente…

Esatto. Si è gestito bene. Come ho già detto: secondo me ha grossi margini di miglioramento, è ancora un ragazzino.

Cosa gli dicevi e cosa vi chiedeva per radio verso il Monte Pana?

Lui non chiedeva niente, siamo stati noi che lo incitavamo tutto il tempo. Gli abbiamo consigliato cosa fare con gli avversari… Poi gli ho detto: “Arriva Pogacar. Arriva, cerca di tenerlo il più possibile”. Se non altro perché gli altri non lo avrebbero più preso… mica perché doveva stare con lui! E poi devo dire che ha fatto anche una bella volata contro Martinez. Insomma, è un bel viatico per un ragazzo così. E stasera (ieri, ndr) siamo tutti contenti.

Voleva ritirarsi, per poco vinceva: Pellizzari ricomincia da qui

21.05.2024
7 min
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MONTE PANA – Quando si capisce che Pogacar l’ha messo nel mirino, le speranze che Giulio Pellizzari vinca la tappa si riducono al minimo. Per la logica secondo cui è giusto che la maglia rosa vinca quando può, non possiamo che toglierci il cappello. Ma in questa giornata nata male e finita meteorologicamente non troppo meglio, la resurrezione del marchigiano del VF Group-Bardiani è la conferma di un talento che cresce e si affaccia sulla terza settimana con la testa alta e lo sguardo fiero. Il gruppo ha raggiunto il traguardo dopo una tappa accorciata a causa della neve che ha bloccato i grandi passi e che dopo un po’ ha iniziato a fioccare anche su Livigno. La decisione di lasciare la Valtellina percorrendo la galleria La Schera era l’unica da prendere, senza il tentennare che ancora una volta ha trascinato il Giro in una dimensione che non merita. «Noi siamo pronti – ha detto Pogacar prima di prendere il via – non so se lo è anche l’organizzazione».

Altri atleti hanno scritto parole di troppo, ma è stato imbarazzante dover attendere l’orario della partenza senza alcun aggiornamento e trovarsi poi davanti alla proposta di fare una sfilata per Livigno sotto la neve. Bene hanno fatto i corridori a rifiutare, non avrebbe avuto alcun senso, se non essere riconoscenti all’Amministrazione cittadina che ha pagato anche per una partenza che di fatto non c’è stata.

Un’ombra rosa

Pellizzari esce dalla tenda in cui si è riparato Pogacar con una mantellina rosa e gli occhiali dello sloveno in una mano. Tossisce. Si piega sulla bici accanto alla transenna. Poi quando riconosce la voce, si solleva, sorride e stringe la mano. Voleva ritirarsi, stava per vincere. Solo che a un certo punto si è voltato e ha visto arrivare Pogacar. Cosa hai pensato, Giulio, in quel momento?

«Bastardo! Ancora?», poi fa una risata a sottolineare l’ironia e la rassegnazione contenute nella parola. Qualcosa del genere gli era già successo a Torino, ma se tutti sapessero quello che ha passato per arrivare sin qui, forse anche per loro questo secondo posto avrebbe il sapore della vittoria.

L’azione di Pellizzari è stata esplosiva e in crescendo: il marchigiano ha recuperato
L’azione di Pellizzari è stata esplosiva e in crescendo: il marchigiano ha recuperato

La forza giusta

Il giorno di riposo ha fatto il miracolo, coronando un recupero per certi versi insperato. Si era pensato che fosse meglio fermarlo per evitare che la fatica fosse superiore ai suoi mezzi, invece il giorno senza corsa a Livigno ha completato la sua risalita.

«Ieri stavo molto bene – racconta mentre continua a piovere – infatti la mia paura era che oggi non stessi come ieri, però sono contento. Sentivo di avere la forza giusta ed è bello esserci riuscito all’inizio della terza settimana. Cinque giorni fa ero a casa più che in gara. Ho avuto tosse, raffreddore, mal di gola e… Ero più di là che di qua, però grazie alla mia famiglia, a Massimiliano Gentili, a Leonardo Piepoli e alla mia fidanzata Andrea, sono rimasto e oggi non ho vinto, però va bene così».

Per un po’ si è riformata la coppia Alaphilippe-Maestri, ma presto il francese è rimasto da solo
Per un po’ si è riformata la coppia Alaphilippe-Maestri, ma presto il francese è rimasto da solo

Un secondo padre

Se lo conosciamo, pensiamo, Massimiliano Gentili sarà da qualche parte da solo a piangere. Così dopo aver parlato con Pellizzari e prima di iniziare a scrivere questo articolo, pensiamo di chiamarlo.

«Sono fermo in autostrada – conferma l’umbro con la voce ancora scossa – è una giornata che mi ricorderò per sempre. Ero a Bologna per un intervento al ginocchio di mia figlia e avevo addosso la tensione per questo e per tutto quello che abbiamo fatto nei giorni scorsi con Giulio. Ha detto che mi dedica questa tappa che per me è come una vittoria e questo mi commuove. Mi sono fermato per vederlo.

«Giulio è il mio orgoglio da quando è un bambino, da quando ho smesso di correre e ha dato un senso agli anni dopo la carriera da corridore. L’ho visto, l’ho capito e gli ho promesso che lo avrei portato dov’è ora. E’ un figlio che condivido col suo vero padre e posso dire che arrivare sin qui non è stato semplice».

Scaroni anche oggi all’attacco, ha chiuso al quarto posto
Scaroni anche oggi all’attacco, ha chiuso al quarto posto

Antibiotici al Giro

Abbiamo fatto bene a chiamarlo, pensiamo. E con l’ex professionista umbro ci avventuriamo nelle disavventure di Pellizzari che hanno rischiato di farlo andare via dal Giro e la sua spiegazione è davvero illuminante.

«Prima ha avuto problemi di stomaco – dice – poi deve aver preso freddo dopo la crono, perché andando verso Napoli ha cominciato ad avere raffreddore e mal di gola. La sera mi chiamava e mi diceva: “Sono vuoto come un calzino”. Allora mi sono sentito con Leonardo Piepoli, che lo allena, e abbiamo deciso di rischiare gli antibiotici durante il Giro. Gli ho detto di tenere duro, perché una volta che li avesse finiti e poi smaltiti, avrebbe potuto fare il Giro che avevamo sempre sognato. Li ha finiti a Francavilla ed era distrutto. Aveva visto andare via Uijtdebroeks, voleva mollare. E allora gli ho detto di non farlo, di non andare via dal Giro con il rimpianto di averlo abbandonato. Di non fare come me quando mi sono ritirato senza lottare. “Deve uscire fuori il corridore che sei”.

«Giulio nasce per la terza settimana. Ha 20 anni, è ancora immaturo per certi ritmi, ma geneticamente è predisposto per queste cose. Il nostro è un film, anche se io non posso apparire. Però mi piace che parli sempre al plurale. E domani sono certo che andrà ancora in fuga e anche dopo. Restano tre tappe di montagna, non le lascerà passare a vuoto. Era già andato bene sul Mortirolo ed è stato intelligente a farsi riprendere, ma oggi ho visto il suo colpo di pedale…».

La maglia e gli occhiali

La magia di quello che è successo sotto la tenda è immortalata da un meraviglioso video su Instagram girato da Gabriele Reverberi. Pellizzari è entrato e si è parato al cospetto di Pogacar. Gli ha chiesto gli occhiali e la maglia rosa e Tadej, con un sorriso stupendo e stupito, gli ha passato i primi e si è sfilato la seconda. Poi, dopo che Giulio gli ha poggiato la mano sul casco, i due si sono abbracciati. Se non ci fosse stato dietro Martinez, magari Pogacar non avrebbe accelerato. Ma tutto sommato la vittoria, quando arriverà, sarà vera e avrà un sapore ancora più dolce.

«Ieri mi ha scritto mio fratello – dice – e mi ha detto di trovare il modo per rimediare gli occhiali di Pogacar. Così sono entrato e glieli ho chiesti e lui mi ha dato anche la maglia rosa. Gli auguro tutto il meglio, è il migliore della storia».

Quindi si continua? «Si continua? Scherzi? Il mio Giro è appena cominciato!».