Algeri, lo sguardo del saggio sul ciclismo di oggi

26.12.2024
5 min
Salva

A 71 anni Vittorio Algeri è uno dei saggi del ciclismo contemporaneo. Non tanto per l’età, ormai un concetto piuttosto aleatorio, quanto per la sua esperienza e per l’occhio che da essa trae per guardare il mondo che lo circonda. Nato a Torre de’ Roveri, seguendo le orme del fratello Pietro ha vissuto tante fasi, da quella del ciclismo per gioco alle corse dilettantistiche fino al sogno olimpico solo sfiorato a Montreal 1976 (nell’edizione dell’argento di Giuseppe Martinelli), il grande rammarico della sua vita, più di tutte le gare professionistiche affrontate. Poi la vita da diesse, pilotando verso grandi traguardi gente come Bugno e Bortolami, con cui ha condiviso il trionfo al Fiandre 2001.

Nel team australiano il lombardo è spesso nella seconda ammiraglia, ma è molto ascoltato dai colleghi
Nel team australiano il lombardo è spesso nella seconda ammiraglia, ma è molto ascoltato dai colleghi

Oggi Algeri è alla Jayco AlUla. E’ ancora diesse, i suoi colleghi lo guardano quasi con deferenza anche se per sua scelta raramente sale sulla prima ammiraglia.

«Preferisco dedicarmi a tutti quei compiti – e sono tanti – che sono necessari per la vita di un team, partendo dall’organizzazione dei viaggi e dalla logistica passando per lo studio dei percorsi. Il ciclismo è cambiato molto da quando ho iniziato, ad esempio allora la lingua più diffusa era il francese, ora l’inglese che io non parlo bene».

Quando iniziasti a fare il direttore sportivo com’era?

Tutto diverso, in base ai numeri. Eravamo un paio per squadra, ma dovevamo gestire gruppi molto più ristretti, non si arrivava a 15. Oggi sono il doppio e io ho più di una decina di colleghi. Ma d’altronde non si potrebbe fare altrimenti. Il ciclismo è molto diverso ora, i corridori fanno vita a sé, hanno più relazioni con figure come preparatori, nutrizionisti, una serie di professionisti che ai tempi non erano così diffusi. Molti corridori li incontro raramente, è difficile così sviluppare un rapporto umano.

Algeri ha iniziato la carriera da diesse nel 1988 alla Chateau d’Ax. E’ alla Jayco dal 2012
Algeri ha iniziato la carriera da diesse nel 1988 alla Chateau d’Ax. E’ alla Jayco dal 2012
Prima invece?

Allora stavi vicino ai corridori, nei ritiri prestagionali e durante la stagione. C’era un interscambio continuo, c’era modo di trasmettere qualcosa, le proprie esperienze, confrontarsi. Oggi contano solo i numeri, la potenza, è un discorso fisico prima ancora che strategico, invece il ciclismo è fatto anche di fantasia, di invenzioni.

Non rimpiangi un po’ i tempi dei tuoi esordi da diesse, quando c’era una stragrande maggioranza di squadre italiane?

Altroché, ne avevamo anche 14, l’epicentro del ciclismo era da noi. Ma era un’altra epoca, giravano altre cifre. I soldi hanno cambiato tutto. Oggi tenere una squadra professionistica costa svariati milioni anche perché sono vere e proprie imprese con oltre un centinaio di dipendenti. Da noi ci sono addirittura più di 170 persone a libro paga. Ai tempi era inconcepibile. Noi avevamo due diesse, due meccanici, un medico e finiva lì…

Nel team Jayco-AlUla ci sono 3 italiani in una squadra quanto mai internazionale, con 14 Nazioni
Nel team Jayco-AlUla ci sono 3 italiani in una squadra quanto mai internazionale, con 14 Nazioni
Ma ti diverti?

Meno, anche se il ciclismo resta sempre la mia passione, ha contraddistinto quasi tutti i miei 71 anni considerando che i miei primi ricordi sono legati proprio alle due ruote, a quando giravo per la fattoria della mia famiglia con la mia piccola bici già senza rotelle. Il fatto è che il ciclismo di oggi è più asettico, ma anche più frastornante: noi facciamo anche tripla attività in contemporanea. In questo la tecnologia aiuta molto.

Prima parlavi delle figure professionali affiancate alla vostra attività. Un vecchio saggio come te come le vede?

Hanno cambiato molto, ma non si può negare che per molti versi abbiano contribuito alla crescita del ciclismo insieme ad altri fattori, come quelli tecnici, dei materiali. E’ un’altra epoca e la preparazione degli allenatori svolge un ruolo molto importante. I corridori sono molto legati a loro e non potrebbe essere altrimenti perché il livello delle prestazioni si è alzato sensibilmente. Noi abbiamo riunioni online tutte le settimane, praticamente appena finita una stagione si è già al lavoro per la successiva.

Filippo Zana è uno dei talenti italiani del team. Per Algeri la strada per i nostri, senza un team di riferimento, è più dura
Filippo Zana è uno dei talenti italiani del team. Per Algeri la strada per i nostri, senza un team di riferimento, è più dura
E i corridori li vedi diversi?

Sì, per me anche un po’ troppo schiavi dei numeri, della preparazione, della routine. Ci mettono un’energia fisica ma ancor più mentale che è superiore a quella che mettevamo noi e temo che tutto ciò avrà un costo di logorio precoce. I corridori devono seguire una marea di dettami, manca loro quel guizzo che tante volte cambiava le sorti di una corsa.

A chi sei rimasto più legato nella tua carriera?

Bugno ad esempio, è stato con me 5 anni e non era un personaggio facile, era difficile legare, per certe cose era quasi un precursore del ciclismo di oggi. Ma anche Bortolami, indimenticabile quella giornata belga, oppure Leblanc o il povero Rebellin. Lo stesso Gianetti, un grande corridore, un uomo squadra. Ecco, lui trasmette quel che ha imparato nel suo nuovo lavoro.

La vittoria di Bortolami al Fiandre 2001, per Algeri la più grande soddisfazione vissuta da diesse
La vittoria di Bortolami al Fiandre 2001, per Algeri la più grande soddisfazione vissuta da diesse
Il rischio è che dai corridori di oggi usciranno diesse di domani con meno capacità empatiche…

E’ vero, ma già adesso questa figura è cambiata, molto professionale. Sono tutti colleghi, pochi fra loro sono amici se si capisce quel che intendo. Manca una componente importante: anche nella costruzione di un treno per le volate, non potrà mai funzionare appieno se non si svilupperà un rapporto stretto fra i suoi componenti.

Tanti ragazzi non approdano al ciclismo professionistico pur avendo valori, capacità. E’ qualcosa che ti preoccupa?

Non tanto, perché la selezione naturale c’è sempre stata. Come diceva la canzone “uno su mille ce la fa” ma è sempre stato così. Certo, i posti sono pochi e si vanno a cercare talenti sempre più giovani, ma è questo il trend di oggi e bisogna adeguarsi, dobbiamo farlo innanzitutto noi italiani che non abbiamo un team di riferimento. Intanto però dovremmo imparare a far crescere i ragazzi senza schiacciarli dalla pressione del risultato, che conta ma non è tutto e qui lo sappiamo bene.

Da un Bortolami all’altro, ma Julian punta alla pista

22.08.2024
4 min
Salva

Nella delegazione azzurra che da ieri è impegnata a Luoyang nei mondiali juniores su pista, c’è anche un figlio d’arte: Julian Bortolami figlio di Gianluca che era una delle colonne portanti di quella Mapei che dominava nelle classiche e che ora agisce da direttore sportivo alla Pool Cantù dove peraltro corre suo figlio. Julian è uno dei tanti ragazzi che fa la doppia attività abbinando pista e strada e finora i suoi risultati migliori sono venuti dal velodromo.

Si potrebbe pensare che la sua propensione per le prove al chiuso siano qualcosa che va in controtendenza rispetto alla tradizione familiare ma non è così: «Anche papà faceva attività su pista ma pochi lo ricordano, perché l’ha fatta da giovanissimo, quando era ancora lontano dal passare professionista. Ma quell’attività gli è sempre piaciuta e me l’ha raccomandata perché utilissima anche per chi fa strada»

Il podio della corsa a punti europea con Bortolami 2° dietro Fugger (AUT)
Il podio della corsa a punti europea con Bortolami 2° dietro Fugger (AUT)
Quanto ha influito l’esperienza di tuo padre nel farti scegliere quest’attività?

Un po’, vedendo le sue gare. Ero troppo piccolo per potermi ricordare quando correva lui, ma attraverso Youtube e altri social ho visto di che cosa era capace e quello che ha combinato. Lui però non mi ha mai forzato, anzi, ha lasciato che ogni decisione fosse autonoma. Ho iniziato da G4, poi pian piano la passione ha preso il sopravvento e così ho continuato.

E quando hai iniziato su pista?

Da esordiente 1° anno. Sinceramente le prime volte non è che mi piacesse molto, ma poi mi ha preso sempre di più. Devo dire che sull’anello mi diverto molto, anche più che su strada, in particolar modo nella corsa a punti che è la mia preferita e dove ho conquistato l’argento agli ultimi europei.

L’abbraccio di Julian a papà Bortolami, vincitore della Coppa del mondo 1994 e del Fiandre 2001
L’abbraccio di Julian a papà Bortolami, vincitore della Coppa del mondo 1994 e del Fiandre 2001
Su strada invece che tipo di corridore sei, ricordi tuo padre?

Per certi versi sì, anch’io sono impostato come un passista. Non sono molto veloce, ma sulle salite tengo il ritmo abbastanza agevolmente. Cerco spesso le fughe, sia quelle da lontano che provando il colpo di mano negli ultimi chilometri. Da quel che ho visto, era un po’ il modo di correre di papà, ma a ben altri livelli.

Tuo padre ti segue, ti consiglia?

Certe volte capita che il direttore sportivo delle gare dove corro sia lui, ma non fa assolutamente differenza fra me e gli altri. Mi lascia abbastanza libero, l’unica cosa sulla quale batte sempre è usare la testa prima ancora che le gambe, perché le corse si giocano innanzitutto dal punto di vista tattico ed è su quello che bisogna lavorare.

Julian Bortolami ha iniziato a vincere molto presto, qui al Criterium Riva Logistica 2021 (foto Soncini)
Julian Bortolami ha iniziato a vincere molto presto, qui al Criterium Riva Logistica 2021 (foto Soncini)
Come giudichi la tua stagione?

Non ho corso molto, quest’anno ho privilegiato più la pista dovendo preparare le prove titolate. Avevo anche iniziato bene con qualche piazzamento, ma in generale non posso dire di essere molto soddisfatto. Sono arrivati buoni risultati soprattutto dalle prove di cronosquadre, a dimostrazione che sul passo posso dire la mia ed essere di aiuto, ma avrei voluto qualcosa di più, pur essendo solo al primo anno.

Per i mondiali che aspettative hai?

E’ chiaro che dopo quanto è avvenuto nella rassegna continentale punto a ripetermi nella corsa a punti, poi si vedrà quali specialità il cittì Salvoldi vorrà farmi fare. Io comunque sono partito per la Cina con tante speranze, staremo a vedere che cosa ne uscirà fuori ma sono ottimista.

La volata che regalò a Gianluca Bortolami il Fiandre 2001, su Dekker e Zanette
La volata che regalò a Gianluca Bortolami il Fiandre 2001, su Dekker e Zanette
Hai un sogno messo da parte, magari più relativo alla strada?

Vorrei innanzitutto compiere tutto il tragitto e quindi diventare professionista, poi avere la possibilità di vincere una grande classica. Il mio sogno è il Giro delle Fiandre, fare quel che fece mio padre nel 2001. Sarebbe davvero un gran colpaccio…

Il GB Junior Women diventa continental e sogna il Giro Donne

10.11.2022
6 min
Salva

Un assaggio di internazionalità il GB Junior Team Women ce lo ha avuto qualche settimana fa quando Giulia Giuliani ha corso in Argentina con la maglia della nazionale. Dal 2023 però la formazione nero-arancio potrà sedersi al tavolo dei grandi quasi sempre grazie all’acquisizione della licenza UCI e del titolo “continental”.

Un salto di categoria importante per la squadra piemontese (di affiliazione) che avrà una mission ben precisa. E così abbiamo fatto un colpo di telefono al team manager Massimo Ruffilli per scoprire meglio cosa bolle in pentola tra attività e programmi per l’anno prossimo.

Le strade bianche del GP Valle del Ticino, gara open organizzata dal GB Junior Team (foto facebook)
Le strade bianche del GP Valle del Ticino, gara open organizzata dal GB Junior Team (foto facebook)
Massimo facciamo una breve introduzione della squadra.

Siamo la sezione femminile della GB Junior Team Pool Cantù di Bortolami. Siamo nate nel 2021 come formazione under ed elite mantenendo un calendario nazionale. Quest’anno eravamo otto elite e tre junior e spesso alle gare open andavamo al completo. In queste due stagioni siamo riusciti a vincere tre-quattro corse e a cogliere piazzamenti che rispecchiano la nostra filosofia.

Quindi un bel gruppo…

Abbiamo sempre avuto ragazze molto giovani ed interessanti. Su tutte senza dubbio c’è Giulia (Giuliani, ndr) ma alcune di loro arrivano da altre discipline. Sylvie Truc che è stata azzurra agli europei giovanili di MTB oltre ad essere stata campionessa italiana di MTB da esordiente ed allieva. Oppure come Vittoria Ruffilli che ha fatto triathlon fino a qualche anno fa. Noi abbiamo sempre scelto l’atleta o la persona, non i suoi risultati.

Ci racconti invece com’è nato il progetto di diventare continental?

La decisione è stata quella di dare un premio alla crescita delle nostre ragazze. Con Gianluca (Bortolami, ndr) siamo amici fin da bambini e gli ho proposto di fare lo step successivo. Ha appoggiato la mia idea purché continuassimo noi ad occuparcene, visto che tutto ciò comporta un maggior dispendio di energie. Gli ho risposto che sarebbe stato così. D’altronde noi siamo una squadra atipica. A parte il prezioso sostegno degli sponsor, di fatto siamo quattro genitori che investono su giovani ragazze che scegliamo comunque con dei nostri criteri. A noi interessano corridori che vogliano fare le prime esperienze. Vogliamo creare dei corridori. Diventando continental vogliamo dare alle nostre ragazze un’anteprima di visibilità su certi palcoscenici, sperando che poi li possano calcare sempre di più in futuro.

Questa annata invece com’è stata?

Diciamo in chiaro-scuro. A maggio Giuliani è stata sfortunata al Giro di Campania perché è caduta a 500 metri dal traguardo nella tappa decisiva. Alla fine ha chiuso terza nella generale ma per me avrebbe potuto vincere tranquillamente la corsa. Da giugno abbiamo avuto l’inserimento di Cipriani che ha vinto subito a Comeana e ha proseguito cogliendo tanti piazzamenti davanti. Alla fine il bilancio è comunque positivo perché abbiamo avuto soddisfazioni da tante nostre ragazze. Borello è stata convocata nella nazionale di gravel e Giuliani è stata chiamata dal cittì Sangalli.

Quest’ultima con Giuliani è stata la ciliegina sulla torta per voi?

Credo che vestire la maglia azzurra sia sempre un lusso. Per la ragazza ma anche per la sua società. Specie per noi che siamo piccoli e senza licenza UCI. Con Paolo eravamo già in contatto da inizio anno, sapevo che la teneva sotto osservazione. Giulia è una buonissima atleta con tante altre valide caratteristiche. Sa comportarsi bene nei vari ambienti, peculiarità cui noi facciamo molto caso, così come credo lo faccia anche lo staff della nazionale. La sua chiamata alla Vuelta a Formosa secondo me non è stata fine a se stessa. Mi sentirei di dire che Giulia ormai faccia parte del giro azzurro.

Sarà lei quindi il faro della vostra squadra l’anno prossimo?

Sì, ma senza metterle pressione addosso. Giulia sono due anni che è richiesta da team più blasonati del nostro ma ha deciso di restare con noi proprio per continuare nel suo processo di crescita. Naturalmente lei sa che dovrà continuare a lavorare e migliorare e che non avrà troppi privilegi. Ha ancora vent’anni e deve ancora temprarsi. Quando avrà fatto la scorza giusta saremo noi che la proporremo alle altre squadre. Però conto molto anche sulle sue compagne. Partiranno tutte alla pari perché sono convinto che possano ben figurare tutte quante.

La squadra del 2023 come sarà strutturata?

A parte Giulia, abbiamo confermato Truc, Rossetti, Garavaglia, Ruffilli e arriverà Sernissi dal Vaiano che, seppur sia giovane, ha già una discreta esperienza internazionale. Passa elite la nostra junior Rebecca Rigamonti. E sempre dalle junior abbiamo preso Chiara Sacchi dalla Vo2 Team Pink e Giulia Miotto dal Breganze Millenium.

E i diesse?

Saranno Enrico Giuliani e Sabrina Morelli, mentre Elena Valli è nel quadro societario e ci darà una mano all’occorrenza. Abbiamo introdotto la figura del nutrizionista. Ce lo hanno richiesto le ragazze stesse vedendo che le loro avversarie alle gare seguivano certe tabelle alimentari. Ogni ragazza si affiderà al suo nutrizionista di fiducia, così come per il preparatore atletico. Naturalmente entrambi si rapporteranno fra loro e con noi per fissare gli obiettivi di ogni singola atleta. Infine abbiamo raggiunto un accordo con De Rosa e correremo con le loro bici.

Che calendario farete?

Entriamo in punta di piedi in un ambiente che non è il nostro. Manterremo l’impegno nelle gare open, cercando di andarci con un atteggiamento psico-fisico di costante miglioramento. L’estero lo faremo a spizzichi e bocconi, valuteremo durante il corso della stagione. Intanto abbiamo fatto richiesta di partecipare alla Vuelta Valenciana a febbraio.

E il Giro Donne lo farà il GB Junior Team?

Solitamente tutte i team italiani continental sono al via senza grossi problemi però ho già parlato con chi di dovere perché ci tengano in considerazione. Noi vogliamo correre il Giro Donne. Non solo, vogliamo farci vedere e farci conoscere ancora meglio.

Da Museeuw a Remco, quanta pressione sui campioni belgi

15.09.2022
7 min
Salva

Remco Evenepoel ha vinto la Vuelta e con questo successo è stato il primo corridore “di Bruxelles” a riportare un grande Giro in patria dopo 44 anni. L’ultimo fu il Giro d’Italia del 1978 di De Muynck. E se su Remco c’era già una grande attenzione mediatica, adesso tutto si è amplificato. La pressione è maggiore.

Le attenzioni (già alte) sono aumentate a dismisura su di lui. Appena un giorno dopo aver vestito la maglia rossa a Madrid sono apparsi titoli come “Si è fatta la storia”. O sono divampate le attese su cosa farà al mondiale: “Ieri è atterrato in Australia”. Ci si chiedeva quale grande Giro correrà il prossimo anno e se può vincere un Tour. Senza parlare della vita privata…

Fatto questo preambolo abbiamo chiesto a due personaggi che in Belgio non solo ci sono stati, ma hanno anche vinto. E ci sono stati in un periodo storico a dir poco florido, la metà degli anni ’90. Parliamo di Serge Parsani, direttore sportivo della Mapei, e di Gianluca Bortolami, che di quella super corazzata era un corridore. Entrambi sono stati al fianco di un certo Johan Museeuw, che prendiamo come esempio.

La stampa belga ha atteso l’arrivo di Evenepoel in Australia. Per la crono iridata già si chiedono chi possa batterlo (foto Instagram)
La stampa belga ha atteso l’arrivo di Evenepoel in Australia. Per la crono iridata già si chiedono chi possa batterlo (foto Instagram)

Parla Parsani

Certo da allora le cose sono cambiate un bel po’ e lo vedremo da quanto ci hanno detto. Decisiva è stata la spinta dei social e delle informazioni online, ma l’attenzione verso il ciclismo è sempre stata forte, fortissima in Belgio.

«Personalmente – dice Parsani – non è stato troppo difficile per me inserirmi in quel contesto. Io avevo iniziato a seguire i belgi già ai tempi della Gb-Mg e con me già c’era Museeuw. Eravamo una squadra italiana che aveva anche sponsor belgi e così mi sono ritrovato con corridori importanti e una struttura belga lassù: per questo è stato “facile”. Abbiamo raccolto molto con Mapei, Asics e poi con quello che è divenuto il gruppo della Quick-Step».

Parsani è rimasto nel gruppo di Lefevere e ha guidato campioni come Museeuw, Van Petegem, Boonen, Bettini
Parsani è rimasto nel gruppo di Lefevere e ha guidato campioni come Museeuw, Van Petegem, Boonen, Bettini

Primi addetti stampa

Da questa evoluzione si capisce anche il perché una squadra come la Quick Step sia così forte lassù.

«Come gestivamo la pressione intorno a Museeuw? Anche questo aspetto era facile. Prima di tutto siamo stati tra i primi ad avere un addetto stampa (Alessandro Tegner che ancora fa parte del gruppo di Lefevere, ndr), ma poi erano diversi i tempi.

«La stampa ci stava addosso, ma sempre con rispetto. In Belgio poi c’è un’altra mentalità e c’era riconoscenza per questo sport molto popolare. E non c’era solo Museeuw, avevamo anche gente come Peeters, Steels… i nostri corridori si alternavano sulle prime pagine. Non dovevamo proteggerli per così dire. E loro erano contenti  dell’interesse della stampa. E se individuavamo qualche giornalista che era più intento a cercare lo scandalo che a parlare di ciclismo… cercavamo di tenerlo lontano.

«Johan aveva la consapevolezza del leader, sapeva prendersi le sue responsabilità. Quando preparava la campagna del nord se non vinceva ci andava vicino e mi aiutava anche a gestire il gruppo in tutti gli aspetti.

«C’è poi un’altra cosa da considerare. In quei tempi i pretendenti alle grandi corse erano 5-6 e ci sta che alla fine si seguissero sempre gli stessi nomi. Non è come oggi che un “semi-sconosciuto” può vincere un monumento. Penso per esempio Van Baarle che vince la Roubaix o allo stesso Bettiol che ha conquistato un Fiandre senza essere tra i favoriti. Oggi sono tantissimi i corridori che possono vincere». Come a dire che la pressione è divisa su più atleti e in teoria incide meno sul singolo.

A Livigno Remco ha vissuto con la squadra solo in parte. Protezione e pressione al tempo stesso
A Livigno Remco ha vissuto con la squadra solo in parte. Protezione e pressione al tempo stesso

Modello Quick Step

Secondo Serge Parsani non sarà difficile gestire Remco anche dal punto di vista delle pressioni, specie quelle mediatiche. E ci spiega perché.

«Personalmente – riprende il tecnico – non conosco il ragazzo, ma parlando ogni tanto con Bramati, mi dice di un ragazzo con i piedi per terra, molto serio per la sua età.

«Certo, sicuramente sarà più difficile che allora ma è pur sempre in un team importante e poi Lefevere è una volpe e saprà come gestire la situazione. Fece così anche con Boonen. Di certo saprà proteggerlo dalle richieste di sponsor, feste, premiazioni… dovrebbe aiutarlo».

Roubaix 1996: il mitico arrivo in parata della Mapei con (nell’ordine): Museeuw, Bortolami e Tafi
Roubaix 1996: il mitico arrivo in parata della Mapei con (nell’ordine): Museeuw, Bortolami e Tafi

Il punto di Bortolami

E se questo è il punto di vista del direttore sportivo, sentiamo anche quello del corridore. Bortolami fece parte di quel mitico arrivo in parata nel velodromo di Roubaix proprio con Museeuw in testa.

«All’inizio – racconta Bortolami – eravamo solo Mapei Italia, poi Mapei Clas che era italo-spagnola e poi Mapei-Gb ed è lì che si è evoluta la situazione. Eravamo tre squadre, ma posso dire che mi sono trovato meglio con il gruppo belga, per così dire, con Museeuw e con il resto. C’era una buona affinità tra noi ragazzi e con lo staff dirigenziale.

«Facevo parte del terzetto entrato nel velodromo. Finimmo sui giornali e in tv per la questione del disaccordo. Un disaccordo sportivo perché tutti e tre volevamo vincere. Poi ci siamo accordati e per noi era finita lì. Tanto che negli anni a seguire mi sono trovato meglio quando avevo come compagni Museeuw, Ballerini, Tafi, Van Petegem… che quando ero capitano unico in un altra squadra».

Lo scorso anno al mondiale di Leuven fummo colpiti dalla gente che da ogni angolo del Belgio venne per tifare Van Aert sin dalla sera prima
Lo scorso anno a Leuven, folla ogni angolo del Belgio per tifare Van Aert sin dalla sera prima

Cultura ciclistica

Bortolami racconta che i giornalisti e i media già all’epoca erano molto presenti, ma conferma anche le parole di Parsani: i giornalisti c’erano ma con discrezione. E la stampa non era solo belga, ma anche italiana, spagnola e francese.

«Noi inoltre – riprende Bortolami – avevamo un addetto stampa che coordinava il tutto e riuscivamo a circoscrivere le richieste, come fanno oggi i team importanti. Il fatto che la stampa belga fosse accanita e partecipe è vero ma, ripeto, sempre con rispetto. E in Belgio oltre al calcio il ciclismo è sentito. 

«Non credo che rispetto al passato ci siano enormi differenze, almeno in Belgio. Anche perché loro rispetto a noi hanno sempre avuto squadre WorldTour o comunque importantissime. Vivono molto ancora le radici. Prima delle grandi corse si sente parlare e si vedono filmati di Merckx, Maertens, De Vlaemick… E questo per me aiuta a creare una certa cultura, una cultura che da noi non c’è. Noi invece viviamo solo il presente o quel che può essere il futuro».

Senza l’avvento totale di internet era più facile gestire la pressione. Ma quando si muoveva Museeuw c’era sempre una grande folla
Senza l’avvento di internet era più facile gestire la pressione. Ma quando si muoveva Museeuw c’era sempre una grande folla

Museeuw e la pressione

Bortolami poi cambiò squadra per delle controversie con lo staff, soprattutto la parte italiana. Passò alla Festina. Aveva anche richieste dall’Olanda, ma preferì la Francia per questioni di lingua.

«Mi ero ambientato bene in Francia – racconta Gianluca – avevo compagni bravi ma non all’altezza di quelli della Mapei, quindi la pressione era tutta su di me e in certi tratti di Gand, Roubaix o Fiandre ritrovarsi da solo contro otto corridori della Mapei non era facile. Se li guardavi in faccia ognuno di loro diventava forte, facevano gruppo (proprio come la Quick Step adesso, ndr). E così quando andava bene portavo a casa un quinto posto.

«Johan con la pressione era molto bravo. Sin da giovane andava forte. Ha sempre gestito le cose da grande corridore e grande uomo, sia con noi compagni che con tutti gli altri.

«Per noi era come essere a scuola: in hotel ci si divertiva. I momenti difficili erano dovuti alla stanchezza e non ad altro. L’unica volta che abbiamo commentato dei titoli di giornali è stato proprio in occasione della tripletta alla Roubaix. Dopo quei giorni c’è stata una certa pressione. Ma questo si è avvertito più in Italia che in Belgio, perché alla fine i danneggiati eravamo noi. Loro avevano vinto».

Le tirate di collo fanno crescere: parola di Bortolami

13.03.2022
5 min
Salva

Stanno per partire anche gli juniores. E siccome i discorsi degli ultimi giorni si sono un po’ incrociati, fra Bartoli che ha colpito duro, Boscolo che gli ha dato ragione, Damilano che ha messo dei paletti e Chioccioli che ha suonato l’allarme, fra una curiosità e l’altra sulla stagione che inizia, abbiamo pensato di coinvolgere Gianluca Bortolami. Il milanese è in ritiro a Castagneto Carducci con il suo GB Junior Team (In apertura Belletta tira il gruppo, foto Nardo) e oltre a raccontarci come vanno le cose, mette sul tavolo la sua idea di come far crescere i giovani. E la sua voce è pesante e incisiva quanto quella di Bartoli.

Giro delle Fiandre 2001, Gianluca Bortolami forza sul Grammont e va a vincere
Giro delle Fiandre 2001, Gianluca Bortolami forza sul Grammont e va a vincere

Gianluca è un ragazzo del 1968, è stato professionista dal 1990 al 2005. Ha vinto 33 corse e fra queste spicca il Giro delle Fiandre del 2001 in maglia Caldirola, anche se nel 1994 erano già venute una tappa al Tour e la vittoria della Coppa del mondo con i successi di Leeds e Zurigo.

Andiamo con ordine, a che punto siamo con gli juniores?

A parte qualcuno che si è preso il Covid e ha ritardato la partenza, stiamo bene. Usando gli stessi percorsi di allenamento, riusciamo a valutare i miglioramenti di quelli al secondo anno e ci facciamo un’idea dei primi anni, che sono meno strutturati. I ragazzi scaricano i dati tutti i giorni e in base a quello che si vede, regoliamo il tiro.

Il team ha lavorato in Lombardia fino a sabato scorso, poi si è spostato a Castagneto Carducci (foto Stefano Nardo)
Il team ha lavorato in Lombardia fino a sabato scorso, poi si è spostato a Castagneto Carducci (foto Stefano Nardo)
Ti occupi tu direttamente della preparazione?

Ci sono io, ma c’è anche Loris Ferrari, anche lui direttore sportivo, che segue l’aspetto dei test. Ci confrontiamo spesso in base a quello che ognuno di noi vede.

Siete stati in ritiro o sempre a casa?

L’inverno a casa, mentre mercoledì siamo partiti per Castagneto Carducci e restiamo qui per dieci giorni. Ci sarebbe piaciuto cominciare a Cesano Maderno e alla corsa per Franco Ballerini, dove avrei portato Belletta e ci avrei tenuto personalmente. Invece hanno già raggiunto il tetto dei 120 partenti e così debutteremo a Cesano Maderno.

Si lavora in salita: lui è Alessandro Bonalda (foto Stefano Nardo)
Si lavora in salita: lui è Alessandro Bonalda (foto Stefano Nardo)
Come sta Belletta?

Ha avuto anche lui il Covid a dicembre e abbiamo cercato di andare con cautela. Siamo in linea con lo scorso anno, lui ha sempre le stesse grandi motivazioni. Abbiamo fatto una corsa in Svizzera dieci giorni fa vicino Grenchen e ha vinto una prova su tre. Siamo andati per avere indicazioni su come stesse e stiamo procedendo bene e soprattutto abbiamo ancora tempo per arrivare come si deve all’inizio di stagione. E sarà una stagione intensa e lunga, dovremo dargli il tempo per risparmiare le forze.

Uno come lui, con vittorie su strada e un mondiale in pista, è già oggetto del desiderio per squadre pro’?

Si sono già fatte sotto delle WorldTour, ma il ragazzo e la famiglia hanno deciso di affidarsi a me e alla squadra. Lui vuole crescere e io lo conosco da quando era piccolino, mentre prima era stato tirato su benissimo da Luciano Fusar Poli, giocando con la bicicletta. E’ un ragazzo intelligente e sa fare le valutazioni del caso.

I ragazzi di primo anno vanno osservati, con gli altri si parte da una base più alta (foto Stefano Nardo)
I ragazzi di primo anno vanno osservati, con gli altri si parte da una base più alta (foto Stefano Nardo)
Qual è l’obiettivo in questo inizio di stagione?

La volontà di fare lo junior senza bruciare i tempi. Se poi andrà forte, potrà passare U23 con chiunque. Ma non vi nascondo che stiamo cercando di fare la squadra per seguire lui e gli altri. Non è facile trovare sponsor, ma ci stiamo adoperando.

E qui arriviamo al discorso di Bartoli: fino a che punto sarà giusto tenerlo nella bambagia?

Condivido in pieno quello che ha detto Michele. Io sono passato anche prima di lui e correvo contro i corridori dell’Unione Sovietica e quelli della DDR (la Germania dell’Est, ndr) e quando c’erano loro, se andava bene si faceva terzi. Se si vuole crescere, bisogna fare esperienze di alto livello. Se un ragazzo vuole crescere, deve confrontarsi con i più forti. Quando passi pro’, nessuno guarda più l’età.

Nel 2021, Filippo Borello ha vinto due corse: Vaprio D’Agogna e il Trofeo Madonna di Campagna(foto Stefano Nardo)
Nel 2021, Filippo Borello ha vinto due corse: Vaprio D’Agogna e il Trofeo Madonna di Campagna(foto Stefano Nardo)
Come ti regolerai con Belletta?

Credo che i primi due anni da U23 tranquilli possano starci, anche se durante questi ci sta di prendere qualche tirata di collo confrontandosi con i più grandi. Chi gestisce il giovane di talento deve saperlo dosare, valutare l’esperienza e quando semmai puntare al risultato. Come si è sempre fatto. Se ti accontentavi di correre nel circuito di paese, non crescevi e non cresci. Andare nelle gare internazionali con quelli forti è lo stimolo che ci vuole.

Torniamo a Bartoli: le vittorie nelle piccole corse non fanno crescere.

Abbiamo avuto tanti corridori che passavano U23 senza confrontarsi ad alto livello. Sono poche le squadre juniores che vanno a misurarsi all’estero. Ci siamo noi, c’è il team Ballerini di Bardelli. A volte ci vanno le formazioni regionali. E là fuori ti confronti con i corridori che poi si vedono dominare da professionisti. D’estate andremo a fare una corsa a tappe in Belgio con gli allievi. Badate bene, non per fare risultato, ma per fare esperienza.

Foto di gruppo al via della stagione: si parte fra una settimana (foto Stefano Nardo)
Foto di gruppo al via della stagione: si parte fra una settimana (foto Stefano Nardo)
Un’esperienza importante…

Non voglio essere presuntuoso, ma se vogliamo crescere bisogna fare così. Anche con l’aiuto dei genitori, che ci permettono di farlo. Quando ero un ragazzino, mi sembrava già tanto andare a correre fuori regione, andare all’estero è come toccare il cielo con un dito. E correre in Belgio serve a far capire ai ragazzi che cosa vuol dire correre col vento e con l’acqua senza lamentarsi come fanno lassù. E la cosa funziona. Quando tornano non sono più gli stessi. Certe esperienze ti permettono di fare lo scatto mentale decisivo.

Dietro Belletta, il cuore (e l’esperienza) di Bortolami

01.05.2021
4 min
Salva

Dietro Dario Igor Belletta e le sue vittorie c’è anche Gianluca Bortolami. Quella scritta GB Junior Team è infatti la sua sigla. Di lui si parla sempre poco ed è un peccato. Il milanese, 53 anni, vinse il Fiandre nel 2001 in maglia Tacconi Sport (nella foto di apertura, il forcing sul Grammont), ma prima era stato parte della gloriosa Mapei che travolse la Roubaix del 1996 con Museeuw, mentre lui e Tafi si piazzarono in parata al secondo e terzo posto. Due anni prima, Bortolami aveva conquistato la Coppa del mondo, nel magnifico 1994 che lo vide vincere la tappa di Rennes al Tour, la Leeds International e il Gran Premio di Svizzera. Oggi Gianluca ha il suo negozio a Castano Primo, il Bortolami Bike Action, e in quella squadra juniores riversa la sua voglia di insegnare il ciclismo. Noi lo abbiamo chiamato per farci raccontare il suo pupillo, di cui ieri abbiamo tratteggiato la storia.

Belletta con le dita al cielo per Silvia Piccini, al Gp Liberazione dello scorso 25 aprile a Roma
Belletta: le dita al cielo per Silvia Piccini, al Gp Liberazione
Gianluca vi aspettavate un avvio del genere? Descrivici questo Belletta…

Sapevamo che andasse forte ma che infilasse 4 vittorie nelle ultime 5 gare onestamente non ce lo aspettavamo. E’ alto 1,87 e le sue caratteristiche fisiche gli permettono di andare bene un po’ ovunque. E’ molto veloce, tiene benissimo sulle salite di 4/5 chilometri e nei percorsi misti si trova a suo agio. Ha anche una buona visione di corsa. Un’altra sua grande qualità è quella di saper conciliare ottimamente la scuola, dove va molto bene, con gli allenamenti. Anzi vi racconto un aneddoto…

Anche Bortolami a braccia alzate, al Tour de France del 1994, a Rennes
Anche Bortolami a braccia alzate, al Tour del 1994, a Rennes
Dicci pure, siamo curiosi.

In parte ve lo ha già detto lui. In autunno e in inverno, abbiamo scoperto quasi per caso guardando le tracce del suo computerino, che si allenava ad orari strani, quasi sempre la mattina presto. Quando il meteo lo permetteva usciva alle sei del mattino, poi rientrava a casa per seguire le lezioni, in presenza o in Dad, e al pomeriggio studiava. Non ci ha mai detto nulla perché non voleva passare per quello che fa il fenomeno tra scuola e ciclismo. E quando gliene abbiamo chiesto il motivo lui, ci ha risposto che non gli pesava farlo e che era il suo dovere trovare il tempo sia per studiare che pedalare.

Considerando le tante potenziali distrazioni che ci sono per un ragazzo della sua età, è raro sentire cose simili. A questo punto non c’è il rischio che gli venga chiesto sempre di più?

Vero, c’è il rischio e onestamente, se ci penso, sono un po’ preoccupato. Ma noi, insieme alla sua famiglia, lo stiamo preservando. E’ solo un primo anno junior e vogliamo che arrivi alla categoria superiore non spremuto. E soprattutto vogliamo che, quando non sarà più con noi, continui ad andare in bici per divertirsi e non per vincere e fare contenta solo la sua squadra. Questo discorso vale per ogni mio ragazzo, che per me sono tutti figli. A Dario sto insegnando a non strafare in bici, perché verrà il tempo in cui il suo volume d’allenamento sarà molto superiore. In questa categoria, anche a fronte di tante vittorie, bisogna capire che siamo un punto di partenza.

Nella celebre Roubaix del 1996, arriva prima di Tafi e subito dietro Museeuw
Nella celebre Roubaix del 1996, arriva prima di Tafi e subito dietro Museeuw
Chissà quanto interesse ci sarà per lui dopo questi successi?

Tantissimo e devo dire che sia noi che lui siamo turbati per l’affacciarsi dei procuratori alle gare, ma fortunatamente anche la sua famiglia la pensa come me. Dario va protetto, lasciandolo in pace e libero di crescere e anche sbagliare senza pressioni o ansie da prestazioni. Si è guadagnato la convocazione in nazionale e naturalmente puntiamo a mandarlo a fare esperienze internazionali con la maglia azzurra, così come andare ai campionati italiani per fare bene. Però non deve diventare un assillo per nessuno, qualora non dovesse fare i risultati sperati.

Belletta Liberazione 2021

Belletta, quel Liberazione rabbioso dedicato a Silvia

30.04.2021
4 min
Salva

Se fosse una canzone, Dario Igor Belletta sarebbe la hit del momento. Il diciassettenne del GB Junior Team – che frequenta la quarta al liceo scientifico Donato Bramante a Magenta – ha iniziato la stagione suonando quattro sinfonie (in meno di un mese) nelle prime sette gare disputate: vittorie ad Ancarano il 28 marzo, alla Coppa Dondeo a Cremona per Pasquetta, nella Novara-Suno l’11 aprile e nel Gp Liberazione a Roma pochi giorni fa, quest’ultima con una dedica particolare. E a gioire di questi successi, oltre alla sua famiglia, è il suo team manager ed allenatore Gianluca Bortolami

«Lo abbiamo preso – spiega l’eroe del Fiandre 2001 – dalla S.C. Busto Garolfo e lo tenevamo un po’ sotto osservazione perché nel 2016 avevamo già avuto suo fratello Pier Elis, più vecchio di cinque anni e che ora corre tra gli U23 nella Named-Uptivo. Da allora siamo rimasti in contatto con la famiglia, che si fida di noi e così siamo riusciti ad assicurarcelo anche se aveva tante richieste da altre formazioni».

In ritiro con la nazionale di De Candido a metà aprile (foto Instagram)
In ritiro con la nazionale di De Candido a metà aprile (foto Instagram)

Se Bortolami si gode il ragazzo di Arluno, lo stesso Belletta sembra lusingato e sorpreso dalle parole del suo dirigente e dalle attenzioni che gli vengono rivolte dagli addetti ai lavori. A parlargli però sembra di avere di fronte una persona più grande.

Dario, eravamo rimasti in sospeso con quella esultanza del Liberazione: mani in alto ed indici puntati verso il cielo. Quel gesto era per Silvia Piccini (la diciassettenne morta investita in allenamento il 22 aprile scorso, ndr)?

Sì, la vittoria l’ho dedicata a lei, che era praticamente una mia coetanea e che è stata uccisa mentre faceva quello che più le piaceva. E’ stato doveroso dedicargliela perché un minuto di silenzio era troppo poco.

Immaginiamo che ti abbia molto scosso questa disgrazia.

Assolutamente, è stato un brutto colpo, una vera ingiustizia. E’ morta che stava facendo quello che amava di più. E’ toccato a lei ma poteva capitare ad ognuno di noi. E non possiamo andare avanti così.

Secondo te cosa bisognerebbe fare in più?

Non saprei cosa dovremmo fare di diverso. Va cambiata la cultura e la mentalità italiana del guidatore di un mezzo verso il ciclista, bisognerebbe guardare davvero al Nord Europa dove ci sono tante piste ciclabili e le biciclette hanno la precedenza sulle maggiori strade. Ecco, forse noi giovani potremmo impegnarci sui social facendo qualche post superficiale in meno e cercando di sensibilizzare di più la popolazione ad avere più rispetto per noi. Ma sappiamo che è molto difficile.

Dario cambiamo argomento cercando di riportarti un po’ il sorriso. A chi ti ispiri?

Attualmente, forse perché fisicamente somiglio a lui, adoro Van Aert perché quando si attacca il numero lo fa per essere competitivo su ogni terreno, anche quello meno adatto a lui senza aver paura di saltare o non fare risultato. Un corridore così fa tanto bene al ciclismo. E come lui apprezzo anche Van der Poel.

E’ vero che ti svegliavi all’alba e ti allenavi di nascosto?

Ma no (ride, ndr), non era di nascosto. Uscivo ad orari inconsueti quando sapevo che avrei avuto la giornata scolastica piena, però non mi è mai pesato e per me era normale. Credo che in tanti abbiano o avrebbero fatto come me.

L’argento allo European Youth Festival 2019, scrive su Intagram, è meglio della pasta dell’Azerbaijan
L’argento allo European Youth Festival 2019, scrive su Intagram, è meglio della pasta dell’Azerbaijan
Dato il tuo impegno com’è il rapporto a scuola con compagni e professori? Cosa ti hanno detto dopo queste quattro vittorie?

Tutti si sono complimentati con me e penso che la prossima vittoria la dovrò dedicare ai miei insegnanti, perché sono comprensivi e disponibili per aiutarmi e farmi recuperare le lezioni che perdo. Così come i miei compagni che sono i miei primi tifosi e talvolta si offrono di farmi i compiti. Li ringrazio ma declino sempre.

E invece com’è il rapporto con i tuoi compagni di squadra? Sei pronto a metterti al loro servizio?

Assolutamente sì, nel momento in cui mi dovessi accorgere che uno di loro sta meglio di me, mi metterei subito a lavorare per lui. E quest’anno è già capitato. Inoltre penso che non sia mai un bene che vinca sempre solo un corridore. L’unione fa la forza e se più corridori del GB Junior Team vincono, più timore può fare la squadra in ogni corsa cui partecipa.