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A Montichiari gli ultimi ritocchi sulla strada di Grenchen

03.02.2023
5 min
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«Se Giovanni è di buon umore, allora significa che sta girando tutto bene. E’ lui il nostro termometro». Ivan Quaranta ci accoglie a Montichiari con una battuta riferendosi a Carini, il meccanico azzurro, durante la nostra giornata in compagnia della nazionale della pista.

In effetti il morale che si respira nelle sale sotto al velodromo è buono. E’ un venerdì intenso quello che vivono il cittì Marco Villa assieme allo stesso Quaranta, Diego Bragato, Fabio Masotti ed il resto dello staff. E’ una giornata arricchita da altre figure tecniche. Sono gli ultimi giorni di lavoro prima della spedizione azzurra che partirà domenica pomeriggio per Grenchen, l’anello svizzero in cui si terranno gli europei (dall’8 al 12 febbraio) e teatro dell’Ora di Ganna.

Prove di partenza per il quartetto femminile nel velodromo di Montichiari, ormai a fine lavori
Prove di partenza per il quartetto femminile nel velodromo di Montichiari, ormai a fine lavori

Quartetto femminile

Alzini, Balsamo, Barbieri, Martina Fidanza e Paternoster iniziano la giornata riguardando le prove del giorno prima. Mancano Guazzini, presente ieri ma volata alla presentazione della sua Fdj-Suez, e Zanardi, impegnata in Spagna con la BePink. Loro due raggiungeranno le compagne nei prossimi giorni. Le cinque azzurre macinano giri di pista solidificando la loro intesa. Fanno dietro moto e simulano a più riprese partenza e trenate dell’inseguimento a squadre. C’è anche Confalonieri a fare ritmo dietro motore.

Giada Capobianchi, a Montichiari assieme a Miriam Vece, sarà impegnata nella velocità
Giada Capobianchi, a Montichiari assieme a Miriam Vece, sarà impegnata nella velocità

Velocità azzurra

La pattuglia di Quaranta si alterna in pista con le ragazze del quartetto e lavora sodo. Sono in sei, quattro uomini e due donne. Bianchi, Stefano Moro, Predomo, Tugnolo, Giada Capobianchi e Miriam Vece. Anche per loro c’è il turno al tavolo dello schermo per rivedere le prove delle proprie discipline. Sono sempre loro ad aver dato i primi feedback su alcuni nuovi materiali che useranno a Grenchen, fra tutti un manubrio speciale.

Bragato, Viviani e il cittì Villa discutono sulla trasferta degli europei
Bragato, Viviani e il cittì Villa discutono sulla trasferta degli europei

Uomini incompleti

Il gruppo maschile si formerà domani quasi per intero. A Ganna, Boscaro, Lamon, Pinazzi, Manlio Moro e Scartezzini, reduci dalla Vuelta a San Juan, sono stati concessi un paio di giorni di recupero dal viaggio intercontinentale. Solo Viviani, anch’egli di rientro dall’Argentina, ha preferito scendere in pista oggi fin dal mattino per sistemare un paio di accorgimenti, come il posizionamento. Nel pomeriggio poi il veronese della Ineos Grenadiers ha compiuto sessanta giri dietro moto in vista dell’omnium, mentre Bertazzo (pure lui in gara a San Juan) ha girato sia solo che assieme alle ragazze. A Grenchen si aggiungeranno anche Milan e Consonni, che arriveranno in dote dal Saudi Tour con ottime vittorie di tappa. Nel frattempo il cittì Villa avrà fatto le sue convocazioni.

Giornata collettiva

Diego Bragato, mentre ci offre un caffè, ci spiega l’importanza di una giornata in cui il gruppo può lavorare con altre figure tecniche fondamentali al raggiungimento delle prestazioni e dei risultati. Nel parterre di Montichiari l’ingegnere Luca Oggiano cura la parte della aerodinamica. Il centro BioMoove di Almese ha la sua postazione di biomeccanica. Fausto Fabioni e Mattia Michelusi lavorano sull’aspetto delle informazioni tecnologiche attraverso la telemetria. Poi c’è anche Salvato che consegna i body iridati ai quartetti.

«Di fatto è la prima volta – racconta il tecnico di Motta di Livenza – che ci troviamo tutti assieme, ma qualcosa di simile abbiamo già fatto in passato. L’idea è quella di farla ad inizio stagione o in altri casi eccezionali come potrebbero essere cadute gravi o eventi importanti. Curare così tanto i dettagli sta funzionando. Ai mondiali di agosto faremo le prove generali per le olimpiadi di Parigi perché saranno nello stesso periodo. Dovremo già sapere che materiali usare o cosa fare nel 2024. Questo europeo è importante per i punti che ci può dare in ottica qualificazione e per aprire un avvicinamento in ottica delle prove che stiamo facendo per ottimizzare i particolari».

Il briefing mattutino del quartetto femminile
Il briefing mattutino del quartetto femminile

Aspetto psicologico

Tra le varie figure c’è anche Elisabetta Borgia. Ormai ogni competizione si prepara prima di testa che di fisico.

«Sono giornate molte preziose – spiega la dottoressa piacentina – per oliare alcuni automatismi in vista dell’europeo sia in ottica individuale che di squadra. Testiamo non solo la preparazione fisica, ma anche l’approccio che si dovrà avere in gara. L’idea è quello di portare avanti un processo dando un significato a tutte le varie tappe da inizio stagione ai grandi eventi. Avvicinandoci all’europeo come in questo caso il lavoro diventa importante perché cresce il livello emotivo, perché cresce lo stress. Da una parte si lavora per massimizzare la prestazione, dall’altra per aiutare i ragazzi a rilassarsi. Ovviamente cambia fare questo lavoro a febbraio piuttosto che ad ottobre o agosto, come quest’anno quando ci saranno i mondiali. Le energie psicofisiche ad inizio stagione sono diverse che alla fine. Bisogna lavorare nel presente pensando nell’insieme alle fondamenta».

Ciclocross e Team Performance. Bragato traccia il solco

22.01.2023
5 min
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Le risposte di Massimo Ghirotto a proposito della situazione del ciclocross italiano hanno destato molto interesse nell’ambiente, ma su un aspetto è bene ritornare. Il responsabile del settore fuoristrada della Fci aveva chiarito che un progetto legato alla disciplina esiste già ed è inquadrato nel più ampio discorso relativo al Gruppo Performance, la struttura guidata da Diego Bragato. In questo ambito, sin dalla fine della sua prima stagione da cittì, Pontoni ha iniziato a svolgere test e sondare la base ciclistica per capire realmente su quali basi si potrà lavorare nel futuro.

Abbiamo quindi voluto saperne di più parlando direttamente con Bragato, diretto responsabile del progetto che segue in abbinamento con gli impegni legati alla pista. Con Villa e la nazionale in Argentina, trovare uno spazio temporale d’intervallo nel suo lavoro (è a Montichiari a seguire coloro che sono rimasti ad allenarsi in Italia) non è stato semplice, ma da ogni sua parola traspare la grande passione e impegno che ci sta mettendo.

«Siamo partiti da un programma strutturale – spiega – andando avanti per piccoli passi perché si tratta di un lavoro organico molto ampio, a lungo termine. I test voluti da Pontoni hanno rappresentato una sorta di censimento per capire su quali basi si può lavorare».

Bragato (a destra) con Elisabetta Borgia e Ventura del freestyle. Lo scambio d’informazioni è centrale in questo progetto
Bragato con Elisabetta Borgia, lo scambio d’informazioni è centrale in questo progetto
Quanti sono stati i ragazzi coinvolti?

La prima fase di test si è svolta a Gemona e ha coinvolto 35 ragazzi, la seconda a Montichiari 14. Qualcuno era presente a entrambe le sessioni e non è un caso che la seconda si sia svolta nella sede della pista perché l’idea di base è verificare le attitudini dei ragazzi in ogni disciplina. Abbiamo così iniziato a riempire il nostro database relativo al ciclocross, che andrà progressivamente allargandosi lavorando con le categorie più piccole. Ciò ha consentito di capire che cosa fare progressivamente.

Dopo i test come siete andati avanti?

Sulla base di quei dati, Pontoni ha iniziato a programmare i raduni selezionando i ragazzi che reputa già maturi per affiancarsi a quelli delle categorie giovanili Uci, ossia junior e U23. Sono appuntamenti importanti che ci servono per vedere come i ragazzi lavorano, come recuperano, quali basi tecniche hanno. Ora ad esempio faremo un ritiro nel quale lavoreremo soprattutto nella programmazione dell’allenamento tra una gara e l’altra. Vorrei sottolineare anche che nel progetto abbiamo coinvolto anche la dottoressa Elisabetta Borgia, per dare un supporto psicologico ai ragazzi nell’approccio agli eventi. Tutto ciò avviene attraverso test continui, con i quali continuiamo ad aggiornare il nostro programma.

Il raduno comincia con una parte teorica, per spiegare gli intenti e che cosa si cerca
Il raduno comincia con una parte teorica, per spiegare gli intenti e che cosa si cerca
E’ un lavoro che svolgi da solo, in continuo contatto con Pontoni?

Non ce la farei, sarebbe assurdo, anche perché come detto quella del ciclocross è solo una porzione di un progetto molto più ampio che coinvolge tutta la disciplina ciclistica. Con me ci sono Marco Decet e Marco Compri, che mi aiutano nella gestione generale.

Nel progetto relativo al ciclocross è inserito anche il discorso della multidisciplina?

Certamente, ma questo è alla base di tutta la nostra struttura. Noi esaminiamo i ragazzi e li sottoponiamo a test per verificarne quali sono le loro attitudini, nel caso indirizzarli verso quella o quelle più adatte alle sue caratteristiche. Prendiamo ad esempio il caso della Venturelli, che fa strada, pista e ciclocross: la monitoriamo costantemente, valutiamo non solo i suoi risultati ma anche la sua situazione relativa a ogni disciplina e i necessari periodi di riposo e stacco fra l’una e l’altra. Ma c’è di più…

I test indoor sono fondamentali per registrare i valori principali dell’atleta
I test indoor sono fondamentali per registrare i valori principali dell’atleta
Ossia?

Noi monitoriamo un gran numero di ragazzi per cercare talenti da far crescere mettendoli nelle condizioni migliori, ma questo non potremmo farlo senza il necessario sostegno delle società. Il confronto con loro è costante, con i vari cittì che svolgono questo compito con costanza dando e ricevendo input fondamentali. Non nascondo poi che questo lavoro va confrontato anche con quanto avviene in altre discipline.

A ben guardare il progetto del Gruppo Performance ricalca molto quanto si fa da molti anni in Gran Bretagna…

E’ verissimo, molte delle idee di base le abbiamo prese verificando il lavoro e la crescita dei colleghi britannici e anche australiani. Anche da loro lo sport è strutturato da molti anni attraverso un progetto simile. Va anche detto che noi cerchiamo di rendere questa idea applicabile al nostro settore, quindi ci rifacciamo anche a quanto avviene nelle principali squadre WorldTour, nel loro lavoro radicato nelle più giovani generazioni attraverso società satellite.

Test all’aperto alla presenza attiva di Pontoni. Si provano più discipline
Test all’aperto alla presenza attiva di Pontoni. Si provano più discipline
Quelli britannico e australiano sono sistemi che partono dallo sport in genere per diramarsi nelle varie discipline. Qui sembra che il cammino sia inverso…

E’ un progetto mutuabile – ammette Bragato – come detto ci confrontiamo anche con altre realtà non ciclistiche. Il nostro obiettivo è trovare talenti e stabilire una “forma mentis”, un sistema che sia virtuoso, che porti a risultati internazionali in serie e continui nel tempo. Ci vorrà tempo, nel ciclocross in particolar modo. Mi spiace molto che questa disciplina non sia olimpica, perché credo molto nella sua identità come fondamento tecnico per ogni altra specialità ciclistica.

Pontoni sottolinea spesso che è un progetto a lungo termine.

Non potrebbe essere altrimenti. Non possiamo pensare che l’enorme gap che c’è oggi con il vertice della disciplina, rappresentato da fuoriclasse come Van Aert, Van Der Poel e Pidcock venga colmato in pochi anni. Già fra le donne siamo più avanti, ma quel che conta è rendere questo movimento sempre ricco di ricambi. Io per ora ho visto una grande apertura mentale da parte dei ragazzi e grande disponibilità a collaborare sia da parte loro che delle società. Significa che già un bel pezzo di lavoro è stato fatto.

Tifo e watt, che relazioni ci sono dottoressa Borgia?

29.12.2022
6 min
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Il tifo è da sempre una componente dello sport, ma lo si guarda soprattutto dalla parte appunto dei tifosi. Le curve di uno stadio, gli appassionati sul divano, le ali di folla a bordo strada nel ciclismo. E in questo caso, che è quello che ci riguarda, è intervenuto Alessandro Covi.

Il giovane talento della  UAE Emirates ha detto al nostro direttore, Enzo Vicennati, che nel giorno dell’impresa sulla Marmolada, quando passava tra le ali di folla vedeva che automaticamente il suo computerino segnava 50-60 watt in più… senza che lui accelerasse.

Elisabetta Borgia, psicologa dello sport e clinica della Federazione e della Trek-Segafredo, ci aiuta a spiegare tutto ciò da un punto di vista scientifico.

La psicologa dello sport, Elisabetta Borgia. Stavolta con lei si parla dell’effetto del tifo sulle prestazioni ( foto Simone Armanni)
La psicologa dello sport, Elisabetta Borgia. Stavolta con lei si parla dell’effetto del tifo sulle prestazioni ( foto Simone Armanni)
“Sentendo la gente che mi incitava e urlava il mio nome, mi ritrovavo con 60 watt in più senza che me accorgessi”: parola di Covi. Dottoressa, cosa succede nella mente e nel corpo dunque?

Noi siamo pensieri, siamo emozioni e siamo comportamenti, azioni, reazioni. Quindi nel momento in cui abbiamo dei pensieri di un certo tipo e delle emozioni che attivano e continuano vicendevolmente a rinforzarsi, abbiamo anche degli effetti a livello fisico. Effetti a livello comportamentale come maggiore determinazione e confidenza.

E come avvengono tecnicamente?

Questi corrispettivi fisici sono dati da un’attivazione del nostro sistema simpatico, che è il sistema attivante, istintivo, quello che serviva all’uomo primitivo per scappare dalle bestie feroci. Quindi è chiaro che bisogna lavorare sugli aspetti emotivi, sui pensieri. Proprio perché poi i dati oggettivi come i watt ci dicono che hanno effetti a livello fisiologico. Effetti che non sono solo mentali, ma anche di prestazione fisica.

Quindi un atleta dovrebbe essere bravo a “crearsi” sempre il tifo, anche quando non c’è?

In un certo senso sì ed è quello che avviene quando si parla del dialogo interno. Il dialogo interno non è altro che quello che ci diciamo in tutta la nostra vita e che diventa fondamentale anche nel mondo dello sport.

Alessandro Covi durante l’impresa del Fedaia. Quando passava tra le ali di tifo aumentava il suo rendimento
Alessandro Covi durante l’impresa del Fedaia. Quando passava tra le ali di tifo aumentava il suo rendimento
Un esempio?

Un conto è essere in gara e pensare che gli altri vanno più forte, che non è la nostra giornata, che  le gambe sono dure. Un conto, all’opposto, avere un dialogo interno positivo che ti dice in maniera efficace cosa devi fare per essere competitivo in quel momento, che ti dà delle indicazioni corrette, degli incoraggiamenti o che, banalmente, ti serve anche solo per tenere il focus su quello che stai facendo.

Ti è mai capitato che un atleta ti abbia detto le stesse cose di Covi?

In termini di vantaggi, in senso lato, sì. In modo così specifico no. Tanto lavoro che facciamo è sul dialogo interno. Quando l’atleta ha dei momenti in cui si sente meno efficace, quindi è meno determinato, si va a lavorare proprio su questi aspetti. E cioè: cosa ha detto a se stesso, che emozione stava provando in quel momento e anche nel pre-gara.

Oggi si tiene tutto sotto controllo, ma ne siamo del tutto sicuri? Come si calcolano i “watt mentali”?
Oggi si tiene tutto sotto controllo, ma ne siamo del tutto sicuri? Come si calcolano i “watt mentali”?
Siamo nel ciclismo dei numeri in cui tutto è sotto controllo. Covi ha parlato addirittura di watt: ma questi surplus che inevitabilmente il corpo umano tira fuori, poi vengono pagati? Oppure è qualcosa in più che il corpo riesce a tirare fuori da chissà quale fonte?

Difficile da dire e quantificare. Io dico sempre ai miei atleti che le energie psicofisiche non sono infinite e che il nostro serbatoio di energie è come una tanica. Una tanica che a un certo punto si prosciuga. Però poi ci sono di mezzo molti aspetti, anche motivazionali appunto, che ci permettono di andare oltre i nostri limiti fisici. E’ chiaro che una cosa del genere, come aumentare il ritmo passando tra le ali di folla, non può essere portata avanti per lunghissimi tempi. E’ un po’ come quando fai un esame all’università e arrivi la sera che sei cotta, stravolta e senti che ti stai lasciando andare. Però in una situazione come quella di Covi l’aspetto motivazionale, l’eccitazione data dal vedere dei numeri che magari non ha mai visto prima, sicuramente gli hanno permesso di arrivare in cima senza calare. E poi ricordiamoci anche un’altra cosa.

Cosa?

Il limite fra il numero da fenomeno e l’errore madornale è molto sottile. Esempio: attacco in un momento inaspettato, lontano dal traguardo. Se tiro dritto e mi prendono a 100 metri dal traguardo ho fatto una cavolata, ma se arrivo ho fatto l’impresa. Per questo spesso dico che bisogna guardare le cose anche con un po’ di distacco e dire: «Va bene, ho fatto questo errore, ma l’ho fatto per questo motivo». 

Giro 2022, a Napoli, dopo aver fatto il diavolo a quattro, VdP perde la corsa. Il limite tra impresa e successo spesso è sottile
Giro 2022, a Napoli, dopo aver fatto il diavolo a quattro, VdP perde la corsa. Il limite tra impresa e successo spesso è sottile
Si possono quantificare i watt in più della mente?

Nel dopo prestazione si fanno molte analisi e siamo in un mondo in cui i numeri sembrano avere la meglio. La mente è un aspetto che adesso viene considerato molto di più, ma in passato lo era molto meno. Sì, magari la mente ti fa fare dei watt in più e allora metti in bilico tanti punti di vista. Che fai in corsa o in allenamento li calcoli o non li calcoli? Magari fai in corsa dei passaggi che non riusciresti a tenere nel ritmo eppure…

Che insegnamento ha tratto Covi da questa esperienza?

Innanzitutto che può vincere. Tutti sapevano che era un grandissimo talento, ha dimostrato che non è solo talento, ma è uno che porta a casa il risultato sul campo. La consapevolezza è sicuramente l’insegnamento più grande. Lo ha interiorizzato, si sente efficace. E una volta interiorizzata un’impresa del genere, nella sua testa è come se si proiettasse in una dimensione diversa in cui dice a se stesso: «Non sono più quello solo talentuoso. Sono quello che ha già vinto e può continuare a farlo». Lo sa lui e lo sanno gli altri. Vedremo dove arriverà, ma di solito quando si parte in questo modo e cioè che cresci fisicamente, che stai facendo esperienze positive, che stai migliorando, che inizi a vincere… s’innesca una spirale positiva. Fino a che poi non diventi quello che vince. A quel punto c’è un altro step da fare: non sono più la promessa che ha vinto qualche gara. Sono quello che quando parte deve performare, altrimenti ho fatto la controprestazione.

Obiettivi e ciclismo, un tasto delicato: parola di psicologa

14.10.2022
5 min
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Come fa un atleta a mantenere alta la concentrazione anche quando gli obiettivi che si era prefissato vengono cambiati o stravolti? Il mondo del ciclismo, è sempre più al limite, sia dal punto di vista tecnico che da quello umano. I corridori sono chiamati ad essere sempre presenti e questo non è facile, anche perché è importante ricordare che dietro ogni atleta c’è un uomo, con le sue fragilità e debolezze. Elisabetta Borgia psicologa dello sport che collabora con la Federazione ed il team Trek-Segafredo ci accompagna nel grande viaggio degli obiettivi.

Ci mettiamo in contatto con la dottoressa Borgia, che in questo momento si trova in viaggio verso Praga. La sua destinazione è una conferenza dello sport, alla quale è stata invitata come relatrice per parlare del recupero post infortunio. Il traffico non le dà tregua, così le facciamo compagnia nella caotica coda dell’hinterland milanese.

Elisabetta Borgia collabora anche con la Federazione, qui agli europei di Monaco con la nazionale femminile
Elisabetta Borgia collabora anche con la Federazione, qui agli europei di Monaco con la nazionale femminile

Definizione di obiettivo

Innanzitutto, prima di parlare di obiettivi legati al mondo dello sport, in particolare a quello del ciclismo, è fondamentale determinare cosa sono.

«L’obiettivo – ci spiega la dottoressa – secondo il manuale di psicologia dello sport è legato alla ricerca della mia migliore espressione. Non sono direttamente legati alla vittoria, pensare solo al risultato non permette di fare un avvicinamento strutturando un percorso. Il pensiero dell’atleta deve essere “Devo arrivare a quella gara e voglio essere la mia migliore espressione di me stesso”. Da lì si inizia a lavorare a ritroso, passando dall’allenamento, ma anche dalla mente. L’obiettivo si tramuta in azioni quotidiane, che ci permettono di lavorare al meglio, rimanendo attaccati al presente ma con uno sguardo verso il futuro. Il “dove vogliamo arrivare” deve essere sminuzzato in piccole azioni quotidiane».

Mas è stato bravo a riprogrammare i suoi obiettivi dopo il Tour concentrandosi su Vuelta e finale di stagione
Mas è stato bravo a riprogrammare i suoi obiettivi dopo il Tour concentrandosi su Vuelta e finale di stagione

Un percorso definito

La programmazione, come abbiamo intuito già da queste poche parole di Elisabetta, è fondamentale. Quello che però bisogna far capire è che non si passa solo dalla prestazione atletica, ma anche dalla mente.

«Gli obiettivi – riprende Borgia – sono quelle boe che ci permettono di rimanere all’interno del percorso. Ci motivano e ci danno tranquillità. Gli atleti hanno bisogno di ricevere dei check durante il loro periodo di preparazione, che siano i risultati dopo un lavoro in palestra o dei watt che devono esprimere. La parola chiave è: schematizzare. Tutti noi abbiamo bisogno di riuscire a mantenere il controllo, nessuno sta bene se si sente una bandiera al vento. Ci sentiamo bene quando sentiamo una responsabilità verso le cose che dobbiamo fare. Allo stesso modo, però, è importante riconoscere che noi non abbiamo il controllo su tutto, c’è sempre una parte imprevedibile. Il vademecum deve essere: lavora, controlla, cambia e lascia andare quello che non va.

«Tutti noi – riprende – ma gli atleti in particolare, sono molto più sbilanciati verso il ”c’è una cosa che non va e devo trovare il modo di cambiare”. La cosa che bisogna fare, invece, è accettare al più presto quello che non si può cambiare. Sbattere la testa contro i problemi non ci aiuterà a superarli. Pensate ad un infortunio che compromette una gara sulla quale si era messa la famosa bandierina rossa. Bisogna riuscire ad accettare al più presto che il piano A è sfumato e virare su quello di riserva per continuare a fare il tuo lavoro al meglio».

Caduta Julian Alaphilippe, Giro delle Fiandre 2020, Wout Van Aert, Matheiu Van der Poel
Gli infortuni sono difficili da accettare ma fanno parte dello sport, bisogna accettarli: chiedere ad Alaphilippe…
Caduta Julian Alaphilippe, Giro delle Fiandre 2020, Wout Van Aert, Matheiu Van der Poel
Gli infortuni sono difficili da accettare ma fanno parte dello sport, bisogna accettarli: chiedere ad Alaphilippe…

Riprogrammare

Essere adattabili e flessibili deve essere una caratteristica dei corridori, non tutti sono fatti allo stesso modo, c’è chi soffre di più e chi, invece, riesce a focalizzarsi subito su un nuovo obiettivo.

«Questo è parte del mio lavoro – continua la dottoressa – riprogrammare è qualcosa che faccio insieme agli atleti. Il punto è che la psicologa ti può aiutare, ma fino ad un certo punto: la motivazione è qualcosa che viene da dentro, non può essere data dall’esterno. La motivazione è di due tipologie: intrinseca ed estrinseca. La prima è legata alla passione al piacere nel fare quella cosa per sé. La seconda, quella estrinseca, è legata a quelli che sono i secondi fini, quelli professionali, di conseguenza è una motivazione inferiore. Una cosa fondamentale è anche lavorare sulle cose che funzionano, e non solo sui nostri limiti. Fare qualcosa che ci riesce bene è fondamentale per non perdere il giusto feeling.

«Un altro aspetto da non sottovalutare – conclude Elisabetta – è il circolo del senso di colpa. La psicologia dice che se vuoi avere dei picchi devi ricercare le valli, non si può andare sempre al massimo. Si devono trovare dei momenti dove staccare e riposare. Il riscatto è un’arma a doppio taglio e molto affilata. Poniamo che un corridore abbia finito un Giro d’Italia corso sottotono, dentro di lui nascerà immediatamente una grande voglia di rivalsa. Ma se non ti concedi i giusti tempi di riposo, anche quando le cose vanno male, non recuperi più e la tua mente si stanca doppiamente. Il consiglio è creare un proprio zona di comfort, con persone di fiducia che possano fare da muro e filtrare quello che arriva».

Venturelli più forte del dolore per lo staff e per la squadra

20.09.2022
5 min
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Ha deciso di partire dopo il riscaldamento, ma dire che Federica Venturelli avesse certezze sulle sue condizioni sarebbe poco credibile. Coraggio tanto, quello ha lasciato tutti a bocca aperta. Cerotti su entrambi i gomiti. Una garza sul ginocchio destro. Le mani ferite. E un’abrasione sull’addome che sfregando contro il body le dava un gran fastidio. Tutto per la caduta violentissima del giorno prima. E quando dopo la gara è rientrata al box azzurro, l’applauso con cui è stata accolta ha fatto capire la paura e il sollievo che hanno attraversato il clan azzurro nelle ultime 24 ore.

Brutta caduta

La notizia è arrivata intorno alle 12 con un messaggio. Caduta Federica Venturelli, la stanno riportando in hotel. E’ piuttosto malconcia, non si sa se domani farà la crono. Aspettiamo le radiografie.

«Stavo andando in discesa – racconta mentre gira le gambe sui rulli – forse un po’ troppo forte. C’era un tratto di strada disconnesso, che non era stato segnalato. E purtroppo sono finita in questa parte di strada piena di buche. Ho perso le mani dal manubrio. Sono caduta e intanto ho visto un furgone che saliva dalla parte opposta. Proprio per cercare di evitarlo e scongiurare il peggio, mi sono procurata un bel po’ di abrasioni, cercando di aggrapparmi all’asfalto per non finire dall’altra parte».

Durante il riscaldamento, Federica Venturelli si è confrontata con Velo su come gestire la crono
Durante il riscaldamento, Federica Venturelli si è confrontata con Velo su come gestire la crono

Test sui rulli

Infilare le maniche nel body le è sembrato un supplizio, ma nulla in confronto a quando ha provato a salire sulla Cinelli montata sui rulli. Aveva lo sguardo impaurito e dolorante, così pure quando ha iniziato a pedalare, sentendo il ginocchio e il gomito, sentendo la mano quando ha provato a cambiare e non riuscendo a sfilare la borraccia. Attorno a lei prima Elisabetta Borgia e poi Rossella Callovi accompagnavano le sue smorfie con parole rassicuranti, finché Federica ha iniziato a raddrizzarsi e ad aumentare il ritmo di pedalata.

«Ho deciso di partire – conferma – quando ho finito il riscaldamento, perché comunque avevo ancora male al gomito. Scaldandomi però, un po’ è passato e quindi ho deciso di provarci. Inizialmente avevo paura di non riuscire a far le curve o guidare la bici. Però poi ho visto che ero in grado, anche se non ero al top della mia condizione. E allora ho deciso di partire».

Senza borraccia

Così si è avviata, dopo aver provato a fare un paio di curve, con la certezza che difficilmente sarebbe riuscita ad alzarsi sui pedali. Senza borraccia, perché non potendola prendere, ha chiesto a Giuseppe Campanella, il suo meccanico, di smontare tutto. E forse la spinta decisiva è venuta proprio dall’attaccamento al gruppo azzurro.

«Quando sono caduta – conferma – non è stata tanto la sensazione di vedermi sfuggire il mondiale, perché comunque non ero qua per vincere. C’erano avversarie molto più forti di me, ma per fare esperienza. E’ stato il dispiacere nei confronti dello staff e della squadra che ha fatto tanti sacrifici e quindi ero dispiaciuta di non poter dare il meglio di me. Ieri sera ero abbastanza giù. Però comunque, dopo il controllo in ospedale e la radiografia in cui mi hanno detto che era tutto a posto, mi sono un po’ ripresa. Ho iniziato a pensare che magari sarei riuscita a partire e quindi ho passato una notte non troppo travagliata».

Il mondiale crono delle donne junior è stato vinto da Zoe Backstedt (Gran Bretagna), su Czapla e Joriis
Il mondiale crono delle donne junior è stato vinto da Zoe Backstedt (Gran Bretagna), su Czapla e Joriis

Dolore e adrenalina

L’hanno accolta come se avesse vinto, anche se il 24° posto a 2’59” da Zoe Backstedt è decisamente al di sotto delle aspettative di partenza: il quarto posto agli europei induceva a sperare in qualcosa di meglio e certamente Federica si sarebbe fatta valere. Probabilmente però essere partita aiuterà nella prova su strada, cui arriverà con la certezza di poter pedalare.

«L’adrenalina è servita parecchio – racconta – sentivo solo la fatica. Il male era in secondo piano. Più di tutti, probabilmente mi ha dato fastidio il gomito, soprattutto con le vibrazioni. Oppure dover spostare le braccia per fare le curve o alzarmi in piedi e rilanciare. Infatti la salita è stata la parte in cui ho sofferto di più e ho sentito di non riuscire ad andare come volevo. Adesso so di riuscire a stare in bici e questo è qualcosa che mi mette più tranquilla. Nei prossimi giorni vedrò di riabituarmi a spingere e lavorare anche sulla posizione delle mani sul manubrio, che sicuramente è qualcosa che in discesa o comunque nei momenti un po’ nervosi in gruppo sarà necessario. E tutto sommato è andata anche bene senza borraccia. Di solito bevo molto, ma oggi non era particolarmente caldo. E sono arrivata senza avere la gola secca».

Ancora su Pogacar. Quali risvolti psicologici dalla sconfitta?

31.07.2022
5 min
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In primavera avevamo messo in luce la superiorità di Tadej Pogacar nei confronti dei suoi avversari. E di quanto li avesse annientati anche psicologicamente. All’epoca, con la psicologa Elisabetta Borgia parlammo di senso d’impotenza acquisita, in quanto nonostante gli sforzi degli avversari il risultato rimaneva il medesimo vista la superiorità dello sloveno. L’emblema fu la tappa del Carpegna alla Tirreno, dove stravinse letteralmente “giocando”.

Questa sconfitta cambia le cose? Mina gli equilibri psicologici del corridore della UAE Emirates? Che conseguenze può avere? Riprendiamo l’analisi dunque con la dottoressa Borgia.

Mezzo scatto e sul Carpegna Pogacar lasciò tutti sul posto. Vingegaard incluso (che fu secondo)
Mezzo scatto e sul Carpegna Pogacar lasciò tutti sul posto. Vingegaard incluso (che fu secondo)

Attacco come difesa

«Io sono rimasta piacevolmente colpita da come abbia preso la sconfitta – dice la Borgia – tu continui a vincere e sai che prima o poi questa sconfitta deve pur arrivare, ma poi quando arriva non è così semplice da gestire, visto anche la risonanza mediatica che ha.

«Il fatto che abbia esagerato un po’ nelle prime tappe, con quelle volate, quegli scatti, magari era una strategia per coprire alcune lacune che sentiva dentro di sé. Magari sapeva di avere una squadra meno forte e decimata giorno dopo giorno».

Quattro mesi dopo il Carpegna, la “resa” di Pogacar sul Granon: prima batosta della carriera
Quattro mesi dopo il Carpegna, la “resa” di Pogacar sul Granon: prima batosta della carriera

“Frittata rigirata”

La Borgia spiega che Pogacar sembra aver reagito bene alla sconfitta, ma è chiaro anche che a livello mentale un evento del genere ha un effetto importante soprattutto a livello di senso di autoefficacia, ovvero senso di padronanza.

Mentre i suoi avversari fino ad ora alla luce dei risultati a favore dello sloveno erano nel circolo del senso d’impotenza acquisita nei suoi confronti e lui invece aveva un senso di autoefficacia molto forte, adesso gli equilibri sono un po’ mutati.

«Con la sconfitta di Pogacar – riprende la Borgia – si è creato un precedente: gli altri corridori sanno che si può battere, perche questa cosa è già avvenuta. Vingegaard ha aperto un varco.

«Sia chiaro, Pogacar resta un super campione, un fuoriclasse e un bellissimo personaggio del ciclismo attuale, ma in questo Tour qualcuno ha fatto meglio di lui, quindi in ottica di prestazione si sono evidenziati dei limiti personali e del suo team».

Ieri a San Sebastian il primo ritiro stagionale per Pogacar scortato dai compagni. Era la prima gara post Tour
Ieri a San Sebastian il primo ritiro stagionale per Pogacar scortato dai compagni. Era la prima gara post Tour

Da dove ripartire…

In UAE Emirates sicuramente staranno esaminando le cause di questa sconfitta. Una delle più concrete sembra essere il caldo. Sin qui Tadej non aveva mai incontrato il caldo estremo per più giorni e forse questo agente esterno ha fatto emergere un suo punto debole. E lo si è visto anche dalla sua eccessiva perdita di sali.

«Conoscere la causa, il motivo per cui si è reso di meno aiuta moltissimo – dice la Borgia – La situazione peggiore senza dubbio è quando non si hanno risposte. Se invece si riesce ad analizzare la situazione in maniera lucida e metodica prendendo in considerazione dati oggettivi, si può capire dove migliorare e che strategie usare.

«Cosa posso fare io per superare questo ostacolo? In psicologia dello sport una regola aurea è tenere ben chiaro in testa da una parte cosa è andato bene (i miei punti di forza) e dall’altra parte cosa si può migliorare: i punti ‘deboli’ diventano obiettivi di miglioramento. E’ un approccio metodico. E di certo Tadej e il suo staff faranno tutti gli accertamenti del caso».

Pogacar Belgio 2022
Ma Tadej è un ragazzo solare e si saprà rialzare. Non va dimenticato che aveva una squadra decimata… contro una corazzata
Pogacar Belgio 2022
Ma Tadej è un ragazzo solare e si saprà rialzare. Non va dimenticato che aveva una squadra decimata… contro una corazzata

Analisi al dettaglio

Il senso di autoefficacia è stato colpito, ma non stravolto, come dicevamo. Non c’è stata una debacle totale, una controprestazione e dunque non tutto deve essere messo in dubbio. Semmai si cercherà di limare laddove si poteva fare diversamente. 

«In questo caso – spiega la dottoressa – la Jumbo-Visma è una squadra altamente all’avanguardia. Sappiamo, che gli olandesi sono metodici al massimo. Lavorano in modo veramente minuzioso direi.

«Pogacar sembra essere un atleta molto equilibrato, senza “integralismi” sembra fare tutto con molta semplicità e divertimento, ma magari c’è qualche aspetto su cui si può lavorare per crescere ulteriormente».

«Pogacar ha una mentalità da campione e lo si è visto da come ha reagito, ammettendo la sconfitta, e da come ha cercato di attaccare Vingegaard fino alla fine. A volte le sconfitte possono far cambiare atteggiamento, portando l’atleta ad essere più remissivo e meno determinato ad attaccare. Se ogni volta che mi muovo prendo una “scoppola” del genere, magari gioco di rimessa.

Tuttavia al Tour Pogacar non ha fatto così, anzi… Si è subito mostrato grintoso, voglioso di rifarsi. Ha attaccato tanto da dire: “Semmai salto io”. Ed è questa la mentalità del campione».

«Avrà qualche insicurezza in più, ma quelle le hanno tutti».

Borgia: supremazia Tadej e senso d’impotenza auto acquisito

18.03.2022
4 min
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Quando Tadej Pogacar attacca non demolisce solo le gambe degli avversari ma anche i loro animi. E quando si parla di animi, di mente e di psicologia entra in pista Elisabetta Borgia, appunto psicologa dello sport nella fila della Federazione e della Trek-Segafredo.

La supremazia dimostrata dallo sloveno in questi pochi anni da professionista, la continuità di questo dominio e la tipologia delle sue azioni, fanno spesso pensare agli altri corridori che si corra per il secondo posto. In tal caso come si trovano gli stimoli? Sarà vero che si è portati a mollare?

Elisabetta Borgia è psicologa dello sport. Lavora con la Trek-Segafredo e la Federciclismo
Elisabetta Borgia è psicologa dello sport. Lavora con la Trek-Segafredo e la Federciclismo

Senso d’impotenza 

«Le prestazioni di Pogacar – spiega la Borgia – degli ultimi anni sono di altissimo livello, difficilmente contenibili. E questo tende ad avvilire i suoi avversari. Però è umano anche lui. Tadej è riuscito a infondere quello che in psicologia è chiamato “senso d’impotenza auto acquisito”. Tradotto: se quello scatto lo fa un altro corridore, gli altri proverebbero a seguirlo, si staccherebbero lo stesso, ma insisterebbero un po’ di più».

«Se tu provi a contrastare un avversario e il tuo tentativo è sempre stato fallimentare ad un certo punto quando lui si muove tu cerchi di risparmiare energie, ti tiri indietro in qualche modo. Okay, in questo momento Pogacar è “over the top”: un giorno però anche lui non sarà al massimo ma gli altri saranno meno determinati».

Dopo la Strade Bianche Valverde (secondo) ha abbracciato Pogacar: «Con una superiorità così, c’è poco da fare»
Dopo la Strade Bianche Valverde (secondo) ha abbracciato Pogacar: «Con una superiorità così, c’è poco da fare»

Ma Tadej è umano

In questo ultimo passaggio viene in mente la tappa del Ventoux dello scorso anno. Pogacar sicuro di sé attacca, ma non fa il solito vuoto. Vingegaard lo rintuzza e addirittura lo stacca. Roba di una manciata di secondi, nulla più, però quell’azione dimostrò che Pogacar era umano, che era battibile.

«Spesso si parte con la classifica disegnata in anticipo. La tua mente è razionale e sa che lui è più forte. Dici a te stesso che parti per il secondo posto e parti con una convinzione diversa. Il senso di auto efficacia (di cui abbiamo parlato più volte, ndr) si basa sulle esperienze precedenti, siano esse nel bene che nel male, e se un corridore contro di lui più volte le ha prese, alla fine s’innesca questo meccanismo difensivo».

E torniamo quindi al discorso di prima: perché devo distruggermi per seguirlo e poi essere anche staccato?

Vingegaard “stacca” Pogacar sul Ventoux, uno dei pochissimi momenti di difficoltà dello sloveno
Vingegaard “stacca” Pogacar sul Ventoux, uno dei pochissimi momenti di difficoltà dello sloveno

Azzerare la memoria

E allora viene da chiedersi come si possa superare, se non Pogacar, questo ostacolo mentale, quindi se stessi. Come ci si può trarre d’impaccio da una situazione di inferiorità psicologica.

«Il momento per fare dei cambiamenti è il presente. E’ da lì che costruisci il futuro. Il passato… è passato. Io dico sempre ai miei atleti: partite in gara con la memoria azzerata, specialmente se il momento che state attraversando non è di quelli super.

«Quando vai alle gare senza quella motivazione del tipo “spacco il mondo” è un po’ come boicottarsi in anticipo. Stiamo nel presente e tiriamo fuori il 100%, poi quello che si fa… si fa. Bisogna lasciare fuori quel che è successo in precedenza perché ci condiziona».

Non solo nello sport, nella società attuale troppo spesso non si vive il presente e la realtà. Imparare a farlo è un qualcosa che si allena
Nella società attuale troppo spesso non si vive il presente e la realtà. Imparare a farlo è un qualcosa che si allena

Vivere il presente

Un processo mentale affatto scontato, però. Non è facile mettere tutto da parte in un solo colpo. E la Borgia lo sa bene.

«Ci si riesce – spiega la Borgia – nel momento in cui mi focalizzo sul presente. E questo “focus”, chiamiamolo così, si può allenare. Nella nostra società siamo iper proiettati verso il futuro: siamo qui, ma con la mente siamo già verso quel che sarà. Progettiamo, siamo proiettati verso un tempo diverso.

«Dobbiamo allenarci nella vita quotidiana a vivere il presente, il momento. Sono a colazione, mi concentro sul latte e il caffè, e non sto lì col telefono in mano. Mi alleno, penso all’allenamento. Penso a ciò che faccio: questo è vivere il presente. E quando ho acquisito questo giusto processo mentale poi è più facile anche in gara attivarlo. E’ più facile azzerare la memoria».

«E questo modo di ragionare è ancora più importante in una corsa a tappe. Come ti comporti giorno dopo giorno. E’ tutto un archiviare e ripartire senza memoria. E se poi il periodo è di quelli super è chiaro che ti gasi, che interiorizzi il tutto. Ed è quello che sta vivendo Pogacar. Ormai ha delle certezze acquisite. E valle a minare quelle certezze».

Come cambia la percezione della fatica col passare degli anni?

19.11.2021
5 min
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La fatica è l’anima del ciclismo. Il gioco è tutto lì, lo spettacolo è tutto lì. Ma le grandi storie derivano dal fatto che non sempre chi fa più fatica è anche colui (o colei) che vince. Anzi, spesso chi ne fa di più sono coloro che arrivano dietro. Ma a dare spettacolo è chi più resiste.

In un atleta, nel corso degli anni il rapporto con la fatica cambia. Si evolve, per assurdo può anche piacere, ma il più delle volte si arriva ad odiarla. E non sarebbe un qualcosa di strano, visto che è nella natura dell’essere umano cercare di farne il meno possibile.

Elisabetta Borgia già collaborava con la Trek-Segafredo, adesso è entrata a farne parte ufficialmente
Elisabetta Borgia già collaborava con la Trek-Segafredo, adesso è entrata a farne parte ufficialmente

Fatica ed età

Ma torniamo al ciclismo e poniamo la questione come cambi la percezione della fatica col passare degli anni ad Elisabetta Borgia, psicologa dello sport entrata ufficialmente a far parte della Trek-Segafredo.

«Da un punto di vista fisiologico – dice la Borgia – sappiamo che si fa più fatica sugli scatti, perché si perde esplosività. Estremizzando il concetto: si diventa più portati per le corse a tappe che per le classiche. Ma questa parte non è di mia competenza. Lo è quella mentale.

«La percezione della fatica nasce dalla consapevolezza di riuscire a starci, in quella zona di fatica appunto. Spesso sento dire dagli atleti: non riesco a fare fatica. Ebbene, molto dipende dalla motivazione e dal senso di autoefficacia che si ha. Il senso di autoefficacia è quanto ci si sente forti, per semplificare al massimo».

«Il rapporto con la fatica – riprende la Borgia – è strettamente personale. La differenza tra giovani e veterani potrebbe essere la fame di successi che si ha. E’ l’aspetto motivazionale, è il riuscire ad esprimersi sempre al massimo.

«Un atleta più maturo invece riesce magari anche a prevenire certe situazioni, ha una visione più equilibrata della corsa o di un determinato periodo e si crea le condizioni per raschiare meno il barile. Quando un giovane deve partire tre settimane per l’Australia dice: “Wow, che bello si parte”. Al corridore più esperto magari tutto ciò pesa: “Eh ma qui lascio la casa, non vedo i figli…”. Gli costa più fatica partire. E in qualche modo pensa già al suo “dopo lavoro”».

Stringere i denti. Lottare sino all’ultima goccia di sudore. L’età tende quindi a smussare questa attitudine, se così si può chiamare?

«Non credo che il mollare prima o dopo dipenda poi così tanto dall’età. Credo piuttosto dipenda dal soggetto. L’adulto magari non ha bisogno di fare fuorigiri in modo continuo come il giovane, perché l’adulto ci arriva di mestiere, sa tenersi qualcosa solo per quelle determinate situazioni. Ma se è motivato porta la sua fatica fino al limite».

Fatica e stress possono trasformarsi in paura
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Paura e blocco

Col passare degli anni si può avere “paura” di fare fatica? Il corpo, e di conseguenza la mente, la ripudiano.

«In fin dei conti il momento di fatica massima per un atleta è un momento molto importante. Il corridore si può sentire invincibile o vulnerabile.

«Invincibile, se per esempio, sta facendo tanta fatica ma è davanti da solo. In quel caso tutto gli viene bene e fare fatica quasi non gli costa.

«Vulnerabile, invece, quando è in un momento della corsa, della stagione o della carriera in cui fa tanta fatica ma non sta dove vorrebbe essere. In quel caso non riesce a raggiungere quel limite che ben conosce. I battiti cardiaci non salgono perché magari è stanco fisicamente o perché la mente non lo fa arrivare a quel limite perché non lo vuole più, perché è nauseato. Si crea un blocco».

La Borgia spiega che tutto ciò si risolve con degli approfondimenti e la prima cosa è risalire alle cause di questo blocco. Bisogna capire il perché. Bisogna capire se è un momento o se si è in una vera fase discendente della carriera. 

«In questo caso, se per esempio ti fa fatica fare anche le cose più piccole, devi accettare il fatto che magari non devi più correre. Di sicuro devi analizzare che tipo di paura hai nel far fatica: hai paura di tutto? Hai paura quando ti passano? Serve un’analisi approfondita».

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Valverde, regola ed eccezione

Insomma, e lo dice anche la Borgia, c’è uno strettissimo legame tra fatica e motivazione. Sino a quando la motivazione è alta la percezione della fatica “tarda” ad arrivare o comunque in qualche modo è accettata. E questo a prescindere dall’età. E Valverde (foto in apertura) in qualche modo è sia colui che conferma la regola che l’eccezione.

«Un corridore come lui – conclude la Borgia – riesce ogni volta a rimodulare i suoi obiettivi e a trovare di conseguenza le giuste motivazioni. Ha la voglia di un ragazzino, pronto a rischiare in discesa, a stare manubrio contro manubrio e farsi tirare il collo. Nello specifico parliamo di un campione fisico e mentale.

«E’ come chiedere ad un atleta che ha vinto tutto cosa lo motiva. Pensare di vincere per una seconda o terza volta quella determinata gara non potrà avere lo stesso carico motivazionale e invece lui ci trova la stessa gratificazione che in altri atleti non trovi».