Lisa Klein (nella foto di apertura), una delle storiche componenti del quartetto tedesco arrivato a dominare il mondo, lascerà a fine stagione, in anticipo sui tempi. La campionessa teutonica ha deciso di rescindere il contratto con la Lidl Trek a soli 28 anni: «Non posso continuare a “galleggiare”. Questa stagione ho avuto tanti problemi di salute nei periodi importanti della stagione, e durante le corse sentivo di non riuscire a recuperare come volevo. Inoltre i giorni lontani da casa cominciano a diventare sempre più pesanti. La soluzione per me è di fare un passo indietro, avere meno pressione e rilassarmi».
La troppa pressione per restare nel WorldTour ricorda un tema che alle ultime Olimpiadi è emerso spesso, trasversalmente tanto fra i vari sport come fra le varie nazioni: la gestione della pressione, talmente forte da portare, come nel caso della Klein, a fare un passo indietro. Quello della tedesca è un esempio sul quale vogliamo ragionare con Elisabetta Borgia, psicologa sportiva attualmente alla Lidl Trek senza toccare l’aspetto specifico della ciclista tedesca per non invadere il segreto professionale, ma sfruttandone il pretesto.
«Il lavoro sulla pressione si è sempre fatto – esordisce la professionista, in forza anche alla nazionale italiana – è la gestione della performance, fondamentale nell’approccio a un evento. E’ difficile regolare la propria emotività, spesso fa la differenza nella prestazione. Bisogna lavorare sulla consapevolezza personale sapendo che ci sono atleti che facendo leva proprio sull’emotività riescono a esaltarsi nel momento che conta, altri invece soffrono».
Perché si arriva a fare un passo indietro?
Nel corso degli anni le richieste vanno sempre aumentando, da parte dell’ambiente che ci circonda ma anche dal punto di vista personale e vanno a invadere quella che è la quotidianità e tutto ciò si amplifica con l’avvicinarsi del grande evento per il quale si è lavorato tanto, si sono fatti sacrifici. Se definiamo un obiettivo molto alto la pressione arriva e va sempre aumentando, è importante saperla gestire. Se la percepiamo in maniera troppo forte, questa va a inficiare l’exploit, influisce sulla stessa qualità non solo della propria prestazione ma della vita stessa.
Influisce l’evoluzione della disciplina? Il ciclismo femminile si sta evolvendo a passi da gigante…
Sicuramente. Pensiamo ad esempio che solo 15 anni fa quando ci si allenava, si aveva il cardiofrequenzimetro al polso e si andava avanti, oggi ci sono mille device da tenere sotto controllo e questo diventa un fattore di stress mentale. Abbiamo la testa riempita di mille pensieri. Poi mettiamoci l’aspetto mediatico: siamo a continuo contatto con il mondo, i social sono una rete molto forte e non è sempre facile utilizzarli nella maniera più giusta. Si vuole apparire, ma spesso ci sono anche aspetti negativi con cui fare i conti, ad esempio la commistione fra tifosi e hater.
Il WorldTour è davvero un aggravio da questo punto di vista?
E’ normale che sia così, considerando che intorno al ciclismo è lievitato tutto, sono aumentati i budget e conseguentemente gli stipendi, ma anche la pressione, la richiesta di risultati. Tutto ciò viene vissuto in maniera particolare considerando che non siamo più nella sfera maschile.
Perché, c’è differenza da questo punto di vista fra i sessi?
E’ un discorso che travalica il puro aspetto ciclistico o sportivo. Parliamo di cultura, di socialità. La donna per sua natura è più legata all’aspetto relazionale, più aperta a parlare, più consapevole della propria emotività. L’universo maschile è più puntato verso la performance pura, ho un obiettivo e cerco la strada più semplice per raggiungerlo. Diciamo che ha una maggiore compartimentazione. Fra le ragazze questo è più sfumato, influenzato dai rapporti personali con compagne, avversarie, staff, ambiente che le circonda… La cooperazione ha un peso maggiore, il contesto diventa un fattore molto più importante. Le ricerche hanno evidenziato come nello sport femminile spesso intervenga la “sindrome del burn out” che porta all’esaurimento delle proprie risorse psicofisiche, influendo in maniera decisiva sul dispendio energetico fino a diventare cronica e a portare a scelte estreme come il fare un passo indietro e rinunciare.
La vicenda della Klein ha destato scalpore perché estremamente rara…
Meno di quel che si pensi. Tornando indietro con la memoria, ricordo che ci sono state molte atlete di altissimo livello a soffrirne. La stessa olimpionica di mtb Pauline Ferrand-Prevot ha vissuto periodi bui, come anche Marianne Vos, oppure la svedese Rissveds che per anni si è persa dopo la vittoria olimpica di Rio 2016. Riuscire a risollevarsi è un aspetto importante e queste atlete non sono solo la dimostrazione che si può fare, ma che le vittorie successive acquistano un maggior sapore e valore. E’ importante per questo essere capaci con il lavoro introspettivo a resettarsi.
Qual è allora la differenza con il passato?
Semplicemente che se ne parla di più. All’aumento della pressione corrisponde un aumento della cultura legata a questa, gli studi che si moltiplicano sul tema, un lavoro che si compie insieme a professionisti del settore. E’ un problema importante e comune che porta molti a non riuscire ad arrivare a fine stagione. Il primo passo è sempre avere la forza di condividerlo, di esternare il problema in modo da poterlo affrontare.