Probabilmente la sensazione del crampo Bettiol la conosce bene. Ci sono atleti che in qualche modo vi sono predisposti e siccome lo sanno, sono consapevoli anche di tutto quello che serve per scongiurarli. Il guaio è che forse le solite precauzioni non bastano se vai a correre le Olimpiadi in Giappone. Quando tutto viene spostato al limite, lo stress fisico s’impenna e puoi ritrovarti di colpo inchiodato su un dolore che conosci e contro cui hai poco da fare. Lo ha spiegato benissimo Malori stamattina. Perché, oltre al toscano, ne ha fatto le spese anche Izagirre nella crono e chissà quanti altri dal nome meno illustre, nei torridi giorni giapponesi. In archivio le Olimpiadi della strada con tutto quello che di bello ci hanno lasciato, si volta la pagina.
Moscon doveva essere il suo punto di appoggio nel finale dei Giochi, ma il crampo lo ha traditoMoscon doveva essere il suo punto di appoggio nel finale dei Giochi, ma il crampo lo ha tradito
«Ne ho parlato con il dottore – ha detto Bettiol dopo la cronometro – e non ci siamo dati spiegazioni. Bisognava stare attenti alla dose di caffeina, ma abbiamo fatto in modo di non eccedere. Semplicemente è il mio fisico che ogni tanto, quando va fuori soglia, viene preso dai crampi. L’unica nota positiva è che nel 2019 alla Strade Bianche ho avuto i crampi e dopo un mese ho vinto il Fiandre. In più mettiamoci che qui in Giappone il clima è molto umido, quindi può succedere…».
Verso Leuven
Sulla strada di Alberto, il cui contratto con la EF Education-Nippo arriverà sino al 2023, si staglia ora il campionato del mondo, cui giungerà tramite la Vuelta. Ce lo aveva raccontato quando lo incontrammo a Livigno alla fine di giugno: la corsa spagnola sarà funzionale alla sfida iridata e la squadra lo ha accontentato.
La tappa vinta al Giro gli ha aperto le porte della nazionale. Lui l’ha messa in archivio ed è ripartitoLa tappa vinta al Giro gli ha aperto le porte della nazionale. Lui l’ha messa in archivio ed è ripartito
«Dentro di me, porto via da queste Olimpiadi delle buone sensazioni – ha detto – sapendo che comunque siamo a metà della stagione. La prima parte si è conclusa con il Giro d’Italia, la seconda è appena cominciata con una bella prova alle Olimpiadi e prosegue con la Vuelta e il campionato nel mondo».
Una bella crono
La bella prova è più quella della crono di quella su strada, nonostante fosse partito per la prima come principale speranza azzurre e non avesse nulla da perdere nella seconda. Lo stesso Bradley Wiggins, a Tokyo con Eurosport, ha commentato positivamente la sua gara.
Tre giorni dopo la prova su strada, Alberto ha corso la crono, cogliendo l’11° postoTre giorni dopo la prova su strada, Alberto ha corso la crono, cogliendo l’11° posto
«A crono Bettiol è questo – ha detto Alberto – anche se rispetto ai grandi specialisti, come Dennis e Dumoulin, devo ancora migliorarmi e ci riuscirò piano piano con la mia squadra. Sono riuscito a dare il massimo fino all’arrivo, è difficile per me trovare dei punti in cui potevo spingere di più. Quando si riesce a dare tutto, è positivo. Ho rimpianti solo per la strada, anche se non potevo fare di più perché non è dipeso da me. Siamo stati una squadra con la S maiuscola, attualmente questo è il nostro livello. Ovviamente per quanto riguarda la corsa su strada non abbiamo adesso in Italia corridori che possano vincere una Liegi o il Lombardia. E alla fine l’Olimpiade è stata una grande classica. Abbiamo fatto del nostro meglio, abbiamo cercato di collaborare, siamo stati squadra».
Per vincere il mondiale, visto il percorso, servirà un uomo da Fiandre e Bettiol il Fiandre lo ha vinto. E’ l’unico fra gli italiani in attività a poterlo dire. Speriamo che per fine settembre, tutto si incastri nel giusto versoe che in qualche modo i crampi di Tokyo portino bene. Perciò, caro Betto, fai un bel respiro e buon ritorno a casa.
Per Cannondale è giunto il tempo di rinnovare la propria sponsorizzazione e la partnership nel mondo del professionismo WorldTour. Il bike brand è di proprietà del poderoso Gruppo Dorel. La società quotata in borsa a New York (NYSE), ha definito fino al 2023 con EF Pro Cycling. Il team che anno si chiamerà ufficialmente EF Education-NIPPO.
Insieme dal 2015
Lo stesso gruppo sportivo collabora attivamente con Cannondale da ben sei anni, ovvero da quando il marchio americano ha avviato nel 2015 la fornitura delle biciclette al team Garmin-Sharp. E mentre il nome della squadra è cambiato nel corso degli anni, la costante è stata rappresentata proprio dalle biciclette che hanno guidato le prestazioni degli atleti. E’ stata sempre molto forte anche la collaborazione tra la squadra e lo staff tecnico di Cannondale.
Promozione a 360°
«Prioritariamente, il rapporto con Cannondale ha sempre riguardato l’evoluzione e la rivoluzione – ha dichiarato Jonathan Vaughters, CEO di EF Pro Cycling – e questo perché entrambi vogliamo progredire da un punto di vista agonistico, spingendo i confini ed il coinvolgimento del nostro sport verso l’esterno. Amiamo lavorare con Cannondale per evidenziare la bellezza dei loro prodotti, ma anche per rendere il ciclismo più accessibile ovunque. Vogliamo che più persone vadano in bicicletta… con il sorriso sulle labbra».
Rigoberto Uran in sella alla Cannondale SuperSix EvoRigoberto Uran in sella alla Cannondale SuperSix Evo
Corsa, gravel e Mtb
La durata dell’accordo darà al team stesso e a Cannondale il tempo necessario di pianificare e compiere dei veri e propri progressi su più fronti: strada, ma anche Mtb e gravel. La squadra sta correndo un calendario misto di eventi. Al di là delle gare su strada, i nuovi eventi consentiranno difatti a EF Pro Cycling e a Cannondale di ben collaborare in tutte le discipline. «Le nostre ambizioni di costruire una comunità più ampia nel mondo del ciclismo sono perfettamente in linea con lo spirito di EF Pro Cycling – ha ribadito Jonathan Geran, il Responsabile dello sports marketing di Cannondale – e stiamo tutti lavorando per gli stessi obiettivi comuni, ovvero quelli di essere la squadra più amata al mondo, di correre con carattere e cuore e di cambiare la percezione di ciò che la gente pensa del ciclismo professionistico e dei suoi protagonisti».
La SistemSix con la grafica personalizzata da Rapha e Palace SkateboardsLa SistemSix con la grafica personalizzata da Rapha e Palace Skateboards
Uno sviluppo tecnico sempre crescente
«Le Cannondale con cui gareggeremo in questa stagione sono davvero il massimo in termini di prestazioni – ha affermato Andreas Klier, il capo delle operazioni tecniche del team – e a un certo livello ti aspetti che ogni bicicletta sia davvero eccezionale. Ma ciò che ci distingue è il modo in cui lavoriamo assieme sui dettagli, in modo particolare i nuovi modelli. Oltre ai telai delle bici, nel corso degli anni siamo stati in grado di ottenere enormi incrementi di prestazioni anche da alcuni diretti fornitori di Cannondale, come FSA, Vision, Prologo e Vittoria».
Prosegue con Simone Maltagliati di Cannondale la nostra inchiesta fra i brand leader del mercato. Dopo il lockdown è cresciuto tutto, ma l'urban di più...
Fabrizio Guidi, così dice lui per spiegare, è come il bimbo sotto l’albero di Natale che ha adocchiato il pacco più bello. La notizia che dal 2021 il toscano sarà uno dei direttori sportive della Uae Team Emirates è arrivata il 15 dicembre tramite un magro comunicato stampa, in cui se ne elogiava la professionalità. Il ciclismo non è come il calcio: quando si sposta un tecnico, celebrazioni se ne fanno il giusto, come se le sole cose che contino siano gli sponsor e i campioni. Però parlando con Alberto Bettiol pochi giorni dopo, era emerso quanto sia importante il rapporto che lega il campione al direttore sportivo e come per colmare il vuoto non basti scrivere un altro nome nella casella. Forse se il ciclismo imparasse a valorizzare tutti gli attori che ne compongono la scena, darebbe di sé l’immagine che merita. Ma questa è un’altra storia…
Alla Vuelta del 1998, Guidi in maglia Polti vince tre tappe e la classifica a puntiAlla Vuelta 1998, 3 tappe e classifica a punti
Bettiol se la caverà
Da quando si è sposato con Caroline, Fabrizio vive in Svizzera, a Muensingen vicino Berna. Ha due figli: Elia di 20 anni, Estelle di 17. Per Natale è stato quattro giorni in Toscana, in piena zona rossa. Dal prossimo anno, si diceva, lascia la Ef Pro Cycling e dopo un po’ che parla, ti rendi conto di quanto sia diventato grande il ragazzino che vedemmo passare professionista nel 1995, poi solcare il mondo attraverso nove squadre diverse, con 46 vittorie e una laurea in Scienze Giuridiche, facoltà di Giurisprudenza, con una tesi in diritto penale sulla “giustizia riparativa”.
«Con la Ef Pro Cycling – dice – sono stati sei anni belli, passati bene. Poi il Covid, le incertezze, l’attesa di risposte… Se nel frattempo hai delle opportunità importanti, che fai? Per un anno ci siamo portati dietro delle difficoltà, credo come tutti. Quello che è successo al Giro, il fatto che la squadra pensasse di chiuderlo prima e io abbia detto di voler continuare, non ha inciso nella scelta. Certo la comunicazione non è andata come doveva. Io ho detto quello che pensavo e non è stato l’ideale, ma dopo tanti anni non può essere questo che mette in crisi un rapporto di fiducia. Il problema è stato da un lato l’incertezza e dall’altro l’occasione che si è presentata. Non me ne sono andato sbattendo la porta. Quanto a Bettiol… Alberto è maturato tanto, non è più spaesato come all’inizio. E’ responsabile, non l’ho abbandonato in un cesto come qualcuno fa coi bimbi – ride alla battuta – sa camminare da solo».
Il gruppo vince
La Uae Team Emirates sta spingendo forte sul gas e dopo un 2020 di vittorie, ha intrapreso una campagna di rinforzi che ha visto anche l’arrivo di Fabio Baldato sul fronte dei tecnici e un mercato potente quanto agli atleti, con Trentin e Majka come punte di diamante e insieme lo scouting di talenti giovani come lo spagnolo Juan Ayuso, piazzato per ora al Team Colpack.
Dopo il debutto alla Nippo, dal 2011 al 2014 è con Riis e Contador alla Saxo BankDal 2011 al 2014 con Riis e Contador alla Saxo Bank
«Se guardo al futuro e ai corridori che ci sono – riprende Guidi – vedo margine e un progetto, che anche a me offre delle prospettive. Sono orgoglioso che mi abbiano chiamato. Con Gianetti ho diviso anche la camera ai tempi del Team Coast. Ha idee innovative, ci scambiavamo messaggi da tempo e l’ultimo è stato decisivo. Arrivo adesso, sono l’ultimo. E’ presto per dire cosa farò, ne parleremo in ritiro. Nelle squadre si ottiene il massimo se si lavora in gruppo, se la comunicazione funziona e i corridori capiscono di avere dietro una società forte. Se nascono i gruppetti, è la fine. Conosco tanti direttori di quel gruppo, sono 11 anni che siamo sulle stesse strade. Baldato, Marzano, Pedrazzini, Mori… c’è tanta Italia, anche se l’idea è renderla sempre più internazionale. E per diventare una squadra forte, si deve andare in questa direzione».
Lingue e culture
L’ideale per uno che parla quattro lingue e ha corso in team italiani, francesi, tedeschi, americani, svizzeri, danesi e sudafricani e che da direttore si è fatto le ossa nella Saxo Bank di Bjarne Riis e poi alla Ef Pro Cycling di Jonathan Vaughters. E a pensarci bene, non è solo per la lingua: il dialogo fra direttore e corridore deve arrivare a un livello molto più profondo.
«Ho esperienza in questo senso – spiega – perché l’ho imparato durante la mia carriera di corridore. Se riesci a comunicare nella sua lingua, il corridore si apre, nasce l’empatia e lui di colpo è disposto a ricevere i consigli. Sei stato corridore, sai quali tasti toccare. Come quando tiri di sciabola e fai centro: quello che hai infilzato se ne accorge, lo sente e il messaggio arriva. E non è solo la lingua, giusto. Se conosci le varie culture, sai anche come è cresciuto il ragazzo che hai di fronte. Sai a cosa è abituato uno cresciuto in Francia, di quali informazioni dettagliate sul percorso ha bisogno il belga, sai come prendere l’italiano, sai di quale clima psicologico ha bisogno il colombiano. Sai a cosa sono abituati, sai che ci sono mentalità diverse e di quali input hanno bisogno per ambientarsi. Mi sono fatto anche questa formazione e ci riesci solo quando esci dall’Italia. Alla Francaise des Jeux ero l’unico italiano e ho sempre corso in team che erano crogiuoli di nazionalità diverse».
Nel 2015 inizia l’avventura con Vaughters alla Cannondale, con Formolo che vince a La Spezia. Fra i due c’è Cristian SalvatoNel 2015 alla Cannondale e Formolo vince a La Spezia
La sfida del tempo
E al contrario di quello che abbiamo raccolto in precedenti interviste, parlando del tempo che passa e porta via le abitudini più radicate, il suo atteggiamento è quello curioso che si dovrebbe avere davanti alla grammatica di una nuova lingua.
«Sono diventato direttore sportivo WorldTour con Riis – dice – e campioni come Contador. Ma non c’è solo il campione. Quando finisci di correre e cambi lavoro, smetti di pensare a te stesso e ti concentri sugli altri. Cerchi soluzioni, attingendo a quello che serve, a quello che hai. Come se avessimo ciascuno un barile pieno delle esperienze fatte e dovessimo cercarci dentro gli strumenti con cui affrontare il mondo che cambia, facendo sintesi. I corridori che arrivano adesso crescono nel mondo dei social, noi più grandi non possiamo buttare tutto pretendendo di rimanere legati a com’era prima. Sarà che ho un figlio di 20 anni che va all’università di Zurigo. Questi cambiamenti sono un’opportunità, il modo di restare giovani. E’ un nuovo registro di comunicazione, se vuoi anche una sfida. Se ti fermi smetti di imparare. E’ Natale, ho davanti il primo ritiro, faccio il lavoro che mi piace. Sapete una cosa? Sono proprio contento».
Da Ayuso e Ackermann i primi feedback (positivi) sull'utilizzo dei manubri stretti. La regola che limita la posizione aero ha spinto verso questa scelta tecnica
A margine della splendida chiacchierata con Alberto Bettiol, il discorso è caduto sul giorno (15 ottobre, tappa di Cesenatico) in cui la Ef Pro Cycling propose di fermare il Giro al secondo giorno di riposo. All’indomani dell’arrivo di Piancavallo.
Erano giorni convulsi e confusi. Sui siti di un paio di quotidiani era stata amplificata la notizia secondo cui 17 poliziotti in moto del Giro fossero positivi al Covid. E quando si era capito che si trattava della scorta del Giro per bici elettriche, che nulla c’entrava con quello “vero”, era stato necessario un lavoro titanico di rettifiche per riaffermare la verità. Due giorni prima la Jumbo-Visma si era ritirata in blocco per la positività di Kruijswijk e così pure la Mitchelton per quella di Simon Yates. Anche Michael Matthews aveva lasciato la corsa, rivelandosi poi un falso positivo al pari di Gaviria di lì a poco. Il Giro era scosso da una vena di comprensibile isteria. E la proposta di Vaughters aveva inasprito gli animi.
«Le cose sono abbastanza chiare – dice Bettiol, che al Giro non c’era ma ha vissuto tutto in diretta – anche se poi sono state interpretate un po’ dalla rabbia e dalla frustrazione, perchéeravamo tutti sotto pressione».
Per la Ef Pro Cycling al Giro, due tappe e la maglia azzurra della montagnaPer la Ef al Giro, 2 tappe e la maglia dei Gpm
Che cosa è successo?
Noi tutti della Education First abbiamo ricevuto una email da Vaughters (team manager del team, ndr), in cui si diceva che forse era più sicuro se la squadra del Giro fosse tornata a casa. Un suo consiglio, c’era scritto: uno spunto costruttivo su cui ragionare.
Perché?
Noi siamo quelli che hanno adottato più misure Covid. Facciamo il tampone ogni volta che entriamo nella bolla, ben oltre quello che dice l’Uci. Per l’Uci bastano due tamponi e sei coperto per 10 giorni. Noi lo facciamo ogni volta che usciamo dalla bolla. Abbiamo dormito sempre in camera singola, anche il personale, che forse solo la Ineos. Tamponi a casa. Non abbiamo fatto più ritiri. A tavola massimo 3-4 persone. EF come politica aziendale (EF – Education first è una società internazionale specializzata in formazione linguistica, viaggi studio, corsi di laurea e scambi culturali, ndr), non come squadra di ciclismo, ci ha fatto queste raccomandazioni. E noi ci siamo attenuti alla politica del nostro sponsor.
Quindi al Giro è suonato l’allarme?
Vaughters, vedendo che c’erano i poliziotti positivi, che andava a casa Matthews, che andava a casa Yates… ha detto che forse si poteva trovare la soluzione. Solo che Vegni l’ha presa sul personale.
Bè, alcune erano notizie false…
Infatti Guidi si è sentito di dire, il giorno dopo, che quelli che erano al Giro volevano continuare. Ma era un ordine che veniva dall’alto. Sia come tagli dello stipendio, sia come politica del Covid e di spostamenti, ci siamo attenuti a EF. Perché noi siamo EF e abbiamo ricevuto in proporzione lo stesso identico trattamento di un maestro che fa lezioni di francese.
Bettiol sarà una delle punte dell'Italia a Glasgow. La gamba c'è, servono un piano e l'istinto giusto. Si vince da squadra e con la superiorità numerica
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Natale con i tuoi, così quelli di Lugano hanno caricato famiglie e biciclette sulle auto e sono discesi verso le case di origine, Bettiol fra loro.
«Sono in piena ripresa – dice il toscano della Ef Pro Cycling – perché ho avuto un po’ di febbre un paio di settimane fa, quindi mi sono fermato e ora sono ripartito alla grande, perché ho già perso un bel po’ di giorni. Ma non so ancora quando comincerò a correre. Certezze ce ne sono poche. Il primo periodo vero però dovrà essere quello dalle Strade Bianche in poi…».
Alberto Bettiol ai mondiali Imola 2020 chiusi in 18ª posizioneBettiol ai mondiali di Imola, 18° al traguardo
Però intanto comincerai senza Fabrizio Guidi, passato alla Uae Emirates…
E per me è stato un colpo. Eravamo arrivati insieme in America a fine 2014. E’ toscano, ha fatto il mio stesso percorso da corridore, da Massini a Balducci. Quando era in Toscana, passava a vedermi sul Serra, la sua salita. Ci si scambiava un’idea, mi vedeva dal vivo invece di guardare i file. Facevamo insieme Strade Bianche, Tirreno e Sanremo, preparando le classiche. Mi dava consigli e ne dava a Klier e Wegelius che sono i direttori per il Nord. L’anno che ho vinto il Fiandre lui l’aveva visto subito. Non entro nel merito delle scelte, non le ho volute nemmeno sapere.
Quando l’hai saputo?
Non tanto tempo fa. Me lo ha voluto anticipare di persona come si fa tra persone serie, perché sapeva che una notizia del genere mi avrebbe un po’ stranito.
Che cosa vuoi dal 2021?
Conferme. Per me ogni anno deve essere un andare avanti, migliorarsi. Ovviamente vincere, in qualunque mese, qualunque tipo di corsa. Continuare a stare bene fisicamente e psicologicamente. Preparare una gara, arrivarci in forma, interpretarla bene tatticamente.
La stagione di Bettiol era ripresa con un ottimo 4° posto alla Strade BiancheQuarto alla Strade Bianche, prima gara post lockdown
E’ difficile trovare la condizione?
In termini di concentrazione, devi lavorare su te stesso e l’approccio alle gare. Per la condizione atletica, ci sono tante cose che si devono incastrare. Se mi venisse a marzo la febbre dei giorni scorsi, sarebbe un problema. Servono fortuna, continuità di allenamento e di prestazione. Io non ci metto tanto a Trovarla. Madre Natura mi ha dato questa dote, non ho bisogno di tanti chilometri e giorni di gara. Non a caso, alle Strade Bianche quest’anno sono andato forte (4°, ndr), venendo da poco o niente. Solo con un bel blocco di allenamento a Livigno. Poi ovviamente bisogna dare continuità. Per trovare la forma, quella bella, ci vogliono le gare.
Hai più avuto la gamba del Fiandre 2019?
Secondo me, sì. Proprio al Fiandre, ad esempio, non ero meno di allora. Anche alla Liegi, nonostante i problemi intestinali. Al mondiale, troppo duro per me, vedendo altri colleghi che hanno mollato prima di me. La Gand lo ha dimostrato (4°, ndr). Al Fiandre non mi hanno staccato in salita ma in un tratto tecnico in discesa, però era anche 30 chilometri meno. Ma quel giorno lì, l’anno scorso al Fiandre, fu più un discorso di testa. Conta la forza, ma conta anche la libertà mentale. Arrivare lì spensierato, buttare il cappello per aria, come si dice noi qua. L’Alberto Bettiol del 2019 non aveva niente da perdere. Ora è cambiata un po’ la musica, fortunatamente.
Sul pullman della Ef Pro Cycling, Bettiol con Vaughters e Modolo, dopo il Fiandre 2019Con Vaughters sul pullman dopo il Fiandre 2019
Allenarsi da solo oppure in gruppo?
Per me sono importanti la banda di Lugano e quella toscana. Ieri mi sono allenato con Sbaragli e Sabatini, anche con Visconti. E’ meglio uscire in compagnia, con dei professionisti però. Si parte insieme o ci si incontra, su ogni salita ognuno fa il suo lavoro, ci si aspetta in cima, ci si ferma al bar, fai il medio… Ieri abbiamo preso3 ore e mezza di acqua. Probabilmente da solo ne avrei fatta una e sarei tornato a casa. Con loro, ridendo e scherzando, siamo arrivati in fondo. Io non ho la forza mentale di partire e fare il lavoro in ogni condizione. Con gli amici, con i compagni di allenamento viene più facile.
Avrai sempre qualcuno accanto?
Non diventerò mai autonomo, avrò sempre bisogno di persone a fianco. Adesso ho Gabriele Balducci (suo diesse da U23 alla Mastromarco, ndr) e Leonardo Piepoli. Leonardo puramente per l’aspetto della preparazione e un po’ anche psicologico, perché alla fine siamo sempre noi con i nostri problemi. Gabriele è la persona per quando sono in Toscana, che mi sa vedere, mi conosce in bicicletta come pochissimi altri. Con Leonardo s’è creato questo triangolo che funziona bene. Sono molto fortunato. Prima c’era anche Mauro Battaglini, riduttivo definirlo il mio procuratore, che purtroppo non c’è più (si è spento il 5 settembre 2020, dopo una lunga malattia, ndr).
La Ef Pro Cycling usa ruote Vision: ecco Bettiol con Claudio Marra festeggiando il FiandreNella sede di Vision, Bettiol con Marra, a fine 2019
Perché riduttivo?
Perché mi ha lasciato una quantità di cose, di insegnamenti, di lezioni di vita, di stile… Era una delle persone più vanitose che abbia conosciuto sulla faccia della terra (ride, ndr). Gli ultimi periodi non ha mai voluto che io andassi a fargli visita, a casa o in ospedale, perché probabilmente si vergognava, per il suo pudore. Una persona tutta d’un pezzo, una persona d’altri tempi. Il più bel ricordo è quando è voluto venire l’anno scorso in Canada, alle due gare di Toronto e Montreal, perché non le aveva mai viste e mi aveva detto che prima di andare in pensione voleva fare tutte le gare del WorldTour.
Come andò?
Probabilmente lui si sentiva già dentro qualcosa e senza dirmi niente ha fissato gli stessi voli che avevo io. Mi ricordo proprio il viaggio di ritorno da Montreal, di notte. Io ero stanco, ma non abbiamo mai dormito perché mi ha raccontato tutta la sua vita. Per me, questo è un bel ricordo. Gli ultimi mesi ha sofferto tanto. Poi quella telefonata di sua moglie…
Grazie a lui la Mastromarco corre con bici Cannondale. Qui con Franceschi e BalducciGrazie a lui la Mastromarco di Balducci corre con Cannondale
L’hai saputo così?
Aveva lasciato cinque numeri di telefono da avvisare. Mauro era un calcolatore, niente lo sorprendeva. Lui calcolava tutto e ha calcolato anche cosa dovevano fare sua moglie e suo figlio nel giorno in cui sarebbe morto. Per me rimarrà per sempre come un babbo. Pinuccia è molto brava. Per il Covid non l’ho potuta rivedere, non sono andato a trovarlo al cimitero, ma farò tutto (la voce si inceppa, ndr). Mauro era uno dei pilastri che sorreggeva la mia casa. E quando si butta giù un pilastro, la casa ovviamente non crolla perché ci sono gli altri due o tre. Però la botta si è sentita.
A gennaio sul Teide?
Con Keukeleire e un massaggiatore. Ormai sono un belga adottato. Si va dal 15 gennaio al 2 febbraio. Poi andrò a correre, non lo so ancora dove…
Un’intervista a Lachlan Morton, che fra tanti direte voi… Sentite come è nata. Avete presente Paolo Mei, speaker del Giro d’Italia e grande appassionato di gravel bike? Bene. Si fa per parlare e gli scappa detto: «Io appassionato? Certo, ma dovreste parlare con Lachlan Morton della EF Pro Cycling, che ha fatto il Giro ed è il simbolo del gravel mondiale».
Così in un pomeriggio meno intasato di altri, componiamo il numero, gentilmente fornito dal Hannah Troop, addetta stampa della Ef Pro Cycling. Nel momento in cui i professionisti hanno riscoperto la mountain bike e bici.PRO si è messa al loro servizio con una serie di consigli e pareri, perché non esplorare il mondo gravel?
Lachlan ha 28 anni, è australiano e vive in Colorado, ma per fortuna oggi si trova a Girona, per cui non c’è da combattere con il fuso orario.
Lachlan Morton al Giro d’Italia 2020, 71° nella cronometro di PalermoMorton, Giro d’Italia, crono di Palermo
Sì, viaggiare
La gravel bike, per chi non lo sapesse è una sorta di minotauro, nato dall’incrocio fra una bici da strada e una mountain bike. Qualcuno vuole rintracciare elementi costruttivi delle bici da ciclocross, ma la vera contaminazione riguarda strada e mountain. Lachlan Morton se ne serve per viaggiare, con le sue borse da bikepacking attaccate e il naso che fiuta la strada, ma anche per competizioni estreme. Come quella che ha vinto in Spagna prima del Giro d’Italia. L’anno scorso invece ha viaggiato con suo fratello Gus dall’Albania a Istanbul su strade che non conosceva e realizzando durante il viaggio una sorta di documentario.
«Molte persone – racconta – sono entrate in contatto con me grazie a questo tipo di impresa. La maggior parte delle volte in cui corro, non mi sento come se fossi davvero importante per qualcuno, come se mancasse qualcosa. Forse l’idea del viaggio. Invece trovo eccitante attraversare luoghi in cui non avevo mai pensato di andare e che non rientrano fra le rotte tipiche del ciclismo».
Con il compagno Alex Howes, nel grande evento gravel Dirty Kanza (foto Fsa)Con Alex Howes nel Dirty Kanza (foto Fsa)
Ritorno alle origini
Non c’è solo lui. Anche Daniel Oss finita la stagione prendeva e partiva con la bici e le borse. Wellens e De Gendt tornarono in Belgio pedalando dopo il Lombardia. Ma su strada, restando il più delle volte nei limiti dell’asfalto.
«E’ una cosa difficile da spiegare – dice Morton – ma essenzialmente stai ampliando i tuoi orizzonti attraverso uno strumento familiare, ma in una maniera completamente diversa. Attraverso le montagne dell’Albania, abbiamo trovato un tratto senza una strada. Avevamo solo Google Maps e il nostro istinto. Dopo un viaggio come quello torno a casa con nuove idee sulla bici e su me stesso. Ma al contempo non vedo l’ora di ricominciare a correre. Il ciclismo agonistico è molto faticoso e nessuno potrebbe reggere simili sforzi senza avere dentro la spinta per farli. Credo che pedalare in cerca di se stessi riaccenda quella passione che gli schemi a volte spengono».
Tutto il necessario per la partecipazione a un evento bikepackingIl necessario per un bikepacking
Senza schemi
Ma in che modo la gravel può essere utile al professionista, nel mese di stacco dalla strada? E siamo certi che la posizione in sella, simile ma non identica, non crei qualche problemino?
«Ho provato ad avere lo stesso settaggio – spiega Morton – ma sono così diverse. Qui a Girona ho la bici da strada, la mountain bike, la gravel e per andare in giro uso una fixed. Nell’arco della settimana le uso tutte. Mi sveglio e parto. Il giorno che non riesco a immaginare di uscire per sei ore con la mia bici da strada, prendo la mountain bike e magari le sei ore le faccio in giro per sentieri. Oppure faccio la stesa cosa sulle strade bianche e la gravel. Mi piace cambiare posizione, non è mai stato un problema».
Lachlan Morton in piena azione: è alla Ef Pro Cycling dal 2019 (foto Cannondale)Alla Ef Pro Cycling dal 2019 (foto Cannondale)
Sfinito prima
Ciclista atipico o atipico che vuole fare il ciclista? Il quesito è legittimo e si fa fatica a immaginarlo “ingabbiato” negli schemi del Giro d’Italia, in cui il suo miglior risultato è stato il 71° posto nella crono di Palermo.
«Il Giro è stato una bella corsa – dice – con strade e paesaggi indimenticabile. Peccato che non avessi la preparazione specifica. Il mese prima avevo vinto una gara in gravel, la Badlands di Granada. Percorso impegnativo, con deserto, sabbia a 40 gradi, valichi a 3.000 metri dove faceva freddo. E’ stato molto difficile, non la miglior preparazione per il Giro. Ho impiegato un giorno 19 ore e 30 minuti. E quando mi sono alzato dal letto il giorno dopo, riuscivo appena a muovermi e ho pensato: “No, il Giro è fuori discussione”. Ora invece il mio sogno è il Tour de France, il motivo per cui mi sono innamorato del ciclismo. Vorrei fare il Tour e la Cape Epic in mountain bike (la gara a tappe che si disputa a coppie che anche Nibali vorrebbe prima o poi provare, ndr). E’ pazzesco rendersi conto di quanti grandi eventi ci sono là fuori».
Saluta dicendo che resterà in Spagna fino a prima di Natale e poi volerà in Colorado. Il Covid lo sta frenando, ma presto conta di ripartire. Paolo Mei, dicci la verità: immaginavi che il ragazzo fosse così?
Angliru, tanto tuonò, che alla fine non piovve. E non perché nello scenario spettrale e vuoto di pubblico, i corridori si siano risparmiati, ma perché quando il livello dei contendenti è pressoché simile, su certe pendenze è difficile scavare grandi differenze se non si verificano crolli. In qualche modo il duello di oggi ha ricordato un rigido battibecco televisivo fra Simoni e Pantaninel giorno del primo Zoncolan. Simoni disse appunto che su pendenze troppo elevate non si producono grossi distacchi, Pantani rispose che per uno scalatore le pendenze elevate dovrebbero essere un invito a nozze. Troppo diversi quei due per volersi bene.
Gesink, Kuss e Roglic, ritmo alto sull’AngliruGesink, Kuss e Roglic, ritmo alto sull’Angliru
Roglic si salva
Ripresa la fuga, Roglic ha alzato la voce e messo prima Gesink e poi Kuss a tirare, ma dopo un po’ Primoz ha scoperto che la coperta era troppo corta. E quando si è reso conto del rischio che correva, ha preso il suo passo ed è arrivato in cima perdendo la maglia per soli 10 secondi.
«Era una salita troppo dura per un velocista – ha scherzato il capitano nella Jumbo-Visma – e io non ho avuto la mia giornata migliore, così alla fine sono soddisfatto del risultato. Ho ancora una buona classifica e sono molto contento. Ovviamente mi sarebbe piaciuto guadagnare tempo piuttosto che perderlo, ma è andata così. La squadra è stata ancora una volta molto forte e molto impressionante. Mi dispiace per Kuss, perché sicuramente avrebbe potuto vincere la tappa. Voglio ringraziarlo per il supporto negli ultimi chilometri, senza di lui avrei perso più tempo. Ora ci godremo il giorno di riposo e poi ci concentreremo sulla crono. Darò tutto per vincere la Vuelta e nella terza settimana è tutto possibile».
Carapaz fa festa
Carapaz è partito a testa bassa a circa due chilometri dall’arrivo, ma si è capito che non sarebbe riuscito a guadagnare quel che sperava. Per sua fortuna, è riuscito ad agganciarsi al trenino Vlasov-Mas e a mettere in cascina i 10 secondi che gli sono valsi la maglia rossa.
«Questa salita ha fatto una selezione naturale – ha detto – abbiamo già speso molte energie ieri e anche oggi è stata una tappa molto dura. Mi ricordavo questa salita dal 2017, ma è stato incredibile farla in mezzo a tanto silenzio. Alla fine ci ho provato, anche Mas, Vlasov e Carthy ci hanno provato. E io ho continuato con il mio ritmo, mettendo insieme un vantaggio di 10 secondi. Per noi è fantastico, andiamo verso la cronometro con l’idea di dare il massimo e difendere la leadership. Sono molto felice di indossare di nuovo la maglia. E’ una buona cosa per me, per la Ineos-Grenadiers e per tutto quello che abbiamo fatto».
Nieve, 11° a 2’15”
Fraile, 72° a 23’59”
Mas, 3° a 16″
Formolo e Gasparotto, in fuga finché è durata
Hugh Carthy, vincitore sull’Angliru
Scatti dal giorno dell’Angliru
Nieve, 11° a 2’15”
Fraile, 72° a 23’59”
Mas, 3° a 16″
Formolo e Gasparotto, in fuga finché è durata
Hugh Carthy, vincitore sull’Angliru
Scatti dal giorno dell’Angliru
Carthy non ci crede
La voglia di andarsene dalle corse minacciate dal Covid, deve essere un segno distintivo della Ef Pro Cycling del 2020. Dopo averci provato al Giro, ci hanno riprovato anche alla Vuelta. Ma evidentemente è una tecnica che porta bene. Con due tappe vinte in Italia, ecco la seconda della Vuelta con Hugh Carthy dopo Michael Woods a Villanueva de Valdegovia.
«E’ un sogno – ha detto Carthy stravolto dopo l’arrivo – in ogni gara professionistica vincere è un sogno che si avvera. Ma vincere in un grande Giro, sua una salita mitica come questa… non c’è niente meglio di così. E’ difficile da esprimere a parole. La prossima settimana sarà eccitante. Soprattutto per il pubblico da casa, perché ne vediamo poco lungo le strade. E’ una corsa serrata e manca ancora la cronometro. E’ ancora tutto da giocare».
Le nubi inghiottono l’Etna, quando Visconti arriva al pullman della Vini Zabù-Ktm. La mantellina pesante, le braccia che si allargano. Ha creduto di vincere fino a 5 chilometri dall’arrivo. Poi Caicedo lo ha staccato e la sua rincorsa si è andata spegnendo. Secondo a 21 secondi dall’ecuadoriano. Rabbia e insieme le sensazioni giuste.
Jonathan Caicedo, campione dell’Ecuador, stacca visconti e vince sull’EtnaJonathan Caicedo, campione dell’Ecuador, stacca visconti e vince sull’Etna
La rabbia di Scinto
Durante l’attesa, Scinto era ancora furibondo con il giudice di gara che gli ha impedito di dare acqua a Giovanni. Al toscano in serata arriverà anche una multa di 500 franchi svizzeri per aver scagliato la borraccia al suolo in segno di stizza.
«Mi hanno chiamato a 10,5 chilometri dall’arrivo – diceva – ma fra moto e ammiraglie, non sono riuscito a passare. Quando ci sono riuscito, ho chiesto al giudice di chiudere un occhio. Il limite è a 10 chilometri, eravamo a 9,9 dall’arrivo, cosa cambia? Gli ho detto: se non mi dai il tempo di passare, come faccio? Non so se non poter bere ha danneggiato Visconti. Non ha mai chiesto un cambio, ma si sentiva talmente forte da aver creduto che Caicedo non ce la facesse più…».
Il palermitano sull’Etna e intorno poche mascherine…Il palermitano sull’Etna e intorno poche mascherine…
Lite dopo Agrigento
Visconti si avvicina alla transenna. Ha addosso la calma della rassegnazione e insieme il tono duro.La partenza da casa sua, a Monreale, lo ha emozionato. Ma le cose vanno veloci. Ieri hanno discusso e forse non se lo aspettava da parte di chi gli è più vicino. Da una parte la sua voglia di restare coperto sull’arrivo di Agrigento, dall’altra le pressioni della squadra perché si butti ogni giorno.
«Cosa me ne faccio di un decimo posto? Volevo provare la fuga oggi. Speravo ci lasciassero più spazio, anche se alla fine non è successo. Abbiamo dovuto guadagnarcela. Ai 10 dall’arrivo non ero convinto di arrivare, perché erano vicini. Invece abbiamo fatto una gran bella scalata noi due davanti».
La finta di Caicedo
L’Etna lo ha abbracciato. E mentre dietro Matteo Fabbro picchiava duro sui pedali, davanti sono rimasti in due. Chi aveva visto correre Caicedo al Tour Colombia sapeva che fosse un corridore forte. Visconti laggiù non c’era ed ha abboccato alle tattiche tutte sudamericane del campione dell’Ecuador.
«Mi sono fatto ingannare – dice – perché lui faceva le smorfie, faceva finta di farsi staccare. Quando andava avanti rallentava e io pensavo che fosse a tutta. Così ho fatto due, tre, quattro scatti… e alla fine mi ha lasciato lì! Prima dell’arrivo c’è stato un momento in cui pensavo di riprenderlo, perché lui si era un po’ piantato e io avevo il tifo per me. Una cosa da brividi, ma non è bastato».
Tornato al pullman, Visconti è deluso, ma ha tempo per scambiare due paroleGiro dItalia 2020_Giovanni Visconti_Etna
La svolta attesa
Visconti ha lavorato tanto e bene, ma non era ancora riuscito a sbloccarsi. La mancata vittoria ha lasciato l’amaro in bocca, ma se non altro è stata un grandioso segno di vita.
«Io mi devo gestire – dice – non sono scalatore come lui. Sapevo di avere queste sensazioni sulle salite lunghe. Sono consapevole di non essere più esplosivo come una volta, quindi qualcuno quando mi vede arrivare in certi arrivi, storce la bocca. Passano gli anni e io sono ancora forte. Sto molto bene da una ventina di giorni. Solo che è un momento storto mentalmente, non fisicamente. Sto bene. Ho bisogno di azzeccare la giornata giusta. Magari spero che questa giornata mi faccia cambiare il Giro e la mentalità. Quando manca la testa, manca poi tutto il resto».