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Bettiol fa la foto al suo Tour. Ne esce con gamba e speranza

30.07.2022
5 min
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Quando lo raggiungiamo, Alberto Bettiol è su un taxi. Sta andando all’aeroporto che lo condurrà a San Sebastian, dove oggi correrà la classica basca.

Il toscano della EF Education-EasyPost è reduce dal Tour de France. Un Tour che non gli ha regalato la gioia della vittoria ma che lascia speranze, almeno secondo noi. E tutto sommato anche secondo il diretto interessato.

A Megeve per Alberto Bettiol la consolazione del numero rosso
A Megeve per Alberto Bettiol la consolazione del numero rosso

Il bilancio francese

«In effetti questo Tour – spiega Bettiol – mi lascia belle sensazioni e belle prestazioni. Il fatto di essere riuscito ad arrivare davanti non era così scontato.

«Di certo riparto con più fiducia in me stesso. E con più fiducia nel lavorare e nel lavoro fatto. Quando passi un anno ad allenarti e non hai risultati, credetemi, che non è facile. Posso prendere la preparazione con tutt’altro approccio».

Sin qui Alberto aveva dato piccoli segnali solo al Giro di Svizzera. La sua primavera era stata costellata nuovamente da problemi di salute, questa volta legati al Covid. Non solo è andato bene Bettiol, ma è andato bene in una grande corsa a tappe e in qualche modo lui stesso ne è sorpreso.

«Certo, perché di fatto io lo scorso anno ho smesso di correre a luglio. Agosto, settembre e ottobre non mi sono allenato e non era detto che sarei potuto essere competitivo in un grande Giro. Ti serve continuità, specie per la seconda e terza settimana. E invece ne sono uscito bene».

A Losanna il quinto posto, per Bettiol è stato il momento che ha segnato la svolta
A Losanna il quinto posto, per Bettiol è stato il momento che ha segnato la svolta

La svolta di Losanna 

Un corridore per sentirsi al meglio deve superare dei passaggi obbligati: fare una buona preparazione, sapere di stare bene fisicamente, di essere in linea col peso… però perché tutto funzioni serve una scintilla. Quella scintilla Bettiol l’ha avuta nel giorno di Losanna, quando fu quinto.

«Credo che quello – racconta Alberto – sia stato un momento importante. Sin lì avevamo avuto Cort in maglia a pois, prima ancora non avevamo preso al maglia gialla solo perché Pogacar aveva vinto a Longwy, in più dovevo stare vicino a Uran e Powless.

«Quel giorno invece la squadra mi ha dato fiducia, i compagni avrebbero lavorato per me. Io ho risposto presente. Ho detto loro che stavo bene. Magari mi ero visto poco da fuori, ma ero andato bene. Nella tappa del pavé per esempio avevo lavorato per Uran. Poi chiaro che su quell’arrivo con Pogacar e Van Aert in quelle condizioni vincere sarebbe stato quasi impossibile».

Il momento in cui a Mende aveva per un attimo staccato anche Matthews (che si nota alle sue spalle)
Il momento in cui a Mende aveva per un attimo staccato anche Matthews (che si nota alle sue spalle)

Errori o emozioni

Due fughe, e di quelle buone, Bettiol le aveva azzeccate. Tatticamente secondo Garzelli nelle sue pagelle non era stato impeccabile. Soprattutto in occasione della vittoria di Cort, mentre lo stesso Garzelli dava più colpe al team nel giorno in cui Alberto fu secondo alle spalle di Matthews.

«Durante un grande Giro – ribatte Bettiol – è difficile essere sempre lucidi al massimo. Bisogna ritrovarcisi in corsa. Certi momenti sono fatti anche di emozioni, di voglia di vincere. In ammiraglia ci credevano più di me.

«Nel giorno di Matthews, mentalmente mi rivedevo la tappa di Stradella quando saltato Cavagna andavo a vincere. E così avevo fatto con lui. Invece ho trovato un corridore più forte di me, che ha resistito di più. Quel giorno ha vinto il più bravo, non il più forte. Ha stretto i denti, ci ha creduto. Spero di batterlo in Australia a casa sua… (il riferimento è ai mondiali di Wollongong, ndr).

«Riguardo alla tattica, non è vero che Powless non mi ha aiutato. Anzi, si era staccato, è rientrato ed è andato a tirare poco prima dell’ultimo strappo. Per quanto riguarda Uran, non è mai stato troppo bene in questo Tour e anche io certe volte, ho lavorato per lui convinto di non essere al top. Poi mi giravo ed eravamo rimasti in tre. E lo stesso Rigo mi ha detto: “Oh, ma guarda che vai forte”. E’ difficile da dentro».

Nel complesso per Bettiol si tratta di un buon Tour de France. Il toscano molto attivo anche a Parigi
Nel complesso per Bettiol si tratta di un buon Tour de France. Il toscano molto attivo anche a Parigi

Verso San Sebastian…

E la prima occasione per tornare ad esultare, Bettiol ce l’avrà questo sabato nella gara basca. Il toscano l’ha già affrontata una volta. Era il 2017 e ottenne un buon sesto posto. Anche in quella occasione veniva dal Tour.

«Un po’ l’hanno indurita – riprende Bettiol – non c’è più solo la Jaizkibel. Normalmente è più una classica per scalatori e simili, che per cacciatori di classiche vere e proprie. Però ci arrivo bene: non sono stanco, non ho malanni vari, mi sento in salute e consapevole di aver fatto un buon Tour quindi si può fare bene».

Un paio di giorni fa per esempio, Alberto è uscito con Simon Clarke, con Cataldo e Chirico. Ha fatto quattro ore e mezza e stavo benone. Poi certo, l’allenamento è una cosa, la corsa un’altra. Bisogna stare bene nel giorno della gara e azzeccare il momento giusto.

Bettiol e Trentin (alla sua ruota), ma anche Nizzolo, Pasqualon e Ballerini sono i “pesi massimi” della nazionale di Bennati
Bettiol e Trentin (alla sua ruota), ma anche Nizzolo, Pasqualon e Ballerini sono i “pesi massimi” della nazionale di Bennati

E verso il mondiale

Prima Bettiol ha detto una frase che ci ha riempito di grinta. Ci riferiamo al grido di battaglia lanciato non tanto a Matthews ma sul mondiale.

«Il mondiale un obiettivo? Certo che lo è. C’è sempre stato dentro di me e da quando Bennati è tornato dal sopralluogo ci sentiamo un giorno sì e uno no.

«A vederlo da qua sembra non perfetto per me, forse è un po’ troppo facile. Sembra un mondiale stile Bergen… però è un mondiale. Qualche strappo c’è, la corsa è lunga ed una vera classica. Ho un sacco di voglia di farlo, visto che sono due anni che manco. E poi abbiamo un bel gruppo e ci conosciamo da anni. Trentin che sta riprendendo ed è andato in fuga. Nizzolo e Ballerini che hanno vinto…». 

Morton 2022

La corsa di Lachlan Morton, nata da uno sguardo

27.03.2022
5 min
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24 febbraio. La Gran Camino prende il via quel giorno. Nell’hotel dell’EF Pro Cycling i corridori scendono per la colazione. Lachlan Morton sta parlando con Mark Padun, le solite chiacchiere di prima mattina, tra qualche battuta e buoni propositi. Arrivati nella sala, Lachlan continua distrattamente a parlare con il suo compagno, ma non ottiene risposta. Si volta, lo guarda e vede il suo volto impietrito, rivolto verso la Tv. Non serve parlare spagnolo, le immagini trasmesse non lasciano spazio a interpretazioni diverse da quelle del terrore. In Ucraina, nella patria del suo collega, è scoppiata la guerra, i carri armati russi sono entrati. Le sirene delle varie città emettono quel suono che si sperava ormai dimenticato, rimasto solo nella memoria dei più anziani.

La corsa non è più la stessa. Lachlan, che interpreta queste gare a tappe più per dare una mano ai compagni e preparare le sue avventure solitarie, non guarda mai al cronometro e spesso finisce ultimo. Questa volta ancora di più: quattro giorni dopo il suo distacco finale sarà superiore all’ora e un quarto, ma c’è una ragione. La sua mente non riesce a scacciare quelle immagini, a cui se ne aggiungono altre, ogni sera, ogni volta che si pone davanti alla Tv o meglio, ogni volta che guarda il suo smartphone, perché la sua quotidianità, la nostra è cambiata.

Morton Gran Camino 2022
Nel corso della Gran Camino la mente è lontana e matura l’idea di una nuova avventura
Morton Gran Camino 2022
Nel corso della Gran Camino la mente è lontana e matura l’idea di una nuova avventura

Pedalare per dare una mano

«Non posso stare a guardare – pensa il trentenne australiano – sento che devo fare qualcosa». Ne parla con i suoi dirigenti e col passare dei giorni, con la timeline della guerra che diventa sempre più un bollettino di stermini, di fuga della gente dalle proprie case, di esodo biblico verso l’occidente viene l’idea: raggiungere quei luoghi in bici, fare di una nuova avventura qualcosa che possa non solo essere un simbolo, ma anche qualcosa di utile, una raccolta fondi per aiutare la popolazione in fuga.

Nei giorni successivi, Lachlan si prepara come mai aveva fatto, con una dedizione, una concentrazione straordinaria. D’altronde sa che quello che sta per affrontare è anche diverso da quel che ha sempre fatto: la sua idea è partire da Monaco di Baviera e viaggiare, viaggiare, viaggiare fino a raggiungere il confine fra la Polonia e l’Ucraina, esattamente quella porta che per tanti significa salvezza, fuga dalle bombe e dalla devastazione.

Morton Germania 2022
Nella solitudine della Germania, verso un traguardo lontano, per raccogliere fondi per i rifugiati ucraini
Morton Germania 2022
Nella solitudine della Germania, verso un traguardo lontano, per raccogliere fondi per i rifugiati ucraini

19 marzo. 23 giorni dopo l’invasione. La guerra va avanti: le truppe russe nonostante le uccisioni e le distruzioni non sono riusciti a realizzare quella “guerra lampo” che era stata preventivata. L’Ucraina resiste, incassa. Zelenski, il presidente ex comico che ora ha dipinta sul volto la tragedia del suo popolo, appare in videoconferenza davanti a tutti i parlamenti, in tutte le occasioni possibili per chiedere aiuto. Sono le 5 di mattina. Lachlan attacca gli scarpini, controlla la bici e ripensa ad alcune di quelle parole: «Io non sono un politico, non sono un esperto, non so come andrà a finire. Posso solo fare quel che so fare per aiutare la gente e questo mi darà la benzina per arrivare».

Fa freddo lungo la strada. Lachlan è figlio dei nostri tempi, comunica via social e la sua idea si diffonde presto. Il passa parola funziona e man mano, in ogni città attraversata, trova sostegno, gente che lo incita, chi sale in bici e lo accompagna. Non ha tanto cibo con sé e ogni tanto qualche anima pia gli fornisce qualcosa di caldo. Trova anche chi gli offre l’opportunità di fare una doccia calda: «Stai facendo una cosa bella, ma anche difficile”. “Questo? Non è difficile. Non è niente in confronto a persone che hanno perso tutto, la cui vita è racchiusa in una piccola borsa con quel poco che hanno potuto portare via. Spero che il nostro mondo, chi condivide i valori del ciclismo possa dare una mano».

Morton Ucraina 2022
In tanti hanno accompagnato Morton: su Instagram li ha immortalati, anche con simboli forti
Morton Ucraina 2022
In tanti hanno accompagnato Morton: su Instagram li ha immortalati, anche con simboli forti

Un fondo in aiuto dei rifugiati

Pedalando, Lachlan controlla continuamente il flusso di denaro che affluisce sul fondo a sostegno della sua impresa e che andrà a favore dei rifugiati. L’obiettivo era raggiungere i 50 mila dollari, ma con i like che aumentano a dismisura, aumenta anche l’ammontare del denaro raccolto, quasi che ogni pedalata porti monete. E allora forza, di notte e di giorno, ora dopo ora, senza fermarsi.

Lachlan lascia la Germania, attraversa quasi d’un soffio la Repubblica Ceka, entra in Polonia e dopo 43 ore senza un minuto di sonno, stanco e infreddolito, arriva a Korczova-Krakovets. E’ notte fonda, alla frontiera però non si ferma il flusso di gente che entra dalla vicina Ucraina. Chi con mezzi di fortuna, chi a piedi, spingendo carrozzine, donne che hanno lasciato i loro uomini a casa a combattere. Lachlan si ferma: è difficile ricacciare indietro le lacrime, soffocare quel dolore fitto che sente nel cuore ormai da troppi giorni.

Morton Polonia 2022
Il mattino dopo l’arrivo, avvicinato da tanti curiosi, pensando a quel che avviene oltreconfine
Morton Polonia 2022
Il mattino dopo l’arrivo, avvicinato da tanti curiosi, pensando a quel che avviene oltreconfine

«La guerra ci riguarda tutti»

I giornalisti si avvicinano, qualcuno ha saputo della sua impresa. «La mia idea è far capire che la guerra non è un problema lontano per nessuno – afferma – I conflitti sono sempre a portata di bicicletta, in tutto il mondo. Ho parlato con tanta gente in questi due giorni, pedalando abbiamo confrontato le nostre idee. Non ci sono ragioni, idee, giustificazioni per esseri umani che vanno contro altri esseri umani e se con la mia impresa sarò riuscito a farlo capire a qualcuno, avrò già ottenuto qualcosa».

E qualcosa Lachlan Morton lo ha davvero ottenuto: il suo fondo ha superato i 200 mila dollari, ai quali la sua squadra, insieme alla Cannondale e alla Rapha hanno aggiunto altri 100 mila dollari e il fondo è ancora aperto e, a giorni di distanza, continua a funzionare e raccogliere aiuti (chi vuole contribuire può farlo qui). La guerra non si è fermata, la corsa di Lachlan ha raggiunto il suo traguardo, il primo, perché difficilmente, finché la follia continuerà ad aleggiare sulle nostre teste, l’australiano si arrenderà. Proprio come chi difende la sua casa, i suoi valori, la sua vita.

Olimpiadi in archivio, per Leuven ci serve un Bettiol da Fiandre

30.07.2021
4 min
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Probabilmente la sensazione del crampo Bettiol la conosce bene. Ci sono atleti che in qualche modo vi sono predisposti e siccome lo sanno, sono consapevoli anche di tutto quello che serve per scongiurarli. Il guaio è che forse le solite precauzioni non bastano se vai a correre le Olimpiadi in Giappone. Quando tutto viene spostato al limite, lo stress fisico s’impenna e puoi ritrovarti di colpo inchiodato su un dolore che conosci e contro cui hai poco da fare. Lo ha spiegato benissimo Malori stamattina. Perché, oltre al toscano, ne ha fatto le spese anche Izagirre nella crono e chissà quanti altri dal nome meno illustre, nei torridi giorni giapponesi. In archivio le Olimpiadi della strada con tutto quello che di bello ci hanno lasciato, si volta la pagina.

Moscon doveva essere il suo punto di appoggio nel finale dei Giochi, ma il crampo lo ha tradito
Moscon doveva essere il suo punto di appoggio nel finale dei Giochi, ma il crampo lo ha tradito

«Ne ho parlato con il dottore – ha detto Bettiol dopo la cronometro – e non ci siamo dati spiegazioni. Bisognava stare attenti alla dose di caffeina, ma abbiamo fatto in modo di non eccedere. Semplicemente è il mio fisico che ogni tanto, quando va fuori soglia, viene preso dai crampi. L’unica nota positiva è che nel 2019 alla Strade Bianche ho avuto i crampi e dopo un mese ho vinto il Fiandre. In più mettiamoci che qui in Giappone il clima è molto umido, quindi può succedere…».

Verso Leuven

Sulla strada di Alberto, il cui contratto con la EF Education-Nippo arriverà sino al 2023, si staglia ora il campionato del mondo, cui giungerà tramite la Vuelta. Ce lo aveva raccontato quando lo incontrammo a Livigno alla fine di giugno: la corsa spagnola sarà funzionale alla sfida iridata e la squadra lo ha accontentato.

La tappa vinta al Giro gli ha aperto le porte della nazionale. Lui l’ha messa in archivio ed è ripartito
La tappa vinta al Giro gli ha aperto le porte della nazionale. Lui l’ha messa in archivio ed è ripartito

«Dentro di me, porto via da queste Olimpiadi delle buone sensazioni – ha detto – sapendo che comunque siamo a metà della stagione. La prima parte si è conclusa con il Giro d’Italia, la seconda è appena cominciata con una bella prova alle Olimpiadi e prosegue con la Vuelta e il campionato nel mondo».

Una bella crono

La bella prova è più quella della crono di quella su strada, nonostante fosse partito per la prima come principale speranza azzurre e non avesse nulla da perdere nella seconda. Lo stesso Bradley Wiggins, a Tokyo con Eurosport, ha commentato positivamente la sua gara.

Tre giorni dopo la prova su strada, Alberto ha corso la crono, cogliendo l’11° posto
Tre giorni dopo la prova su strada, Alberto ha corso la crono, cogliendo l’11° posto

«A crono Bettiol è questo – ha detto Alberto – anche se rispetto ai grandi specialisti, come Dennis e Dumoulin, devo ancora migliorarmi e ci riuscirò piano piano con la mia squadra. Sono riuscito a dare il massimo fino all’arrivo, è difficile per me trovare dei punti in cui potevo spingere di più. Quando si riesce a dare tutto, è positivo. Ho rimpianti solo per la strada, anche se non potevo fare di più perché non è dipeso da me. Siamo stati una squadra con la S maiuscola, attualmente questo è il nostro livello. Ovviamente per quanto riguarda la corsa su strada non abbiamo adesso in Italia corridori che possano vincere una Liegi o il Lombardia. E alla fine l’Olimpiade è stata una grande classica. Abbiamo fatto del nostro meglio, abbiamo cercato di collaborare, siamo stati squadra».

Per vincere il mondiale, visto il percorso, servirà un uomo da Fiandre e Bettiol il Fiandre lo ha vinto. E’ l’unico fra gli italiani in attività a poterlo dire. Speriamo che per fine settembre, tutto si incastri nel giusto verso e che in qualche modo i crampi di Tokyo portino bene. Perciò, caro Betto, fai un bel respiro e buon ritorno a casa.

Team EF con Cannondale

Cannondale con EF Pro Cycling fino al 2023

15.01.2021
3 min
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Per Cannondale è giunto il tempo di rinnovare la propria sponsorizzazione e la partnership nel mondo del professionismo WorldTour. Il bike brand è di proprietà del poderoso Gruppo Dorel. La società quotata in borsa a New York (NYSE), ha definito fino al 2023 con EF Pro Cycling. Il team che anno si chiamerà ufficialmente EF Education-NIPPO.

Insieme dal 2015

Lo stesso gruppo sportivo collabora attivamente con Cannondale da ben sei anni, ovvero da quando il marchio americano ha avviato nel 2015 la fornitura delle biciclette al team Garmin-Sharp. E mentre il nome della squadra è cambiato nel corso degli anni, la costante è stata rappresentata proprio dalle biciclette che hanno guidato le prestazioni degli atleti. E’ stata sempre molto forte anche la collaborazione tra la squadra e lo staff tecnico di Cannondale.

Promozione a 360°

«Prioritariamente, il rapporto con Cannondale ha sempre riguardato l’evoluzione e la rivoluzione – ha dichiarato Jonathan Vaughters, CEO di EF Pro Cycling – e questo perché entrambi vogliamo progredire da un punto di vista agonistico, spingendo i confini ed il coinvolgimento del nostro sport verso l’esterno. Amiamo lavorare con Cannondale per evidenziare la bellezza dei loro prodotti, ma anche per rendere il ciclismo più accessibile ovunque. Vogliamo che più persone vadano in bicicletta… con il sorriso sulle labbra».

Rigoberto Uran al Tour 2020
Rigoberto Uran in sella alla Cannondale SuperSix Evo
Rigoberto Uran al Tour 2020
Rigoberto Uran in sella alla Cannondale SuperSix Evo

Corsa, gravel e Mtb

La durata dell’accordo darà al team stesso e a Cannondale il tempo necessario di pianificare e compiere dei veri e propri progressi su più fronti: strada, ma anche Mtb e gravel. La squadra sta correndo un calendario misto di eventi. Al di là delle gare su strada, i nuovi eventi consentiranno difatti a EF Pro Cycling e a Cannondale di ben collaborare in tutte le discipline.
«Le nostre ambizioni di costruire una comunità più ampia nel mondo del ciclismo sono perfettamente in linea con lo spirito di EF Pro Cycling – ha ribadito Jonathan Geran, il Responsabile dello sports marketing di Cannondale – e stiamo tutti lavorando per gli stessi obiettivi comuni, ovvero quelli di essere la squadra più amata al mondo, di correre con carattere e cuore e di cambiare la percezione di ciò che la gente pensa del ciclismo professionistico e dei suoi protagonisti».

Cannondale SistemSix grafica Rapha e Palace Skateboards
La SistemSix con la grafica personalizzata da Rapha e Palace Skateboards
Cannondale SistemSix grafica Rapha e Palace Skateboards
La SistemSix con la grafica personalizzata da Rapha e Palace Skateboards

Uno sviluppo tecnico sempre crescente

«Le Cannondale con cui gareggeremo in questa stagione sono davvero il massimo in termini di prestazioni – ha affermato Andreas Klier, il capo delle operazioni tecniche del team – e a un certo livello ti aspetti che ogni bicicletta sia davvero eccezionale. Ma ciò che ci distingue è il modo in cui lavoriamo assieme sui dettagli, in modo particolare i nuovi modelli. Oltre ai telai delle bici, nel corso degli anni siamo stati in grado di ottenere enormi incrementi di prestazioni anche da alcuni diretti fornitori di Cannondale, come FSA, Vision, Prologo e Vittoria».

cannondale.com

Fabrizio Guidi 2014

Guidi scarta il dono e inizia un nuovo viaggio

31.12.2020
5 min
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Fabrizio Guidi, così dice lui per spiegare, è come il bimbo sotto l’albero di Natale che ha adocchiato il pacco più bello. La notizia che dal 2021 il toscano sarà uno dei direttori sportive della Uae Team Emirates è arrivata il 15 dicembre tramite un magro comunicato stampa, in cui se ne elogiava la professionalità. Il ciclismo non è come il calcio: quando si sposta un tecnico, celebrazioni se ne fanno il giusto, come se le sole cose che contino siano gli sponsor e i campioni. Però parlando con Alberto Bettiol pochi giorni dopo, era emerso quanto sia importante il rapporto che lega il campione al direttore sportivo e come per colmare il vuoto non basti scrivere un altro nome nella casella. Forse se il ciclismo imparasse a valorizzare tutti gli attori che ne compongono la scena, darebbe di sé l’immagine che merita. Ma questa è un’altra storia…

Fabrizio Guidi, Vuelta 1998
Alla Vuelta del 1998, Guidi in maglia Polti vince tre tappe e la classifica a punti
Fabrizio Guidi, Vuelta 1998
Alla Vuelta 1998, 3 tappe e classifica a punti

Bettiol se la caverà

Da quando si è sposato con Caroline, Fabrizio vive in Svizzera, a Muensingen vicino Berna. Ha due figli: Elia di 20 anni, Estelle di 17. Per Natale è stato quattro giorni in Toscana, in piena zona rossa. Dal prossimo anno, si diceva, lascia la Ef Pro Cycling e dopo un po’ che parla, ti rendi conto di quanto sia diventato grande il ragazzino che vedemmo passare professionista nel 1995, poi solcare il mondo attraverso nove squadre diverse, con 46 vittorie e una laurea in Scienze Giuridiche, facoltà di Giurisprudenza, con una tesi in diritto penale sulla “giustizia riparativa”.

«Con la Ef Pro Cycling – dice – sono stati sei anni belli, passati bene. Poi il Covid, le incertezze, l’attesa di risposte… Se nel frattempo hai delle opportunità importanti, che fai? Per un anno ci siamo portati dietro delle difficoltà, credo come tutti. Quello che è successo al Giro, il fatto che la squadra pensasse di chiuderlo prima e io abbia detto di voler continuare, non ha inciso nella scelta. Certo la comunicazione non è andata come doveva. Io ho detto quello che pensavo e non è stato l’ideale, ma dopo tanti anni non può essere questo che mette in crisi un rapporto di fiducia. Il problema è stato da un lato l’incertezza e dall’altro l’occasione che si è presentata. Non me ne sono andato sbattendo la porta. Quanto a Bettiol… Alberto è maturato tanto, non è più spaesato come all’inizio. E’ responsabile, non l’ho abbandonato in un cesto come qualcuno fa coi bimbi – ride alla battuta – sa camminare da solo».

Il gruppo vince

La Uae Team Emirates sta spingendo forte sul gas e dopo un 2020 di vittorie, ha intrapreso una campagna di rinforzi che ha visto anche l’arrivo di Fabio Baldato sul fronte dei tecnici e un mercato potente quanto agli atleti, con Trentin e Majka come punte di diamante e insieme lo scouting di talenti giovani come lo spagnolo Juan Ayuso, piazzato per ora al Team Colpack.

Fabrizio Guidi, Alberto Contador, Tirreno-Adriatico 2013
Dopo il debutto alla Nippo, dal 2011 al 2014 è con Riis e Contador alla Saxo Bank
Fabrizio Guidi, Alberto Contador, Tirreno-Adriatico 2013
Dal 2011 al 2014 con Riis e Contador alla Saxo Bank

«Se guardo al futuro e ai corridori che ci sono – riprende Guidi – vedo margine e un progetto, che anche a me offre delle prospettive. Sono orgoglioso che mi abbiano chiamato. Con Gianetti ho diviso anche la camera ai tempi del Team Coast. Ha idee innovative, ci scambiavamo messaggi da tempo e l’ultimo è stato decisivo. Arrivo adesso, sono l’ultimo. E’ presto per dire cosa farò, ne parleremo in ritiro. Nelle squadre si ottiene il massimo se si lavora in gruppo, se la comunicazione funziona e i corridori capiscono di avere dietro una società forte. Se nascono i gruppetti, è la fine. Conosco tanti direttori di quel gruppo, sono 11 anni che siamo sulle stesse strade. Baldato, Marzano, Pedrazzini, Mori… c’è tanta Italia, anche se l’idea è renderla sempre più internazionale. E per diventare una squadra forte, si deve andare in questa direzione».

Lingue e culture

L’ideale per uno che parla quattro lingue e ha corso in team italiani, francesi, tedeschi, americani, svizzeri, danesi e sudafricani e che da direttore si è fatto le ossa nella Saxo Bank di Bjarne Riis e poi alla Ef Pro Cycling di Jonathan Vaughters. E a pensarci bene, non è solo per la lingua: il dialogo fra direttore e corridore deve arrivare a un livello molto più profondo.

«Ho esperienza in questo senso – spiega – perché l’ho imparato durante la mia carriera di corridore. Se riesci a comunicare nella sua lingua, il corridore si apre, nasce l’empatia e lui di colpo è disposto a ricevere i consigli. Sei stato corridore, sai quali tasti toccare. Come quando tiri di sciabola e fai centro: quello che hai infilzato se ne accorge, lo sente e il messaggio arriva. E non è solo la lingua, giusto. Se conosci le varie culture, sai anche come è cresciuto il ragazzo che hai di fronte. Sai a cosa è abituato uno cresciuto in Francia, di quali informazioni dettagliate sul percorso ha bisogno il belga, sai come prendere l’italiano, sai di quale clima psicologico ha bisogno il colombiano. Sai a cosa sono abituati, sai che ci sono mentalità diverse e di quali input hanno bisogno per ambientarsi. Mi sono fatto anche questa formazione e ci riesci solo quando esci dall’Italia. Alla Francaise des Jeux ero l’unico italiano e ho sempre corso in team che erano crogiuoli di nazionalità diverse».

Davide Formolo, Cristian Salvato, Fabrizio Guidi, Giro d'Italia 2015
Nel 2015 inizia l’avventura con Vaughters alla Cannondale, con Formolo che vince a La Spezia. Fra i due c’è Cristian Salvato
Davide Formolo, Cristian Salvato, Fabrizio Guidi, Giro d'Italia 2015
Nel 2015 alla Cannondale e Formolo vince a La Spezia

La sfida del tempo

E al contrario di quello che abbiamo raccolto in precedenti interviste, parlando del tempo che passa e porta via le abitudini più radicate, il suo atteggiamento è quello curioso che si dovrebbe avere davanti alla grammatica di una nuova lingua.

«Sono diventato direttore sportivo WorldTour con Riis – dice – e campioni come Contador. Ma non c’è solo il campione. Quando finisci di correre e cambi lavoro, smetti di pensare a te stesso e ti concentri sugli altri. Cerchi soluzioni, attingendo a quello che serve, a quello che hai. Come se avessimo ciascuno un barile pieno delle esperienze fatte e dovessimo cercarci dentro gli strumenti con cui affrontare il mondo che cambia, facendo sintesi. I corridori che arrivano adesso crescono nel mondo dei social, noi più grandi non possiamo buttare tutto pretendendo di rimanere legati a com’era prima. Sarà che ho un figlio di 20 anni che va all’università di Zurigo. Questi cambiamenti sono un’opportunità, il modo di restare giovani. E’ un nuovo registro di comunicazione, se vuoi anche una sfida. Se ti fermi smetti di imparare. E’ Natale, ho davanti il primo ritiro, faccio il lavoro che mi piace. Sapete una cosa? Sono proprio contento».

Jonathan Vaughters

Ef Pro Cycling, quella mail per fermare il Giro…

24.12.2020
3 min
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A margine della splendida chiacchierata con Alberto Bettiol, il discorso è caduto sul giorno (15 ottobre, tappa di Cesenatico) in cui la Ef Pro Cycling propose di fermare il Giro al secondo giorno di riposo. All’indomani dell’arrivo di Piancavallo.

Erano giorni convulsi e confusi. Sui siti di un paio di quotidiani era stata amplificata la notizia secondo cui 17 poliziotti in moto del Giro fossero positivi al Covid. E quando si era capito che si trattava della scorta del Giro per bici elettriche, che nulla c’entrava con quello “vero”, era stato necessario un lavoro titanico di rettifiche per riaffermare la verità. Due giorni prima la Jumbo-Visma si era ritirata in blocco per la positività di Kruijswijk e così pure la Mitchelton per quella di Simon Yates. Anche Michael Matthews aveva lasciato la corsa, rivelandosi poi un falso positivo al pari di Gaviria di lì a poco. Il Giro era scosso da una vena di comprensibile isteria. E la proposta di Vaughters aveva inasprito gli animi.

«Le cose sono abbastanza chiare – dice Bettiol, che al Giro non c’era ma ha vissuto tutto in diretta – anche se poi sono state interpretate un po’ dalla rabbia e dalla frustrazione, perché eravamo tutti sotto pressione».

Simon Clarke, EF Pro Cycling, Giro d'Italia 2020
Per la Ef Pro Cycling al Giro, due tappe e la maglia azzurra della montagna
Simon Clarke, EF Pro Cycling, Giro d'Italia 2020
Per la Ef al Giro, 2 tappe e la maglia dei Gpm
Che cosa è successo?

Noi tutti della Education First abbiamo ricevuto una email da Vaughters (team manager del team, ndr), in cui si diceva che forse era più sicuro se la squadra del Giro fosse tornata a casa. Un suo consiglio, c’era scritto: uno spunto costruttivo su cui ragionare.

Perché?

Noi siamo quelli che hanno adottato più misure Covid. Facciamo il tampone ogni volta che entriamo nella bolla, ben oltre quello che dice l’Uci. Per l’Uci bastano due tamponi e sei coperto per 10 giorni. Noi lo facciamo ogni volta che usciamo dalla bolla. Abbiamo dormito sempre in camera singola, anche il personale, che forse solo la Ineos. Tamponi a casa. Non abbiamo fatto più ritiri. A tavola massimo 3-4 persone. EF come politica aziendale (EF – Education first è una società internazionale specializzata in formazione linguistica, viaggi studio, corsi di laurea e scambi culturali, ndr), non come squadra di ciclismo, ci ha fatto queste raccomandazioni. E noi ci siamo attenuti alla politica del nostro sponsor.

Quindi al Giro è suonato l’allarme?

Vaughters, vedendo che c’erano i poliziotti positivi, che andava a casa Matthews, che andava a casa Yates… ha detto che forse si poteva trovare la soluzione. Solo che Vegni l’ha presa sul personale.

Bè, alcune erano notizie false…

Infatti Guidi si è sentito di dire, il giorno dopo, che quelli che erano al Giro volevano continuare. Ma era un ordine che veniva dall’alto. Sia come tagli dello stipendio, sia come politica del Covid e di spostamenti, ci siamo attenuti a EF. Perché noi siamo EF e abbiamo ricevuto in proporzione lo stesso identico trattamento di un maestro che fa lezioni di francese.

Alberto Bettiol, Giro delle Fiandre 2020

E Bettiol apre lo scrigno dei ricordi belli

24.12.2020
6 min
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Natale con i tuoi, così quelli di Lugano hanno caricato famiglie e biciclette sulle auto e sono discesi verso le case di origine, Bettiol fra loro.

«Sono in piena ripresa – dice il toscano della Ef Pro Cycling – perché ho avuto un po’ di febbre un paio di settimane fa, quindi mi sono fermato e ora sono ripartito alla grande, perché ho già perso un bel po’ di giorni. Ma non so ancora quando comincerò a correre. Certezze ce ne sono poche. Il primo periodo vero però dovrà essere quello dalle Strade Bianche in poi…».

Alberto Bettiol, mondiali Imola 2020
Alberto Bettiol ai mondiali Imola 2020 chiusi in 18ª posizione
Bettiol ai mondiali di Imola, 18° al traguardo
Però intanto comincerai senza Fabrizio Guidi, passato alla Uae Emirates…

E per me è stato un colpo. Eravamo arrivati insieme in America a fine 2014. E’ toscano, ha fatto il mio stesso percorso da corridore, da Massini a Balducci. Quando era in Toscana, passava a vedermi sul Serra, la sua salita. Ci si scambiava un’idea, mi vedeva dal vivo invece di guardare i file. Facevamo insieme Strade Bianche, Tirreno e Sanremo, preparando le classiche. Mi dava consigli e ne dava a Klier e Wegelius che sono i direttori per il Nord. L’anno che ho vinto il Fiandre lui l’aveva visto subito. Non entro nel merito delle scelte, non le ho volute nemmeno sapere. 

Quando l’hai saputo?

Non tanto tempo fa. Me lo ha voluto anticipare di persona come si fa tra persone serie, perché sapeva che una notizia del genere mi avrebbe un po’ stranito.

Che cosa vuoi dal 2021?

Conferme. Per me ogni anno deve essere un andare avanti, migliorarsi. Ovviamente vincere, in qualunque mese, qualunque tipo di corsa. Continuare a stare bene fisicamente e psicologicamente. Preparare una gara, arrivarci in forma, interpretarla bene tatticamente.

La stagione di Bettiol era ripresa con un ottimo 4° posto alla Strade Bianche
Quarto alla Strade Bianche, prima gara post lockdown
E’ difficile trovare la condizione?

In termini di concentrazione, devi lavorare su te stesso e l’approccio alle gare. Per la condizione atletica, ci sono tante cose che si devono incastrare. Se mi venisse a marzo la febbre dei giorni scorsi, sarebbe un problema. Servono fortuna, continuità di allenamento e di prestazione. Io non ci metto tanto a Trovarla. Madre Natura mi ha dato questa dote, non ho bisogno di tanti chilometri e giorni di gara. Non a caso, alle Strade Bianche quest’anno sono andato forte (4°, ndr), venendo da poco o niente. Solo con un bel blocco di allenamento a Livigno. Poi ovviamente bisogna dare continuità. Per trovare la forma, quella bella, ci vogliono le gare.

Hai più avuto la gamba del Fiandre 2019?

Secondo me, sì. Proprio al Fiandre, ad esempio, non ero meno di allora. Anche alla Liegi, nonostante i problemi intestinali. Al mondiale, troppo duro per me, vedendo altri colleghi che hanno mollato prima di me. La Gand lo ha dimostrato (4°, ndr). Al Fiandre non mi hanno staccato in salita ma in un tratto tecnico in discesa, però era anche 30 chilometri meno. Ma quel giorno lì, l’anno scorso al Fiandre, fu più un discorso di testa. Conta la forza, ma conta anche la libertà mentale. Arrivare lì spensierato, buttare il cappello per aria, come si dice noi qua. L’Alberto Bettiol del 2019 non aveva niente da perdere. Ora è cambiata un po’ la musica, fortunatamente.

Alberto Bettiol, Jonathan Vaughters, Ef, Giro delle Fiandre 2020
Sul pullman della Ef Pro Cycling, Bettiol con Vaughters e Modolo, dopo il Fiandre 2019
Alberto Bettiol, Jonathan Vaughters, Ef, Giro delle Fiandre 2020
Con Vaughters sul pullman dopo il Fiandre 2019
Allenarsi da solo oppure in gruppo?

Per me sono importanti la banda di Lugano e quella toscana. Ieri mi sono allenato con Sbaragli e Sabatini, anche con Visconti. E’ meglio uscire in compagnia, con dei professionisti però. Si parte insieme o ci si incontra, su ogni salita ognuno fa il suo lavoro, ci si aspetta in cima, ci si ferma al bar, fai il medio… Ieri abbiamo preso 3 ore e mezza di acqua. Probabilmente da solo ne avrei fatta una e sarei tornato a casa. Con loro, ridendo e scherzando, siamo arrivati in fondo. Io non ho la forza mentale di partire e fare il lavoro in ogni condizione. Con gli amici, con i compagni di allenamento viene più facile

Avrai sempre qualcuno accanto?

Non diventerò mai autonomo, avrò sempre bisogno di persone a fianco. Adesso ho Gabriele Balducci (suo diesse da U23 alla Mastromarco, ndr) e Leonardo Piepoli. Leonardo puramente per l’aspetto della preparazione e un po’ anche psicologico, perché alla fine siamo sempre noi con i nostri problemi. Gabriele è la persona per quando sono in Toscana, che mi sa vedere, mi conosce in bicicletta come pochissimi altri. Con Leonardo s’è creato questo triangolo che funziona bene. Sono molto fortunato. Prima c’era anche Mauro Battaglini, riduttivo definirlo il mio procuratore, che purtroppo non c’è più (si è spento il 5 settembre 2020, dopo una lunga malattia, ndr).

Alberto Bettiol, Claudio Marra, FSA 2019
La Ef Pro Cycling usa ruote Vision: ecco Bettiol con Claudio Marra festeggiando il Fiandre
Alberto Bettiol, Claudio Marra, FSA 2019
Nella sede di Vision, Bettiol con Marra, a fine 2019
Perché riduttivo?

Perché mi ha lasciato una quantità di cose, di insegnamenti, di lezioni di vita, di stile… Era una delle persone più vanitose che abbia conosciuto sulla faccia della terra (ride, ndr). Gli ultimi periodi non ha mai voluto che io andassi a fargli visita, a casa o in ospedale, perché probabilmente si vergognava, per il suo pudore. Una persona tutta d’un pezzo, una persona d’altri tempi. Il più bel ricordo è quando è voluto venire l’anno scorso in Canada, alle due gare di Toronto e Montreal, perché non le aveva mai viste e mi aveva detto che prima di andare in pensione voleva fare tutte le gare del WorldTour.

Come andò?

Probabilmente lui si sentiva già dentro qualcosa e senza dirmi niente ha fissato gli stessi voli che avevo io. Mi ricordo proprio il viaggio di ritorno da Montreal, di notte. Io ero stanco, ma non abbiamo mai dormito perché mi ha raccontato tutta la sua vita. Per me, questo è un bel ricordo. Gli ultimi mesi ha sofferto tanto. Poi quella telefonata di sua moglie…

Carlo Franceschi, Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Grazie a lui la Mastromarco corre con bici Cannondale. Qui con Franceschi e Balducci
Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Grazie a lui la Mastromarco di Balducci corre con Cannondale
L’hai saputo così?

Aveva lasciato cinque numeri di telefono da avvisare. Mauro era un calcolatore, niente lo sorprendeva. Lui calcolava tutto e ha calcolato anche cosa dovevano fare sua moglie e suo figlio nel giorno in cui sarebbe morto. Per me rimarrà per sempre come un babbo. Pinuccia è molto brava. Per il Covid non l’ho potuta rivedere, non sono andato a trovarlo al cimitero, ma farò tutto (la voce si inceppa, ndr). Mauro era uno dei pilastri che sorreggeva la mia casa. E quando si butta giù un pilastro, la casa ovviamente non crolla perché ci sono gli altri due o tre. Però la botta si è sentita.

A gennaio sul Teide?

Con Keukeleire e un massaggiatore. Ormai sono un belga adottato. Si va dal 15 gennaio al 2 febbraio. Poi andrò a correre, non lo so ancora dove…

Buon Natale, ragazzo…

Buon Natale a tutti voi!

Lachlan Morton, vittoria Badlands, 8 settembre 2020 @peterofthespoon

Il ciclismo di Lachlan alla ricerca di se stesso

20.11.2020
5 min
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Un’intervista a Lachlan Morton, che fra tanti direte voi… Sentite come è nata. Avete presente Paolo Mei, speaker del Giro d’Italia e grande appassionato di gravel bike? Bene. Si fa per parlare e gli scappa detto: «Io appassionato? Certo, ma dovreste parlare con Lachlan Morton della EF Pro Cycling, che ha fatto il Giro ed è il simbolo del gravel mondiale».

Così in un pomeriggio meno intasato di altri, componiamo il numero, gentilmente fornito dal Hannah Troop, addetta stampa della Ef Pro Cycling. Nel momento in cui i professionisti hanno riscoperto la mountain bike e bici.PRO si è messa al loro servizio con una serie di consigli e pareri, perché non esplorare il mondo gravel? 

Lachlan ha 28 anni, è australiano e vive in Colorado, ma per fortuna oggi si trova a Girona, per cui non c’è da combattere con il fuso orario.

Lachlan Morton, Giro d'Italia 2020, cronometro Palermo
Lachlan Morton al Giro d’Italia 2020, 71° nella cronometro di Palermo
Lachlan Morton, Giro d'Italia 2020, cronometro Palermo
Morton, Giro d’Italia, crono di Palermo

Sì, viaggiare

La gravel bike, per chi non lo sapesse è una sorta di minotauro, nato dall’incrocio fra una bici da strada e una mountain bike. Qualcuno vuole rintracciare elementi costruttivi delle bici da ciclocross, ma la vera contaminazione riguarda strada e mountain. Lachlan Morton se ne serve per viaggiare, con le sue borse da bikepacking attaccate e il naso che fiuta la strada, ma anche per competizioni estreme. Come quella che ha vinto in Spagna prima del Giro d’Italia. L’anno scorso invece ha viaggiato con suo fratello Gus dall’Albania a Istanbul su strade che non conosceva e realizzando durante il viaggio una sorta di documentario.

«Molte persone – racconta – sono entrate in contatto con me grazie a questo tipo di impresa. La maggior parte delle volte in cui corro, non mi sento come se fossi davvero importante per qualcuno, come se mancasse qualcosa. Forse l’idea del viaggio. Invece trovo eccitante attraversare luoghi in cui non avevo mai pensato di andare e che non rientrano fra le rotte tipiche del ciclismo».

Lachlan Morton, Alex Howes, foto Fsa, Dirty Kanza
Con il compagno Alex Howes, nel grande evento gravel Dirty Kanza (foto Fsa)
Lachlan Morton, Alex Howes, foto Fsa, Dirty Kanza
Con Alex Howes nel Dirty Kanza (foto Fsa)

Ritorno alle origini

Non c’è solo lui. Anche Daniel Oss finita la stagione prendeva e partiva con la bici e le borse. Wellens e De Gendt tornarono in Belgio pedalando dopo il Lombardia. Ma su strada, restando il più delle volte nei limiti dell’asfalto.

«E’ una cosa difficile da spiegare – dice Morton – ma essenzialmente stai ampliando i tuoi orizzonti attraverso uno strumento familiare, ma in una maniera completamente diversa. Attraverso le montagne dell’Albania, abbiamo trovato un tratto senza una strada. Avevamo solo Google Maps e il nostro istinto. Dopo un viaggio come quello torno a casa con nuove idee sulla bici e su me stesso. Ma al contempo non vedo l’ora di ricominciare a correre. Il ciclismo agonistico è molto faticoso e nessuno potrebbe reggere simili sforzi senza avere dentro la spinta per farli. Credo che pedalare in cerca di se stessi riaccenda quella passione che gli schemi a volte spengono».

Lachlan Morton, attrezzatura gravel bickepacking
Tutto il necessario per la partecipazione a un evento bikepacking
Lachlan Morton, attrezzatura gravel bickepacking
Il necessario per un bikepacking

Senza schemi

Ma in che modo la gravel può essere utile al professionista, nel mese di stacco dalla strada? E siamo certi che la posizione in sella, simile ma non identica, non crei qualche problemino?

«Ho provato ad avere lo stesso settaggio – spiega Morton – ma sono così diverse. Qui a Girona ho la bici da strada, la mountain bike, la gravel e per andare in giro uso una fixed. Nell’arco della settimana le uso tutte. Mi sveglio e parto. Il giorno che non riesco a immaginare di uscire per sei ore con la mia bici da strada, prendo la mountain bike e magari le sei ore le faccio in giro per sentieri. Oppure faccio la stesa cosa sulle strade bianche e la gravel. Mi piace cambiare posizione, non è mai stato un problema». 

Lachlan Morton, foto Cannondale
Lachlan Morton in piena azione: è alla Ef Pro Cycling dal 2019 (foto Cannondale)
Lachlan Morton, foto Cannondale
Alla Ef Pro Cycling dal 2019 (foto Cannondale)

Sfinito prima

Ciclista atipico o atipico che vuole fare il ciclista? Il quesito è legittimo e si fa fatica a immaginarlo “ingabbiato” negli schemi del Giro d’Italia, in cui il suo miglior risultato è stato il 71° posto nella crono di Palermo.

«Il Giro è stato una bella corsa – dice – con strade e paesaggi indimenticabile. Peccato che non avessi la preparazione specifica. Il mese prima avevo vinto una gara in gravel, la Badlands di Granada. Percorso impegnativo, con deserto, sabbia a 40 gradi, valichi a 3.000 metri dove faceva freddo. E’ stato molto difficile, non la miglior preparazione per il Giro. Ho impiegato un giorno 19 ore e 30 minuti. E quando mi sono alzato dal letto il giorno dopo, riuscivo appena a muovermi e ho pensato: “No, il Giro è fuori discussione”. Ora invece il mio sogno è il Tour de France, il motivo per cui mi sono innamorato del ciclismo. Vorrei fare il Tour e la Cape Epic in mountain bike (la gara a tappe che si disputa a coppie che anche Nibali vorrebbe prima o poi provare, ndr). E’ pazzesco rendersi conto di quanti grandi eventi ci sono là fuori».

Saluta dicendo che resterà in Spagna fino a prima di Natale e poi volerà in Colorado. Il Covid lo sta frenando, ma presto conta di ripartire. Paolo Mei, dicci la verità: immaginavi che il ragazzo fosse così?

Richard Carapaz, Alto de Angliru, Vuelta 2020

Angliru spettrale, distacchi minimi

01.11.2020
4 min
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Angliru, tanto tuonò, che alla fine non piovve. E non perché nello scenario spettrale e vuoto di pubblico, i corridori si siano risparmiati, ma perché quando il livello dei contendenti è pressoché simile, su certe pendenze è difficile scavare grandi differenze se non si verificano crolli. In qualche modo il duello di oggi ha ricordato un rigido battibecco televisivo fra Simoni e Pantani nel giorno del primo Zoncolan. Simoni disse appunto che su pendenze troppo elevate non si producono grossi distacchi, Pantani rispose che per uno scalatore le pendenze elevate dovrebbero essere un invito a nozze. Troppo diversi quei due per volersi bene.

Robert Gesink, Sepp Juss, Primoz Roglic, Alto de Angliru, Vuelta 2020
Gesink, Kuss e Roglic, ritmo alto sull’Angliru
Robert Gesink, Sepp Juss, Primoz Roglic, Alto de Angliru, Vuelta 2020
Gesink, Kuss e Roglic, ritmo alto sull’Angliru

Roglic si salva

Ripresa la fuga, Roglic ha alzato la voce e messo prima Gesink e poi Kuss a tirare, ma dopo un po’ Primoz ha scoperto che la coperta era troppo corta. E quando si è reso conto del rischio che correva, ha preso il suo passo ed è arrivato in cima perdendo la maglia per soli 10 secondi

«Era una salita troppo dura per un velocista – ha scherzato il capitano nella Jumbo-Visma – e io non ho avuto la mia giornata migliore, così alla fine sono soddisfatto del risultato. Ho ancora una buona classifica e sono molto contento. Ovviamente mi sarebbe piaciuto guadagnare tempo piuttosto che perderlo, ma è andata così. La squadra è stata ancora una volta molto forte e molto impressionante. Mi dispiace per Kuss, perché sicuramente avrebbe potuto vincere la tappa. Voglio ringraziarlo per il supporto negli ultimi chilometri, senza di lui avrei perso più tempo. Ora ci godremo il giorno di riposo e poi ci concentreremo sulla crono. Darò tutto per vincere la Vuelta e nella terza settimana è tutto possibile».

Carapaz fa festa

Carapaz è partito a testa bassa a circa due chilometri dall’arrivo, ma si è capito che non sarebbe riuscito a guadagnare quel che sperava. Per sua fortuna, è riuscito ad agganciarsi al trenino Vlasov-Mas e a mettere in cascina i 10 secondi che gli sono valsi la maglia rossa.

«Questa salita ha fatto una selezione naturale – ha detto – abbiamo già speso molte energie ieri e anche oggi è stata una tappa molto dura. Mi ricordavo questa salita dal 2017, ma è stato incredibile farla in mezzo a tanto silenzio. Alla fine ci ho provato, anche Mas, Vlasov e Carthy ci hanno provato. E io ho continuato con il mio ritmo, mettendo insieme un vantaggio di 10 secondi. Per noi è fantastico, andiamo verso la cronometro con l’idea di dare il massimo e difendere la leadership. Sono molto felice di indossare di nuovo la maglia. E’ una buona cosa per me, per la Ineos-Grenadiers e per tutto quello che abbiamo fatto».

Carthy non ci crede

La voglia di andarsene dalle corse minacciate dal Covid, deve essere un segno distintivo della Ef Pro Cycling del 2020. Dopo averci provato al Giro, ci hanno riprovato anche alla Vuelta. Ma evidentemente è una tecnica che porta bene. Con due tappe vinte in Italia, ecco la seconda della Vuelta con Hugh Carthy dopo Michael Woods a Villanueva de Valdegovia.

«E’ un sogno – ha detto Carthy stravolto dopo l’arrivo – in ogni gara professionistica vincere è un sogno che si avvera. Ma vincere in un grande Giro, sua una salita mitica come questa… non c’è niente meglio di così. E’ difficile da esprimere a parole. La prossima settimana sarà eccitante. Soprattutto per il pubblico da casa, perché ne vediamo poco lungo le strade. E’ una corsa serrata e manca ancora la cronometro. E’ ancora tutto da giocare».