Zanatta sicuro: Sagan fenomeno 10 anni prima di Remco

05.10.2023
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Come Evenepoel e forse anche meglio, ma dieci anni prima, Peter Sagan è stato l’esempio della carriera di un giovane fenomeno cresciuto con regole meno affrettate rispetto ad altri. Lo slovacco, che al Tour de Vendee di domenica scorsa ha disputato l’ultima gara da pro’, probabilmente non era consapevole di poter diventare così importante. Quando si è affacciato sul mondo del ciclismo professionistico, forse non sapeva neppure dove fosse.

Zanatta e Sagan, qui alla partenza del Tour 2013, hanno lavorato assieme sin dal passaggio di Peter nel 2010
Zanatta e Sagan, qui alla partenza del Tour 2013, hanno lavorato assieme sin dal passaggio di Peter nel 2010

Parola a Zanatta

Ciascuno di noi abbia avuto la fortuna di vivere Peter da vicino può raccontare aneddoti a non finire. Ma se c’è uno che l’ha visto arrivare e crescere e si è stupito per il portento, quello è Stefano Zanatta, che di giovani se ne intende e della Liquigas di allora era il direttore sportivo. Il trevigiano è a casa con una punta di influenza, ma non si sottrae al racconto.

«Peter arrivò come un fulmine a ciel sereno – racconta – lo prendemmo perché aveva fatto bene nel cross e poi nel 2008 aveva vinto i mondiali juniores di mountain bike in Val di Sole. Su strada sembrava quasi che non corresse, però cominciai a prendere informazioni. Venti giorni dopo quel mondiale, andò al Lunigiana e vinse l’ultima tappa. Allora chiesi se per tornare vero la Slovacchia sarebbe passato di qui. Mi dissero che sarebbe andato a una corsa in Istria e lì vinse due tappe e la classifica. La settimana dopo, ai mondiali di Varese, mi incontrai con il suo manager. Gli proposi di venire con noi, inizialmente fra i dilettanti, perché era un bel corridorino, ma non sembrava che avesse tutte queste potenzialità…».

In pista a Montichiari per lavorare sulla posizione. Sembra un bimbo al luna park
In pista a Montichiari per lavorare sulla posizione. Sembra un bimbo al luna park
Invece?

Arrivò al primo ritiro con gli under 23, eravamo a Cecina alla Buca del Gatto. Li seguiva Biagio Conte e Peter in teoria a casa non aveva la bici da strada. Gliela avevamo data tre giorni prima e dopo i primi due giorni andarono a fare distanza. C’erano Viviani e Cimolai, entrambi neoprofessionisti, che dovevano partire forte. Era gente che da noi vinceva le corse e tornarono dicendo che questo qui a un certo punto aveva accelerato e li aveva lasciati lì. Biagio era convinto che a casa si fosse allenato, così andai a chiederglielo, ma lui confermò di aver fatto solo un po’ di cross e di mountain bike e tante camminate in montagna. Così ci rendemmo conto che fosse uno fuori dal comune.

Basso raccontò che la sua molla erano le difficoltà economiche della famiglia.

Lui era forte, ma sicuramente viveva in un paese dove la situazione familiare era un po’ incerta. Aveva quattro fratelli e questi ragazzini si divertivano ad andare fuori in bicicletta. Quel primo anno, ero al Giro di Polonia e un giorno me lo vidi arrivare in hotel. Era a casa e si presentò la sera alle sei avendo fatto 100 chilometri per arrivare e altri 100 ne avrebbe fatti per tornare. Era venuto con suo fratello e due amici per vedere la tappa. Non conosceva il ciclismo, quello era uno dei primi contatti.

Prima vittoria da pro’ nel 2010: 3ª tappa della Parigi-Nizza ad Aurillac. Batte Rodriguez e Roche
Prima vittoria da pro’ nel 2010: 3ª tappa della Parigi-Nizza ad Aurillac. Batte Rodriguez e Roche
In che senso non lo conosceva?

A parte il Tour e la Parigi-Roubaix, perché la nazionale l’aveva portato a fare la Roubaix juniores e lui era arrivato secondo, non sapeva nulla. Le altre corse gliele abbiamo insegnate noi. L’episodio al Tour Down Under del 2010 la dice lunga sul personaggio, anche se io non c’ero e il racconto di Dario Mariuzzo (uno dei tecnici della Liquigas, ndr) è da sbellicarsi dalle risate.

Cosa successe?

Il secondo giorno finì a terra e si fece male a un gomito, con un grosso taglio provocato da una corona, per cui gli misero 20 punti. Non era il Peter brillante di adesso, quando parlava alzava appena gli occhi. Il dottor Magni lo portò in ospedale e rimase con lui per tre ore. E quando ne uscirono, Peter gli disse: «Domani, io start». Magni cercava di farlo ragionare, dicendogli di dormirci sopra e il giorno dopo avrebbero valutato. Ma lui fu irremovibile: «Dottore, io domani start». E infatti ripartì e dopo tre giorni andò in fuga con Armstrong, Valverde e Cadel Evans. Tirò alla pari per tutto il tempo. E quando gli chiedemmo perché mai lo avesse fatto, visto il livello degli avversari, rispose: «Perché ero in fuga e chi va in fuga deve tirare». Era tutto da costruire, anche quando cominciammo a spiegargli che la Parigi-Nizza non era la Coppi e Bartali e ci sembrava strano dirglielo…

L’amicizia con Oss non si discute: qui dominano il Giro del Veneto 2010 e vince il trentino
L’amicizia con Oss non si discute: qui dominano il Giro del Veneto 2010 e vince il trentino
Però intanto alla Parigi-Nizza lo portaste e lui vinse la prima corsa da pro’…

In Francia ci andavamo tutti gli anni dal 2005 e avevamo vinto una sola tappa con Pellizotti, arriva questo e ne vince due: capite perché eravamo sorpresi? A quel punto cominciammo a tutelarci perché non ce lo portassero via e insieme pensammo a come fare per farlo crescere gradualmente. Ci eravamo resi conto che poteva veramente andare tanto in alto: la fortuna di avere una squadra forte alle spalle, gli avrebbe permesso di lavorare con calma. Altrimenti già quell’anno avremmo avuto la tentazione di portarlo alla Sanremo. Invece avevamo la squadra fatta per Bennati e a lui dicemmo che semmai l’avrebbe corsa l’anno dopo.

E’ stato difficile gestirlo così? Oggi si tende a buttarli subito dentro…

A noi sembrava logico fare così, perché la scuola che ho avuto era questa. Farli crescere un po’ alla volta, mentre adesso le teorie sono un po’ cambiate e quindi magari qualcuno preferisce avere tutto subito. Non so se sia meglio o peggio, dico che quella era la logica del momento: seguimmo lo stesso metodo di lavoro usato con Vincenzo (Nibali, ndr). Cioè portare i giovani a fare corse buone dove potessero esprimersi. Che senso aveva portarlo alla Sanremo perché tirasse per il Benna?

Nel 2010 aveva 20 anni tondi, ma non ha mai avuto le dichiarazioni altisonanti di Evenepoel…

Peter non ha mai avuto la mania, tra virgolette, di pensare di essere il più forte. Però ha sempre corso per vincere e il suo fisico gli permetteva di farlo, anche se gli allenamenti non erano perfetti e mangiava di tutto. Bastava che buttasse dentro, secondo lui il cibo era cibo. Poi ha cominciato a capire che ci sono delle regole, ma in quegli anni mi diceva che poteva vincere anche se mangiava solo una brioche. Era vero, ma non si potevano riscrivere le regole dell’allenamento perché lui era un’eccezione.

Si rendeva conto di essere così forte?

Secondo me nei primi anni no. Almeno fino al 2014, quando è andato via e ha cominciato a capire la gestione delle corse per spendere meno energie. Lui andava. Gli bastava salire in bici, pedalare, stare davanti e fare bagarre quando c’era da lottare. Non ti chiedeva mai quale fosse il punto giusto per attaccare, anche se ascoltava molto quello che gli consigliavamo.

Giocava anche nelle famose tappe del Tour vinte con un pizzico di… arroganza?

Quell’anno, era il 2012, si divertiva tanto. Andava veramente forte, ma è un fatto che dopo quella prima Parigi-Nizza ci dicemmo con gli altri tecnici che non avremmo più dovuto pensare di andare alle corse come facevamo prima. Bisognava cambiare modo di approccio alle gare e la disposizione in corsa. Perché Sagan ha portato la possibilità di fare nel ciclismo quello che nessuno aveva immaginato. Peter era avanti a tutti per il suo modo di pensare e di fare. Lo dicevamo nelle riunioni con Scirea, Volpi e Mariuzzo: «Ragazzi, non pensate di ragionare con Peter come per gli altri». Non aveva limiti. Per come andava in salita, avrebbe potuto vincere anche le corse a tappe più leggere, però mentalmente non riusciva a stare troppi giorni concentrato.

Peter ha sempre voluto attorno un gruppo solido di amici, da Oss a Viviani, Da Dalto e gli altri di quella Liquigas.

Quando è arrivato, non parlava tanto, magari per la lingua. Era più riservato, più cupo, ti guardava un po’ così. Invece dopo un po’ ha scoperto di far parte di un bel gruppo. Ha avuto un ottimo rapporto anche con Da Dalto, che nei primi anni lo andava a prendere, lo aiutava a fargli trovare i posti dove fare la spesa. L’ha fatto vivere come uno del posto. Poi con ragazzi come Oss e Viviani ha tirato fuori il suo spirito goliardico ed è nato il Peter che tutti conosciamo. Uno che in allenamento non stava mai fermo, era sempre fuori dalla sella anche quando facevamo 150 chilometri ed era sempre lì a fare scherzi e toccarli. Forse all’inizio si è sentito un po’ isolato in una squadra di italiani, quando poi è arrivato anche suo fratello, si è sciolto.

Ti è dispiaciuto che quel gruppo si sia sciolto?

Quando decise di andare via, mi aveva chiesto da gennaio se avessi piacere di andare con loro, seguendo il suo gruppo. Io però non me la sentii, perché comunque era la Liquigas e avevo un ottimo rapporto Roberto Amadio. Insomma, a gennaio non avrei mai pensato che ci lasciassero per strada, per cui ci siamo salutati come si fece con Vincenzo e con tanti altri. Peter ha fatto la sua strada e la mia indole non è mai stata quella di seguire un atleta, anche se a lui ero molto legato. E’ il corridore che sono andato a prendere quando aveva 18 anni e che è diventato grande davvero. Però è rimasto un ottimo rapporto. Se c’è qualcosa, risponde subito.

Quando ti sei accorto che la sua stella si stava offuscando, fermo restando che ha fatto 13 anni da pro’?

Non pensavo che avrebbe fatto una carriera così lunga. Uno che corre come lui anche per divertirsi, a un certo punto non trova più gli stimoli. Invece lui è stato bravo a tener ancora bene, a parte questi ultimi due anni. Il suo modo di correre è stato dispendioso, bisogna fare sempre più sacrifici e intanto arrivano i giovani. Dopo dieci anni di carriera, ti ritrovi in una situazione che non riconosci più. Secondo me, Peter ha smesso di divertirsi dopo il terzo mondiale consecutivo, quando arrivava uno e gli chiedeva una cosa, arrivava un altro e gliene chiedeva un’altra. E a quel punto ha un po’ mollato. Fisicamente ne aveva ancora far bene, però non era più Peter con la cattiveria di prima.

La settimana dei titoli di gravel. Pontoni pianifica le nazionali

26.09.2023
4 min
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La stagione del ciclocross è in rampa di lancio, anzi già qualcosa si è mosso sia in Italia che in Svizzera, ma Daniele Pontoni in questo momento è concentrato sul gravel. Non bastasse il mondiale dell’8 ottobre nella Marca Trevigiana, l’UEC ha inserito anche il neonato europeo esattamente una settimana prima, in Belgio, ma con i calendari strada e marathon di mtb ancora in pieno svolgimento. Far quadrare il cerchio è davvero difficile, molto più di quanto lo fu lo scorso anno.

Daniel Oss al centro fra i cittì Celestino e Pontoni. Il trentino vuole tornare sul podio mondiale
Daniel Oss al centro fra i cittì Celestino e Pontoni. Il trentino vuole tornare sul podio mondiale

Pontoni non nasconde le difficoltà, ma parte da un concetto base: «Saremo presenti ad entrambe le manifestazioni, questo è certo. Non so ancora con chi, ma saranno due squadre diverse anche se ci saranno corridori che doppieranno e questo perché i due tracciati di gara avranno caratteristiche differenti. Il mondiale è stato disegnato su un tracciato impegnativo, che sono sicuro farà selezione, con strappi brevi e duri che alla lunga si faranno sentire».

Mentre l’europeo?

E’ un percorso più scorrevole, dove i passisti potranno avere buon gioco. Nella scelta mi baserò sulle caratteristiche dei singoli e sulla strategia da adottare per ognuna delle due gare. Non nascondo che dobbiamo puntare al podio, soprattutto per la gara iridata che corriamo in casa, come abbiamo già fatto lo scorso anno.

L’europeo a una settimana di distanza dal mondiale è secondo te un vantaggio o uno svantaggio?

Dipende da come lo si guarda. Io voglio prenderlo come una prova generale e non mi riferisco solamente agli atleti che gareggeranno, ma anche allo staff, a noi che saremo fuori gara. Sarà un modo per prendere sempre più confidenza con la specialità e la tipologia del mezzo, ben diverso sia da una bici da strada che da una mountain bike. Il gravel sta correndo nel suo cammino di affermazione, è difficile tenere il passo, ogni occasione va sfruttata al massimo.

Ma il progresso sta procedendo geograficamente di pari passo?

No e questo mi dispiace. Da noi, in Europa ma ancor più in Italia, c’è ancora un po’ di scetticismo, anche se vedo che cominciano a nascere team specifici e questo è un passo basilare per l’affermazione della specialità. In America sono molto più avanti, si sta affermando una cultura, esattamente com’era avvenuto nella mountain bike.

Il ceko Petr Vakoc quest’anno primo a Swieradow-Zdroj e alla Monsterrato, tappe delle World Series
Il ceko Petr Vakoc quest’anno primo a Swieradow-Zdroj e alla Monsterrato, tappe delle World Series
Lo scorso mondiale aveva visto gli stradisti avere vita facile, chiaramente con una preponderanza per quelli abituati alla multidisciplina. Pensi che quest’anno ci saranno più specialisti puri nelle parti alte della classifica?

Io credo di sì, ma credo anche che, se l’europeo si presta a una soluzione simile, il mondiale vedrà contendersi il titolo ancora gente che viene dalla strada. Chi viene dal WorldTour ha un colpo di pedale superiore anche a chi frequenta la mountain bike, c’è una disparità di forze e ne dovrò tenere conto nelle convocazioni. Credo però che ci sarà qualche inserimento in più da parte di chi frequenta unicamente le corse di gravel.

Ti sei fatto un’idea di chi saranno i favoriti?

Difficile dirlo non sapendo chi sarà al via, credo comunque che Belgio e Olanda presenteranno in entrambi gli eventi formazioni molto qualitative perché so che ci tengono molto. C’è poi l’incognita legata a Van Aert, se sarà al via l’8 ottobre al mondiale, il favorito d’obbligo sarà lui, anche per la voglia di mettere fine alla collezione di secondi posti

Van Aert ha vinto l’Houffa Gravel con grande facilità. Il mondiale sarebbe un riscatto in un anno difficile
Van Aert ha vinto l’Houffa Gravel con grande facilità. Il mondiale sarebbe un riscatto in un anno difficile
Hai già in mente chi schierare?

Qualche nome ce l’ho già, ma non sarebbe giusto farli prima di ufficializzare le squadre, anche se è chiaro che Oss, vicecampione mondiale in carica, non potrà non esserci. Quel che posso garantire è che presenteremo squadre popolate di gente con la voglia di far bene, perché correre un mondiale in casa ha un valore particolare in qualsiasi specialità. Il problema sono le concomitanze, considerando che ci sarà la Tre Valli che coinvolge molti team del WorldTour al maschile e al femminile e c’è la Coppa del mondo di mountain bike negli Usa. Noi comunque ci sapremo far valere, non ho dubbi.

Bennati “legge” da dentro il poker di Philipsen

12.07.2023
5 min
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«L’anno scorso – dice Bennati – l’ho visto vincere a Parigi veramente alla grande. Quest’anno ha vinto l’ultima tappa alla Tirreno, sta crescendo veramente forte. Poi è arrivato secondo alla Roubaix. Questo secondo me è un cagnaccio anche al mondiale».

L’analisi di Bennati

Jasper Philipsen ha appena vinto la quarta tappa su cinque volate disputate e il commissario tecnico della nazionale, che di tappe al Tour se ne intende, lo ha seguito con grande attenzione, visto l’appuntamento di Glasgow che ormai si intravede in fondo al rettilineo. Nella giornata in cui Daniel Oss ha conquistato il numero rosso, le parole di Bennati sono molto interessanti.

«Con le dovute proporzioni – sorride Bennati, mettendo le mani avanti – mi sono rivisto in una volata che ho vinto alla Vuelta nel 2012. La riguardo spesso, perché è uno di quei casi in cui, come si dice fra corridori, non sentivo la catena. A un certo momento a 300 metri dall’arrivo, Philipsen ha smesso di pedalare per due volte, però è rimasto sempre lì. Poi col colpo d’occhio, è riuscito a capire tutte le situazioni. Quando un velocista è al top della condizione, gli va tutto bene. Si ritrova con una grande consapevolezza di se stesso ed è quello che sta capitando anche a lui. E’ nettamente più forte…».

La tappa di Valladolid alla Vuelta del 2012: Bennati ha rivisto le stesse dinamiche in questo finale
La tappa di Valladolid alla Vuelta del 2012: Bennati ha rivisto le stesse dinamiche in questo finale
Ha anche capito dove si apriva la volata, non ha rischiato di rimanere chiuso…

Ha preso la ruota di Van Aert e poi in un attimo ha capito che quella non era la ruota giusta. Quelli sono sforzi che se non hai la gamba, non fai più la volata. Invece lui ha lasciato Van Aert e ha fatto una prima volata per andare nella scia di Groenewegen. E quando è arrivato alla sua ruota, Groenewegen è partito. Lui è stato lì. E quando ha visto il momento giusto, ha accelerato e gli ha pure dato tre bici.

Al Giro dicemmo che Cavendish aveva vinto la volata di Roma, perché non c’erano grossi rivali. Qui ad esempio Jakobsen non è neppure l’ombra di se stesso…

Qui però ci sono tutti gli altri. E’ vero che Jakobsen non va, però io ho guardato le gare che hanno fatto insieme, dal Giro del Belgio e anche qualche classica di lassù, e negli scontri diretti ha vinto quasi sempre lui. Poi c’è Van Aert, che a volte mi fa venire il nervoso…

In che senso?

Va veramente forte, attualmente è il più forte, non si discute. Mi fa venire il nervoso perché non si risparmia mai e non riesce a concludere quello che potrebbe. Forse sono umani anche loro. Se anche sei un fuoriclasse e spendi più del normale, prima o poi la paghi. Secondo me sta succedendo questo. La settimana scorsa ha fatto quella tappa clamorosa il giorno del Tourmalet e poi l’ha pagata. Secondo me non sarebbe normale se lui facesse quegli sforzi e il giorno dopo vincesse anche le tappe.

Quarta vittoria per Philipsen su cinque volate. Per lui anche un secondo posto
Quarta vittoria per Philipsen su cinque volate. Per lui anche un secondo posto
Cosa ti ricordi di quella tappa di Valladolid?

Avevo l’impressione che la bici andasse dove volevo io, quasi la telecomandassi. Non è solamente un fatto di condizione fisica, ma anche di una consapevolezza superiore. Di conseguenza, se sbagli hai la capacità di recuperare lo sbaglio e di anticipare quello che agli altri richiede più tempo.

Lucidità che deriva dalla condizione?

Oggi Philipsen ha dato la dimostrazione di essere il più in forma. E’ chiaro che stamattina, dopo tre tappe vinte, aveva appetito e la consapevolezza di quando sei forte e sai anche che puoi permetterti qualcosa in più. Quindi, dal punto di vista psicologico, lui approccia la volata in modo molto più tranquillo, molto più sereno. Gli altri invece hanno l’ossessione di vincere e di non sbagliare. E quando hai l’ossessione di non sbagliare è la volta che sbagli. E se sbagli una, due o tre volte, la volata non la fai più.

Oss è stato l’ultimo ad arrendersi nella fuga, ma lamenta la poca convinzione dei compagni d’avventura
Oss è stato l’ultimo ad arrendersi nella fuga, ma lamenta la poca convinzione dei compagni d’avventura

La fuga di Oss

Discorsi da velocisti e non da attaccanti. Quante forze ha buttato via oggi Daniel Oss nella fuga? E quanto è diverso correre spargendo energie con il secchio, anziché centellinarle come fanno i velocisti? Il trentino è sul pullman e sotto si sente la voce di Sagan (all’ultimo Tour) che lo prende in giro, perché avrebbe sfruttato la scia di una moto. Ma Daniel nega e l’altro sotto si mette a ridere, dicendo che una moto a lui servirebbe per tirargli le volate.

«Adesso hanno visto che al Tour – ride Oss – ci sono anche io. L’idea era quella di prendere una fuga un po’ più numerosa, perché era chiaro che si volesse arrivare in volata. Ci sono stati un po’ di scatti, sembrava che andassero via quattro o cinque, invece ci siamo ritrovati solo in tre. Siamo andati via pianissimo, perché il gruppo non ci lasciava. E quando ci hanno messo sotto il minuto, il morale è andato sotto zero. Non è che avessi grandi piani, però sapevo che la strada girava verso destra e il vento sarebbe stato favorevole.

Per il trentino arriva il numero rosso: non era una fuga che potesse arrivare, ma si è goduto la giornata
Per il trentino arriva il numero rosso: non era una fuga che potesse arrivare, ma si è goduto la giornata

«Metti che sei anche abbastanza veloce – prosegue Oss – che puoi tenere un’andatura bella alta, tieni duro, no? Da solo riuscivo ad andare davvero forte. Invece si sono rialzati e mi hanno proprio lasciato lì. Si sono staccati perché non volevano e quello un po’ mi ha infastidito. Però alla fine quei chilometri me li sono goduti. C’era tanta gente, è sempre figo, è bellissimo davanti con il pubblico e quel po’ di pioggia che poteva rallentare il gruppo per paura di scivolate. Potevo pensare che sarei arrivato se fossi stato solo negli ultimi 2 chilometri, però mancava ancora tanto, era tutto un work in progress. Se ci riprovo? Non dipende tanto dalla volontà, ma dalle gambe. Il gruppo ha un livello pazzesco, vanno fortissimo, c’è una concorrenza davvero incredibile».

Otto giorni nello Utah: poi cosa c’è nel futuro di Oss?

28.05.2023
5 min
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Park City, Utah. Peter Sagan e Daniel Oss sono arrivati dopo Quattro Giorni di Dunkerque, gara di rientro post Fiandre e Roubaix. In certi giorni ci sono i cicloturisti che si accodano, altre volte escono da soli. Oltre duemila metri di quota, strade spesso deserte e salite in mountain bike fin sulla porta dei tremila, lo Utah è da anni il buen retiro di Peter. Daniel si fermerà per otto giorni, poi tornerà in Europa per correre, lasciando l’amico negli USA in attesa dello Svizzera e poi il Tour.

Alla fine dell’anno Sagan smetterà di correre (su strada), che cosa farà il suo amico? E’ vero che per stare con lo slovacco ha rinunciato a due anni di ottimo contratto in un’altra squadra? Intanto in Italia il Giro d’Italia ha scritto le sue pagine più belle e grazie al fuso orario indietro di 8 ore rispetto all’Italia, Daniel è riuscito a seguire le tappe più belle.

«Tanto mi sveglio presto la mattina – dice Oss in una chiamata Whatsapp – e lo vedo quasi tutto. L’altro giorno ho seguito la tappa che partiva dalla mia Pergine e quelle che passavano dal Lago di Garda».

Dopo la Roubaix, per Oss periodo di stacco, poi Dunkerque, infine il viaggio nello Utah, prima di Svizzera e Tour
Dopo la Roubaix, per Oss periodo di stacco, poi Dunkerque, infine il viaggio nello Utah, prima di Svizzera e Tour
Siete partiti subito dopo Dunkerque?

Il giorno dopo. Correre Dunkerque è stato utile, dopo la Roubaix c’è stato un bello stacco. Ho riposato un po’, ho recuperato. Abbiamo corso per tirare su un po’ di gamba e un po’ di ritmo e poi sono venuto qui, anche per fare un po di compagnia a Peter, che starà qualche giorno in più di me. Io torno prima perché correrò anche prima dello Svizzera, poi farò il campionato italiano e il Tour.

Come si sta a Park City?

Il posto è indubbiamente meraviglioso. Stiamo in una casetta, con Peter, un suo amico che vive in America e fa da meccanico, infine Gabriele Uboldi. Si sta molto molto bene, perché a parte l’altura, il clima è ottimo. Sia sul piano meteorologico, sia come gente, come spirito. Ricorda molto un ambiente di montagna. Sono circa 7-8 anni che con Peter si sceglie di venire negli USA, perché è il suo pallino, ma qui veniamo da 4-5, dagli ultimi anni alla Bora-Hansgrohe. E’ capitato anche di venire per due volte all’anno. L’anno scorso, a maggio e poi dopo il Tour.

Park City ha meno di 9.000 abitanti, sorge a 2.143 metri di quota, è una patria dello sci americano (foto Amy Sparwasser)
Park City ha meno di 9.000 abitanti, sorge a 2.143 metri di quota, è una patria dello sci americano (foto Amy Sparwasser)
Come è andata finora la tua stagione?

Diciamo normale, non brillante come ai tempi in cui si vincevano i mondiali. Le classiche sono state parecchio impegnative, anche per il maltempo. Non è andata come al solito, perciò adesso pensiamo al Tour. Sanno tutti che Peter è all’ultimo anno, quindi non vuole buttare tutto al vento. L’investimento di tempo fa capire che vuol fare le cose per bene. Sa che non può più andare alle corse senza preparazione o senza il pensiero di lottare.

Nel periodo BMC hai già corso senza Peter, come pensi che sarà la carriera di Daniel Oss dal prossimo anno?

A me piacerebbe fare ancora un anno o due, perché ho ancora voglia, perché sento che posso ancora dare qualcosina e mi piacerebbe continuare per soddisfazione personale. Probabilmente cercherò qualcuno che si possa fidare di me o comunque voglia affidarsi alla mia esperienza o al mio passato. Sono molto mentalizzato per appoggiare al 100 per cento qualcuno che abbia bisogno di un gregario con le mie caratteristiche.

Sagan ha annunciato che il 2023 sarà il suo ultimo anno su strada: ora punta a un grande Tour. Oss è con lui
Il 2023 sarà l’ultimo anno di Sagan su strada: ora punta a un grande Tour. Oss è con lui
E’ vero che per rimanere con Peter l’ultima volta hai rinunciato a un’offertona?

Vabbè (ride, ndr), le offerte le ho sempre avute, non l’ho mai negato. Però mi sono sempre sentito molto legato a Peter, nel senso che ho bisogno anche di un certo stimolo mentale e motivazionale che con Peter continuo ad avere. Per questo ho preferito restare legato al suo progetto, quindi è successo che qualcuno mi chiedesse, che anche i corridori in gruppo mi abbiamo chiesto che cosa voglia fare, ma io mi sono sempre sentito molto leale a questo progetto.

Quindi di base, bene il progetto ma comanda l’amicizia?

E’ una combinazione di cose, non è molto schematica, si potrebbe scriverci un libro. Sono più di 13, 14 anni che corriamo insieme, per cui quando ci sediamo a un tavolo e raccontiamo le nostre storie, possiamo tirarne fuori di molto simpatiche legate al mondo del ciclismo, perché alla fine ci lega molto. Ci siamo trovati in bicicletta, ma come uomini abbiamo trovato un legame che va oltre i progetti. Sono molto più legato a questi aspetti, che al solo sport.

Che cosa vi lega?

Siamo simili. Sicuramente per alcune caratteristiche ciclistiche, ma anche per l’approccio alla vita. Siamo cresciuti insieme e ora siamo diversi: lui ad esempio si è sposato, ha un figlio, io ancora no. Anche questo è un dettaglio che comunque ti fa crescere diversamente. Forse a lui serviva un tipo di ciclista che avesse questa capacità di adattamento. Peter è molto dinamico nel proporre cambiamenti e io sono uno che sa adattarsi.

Il periodo di allenamento nello Utah da circa 5 anni: gli USA sono un pallino di Sagan e Oss
Il periodo di allenamento nello Utah da circa 5 anni: gli USA sono un pallino di Sagan e Oss
L’anno scorso hai fatto il mondiale gravel, c’è ancora spazio per il Daniel protagonista?

Una cosa per volta. Adesso mi piacerebbe affrontare il Tour, pensando solo ad arrivarci con sensazioni ottime, che comunque negli ultimi anni non sono state facili da trovare. Però essere protagonista in alcune situazioni, mi gratificherebbe tantissimo.

Hai già firmato il contratto per il 2024?

Non ho ancora parlato con Jean Renée Bernaudeau (manager della Total Energies in cui corre, ndr), devo dire la verità, perché in questa squadra sto molto bene. Ma penso che valuterò alcune offerte, perché cerco situazioni che devono motivarmi mentalmente, oltre che fisicamente. Questo è qualcosa cui tengo molto.

Il professionismo (e la felicità) in 6 punti, secondo Oss

31.01.2023
7 min
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Si può essere felici in questo ciclismo? Daniel Oss strabuzza gli occhi e ci rendiamo conto che l’attacco in stile Marzullo forse potrebbe sembrare troppo insolito. Però noi sappiamo esattamente dove vogliamo portarlo e lui decide di fidarsi. Per cui mettetevi comodi, ci vorrà un po’, ma vi piacerà.

Siamo agli sgoccioli dei nostri racconti dalla Vuelta a San Juan, mentre leggerete di questo incontro saremo in volo da Buenos Aires a Roma.

Daniel Oss è nato a Trento il 13 gennaio 1987, è professionista dal 2009
Daniel Oss è nato a Trento il 13 gennaio 1987, è professionista dal 2009

1) Si può essere felici in questo ciclismo?

«I presupposti della felicità nella vita reale sono un po’ scarni. La felicità bisogna cercarsela. Nel ciclismo, per come l’ho vissuto io, tutto è felicità. Chiaro che però la domanda è riferita al professionismo, quello che viviamo in maniera così pesante, senza mai fermarci, sempre col risultato in mente, sempre lì. E’ bello se ci riesci. E’ divertente essere forti e in forma. Queste sono le cose che a me danno il coraggio per continuare. Chiaro che si possa essere stressatissimi, come in qualsiasi altro lavoro ad alto livello. Ma insomma, dall’alto dei miei 36 anni, vedo che in tutte le attività ad altissimo livello, baratti un po’ di felicità in cambio del successo. Credo che anche un grande imprenditore si tolga un po’ di felicità per raggiungere l’obiettivo. Quindi, probabilmente sì.

«In una corsa come San Juan, ci si può ritagliare un po’ di felicità. Pensando alle cose che si possono avere dal ciclismo, vedo tanta felicità nelle relazioni, nell’interagire o nel parlare con nuovi atleti. Sicuramente ho tanti anni di professionismo alle spalle e i nuovi hanno un’altra mentalità, un’altra voglia di fare, un altro carattere. Tik Tok li ha formati e quindi sono un po’ distanti da me, però mi piace. Le relazioni che si instaurano con i nuovi mi danno grinta. Quando sono passato, anche io vedevo una certa distanza con i più grandi e cercavo di colmarla perché volevo arrivare a loro».

Sagan, Viviani e Oss: ritiro di inizio stagione nel 2011, maglia Liquigas: quando i giovani erano loro
Sagan, Viviani e Oss: ritiro di inizio stagione nel 2011: maglia Liquigas

2) Il corridore è imprenditore di se stesso?

«In questo senso il ciclismo è cambiato tantissimo. Peter ha dato il clic a questa situazione, prima di lui anche Pantani e Cipollini. Grandi corridori, campioni, stelle che sono diventate quel tipo di personaggio. Quindi è chiaro che lì scattano delle situazioni o delle dinamiche per le quali devi essere capace di gestire anche la parte imprenditoriale. Alla fine diventa un altro lavoro. E’ un business che porti avanti oltre il risultato, non è togliere ma mettere. Deve avanzare in concomitanza, sennò una cosa non vale l’altra. Per questo adesso non puoi più pensare solo a vincere, ma devi essere capace di proporti in un certo modo.

«Devi parlare, essere vicino alla gente più di prima, perché internet ne ha dato la possibilità, anzi ci ha costretto a essere più vicini alla gente. E’ un bene, però anche in questo campo ci sono situazioni da gestire. Credo che i corridori siano intelligenti, non solo delle macchine da volata, da cronometro o da qualsiasi altra performance fisica. Sono diventati anche capaci di capire il mondo. Siamo più aperti e sul pezzo. Lo ripeto: è comunque una cosa da gestire. Quindi forse tornando a prima, un po’ di felicità viene meno. Sei costretto a volte a fare cose che magari non vorresti, ma sono necessarie».

Nella sua carriera il trentino ha vinto due corse, ma è un numero uno sul fronte dei social
Nella sua carriera il trentino ha vinto due corse, ma è un numero uno sul fronte dei social

3) Le squadre chiedono impegno sui social?

«Da parte delle squadre c’è richiesta perché comunichiamo sui social, senza dubbio. Un corridore che vince e che comunica è più appetibile anche per gli sponsor. Non è un segreto, è ovvio, come lo è per le televisioni. Nel senso che una bella performance al Tour de France vale più di una in un’altra corsa, il corridore social è la tappa al Tour. La comunicazione è diventata motivo di interesse da parte delle squadre, al punto che siamo quasi obbligati. Ma il concetto è che nonostante questo, vale di più l’essere se stessi. Sui social è inutile provare a essere qualcuno che non sei. Se mostri quello che sei davvero, sei più credibile. E’ una questione di credibilità».

Alla chiusura della Liquigas, nel 2015 Oss raggiunse Quinziato alla BMC, Sagan andò alla Tinkoff
Alla chiusura della Liquigas, nel 2015 Oss raggiunse Quinziato alla BMC, Sagan andò alla Tinkoff

4) I social cancellano i giornalisti?

«Dal mio punto di vista è sbagliato se qualcuno ragiona così. Il rapporto con i media è visto certamente come un qualcosa in più. Si aggiunge alle cose da fare e alle scadenze. Non si tratta di scegliere, parlare con il giornalista è una delle cose. Allo stesso modo in cui fai la ripetuta, c’è anche il giornalista da chiamare la sera. Fa parte del sistema. Non è che il pizzaiolo può preparare 100 chili di pasta e poi non avere gli ingredienti per condirla. Quindi deve prendere il telefono e chiamare il suo fornitore, per ordinare il prosciutto, la mozzarella, il pomodoro. Ecco, voglio dirti che tu sei il fornitore della mozzarella (ride, ndr). Se invece ti basi molto sui social, la racconti solo dal tuo punto di vista.

«Io ad esempio vedo anche il giornale, che sia cartaceo o meno quello è un’altro discorso. Come la Apple che ha fatto il negozio fisico, perché non si può più solo vendere online, ma ci deve essere un punto di riferimento, anche oggettivo. Il giornale è la stessa cosa, il punto di vista esterno di uno che racconta. Sto pensando però ai giovani che scrollano solo le foto sui social, ci sono anche loro. Però c’è ancora una grande fetta che legge, cui piace. Non c’è più il giornale che apri, però magari c’è un link che ti porta al tuo bell’articolo. Quindi non la vedo come una cosa che puoi decidere o meno di fare. Sul social, decidi tu cosa dire e finisce là, però è bello avere un altro punto di vista. Rispondere a una domanda rivela molto di più di quello che scriveresti da solo. Ti fa aprire un’altra porta».

Correre per Oss è meglio che allenarsi, ma se si tratta di fare qualche giro come la sua Just Ride, allora non c’è confronto
Correre per Oss è meglio che allenarsi, ma se si tratta di fare qualche giro come la sua Just Ride, allora non c’è confronto

5) Meglio correre o allenarsi?

«Io mi diverto di più a correre, nel senso che l’allenamento mi pesa rispetto a una corsa. Immaginare di tornare ad allenarmi a casa con il freddo è pesante. Mi piace molto di più fare una corsa così. Il tran tran delle gare più importanti è pesante, magari però ti aiuta andar fuori in gruppo con Bodi, Peter e i ragazzi. Oppure preferisco fare una raidata, come oggi che siamo usciti per un paio di orette. Ti diverti anche a fermarti un attimo, poi col mio Just Ride ovviamente non c’è neanche da discutere. Quello fa il clic in più e quindi è un po’ più divertente».

Campionati del mondo gravel 2022, Mirko Celestino, Daniel Oss argento all’arrivo, Daniele Pontoni
Campionati del mondo gravel 2022, Mirko Celestino, Daniel Oss argento all’arrivo, Daniele Pontoni

6) Gli obiettivi del 2023

«Gli obiettivi sono i soliti: classiche e Tour, che correndo in una squadra francese, non si discute. Per quanto anch’io voglio fare bene al Tour, perché l’ho sempre fatto anche con la Liquigas. C’era la squadra per il Giro d’Italia e io venivo spedito al Tour. Alla fine mi andava anche meglio, perché in Francia stavo da Dio. E poi c’è il gravel. Ho parlato con la squadra, che mi ha dato un certo via libera, nel senso che se ho un’opportunità che non si sovrappone con le date della strada, posso andare. Non dico che mi sto organizzando, ma sono curioso. Vado sempre a spulciare i calendari… Insomma, entrare in quel giro lì sì, mi stuzzica. Sono corse dure, diverse e quindi mi piacerebbe farne una o due, preparando il mondiale».

Just Ride, in California con Oss: un evento a Bolzano

12.12.2022
5 min
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Un evento a Bolzano poco prima di Natale, il 20 dicembre, per raccontare Just Ride. Così Daniel Oss ha dato appuntamento ai suoi tifosi nello SPORTLER Bike, strizzando l’occhio a Sportful di cui è ambassador, per raccontare il suo viaggio di quest’anno. Era il 2016 quando dopo il Giro d’Italia il trentino prese la bici e partì nel suo viaggio che sollevò qualche stupore. Con quale voglia un professionista si rimette in bici per una settimana dopo aver corso il Giro?

«Non è un segreto – risponde Daniel ridendo – che Just Ride sia nato da una filosofia fatta di leggerezza, rispetto all’attività agonistica fatta a livelli altissimi. Volevo sdoganare la diceria per cui un corridore che va a farsi un giro con le borse è uno che vuole abbandonare. E’ esattamente il contrario. Uno che va a farsi un giro in bici vuole tornare con meno stress nel mondo in cui lavora e che di solito gli richiede la massima concentrazione. Andare in vacanza non è solo volare su una spiaggia alle Seychelles. Si può fare anche quello, anzi l’ho sempre fatto anch’io a Zanzibar. Just Ride è però il modo per continuare a essere attivo. Negli anni capisci che è bello fare anche altro, come andare in bici in questo modo. Conoscere altri lati dell’attività che svolgo da anni».

Per Just Ride, Oss ha utilizzato una Specialized Aethos verniciata da Lumar Colors
Per Just Ride, Oss ha utilizzato una Specialized Aethos verniciata da Lumar Colors

Così l’evento del 20 dicembre adesso ve lo spoileriamo un po’ noi, in questa serata di chiacchiere spagnole mentre in Trentino fa un freddo cane e qui si esce in maglietta e pantaloncini.

Quest’anno Just Ride ha lasciato l’Italia…

Siamo andati in California, abbiamo fatto la Coast Ride, la classica da San Francisco a San Diego. E abbiamo realizzato un video per farlo vedere in giro, magari fuori dai soliti canali social. Volevamo arrivare dove magari anche Sportful avesse interesse. Per cui a Bolzano faremo vedere il video e poi ci sarà una chiacchierata. Una serata open, non c’è un biglietto d’ingresso. Sarà solo l’occasione per conoscersi e parlare. Vorrei rispondere alle domande, quello che viene, insomma…

Poteva mancare la foto ricordo davanti alla sede californiana di Specialized? Eccola qua
Poteva mancare la foto ricordo davanti alla sede californiana di Specialized? Eccola qua
Un po’ l’opposto di Just Ride che nasce come pedalata solitaria, no?

L’idea che c’è sempre stata dietro a Just Ride non è mai stata quella di coinvolgere tanta gente da un punto di vista fisico. Era una cosa che volevo fare da solo e non avrei mai voluto avere tanta gente o un gruppone intorno. Il gruppo c’era però sui social, anche grazie ai miei amici da cui Just Ride è sempre stata documentata. Ne abbiamo sempre parlato sui social, sapete quanto è potente Internet in questo senso?

Perché la California?

Con le prime volte ho girato tanto per l’Italia. Poi, dopo averne parlato con Sportful, abbiamo pensato di fare una cosa un po’ più americana, un po’ diversa ma pur sempre conciliabile con il mio lavoro. Quest’anno avevo in concomitanza la possibilità di andare in altura con Peter (Sagan, ndr) nello Utah e così sono partito una settimana prima per fare questa cosa

Oss non ha mai cercato compagni di avventura per le sue avventure, ma è stato possibile seguirlo sui social
Oss non ha mai cercato compagni di avventura per le sue avventure, ma è stato possibile seguirlo sui social
Che cosa ti sei portato via da laggiù?

Di quelle strade ho sempre avuto bellissimi ricordi, perché ho sempre partecipato al Tour of California. Anche agli albori di Peter ed era proprio una figata pazzesca. Sono passato anche in posti come Morro Bay, che ricordavo benissimo. Ci avevamo vinto anche una tappa e io avevo preso anche la maglia a pois. Lo scalatore più pesante della California! Tutta la costa, l’Ocean Road da San Francisco e anche il ponte che avevamo fatto in gara. La California è gigante, l’America è gigante.

Hai fatto qualche incontro memorabile?

Ho conosciuto anche tanta bella gente. Abbiamo fatto dei featuring con Chris Cosentino, un cuoco che collabora con Sportful e abbastanza famoso a San Francisco. Ho ritrovato anche il mio amico Virgilio, che si è trasferito da Roma in California trent’anni fa e ha fatto carriera come imprenditore digitale. Oppure Steve Caballero a San Diego, il famoso skateboarder. Lui non sapeva chi fossi, per me era un mito…

Abbiamo visto foto di una Specialized dalla colorazione inedita.

Non l’avevamo fatta per Just Ride, ma l’ho usata perché aveva un senso. Un anno e mezzo fa, Specialized ha lanciato un nuovo modello che si chiama Aethos. E’ molto chiara nei colori, molto pastello, molto leggera. Noi volevamo farla brandizzare e così l’abbiamo portata da un verniciatore di Padova. La Lumar Colors che li fa per tutti.

Che cosa gli hai chiesto?

Di rappresentarci la montagna, l’acqua con un lago, il mare, l’erba. E’ tutto stilizzato. C’è un coniglietto, perché a me piace la polenta e con il coniglio. Ho usato questa bici che è una bici da strada. Gli ho montato solo delle ruote un po’ più larghe per essere sicuro di non bucare. Non mi serviva la velocità e a Los Angeles abbiamo fatto uno switch dall’asfalto per andare su un background di strade sterrate. Delle collinette fighissime da fare con la gravel.

L’evento del 20 dicembre si svolgerà presso SPORTLER Bike di Bolzano (WHISTHALER Photo)
L’evento del 20 dicembre si svolgerà presso SPORTLER Bike di Bolzano (WHISTHALER Photo)
Quanto sei stato fuori?

Il tutto è durato 5 giorni. E’ stata quasi una corsa a tappe, ma siamo riusciti anche a fare qualche giro in più a Los Angeles. Sono andato alla torre di Hollywood, abbiamo anche fatto un po’ i turisti. In fondo erano vacanze, no? Ma adesso basta spoiler, ci vediamo il 20 dicembre a Bolzano!

Strada vs gravel: approccio e guida. Parola a Oss

15.10.2022
6 min
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Giusto ieri si è corsa la Serenissima Gravel. C’è stato l’esordio del campione del mondo Gianni Vermeesch, ma non c’era il vice: Daniel Oss. “Danielone” è già proiettato verso il il 2023. Visite mediche, test… e non vi ha potuto prendere parte suo malgrado.

Con l’atleta della TotalEnergies torniamo sui dettagli tecnici di questa specialità di cui tanto si è parlato e tanto riscuote curiosità, soprattutto per quel che potrà essere. Chiara Teocchi ha tirato in ballo persino le Olimpiadi. Con Oss però cerchiamo soprattutto di fare un paragone tecnico con la strada.

Daniel, partiamo dalle tue sensazioni: cosa ti è parso di questo evento e di questa disciplina?

Sono stato contento di esserci. Avevo la curiosità di vedere questa aria nuova che veniva dagli Stati Uniti. Non sapevamo se era un’avventura o una gara vera… alla fine è stata una gara vera.

Quale è stato il tuo approccio?

L’ho presa con serietà, ma al tempo stesso con quella leggerezza di quando non sai ancora bene dove vai. Era tutto nuovo. E così anche quella voglia di attaccare. Dopo aver visionato il percorso, il background da stradista, mi ha consigliato di stare davanti. E per stare avanti devi “menare”. Anche alla partenza è stato particolare. Non avevamo i bus, eravamo tutti mischiati. Non si sapeva se scaldarci o no… Per non parlare dell’arrivo: pazzesco! Tutta quella gente, un grande seguito… E a Cittadella c’era il delirio. Ci sarà un bel futuro, è stata una figata! Molto bello anche l’ambiente della nazionale con questo mix di giovani, biker, stradisti…

Tu avevi fatto anche delle esperienze in America…

Sì e infatti è stato ben diverso da un gravel tipo Unbound da 400 chilometri. Quella è più un’avventura che una gara. Alla fine è gravel, ma oggi chi può dire cos’è il gravel?

Che tipo di sforzo è stato?

Direi molto somigliante ad una Strade Bianche o a una Roubaix. Non avevo il power meter, ma parlando con Vermeesch e facendo un piccolo confronto con i suoi dati adattati al mio peso, dovrei essere stato sui 330-340 watt di potenza media (non normalizzata). Quindi li paragono a percorsi “facili” dal punto di vista altimetrico, ma più difficili tecnicamente: una curva su un prato, sul ghiaino, sui sassi. E poi cambia la pedalata in gruppo.

Cioè?

Devi spingere sempre, se c’è vento non stai a ruota facilmente, non crei i ventagli… Anche una rampa in più non sarebbe servita a molto vista la selezione che c’è stata. Noi siamo andati via tra due o tre ponticelli, un paio di cambi di direzione e siamo riusciti a scappare. Poi mettiamoci anche che correndo per nazionali e non per squadre questa dinamica diventava più appetibile.

Certo, organizzare un gioco di squadra era più complicato… E da lì all’arrivo?

Alla fine prendere il via ad una corsa WorldTour o della Coppa di Francia non è meno faticoso, anzi… Fare 330 watt per cinque ore a 37 e passa di media in due su quel fondo vi assicuro che non è stato un gioco.

Che rapporti avevi?

Avevo il 53-39, un filo più corto di quanto ormai siamo abituati su strada. Il 54 è la normalità, ma al Saudi Tour viste le velocità ho montato il 56 e in qualche altra occasione il 55. Al mondiale gravel avevo la classica guarnitura 53-39 e 11-28 al posteriore. E andavano bene. Le rampe iniziali erano dure. Lì ho usato il 39×25, se fosse stato su asfalto avrei usato un 39×19. Ma tornando al discorso dello sforzo, bisogna valutare anche le ruote.

Spiegaci meglio…

Avevo le Roval Rapid alte, ma non c’erano coperture tubeless da 28 millimetri, bensì da 32 millimetri che non sono così leggere, devi spingere per fare velocità. Noi andavamo a 45 all’ora, ogni tano dopo qualche rilancio si toccavano i 50. A quelle velocità con un 53×11 sei sulle 100 rpm e non ti imballi, ma devi spingere appunto.

Stare a ruota è importante come su strada?

Se sei secondo, massimo il terzo, sì, altrimenti diventa un bel problema. Ad uscita di curva già se sei il decimo della fila ti ritrovi con 10” perché c’è chi frena di più, chi sbaglia traiettoria… Anche i tempi di visualizzazione della curva sono diversi. Non è facile a spiegare. Su strada ti metti a ruota, più vicino possibile e vai. Sullo sdrucciolevole non puoi farlo. Per noi stradisti sono dinamiche tutte nuove. E quindi anche se non ci sono salite bastano poche curve che si creano dei gruppetti. Poi magari rientri, ma spendi tanto.

Hai utilizzato una Specialized Roubaix, bici da strada che meglio digerisce i terreni più accidentati, hai tuttavia toccato qualcosa per quanto riguarda le misure?

No, erano esattamente quelle che avevo su strada. L’unica differenza, come detto, erano le gomme. Ho utilizzato un tubeless Pathfinder da 32 millimetri con il “salsicciotto”, gonfiate a 4,2 bar all’anteriore e 4,4 al posteriore.

Parecchio!

Sì, ho pompato bene perché comunque bisognava far scorrere la bici. Preferivo perdere qualcosina nelle curve sdrucciolevoli, ma avere una bici più scorrevole nei lunghi rettilinei.

Oss ci prova, Vermeersch è il primo campione del mondo gravel

09.10.2022
5 min
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Il gravel ha un re e si chiama Gianni Vermeersch. Daniel Oss ha conquistato un argento che non ha il sapore della sconfitta. A pochi metri dall’arrivo ha chinato il capo e lo ha alzato con un sorriso autentico di chi sa di aver dato il massimo per 190 chilometri. «Ho dato il tutto – dice soddisfatto Oss – non ho nessun rammarico. E’ la prima medaglia internazionale a livello individuale e sono felice così».

Temperatura perfetta, merito di un autunno gentile, alleggerito anche da un vento fresco che ha accompagnato gli atleti senza penalizzarli da Vicenza a Cittadella. La fuga di Daniel e Gianni è partita dopo appena 40 chilometri e una volta attestatosi il vantaggio sui cinque minuti per il gruppo dietro si è pensato solo alla medaglia di bronzo. Mathieu Van Der Poel, ha provato ad organizzare l’inseguimento, ma la polvere dello sterrato veneto non ha permesso una rincorsa costante e si è dovuto accontentare del bronzo. Il merito è anche della nazionale italiana e di quella belga che hanno tenuto cucito il vantaggio agendo come pacer per il gruppo. 

La prima medaglia

Per Daniel Oss è arrivata la prima medaglia internazionale e anche se di colore argento ha un significato importante dopo stagioni di umile gragariato in TotalEnergies. Il secondo posto è giunto dopo una fuga di 150 chilometri che ha reso il mondiale un duello alla messicana, tra sguardi, sorsi dalla borraccia e cambi regolari tra l’azzurro e il belga.

«La giornata è stata bellissima – dice Oss – merito di questa manifestazione fantastica di un evento nuovo tutto da scoprire. Ero curioso, volevo esserci ed è andata anche bene con il risultato. L’Italia quando corre vuole competere al meglio e oggi lo abbiamo fatto. Il risultato è stato tutta una conseguenza dello svolgimento».

Daniel ha alzato bandiera bianca e visto sfumare il sogno iridato a cinque chilometri dalla fine. Una beffa che si è tradotta in 43 secondi subita in un mondiale giocato in casa. «Gianni ha solo accelerato nel punto più tecnico – racconta Daniel – l’ha interpretato al meglio. Io ero un po’ con i crampi ed ero affaticato. E’ un format che mi piace che approvo per il futuro. Spero sia d’esempio per le future edizioni con più campioni. Se questa è una prova, è andata benissimo e farà da apripista per tutte le altre».

Un sogno che si realizza

Vermeersch, un talento belga in grado di tirare fuori il meglio di sé su un percorso molto tecnico. In questo mondiale gravel l’approccio ai settori e uno sforzo sempre al limite lo hanno incoronato il migliore di tutti in questa disciplina. Il feeling con la sua Canyon Ultimate Cfr e lo stile si sono visti anche sul percorso perlopiù pianeggiante ma ostico come quello di oggi.

«Mi sento al settimo cielo – dice Vermeersch – è incredibile per me. Era un sogno per me diventare campione del mondo. Ci sono riuscito nella prima edizione dedicata al gravel e ha un sapore davvero speciale».

L’attacco che è valso la vittoria al ventinovenne della Alpecin è arrivato proprio nel finale quando l’arrivo a due sembrava cosa fatta. Tecnica, lucidità e coraggio sono gli aspetti che gli hanno consegnato la maglia arcobaleno sulle proprie spalle. 

«Sapevo che – racconta Gianni – il single track nel circuito finale si adattava alle mie caratteristiche. L’ho fatto a tutta fino alla fine del settore e sono riuscito a prendere un gap di 50 metri su Daniel e ho pensato solo a dare tutto quello che avevo fino alla fine».

Pontoni è soddisfatto della prova degli azzurri che hanno conquistato due medaglie in due giorni tra donne e uomini
Pontoni è soddisfatto degli azzurri che hanno conquistato due medaglie tra donne e uomini

Pontoni orgoglioso

Ieri un bronzo oggi l’argento. L’oro è mancato ma sui volti dello staff e degli atleti si nota un sorriso condiviso da tutti. Sintomo anche che l’onore ai vincitori è stato dato in virtù del fatto che Chiara Teocchi ieri e Daniel Oss oggi hanno dato il massimo.

«Abbiamo interpretato la gara – dice Pontoni – nel modo migliore in cui potevamo interpretarla. I ragazzi sono stati fantastici. E’ un argento pesante e importante anche in visione futura. Oggi ne abbiamo messi tre nei dieci (7° De Marchi, 9° Ballerini, ndr) . Se uniamo le due gare elite di donne e uomini credo che abbiamo fatto un risultato importante».

«L’attacco di Oss – spiega – era una delle nostre varianti previste durante la giornata di gare. Quindi il momento è stato giusto, abbiamo corso in maniera perfetta sin dall’inizio. Gli azzurri hanno corso sempre davanti, nelle posizioni dov’era importante esserci. La squadra è stata encomiabile

«E’ mancato l’oro – conclude Pontoni – ma credo che dobbiamo essere soddisfatti, sono strafelice. Credo che unito al bronzo di ieri abbiamo fatto un mondiale fantastico, approcciando una disciplina che ancora conosciamo poco. Come tecnico sono contento per le scelte che ho fatto. Ringrazio il mio staff perché abbiamo uno staff competente, importante che fa sentire i ragazzi a suo agio».

Il viaggio di Oss e Sagan: gravel negli States, vittoria in Svizzera

15.06.2022
5 min
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Dalla polvere all’asfalto. Da momenti difficili, alla gioia della vittoria. Ancora una volta Daniel Oss e Peter Sagan sono andati a segno. Ieri lo slovacco ha vinto al Giro di Svizzera, lasciandosi alle spalle uno dei momenti più duri della sua carriera.

Lui e Oss, ormai amici inseparabili, erano stati negli Stati Uniti per allenarsi. Ma prima di rientrare in Europa hanno preso parte al Unbound Gravel, evento importantissimo Oltreoceano. 

I due portacolori della TotalEnergies hanno pedalato su una Specialized Crux
I due portacolori della TotalEnergies hanno pedalato su una Specialized Crux

Oss: parola mantenuta

Quello delle “altre attività” era un discorso che Oss e Sagan avevano messo sul piatto nel momento in cui erano approdati alla TotalEnergies. «Vogliamo divertirci e provare nuove esperienze», ci aveva detto Oss lo scorso autunno. Sono stati di parola.

«Eh sì – racconta Daniel – siamo riusciti a farlo. L’Unbound Gravel ha coinciso con il ritiro in altura nello Utah. Poi era nell’aria. La data coincideva con il termine del training camp, Specialized ha preso l’iniziativa e quindi abbiamo detto: andiamo! Ed è stato figo.

«La nostra idea era di “non fare la gara”. Nel senso che non partecipavamo per vincere, ma per stare con la gente. Per divertirci e anche per capire come funzionasse davvero, anche in ottica futura. Io per esempio sto vedendo la Transicnusa, in Sardegna. Dei ragazzi mi hanno contattato ed è interessante. Sui social ho seguito la Bam! che c’è stata a Mantova…».

Oss e Sagan impegnati all’Unbound Gravel. Nel finale la pioggia ha trasformato la polvere in fango (foto Instagram)
Oss e Sagan impegnati all’Unbound Gravel. Nel finale la pioggia ha trasformato la polvere in fango (foto Instagram)

A studiare…

Ad Emporia, sede dell’evento nel Kansas, questo grande circus ha visto la presenza di migliaia di appassionati provenienti da tutto il mondo. Oss ci ha detto che al momento è l’evento ciclistico più grande degli States.

«C’erano cinque percorsi – riprende Oss – da 25, 50, 100, 200 miglia e quello XL da 350 miglia, che si faceva in un paio di giorni. Noi abbiamo preso parte a quello da 100 miglia, che sono circa 160 chilometri. 

«Il loro spirito è totalmente diverso. C’è il concetto di challenge, di sfida con se stessi. Di avventura in questo territorio così vasto. Per esempio il percorso non era molto frecciato. Bisognava arrangiarsi con il Gps e con la mappa. Al centro non c’era la prestazione. 

«La gente che vi prende parte non si allena tutti i giorni. Anche quando siamo partiti, l’andatura non è stata forte. Non cera cattiveria in gruppo».

«Io e Peter non sapendo come funzionasse, all’inizio siamo partiti davanti. Anche per una questione di sicurezza. Ma non si andava a 50 all’ora. Si andava sui 30-35. Poi dopo il primo “zampellotto”, poco più di un cavalcavia, siamo rimasti in 20 o poco più.

«Nei punti dove c’era l’acqua o l’assistenza ci siamo fermati. Abbiamo fatto selfie con la gente. Abbiamo parlato con loro. Peter ha anche avuto un problemino col manubrio e lo ha sistemato. Abbiamo preso il caffè e fatto rifornimento. Insomma è stato figo. Se dovessi rifarlo da ciclista semplice con gli amici, mi organizzerei con lo zaino. Uno porta il cibo, l’altro le camere d’aria e gli attrezzi, un altro ancora l’acqua…

«E comunque alla fine è stato un buon allenamento. Venivamo, come detto, dall’altura ed è stato un buon intermezzo».

Quasi quattro settimane di altura per Oss e Sagan a Park City, località sulle Rocky Mountains statunitensi (foto Instagram)
Quasi quattro settimane di altura per Oss e Sagan a Park City, località sulle Rocky Mountains statunitensi (foto Instagram)

Dalla polvere all’asfalto

Oss era dunque con Sagan in ritiro in altura. Erano ai 2.200 metri di Park City, nota località della Coppa del mondo di sci alpino. E ci sono stati per un bel po’.

«Quasi quattro settimane – spiega Oss – Dormivamo a 2.200 metri e ci allenavamo tra i 1.800 e i 3.000 metri. In pratica con una salita arrivavi su Plutone! E si sentiva tutta la quota… E’ servito un bell’adattamento.

«Poi Peter che è un fenomeno l’ha assorbita subito, io ci sto mettendo un po’ di più, ma sento di essere sulla buona strada. Manca un po’ il ritmo corsa. Passare dalla Mtb (in ritiro hanno usato anche la ruote grasse, ndr) alle gare non è facilissimo per me. Peter ci è più abituato».

Ieri a Grenchen, Sagan ha ottenuto la prima vittoria con la TotalEnergies. Felicità per tutto il clan francese
Ieri a Grenchen, Sagan ha ottenuto la prima vittoria con la TotalEnergies. Felicità per tutto il clan francese

Vittoria importante

E la vittoria di ieri a Grenchen è stata più importante di quel che si possa pensare. Oss racconta i momenti difficili del campione slovacco.

«Sono, anzi siamo, veramente contenti del successo di ieri – spiega Oss – Peter si è impegnato tanto per riprendersi. Ha lavorato un sacco. Ha sofferto tanto per il Covid, è stato fortemente messo in discussione e non è stato facile mettere tutto da parte. Per questo è stata una vittoria importante.

«Ieri ho visto tutti volti felici al ritorno sul bus. C’era Paul Ourselin che ha tirato tutto il giorno che aveva un sorriso da orecchio ad orecchio. E anche io sono rimasto molto soddisfatto del lavoro fatto da tutto il team».

«Una liberazione dalle pressioni? Mah, la squadra non ci ha messo poi tanta pressione. Era più per Peter proprio, per il suo morale. Si è ritrovato dall’andare forte al pedalare col dolore ai polmoni.

«E poi quando vince il capitano, va sempre bene. Va bene per tutta la squadra.

«Adesso guardiamo al Tour de France con tranquillità. Possiamo fare bene. Non abbiamo visto nessuna tappa, neanche quella del pavé, perché con Peter non si guarda mai prima. Si va e si scopre il percorso giorno per giorno!».