Un finale di stagione corso sempre all’attacco, con la voglia di trovare la prima vittoria tra i professionisti. Lorenzo Milesi ha cambiato marcia ed è consapevole di essere arrivato a un punto della sua carriera dove è importante anche dimostrare con i risultati. Il successo è sfumato per poco. Dalla seconda metà di stagione, iniziata con il Tour de Wallonie, sono arrivate sette top 10, di cui una è il secondo posto nel Mixed Team Relay agli europei.
«Siamo stati tre giorni in Svezia – ci racconta da casa Lorenzo Milesi – per staccare, siamo stati a Malmoe e poi siamo saliti verso nord. Il tempo è ancora bello lì e ce lo siamo goduto. Nicolas (Milesi, ndr) e Alessandro (Romele, ndr) avevano deciso di andare già da tempo, io ero in dubbio perché forse sarei andato a correre alla Crono delle Nazioni. Alla fine la squadra ha rinunciato e ho terminato la stagione al Lombardia, e direi che va bene così visto che ho fatto ottantuno giorni di corsa».
Da destra: Lorenzo Milesi, Alessandro Romele, Nicolas Milesi, durante la breve vacanza in SveziaDa destra: Lorenzo Milesi, Alessandro Romele, Nicolas Milesi, durante la breve vacanza in Svezia
Mira aggiustata
Lorenzo Milesi, al suo terzo anno nel WorldTour di cui corsi con la Movistar, ha trovato continuità nella seconda parte di stagione.
«Fino al campionato italiano – spiega Milesi – la stagione era rivedibile. Il problema principale è stata la troppa palestra fatta lo scorso inverno, ho preso troppo peso a livello muscolare e ho iniziato la stagione con qualche chilo di troppo. Erano tutti muscoli, ma il rapporto peso/potenza non mi permetteva di essere efficace. Così ho accantonato i pesi e mi sono concentrato sulla bicicletta, soltanto che correndo spesso era difficile concentrarsi sul fare un allenamento che mi permettesse di perdere peso. Il cambio di passo si è visto a luglio, quando ho avuto modo di fermarmi e andare in altura ad allenarmi».
Nella seconda metà di stagione Lorenzo Milesi ha corso spesso all’attacco mettendo insieme quasi 500 chilometri di fugaNella seconda metà di stagione Lorenzo Milesi ha corso spesso all’attacco mettendo insieme quasi 500 chilometri di fuga
Hai tracciato una riga e sei ripartito?
Esattamente, mi sono allenato per tre settimane a Livigno. In quei giorni ho spinto molto, infatti quando sono ritornato in corsa al Tour de Wallonie stavo molto bene.
Come ti sei allenato?
Di solito in altura si fanno tante ore e pochi lavori intensi. Io invece mi sono concentrati su sforzi brevi e intensi mettendo da parte il discorso dei chilometri. Ho curato tanto la parte di imbocco delle salite, arrivavo spingendo wattaggi alti per abituarmi allo sforzo in gara e poi iniziavo i lavori. A livello del mare sono faticosi ma gestibili, fatti a 1.500 o 2.000 metri d’altitudine è un’altra cosa.
Alla seconda tappa del Tour de Wallonie Lorenzo Milesi viene battuto allo sprint da Oliver KnightAlla seconda tappa del Tour de Wallonie Lorenzo Milesi viene battuto allo sprint da Oliver Knight
Fatto sta che hai trovato il modo di tornare in gara al tuo meglio…
Sì e anche la squadra era soddisfatta. L’obiettivo a inizio stagione era di arrivare nella seconda parte e provare a raccogliere dei risultati. Essere partito bene con il Wallonie mi ha permesso di trovare fiducia, sia a me che alla squadra. Quest’anno ho anche cambiato preparatore, ora lavoro con Leonardo Piepoli. Mi trovo bene con lui e sono sicuro di poter migliorare ancora.
A livello personale che consapevolezze hai trovato?
Ho capito che fare risultato è dura, ma sono convinto che nel 2026 riuscirò a fare un passo ulteriore, iniziare a lavorare bene dall’inverno mi darà una mano.
Lorenzo Milesi ha detto di aver fatto dei passi in avanti a cronometro grazie anche al nuovo casco di Abus: il TimeShifterLorenzo Milesi ha detto di aver fatto dei passi in avanti a cronometro grazie anche al nuovo casco di Abus: il TimeShifter
Sei andato forte al Nord, hai ancora in testa le Classiche?
E’ un argomento di cui dovrò parlare con la squadra. Siamo convinti che il mio profilo sia adatto a questo genere di corse. Solo che faccio fatica mentalmente perché prendo i muri che sono a centro gruppo. E se lo fai una volta rientri e stai in corsa, ma alla terza volta paghi lo sforzo e ti stacchi. Devo capire se insistere ancora un anno o cambiare obiettivi. Mercoledì ho il volo per Pamplona per un primo ritiro con il team per parlare di obiettivi e calendari, ne parleremo.
Tu su due piedi cosa diresti?
Che sarei felice anche di mettermi alla prova in gare come la Liegi o l’Amstel, magari sono gare che si addicono di più al mio modo di correre. E’ anche vero che quest’anno ho attaccato il numero sulla schiena il 25 gennaio in Spagna e sono arrivato alle classiche di primavera con più di venti giorni di gara. Il problema è che se corri troppo, soprattutto nelle gare di un giorno, poi fai fatica ad allenarti. Per arrivare più competitivo alle corse del Nord dovrei fare un calendario diverso.
Milesi, qui a destra in azione durante il Mixed Team Relay, è tornato a vestire la maglia della nazionale a cronometro dopo due anniMilesi, qui a destra in azione durante il Mixed Team Relay, è tornato a vestire la maglia della nazionale a cronometro dopo due anni
Per quanto riguarda la cronometro?
E’ sempre un punto fondamentale per me, sul quale mi concentro. Faccio fatica a fare il doppio allenamento, quindi uscire con la bici da strada e poi prendere quella da cronometro, o viceversa. Preferisco allenarmi con una sola bici per tutta la giornata. Comunque la sto curando, anche perché se voglio essere competitivo nelle corse a tappe di una settimana è un aspetto sul quale lavorare. Quest’anno Abus ci ha dato un nuovo casco da cronometro e devo dire che i miglioramenti sono evidenti.
Anche per tornare a vestire la maglia azzurra come fatto quest’anno agli europei?
Sì, ma in questi casi il merito di partecipare a certi eventi passa dall’ottenere dei risultati durante la stagione. Per ambire alla maglia della nazionale devi dimostrare di andare forte durante tutto l’anno e puntare a rimanere sempre tra i primi cinque in tutte le prove contro il tempo.
All'indomani della vittoria di Lopez alla Vuelta, con Unzue entriamo nelle dinamiche della Movistar. I tre leader. I giovani. Gli italiani. Che aria tira?
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Nella costante e incessante lotta per la ricerca della velocità nelle discipline come il triathlon e le prove contro il tempo Vision ha sempre studiato e sviluppato prodotti che potessero rivoluzionare questi concetti. I confini sono stati più volte spostati, superati e ridisegnati a seconda delle sfide e dell’innovazione aerodinamica. Da questo punto di vista il lancio del nuovo manubrio Metron TFA EVO Aerobar segna un’evoluzione ancora più audace in quello che è il design del manubrio.
La novità è quella dell’architettura mono-riser, la quale va a sostituire il tradizionale sistema dual-stack. Non stiamo parlando di un cambiamento votato esclusivamente all’estetica, ma anche alla ricerca della miglior prestazione possibile.
Il nuovo Vision Metron TFA EVO ha un’architettura mono-riser (foto Kevin MacKinnon)Questa permette di aver un miglior flusso aerodinamico e una regolazione al millimetro in base alle esigenze dell’atleta (foto Kevin MacKinnon)Il nuovo Vision Metron TFA EVO ha un’architettura mono-riser (foto Kevin MacKinnon)Questa permette di aver un miglior flusso aerodinamico e una regolazione al millimetro in base alle esigenze dell’atleta (foto Kevin MacKinnon)
La “prova” del vento
Il concetto portato da Visione del design mono-riser è emerso grazie a uno spettro di simulazioni e di test che sono stati fatti in galleria del vento. Consolidando la struttura del riser in un montante centrale viene ridotta in maniera significativa la superficie frontale e la turbolenza intorno alla zona del cockpit. Il guadagno, in termini di aerodinamica ma anche di tempo e velocità, è ampio e va a determinare in positivo le prestazioni dell’atleta nelle prove dove il cronometro la fa da padrone.
Inoltre ne risulta anche un vantaggio per quanto riguarda il peso, visto che si utilizza meno materiale, tuttavia questo non comporta nessuno svantaggio in rigidità e regolabilità.
Il nuovo Vision Metron TFA EVO Aerobar utilizzato da Jonas Vingegaard, atleta del team Visma Lease a Bike (foto SprintCycling)Il nuovo Vision Metron TFA EVO Aerobar utilizzato da Jonas Vingegaard, atleta del team Visma Lease a Bike (foto SprintCycling)
Testato
Vision è consapevole, dall’alto della sua esperienza, che oltre ai vantaggi numeri e tecnici devono esserci anche dei vantaggi pratici. Quest’ultimo aspetto è influenzato dal feedback che meccanici e atleti possono fornire.
Con il nuovo Metron TFA EVO le regolazioni e i microaggiustamenti per l’altezza dello stack sono ancora più precisi. Si ha anche un vantaggio nella regolazione dell’angolazione per quanto riguarda le estensioni. Il fatto di passare a un manubrio mono-riser riduce in maniera sensibile il numero di viti necessario all’assemblaggio, in questo modo si avranno tempi più corti e minore complessità nel montaggio.
Il Metron Vision TFA EVO è disponibile in 4 lunghezze che vanno da 280 a 340 mmE’ possibile acquistare la sola basebar al prezzo di 725 euroAlla base è possibile aggiungere le appendici da cronometro a 679 euroOppure l’estensione base al prezzo di 219 euroIl Metron Vision TFA EVO è disponibile in 4 lunghezze che vanno da 280 a 340 mmE’ possibile acquistare la sola basebar al prezzo di 725 euroAlla base è possibile aggiungere le appendici da cronometro a 679 euroOppure l’estensione base al prezzo di 219 euro
Regolazione
Le taglie a disposizione sono quattro, il che offre un’ampia gamma di regolazioni per il posizionamento in sella, sia longitudinalmente che in ampiezza. Un dettaglio che consente agli atleti di trovare la giusta posizione senza dover sacrificare la performance sportiva.
Le estensioni TFE EVO sono state progettate con l’obiettivo di essere compatibili al 100 per cento con la maggior parte delle bici da triathlon e da cronometro sul mercato senza alcun compromesso in termini di prestazioni o design aerodinamico. E’ il costante impegno nella ricerca e nello sviluppo che rende Vision un marchio tecnico capace di lavorare a stretto contatto con diverse realtà professionistiche e non solo.
Opzioni di acquisto: TFE EVO Aerobar completo: 944 euro, TFA EVO Basebar: 725 euro.
Le cronometro possono diventare una prigione? Le parole di Michael Rogers e poi quelle di Pinotti hanno aperto uno squarcio interessante. Grandi campioni a lungo dominatori, costretti ad aumentare un lavoro già asfissiante per l’arrivo di nuovi avversari. Abbiamo pensato a Ganna, costretto da Evenepoel a cercare forza e ispirazione nei dettagli più estremi. Ma abbiamo pensato anche a Cancellara, protagonista 10 anni fa di un finale che pochi sarebbero stati in grado di pronosticare.
Due volte iridato a crono da junior. Poi un filotto impressionante dal 2006 al 2010. Salisburgo 2006, campione del mondo. Stoccarda 2007, campione del mondo. Pechino 2008, campione olimpico. Mendrisio 2009, campione del mondo. Melbourne 2010, campione del mondo. Poi iniziò l’inversione di tendenza. Bronzo nel 2011 e nel 2013, in entrambi i casi dietro Tony Martin e Bradley Wiggins. Nel mezzo, nel 2012, il deludente settimo posto alle Olimpiadi di Londra, staccato di 2’14” dallo stesso britannico, vincitore in quell’anno del Tour.
E quando si pensava ormai alla fine della storia, ecco il colpo di scena con l’oro nella crono alle Olimpiadi di Rio 2016: ultima gara della carriera. Un ritorno su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo. Nessuno, tranne Luca Guercilena, che aveva già allenato Michael Rogers e in quel fantastico viaggio del 2016 accompagnò Cancellara giorno dopo giorno.
Guercilena incontrò per la prima volta Cancellara nella Mapei Giovani e lo ha poi ritrovato nel 2011 a partire dalla Leopard-TrekGuercilena incontrò per la prima volta Cancellara nella Mapei Giovani e lo ha poi ritrovato nel 2011 a partire dalla Leopard-Trek
Si può dire davvero che dopo un po’ la crono ti svuota?
La differenza sostanziale è tra preparare la cronometro all’interno di una gara a tappe, rispetto a quelle di un solo giorno come il mondiale, in cui il volume di lavoro specifico che devi fare è altissimo e devi prepararle facendo salire la condizione al massimo. A un certo punto con Fabian saltammo dei mondiali perché si era deciso di non investire più nel preparare la gara di un giorno.
Quanto c’era di fatica fisica e quanto di fatica mentale?
L’intensità psicologica è altissima. Il volume di lavoro specifico che fai ogni giorno dietro motore è di alta intensità, quindi è veramente pesante. Quando preparavamo i vari appuntamenti con Rogers e anche con Cancellara, per 3-4 volte a settimana si facevano sedute dietro motore di tre ore con media/alta intensità. Con ripetute fuori scia, brevi e prolungate. Un lavoro veramente esaustivo, in cui devi essere sempre molto concentrato, perché lavori su blocchi di 30 secondi/un minuto e questo richiede un livello di attenzione elevatissimo. Lo stress psicologico aumenta al pari di quello fisico, perché devi sostenere tutto quel carico.
Come nacque l’idea di tornare alle Olimpiadi, visto tutto questo?
Tutti avevano dipinto la cronometro di Rio come durissima. Io ero andato a vederla l’anno prima con il test-event e sinceramente, nonostante ci fossero due strappi importanti, sul volume totale della cronometro che era lunga 54,6 chilometri, non raggiungevi neanche i 4 chilometri di salita. Quindi sebbene Fabian in quel momento pagasse dazio ai vari Dumoulin e Froome, dichiarammo un doppio obiettivo.
Il Tour non aveva dato grandi risposte, tutt’altro. Nella crono del 13° giorno, vinta da Dumoulin su Froome, Cancellara arrivò 23° a 3’15”Il Tour non aveva dato grandi risposte, tutt’altro. Nella crono del 13° giorno, vinta da Dumoulin su Froome, Cancellara arrivò 23° a 3’15”
Doppio?
Obiettivi paralleli. Il primo era il suo desiderio di finire la carriera con un bel risultato alle Olimpiadi, per non dover tenere duro per tutta la stagione. Dall’altro lato, ero io che insistevo, perché sebbene tutti dicessero che fosse durissima, secondo me c’era un volume di chilometri di discesa tecnica e di pianura che lo avrebbero favorito. Così ci dicemmo di andare e puntare al miglior risultato possibile. All’inizio pensavamo a una medaglia, poi col passare del tempo e degli allenamenti, i dati iniziarono a dirci che si potesse puntare al grande risultato.
Quanto è durata la preparazione per Rio?
Eravamo già stati in ritiro fra il Giro di Svizzera e il campionato nazionale. Ero andato da lui e avevamo fatto quasi 20 giorni sempre insieme. Poi andammo al Tour de France, ma non c’era una cronometro all’inizio, quindi preparare la prova secca era piuttosto complicato. Arrivammo alla vigilia del secondo giorno di riposo e ci fermammo. Quindi tornai da lui e iniziammo a lavorare per le Olimpiadi, diciamo dal 22-23 luglio per altri 10-15 giorni di lavoro specifico. Neanche più una distanza su strada, tutti i giorni dietro motore per 3-4 ore alla volta.
Più difficile del solito?
Gli ultimi lavori prima di partire per Rio furono veramente impegnativi. Allenamenti di 50 chilometri facendo un chilometro in scia della moto a 60 all’ora e poi 500 metri fuori scia. E’ pesantissimo per la testa eppure Fabian l’ha fatto e anche con la pioggia. Simulavamo anche le salite del percorso. Nel circuito che usavamo, c’era una strada in salita con il birillo in cima, lui arrivava su, ci girava intorno e poi io con la moto lo riportavo subito in velocità. Devi avere veramente gli attributi per fare una roba del genere, tanti altri avrebbero girato e sarebbero tornati a casa.
Fra il 2006 e il 2014, Cancellara vinse anche 3 Fiandre e 3 Roubaix: questa l’ultima nel 2013Fra il 2006 e il 2014, Cancellara vinse anche 3 Fiandre e 3 Roubaix: questa l’ultima nel 2013
Quindi subito con la motivazione al massimo?
All’inizio era dubbioso, perché Dumoulin e gli altri gli avevano dato delle belle batoste, per cui il morale non era dei migliori. Sapevamo che con il suo peso, nelle crono di un Grande Giro faceva fatica ad esprimersi. Ma tornato a casa e recuperato lo sforzo del Tour, con il lavoro specifico iniziammo a vedere i numeri salire in modo lineare e cominciò ad arrivare anche il morale. E’ stato anche un lavoro di convincimento, ripetendo che il percorso gli sarebbe piaciuto, ma gli ultimi dubbi se ne sono andati quando finalmente il percorso l’ha visto. Ha fatto un paio di giri un po’ brillanti e ha cambiato sguardo: una medaglia era possibile. E dopo, con gli ultimi allenamenti e vedendo anche le facce degli altri, abbiamo capito che si poteva giocare per l’obiettivo grosso.
Aver preso legnate da Dumoulin o Froome poteva incidere così tanto sulla preparazione?
In quel ciclismo si guardavano già tanto i numeri, più che altro la critical power. Però c’era ancora uno scontro abbastanza forte dell’uomo contro l’uomo. Contava anche il discorso di sfidare l’altro. Mi ricordo che il giorno prima stavamo facendo la sgambata dietro moto e Dumoulin, che probabilmente stava facendo una ripetuta per sbloccarsi, ci passò a doppia velocità e subito la reazione di Fabian fu quella di andargli a ruota. Forse adesso, con la miriade di numeri che riusciamo ad analizzare nel dettaglio, il discorso è più su se stessi e basta.
C’è meno agonismo?
Ci sono altri riferimenti. Un atleta può avere la giornata no, ma quando parte per una cronometro ha tutta una serie di informazioni su se stesso, sul tempo, la temperatura, il pacing e quant’altro, che se è in grado di seguire le indicazioni, al 99 per cento fa la massima prestazione possibile. Poi diventa importante la tecnica, perché se ci sono due o tre curve che ti mettono in difficoltà, vince quello più bravo a guidare la bici. Però se sei su un percorso dritto e piatto, si fa fatica a pensare che vinca uno non pronosticato.
A Rio cambiò tutto e dopo quei 54,6 chilometri (e con una posizione oggi improponibile) arrivò l’oro con 47″ su Dumoulin, 1’02” su Froome.A Rio cambiò tutto e dopo quei 54,6 chilometri (e con una posizione oggi improponibile) arrivò l’oro con 47″ su Dumoulin, 1’02” su Froome.
Come dire che battere Evenepoel nelle condizioni a lui favorevoli sia impossibile?
Esatto. Forse prima c’era un discreto livellamento. C’è stato Michael Rogers, poi Fabian, però c’erano anche Dumoulin, Wiggins, Tony Martin, Phinney… C’erano parecchi cronomen competitivi, poi gradualmente si è arrivati allo strapotere assoluto dei singoli. Per cui quando si va in partenza, è difficilissimo che ci siano sorprese, chiaramente in base al percorso.
Tutto il lavoro che ha fatto per la crono, ha inciso sulla carriera di stradista di Fabian?
Sì, per com’era lui, senza dubbio. Per vincere le Roubaix o le classiche del pavé, escludiamo Pogacar che ovviamente è un caso sui generis, è importante essere in grado di fare sforzi intensi e costanti per quasi un’ora. Poi ci sono le varie declinazioni. Boonen era più forte nelle volate, quindi molto esplosivo, ma per brevi tratti riusciva a tenere determinate intensità. Per cui Fabian doveva trovare l’occasione per attaccare e prendergli 10-15 secondi costringendolo a uno sforzo superiore per andarlo a prendere. Indubbiamente avere delle caratteristiche di quel tipo, è stato un vantaggio.
Perdona la domanda scomoda, perché riferita a un atleta non tuo. Visto lo strapotere di Evenepoel, di cui hai parlato, consiglieresti a Ganna di mollare per un po’ le crono per dedicarsi alle classiche?
Bè, considerando tutto quello che ha vinto Ganna a cronometro, potrebbe valerne la pena e forse poteva valerla anche prima. Dobbiamo tutti eterna gratitudine a Pippo per il lustro che ci ha dato, però è ovvio che per il ciclismo in senso assoluto, il Sagan che vince Fiandre e Roubaix ha un impatto maggiore delle tante crono che puoi aver vinto in carriera. Visto quanto Ganna è già andato vicino alla Sanremo, secondo me potrebbe rischiare e lavorare per migliorare nelle classiche o provare a farle un paio d’anni a tutta e basta.
La chiamata al podio ed esplode la gioia dopo quattro mesi di lavoro tiratissimo: secondo oro dopo 8 anniLa chiamata al podio ed esplode la gioia dopo quattro mesi di lavoro tiratissimo: secondo oro dopo 8 anni
E poi magari tornare a Los Angeles e vincere la crono come Cancellara a Rio?
Sì, senza dubbio. Comunque un cronoman di quel livello non perde le sue caratteristiche. Nel momento in cui ti rifocalizzi a fare un determinato tipo di lavoro, la memoria muscolare ce l’hai e quindi una volta che ci sono la condizione e la salute, riesci lo stesso a fare performance.
Quando capiste che era fatta?
Eravamo tutti sorpresi. Quando passò all’ultimo intertempo, che era a sette chilometri dall’arrivo, aveva 48 secondi di vantaggio e in quel momento capimmo che il bel risultato si stava concretizzando in una medaglia d’oro. Non era il favorito, nessuno lo dava neppure nei primi cinque. Non arrivava da una stagione brillantissima. Ma dimostrò una grande forza psicologica. E chiuse la carriera a Rio con l’oro al collo.
Malori è uno dei più attenti osservatori. E così ci ha chiamato per commentare tre punti. Le leve dei freni ruotate. Evenepoel a crono. Ganna in salita
Partendo dalla Jumbo, da Cattaneo e da Malori, un incontro con Rossato per parlare della cronometro, terreno troppo trascurato. E i risultati poi si vedono
La stagione volge al termine e si iniziano a tracciare i primi bilanci. E nel “pianeta cronometro” il dominatore, senza se e senza ma, è stato Remco Evenepoel. Il belga ha conquistato il suo terzo mondiale consecutivo contro il tempo, esattamente come Michael Rogers, primo cronoman a conquistare tre titoli iridati di specialità consecutivi.
Al risuonare di questo nome, ci è venuta in mente una frase che ci disse nel 2022, commentando la delusione di Ganna dopo i mondiali di Wollongong del 2022, che chiuse al secondo posto dopo le due vittorie del 2020 e 2021. E lui: «E’ proprio la testa il problema. Per preparare un grande evento come una crono ci vuole tanta energia mentale, anche e soprattutto nella fase di allenamento, perché è molto specifico. Non è facile. L’abbiamo visto. Io sono stato il primo, poi è arrivato Fabian Cancellara e poi Tony Martin. Eravamo tutti intorno a quel podio e io ho fatto fatica al quarto mondiale. «Non avevo più la concentrazione o la grinta per spingermi così tanto nella fase di allenamento, come quando lottavo per vincere. Preparando il quarto, mi accorsi subito che non avevo la fame per fare fatica. Quasi vomitavo dopo ogni ripetuta».
Pinotti in carriera è andato a migliorare, ma forse è stato una particolarità. E comunque aveva stimoli per raggiungere i migliori. Non aveva vinto tre titoli iridatiPinotti in carriera è andato a migliorare, ma forse è stato una particolarità. E comunque aveva stimoli per raggiungere i migliori. Non aveva vinto tre titoli iridati
Senza dover fare processi a nessuno, abbiamo ripreso questo discorso con Marco Pinotti. Stavolta il tecnico della Jayco-AlUla lo abbiamo sentito come ex cronoman per commentare questo concetto, in base alle sue esperienze. Davvero il tempo all’apice del cronoman è di 3-4 anni?
Insomma Marco, davvero la cronometro è una specialità così usurante?
Non si può dare una risposta univoca: dipende da come uno li distribuisce, questi anni, e da cosa fa nel mezzo. Secondo me non è detto che uno perda questa verve, anzi, magari può anche aumentare. Certo è che la cronometro impone una capacità di soffrire per un tempo continuo e prolungato che va anche allenata. E qui sta il bello.
Il bello per il cronoman…
Probabilmente quando un atleta fa fatica a soffrire a cronometro, fa fatica a soffrire anche nelle altre gare. Non è una cosa specifica del cronoman. Forse in una prova contro il tempo questi problemi si accentuano.
Da un paio di anni Ganna non riesce a battere Remco a crono. Sul podio dell’europeo la sua espressione non era certo feliceDa un paio di anni Ganna non riesce a battere Remco a crono. Sul podio dell’europeo la sua espressione non era certo felice
Perché?
Perché bisogna andare a toccare un livello di profondità, di sforzo e di sofferenza molto elevato. Uno sforzo che dopo un certo punto uno non ce la fa più. E’ quello che succede magari agli inseguitori che fanno i quattro chilometri da soli o a squadre. Sono discipline dure. Però, attenzione: non è solo questione della cronometro in quanto tale, perché se ci pensiamo bene magari il suo sforzo è paragonabile a quello di uno scalatore nella salita finale. Non è una cosa tanto differente come tipo di sforzo… almeno a livello fisico.
Però la gara è il termine di un percorso. Rogers parlava anche di allenamenti al limite del vomito. C’erano esercizi particolarmente stressanti che facevi?
Alcuni allenamenti specifici li facevo in pista, per una questione di sicurezza e di fattibilità in quanto a numeri e dati. Però ci sono allenamenti che venivano più facili in salita. Quando invece devi lavorare in pianura e raggiungere certi livelli, è vero che ci vogliono più convinzione e più grinta. Queste due capacità per me sono fondamentali.
Perché?
Perché se ti vengono a mancare, va bene un giorno o due, ma se è di più forse è il momento di cambiare mestiere o di prendersi una pausa.
Evenepoel nella crono, per lui terribile di Peyragudes al Tour 2025: vero che era in salita, ma quel giorno la testa fece la differenza in negativo per luiEvenepoel nella crono, per lui terribile di Peyragudes al Tour 2025: vero che era in salita, ma quel giorno la testa fece la differenza in negativo per lui
Quali sono i lavori del cronoman che più lo svuotano?
Quando devi lavorare a velocità di gara in pianura, o nei lavori intermittenti. Esercizi che non sono specifici per lo sforzo, ma per aumentare l’efficienza sulla bici da crono. Perché ci sono lavori intermittenti che fai anche su strada, però con la bici da cronometro sono ancora più duri.
Come mai sono più duri?
Perché sei sul mezzo che ti deve dare il risultato e soprattutto perché sei in posizione. Sei schiacciato. La bici da cronometro è la bici “scomoda” per eccellenza. Già questo ti porta via altre psicoenergie, mettiamola così. Se devo fare cinque ore in bici è una cosa, se ne faccio tre a cronometro ad una certa intensità è un’altra.
Quando capisci che la concentrazione non è al top?
In gara lo capisci subito. Lo capisci già la mattina prima di partire, secondo me. Magari quelli sono anche i momenti in cui uno cade, sono i momenti in cui non riesci più a stare rilassato e focalizzato nello stesso momento.
Per durare a lungo Pinotti parla di sana gestione: questa è a 360° e impone anche la voglia spasmodica di ricercare nuovi materiali e soluzioni tecnichePer durare a lungo Pinotti parla di sana gestione: questa è a 360° e impone anche la voglia spasmodica di ricercare nuovi materiali e soluzioni tecniche
Ti è mai capitato di avere un rifiuto della preparazione e di dire: «Basta, questo esercizio non lo voglio fare più»?
Sinceramente no. Può capitarti un periodo in cui fai più fatica ad allenarti, perché magari hai altre cose per la testa. A me è successo quando studiavo, per esempio. Ero ancora dilettante. Senti quella mancanza d’aria, ti senti assillato dagli impegni.
E come te la cavasti?
Mi sarei dovuto prendere una pausa. Adesso ho capito che era inutile provare a far tutto.
Uscendo dalla parte mentale, esiste invece un tempo fisiologico di massima espressione della performance per il cronoman?
Per me sì, ed è di 10 anni. Se ti gestisci bene, e intendo a 360 gradi, puoi essere al top per dieci anni.
L’attesa del duello tra Remco Evenepoel e Tadej Pogacar è stata per almeno tre anni il ritornello di ogni primavera, quando li si attendeva all’esame della Liegi. Poi per un motivo o per l’altro, solitamente per incidenti che hanno coinvolto uno dei due, il duello non c’è mai stato. Si è rinnovato al Tour 2024, sul terreno di Pogacar: il confronto non ha avuto storia, anche se il terzo posto di Remco faceva ben sperare. Nell’ultima Boucle invece, il belga è naufragato. Ed è per questo che la rivincita di ieri nella crono di Kigali, sul terreno di Evenepoel, ha il sapore di un’annunciazione. Se tutto andrà come deve, quel duello si vedrà domenica nella prova su strada. Non ci saranno soltanto loro, ma ne saranno i fari.
Il terzo posto di Van Wylder è forse il risultato che minimizza la prestazione di Tadej Pogacar?Il terzo posto di Van Wylder è forse il risultato che minimizza la prestazione di Tadej Pogacar?
La spiegazione di Pogacar
Il sorpasso di Kigali ha davvero aperto una crepa nell’inscalfibilità di Tadej? In realtà il quarto posto di ieri, ad appena un secondo dal podio, è il miglior risultato di Pogacar in una cronometro iridata. Fu decimo nel 2021 (vincitore Ganna), sesto nel 2022 (vincitore Foss), ventunesimo nel 2023 (vincitore Evenepoel). Perché immaginare o prevedere che a Kigali avrebbe potuto vincere?
La crono secca ha ben poco in comune con quella di un Grande Giro. E al di là della specificità del gesto, per lo sloveno ci sono tutte le attenuanti possibili. Dal fuso orario del Canada ancora da recuperare alla più classica giornata storta, passando per qualche problema di salute durante la preparazione. La crepa tuttavia c’è e sta nel fatto che anche Van Wylder sia riuscito a fare meglio di Tadej, che oggettivamente è andato meno di quanto ci si aspettasse. Forse non basta chiamarsi Pogacar, serve anche che tutto fili alla perfezione.
«Ho dato il massimo – ha detto lo sloveno – ovviamente sono deluso che Remco mi abbia superato. Non è stata la mia migliore prestazione, ma prima del Canada non sono riuscito a terminare il mio blocco di allenamento sulla bici da cronometro. Sono stato malato, ma se volevo essere al 100 per cento per il mondiale, dovevo fare quelle corse, anche se avrebbe significato non dare il massimo nella cronometro. E’ incredibile quanto Remco sia forte in questa disciplina. Si è preparato al 100 per cento e sarà pronto anche per domenica prossima. Ho visto che ero a un secondo dal podio, se l’avessi saputo, nell’ultimo chilometro avrei potuto avere un po’ più di motivazione. Oggi ho dei rimpianti, ma domani è un altro giorno».
Le strade di Kigali sono piene di tifosi e curiosi: l’accoglienza è molto calorosaLe strade di Kigali sono piene di tifosi e curiosi: l’accoglienza è molto calorosa
L’obiettivo del poker
Evenepoel contro Pogacar a cronometro sarebbe un confronto impari. Il belga ha conquistato il terzo iride consecutivo come Tony Martin e Michael Rogers e potrebbe puntare al poker consecutivo. Un risultato sfuggito anche a Cancellara, che ha vinto quattro mondiali ma non filati e anche un oro olimpico, come Evenepoel.
«Nella prima parte – ha spiegato Evenepoel – sentivo già le gambe lavorare molto bene. Ho mantenuto la velocità senza spingermi al limite. Sulla prima salita, la più dura della giornata, ho spinto davvero forte. Quando ho visto che avevo già un grande distacco, ho cercato di mantenere il ritmo. Il pavé sull’ultima salita a un certo punto l’ho odiato. E’ stato difficile tenere il passo, ma ci sono riuscito e ho vinto. In una giornata come questa, non importa chi superi. Quando ho raggiunto il pavé e ho visto che mi stavo avvicinando a Pogacar, sapevo che dovevo spingere. Ma non volevo esagerare, perché sapevo che gli ultimi 400 metri sarebbero stati duri. Ho avuto una giornata davvero buona e spero di riuscire a mantenere questa forma fino alla gara su strada della prossima settimana. L’anno prossimo però voglio diventare il primo corridore con quattro titoli consecutivi, ma per ora mi godo questo».
Evenepoel ora fa rotta sulla prova su strada, con una fiducia notevoleEvenepoel ora fa rotta sulla prova su strada, con una fiducia notevole
Il record di Merckx
Il sorpasso di Kigali rimane una notizia e mette ancora di più l’accento sull’eccezionale prestazione di Evenepoel. L’unico corridore in attività con più vittorie a cronometro di Remco è Ganna, che ne ha collezionate 29. Kung, come il belga, ne ha 22. Roglic è fermo a quota 19. Il francese Jacques Anquetil ha 63 vittorie a cronometro, mentre Fabian Cancellara ne ha centrate 58. Il record assoluto di vittorie contro il tempo appartiene a Eddy Merckx, che ne ha vinte ben 69. Remco ha ancora 25 anni, ma forse certe vette non le raggiungerà mai più nessuno.
«Per superare mio padre – ha dichiarato di recente Axel Merckx, nel tentativo di fare finalmente giustizia – bisogna combinare Pogacar, Van der Poel, Evenepoel e Cavendish. Mathieu come specialista delle classiche di primavera. Tadej come corridore completo. Mark come velocista. E Remco come cronoman. Quattro campioni incredibili, ciascuno superiore nel proprio dominio, ma bisognerebbe unirli tutti per superare mio padre».
Incredibile. Impensabile. Impronosticabile. Storico. E chi lo avrebbe mai detto che Tadej Pogacar venisse ripreso e staccato in una cronometro? Perché questo è quel che ha fatto Remco Evenepoel. Qualcosa che va oltre il miglior copione fantasy. E questo finisce quasi per mettere in secondo piano la notizia che il belga ha conquistato il suo terzo titolo iridato a cronometro.
Uno shock per il ciclismo, una goduria enorme per Remco. Uno smacco per Tadej. La giornata delle crono élite termina dunque con questo scossone. Qualcosa di così clamoroso che la memoria torna indietro alla crisi di Merckx sulle Tre Cime di Lavaredo nel 1968. A Indurain staccato da Pantani sul Mortirolo nel 1994. Cose che appunto avvengono ogni 30 anni. Chissà, forse questo momento sarà ricordato come il “sorpasso di Kigali”.
In mattinata era stata la svizzera Marlene Reusser a vincere il titolo. Un trionfo che per l’elvetica significa tanto, visto che spesso era stata favorita e poi aveva fatto cilecca.
Ecco l’immagine, storica e impensabile, che sta girando sui social. Il sorpasso di Remco ai danni di Pogacar quando mancavano 2 km all’arrivoEcco l’immagine, storica e impensabile, che sta girando sui social. Il sorpasso di Remco ai danni di Pogacar quando mancavano 2 km all’arrivo
Velo: senza parole
E dire che Pogacar è partito con grande determinazione. E’ uscito dallo stadio con un paio di curve tirate al limite, mentre Remco è stato ben più guardingo. Ma al primo intermedio, dopo 8,3 chilometri, di fatto la crono di Kigali era finita: 45″ di ritardo per lo sloveno dal belga. Crono finita sì, ma da qui a immaginare il sorpasso. Marco Velo, oggi tecnico della nazionale donne, ma fino al 2024 cittì delle crono azzurre, commenta così.
«Sinceramente – attacca Velo – pensavo che Remco stesse bene e che si potesse giocare la vittoria. E farlo anche con 20”-30” su Pogacar non sarebbe stato poco, ma così…», Velo fa silenzio per qualche istante. «Così non ho parole. Quello che ha fatto Evenepoel è qualcosa di fenomenale. Eccezionale sarebbe riduttivo.
«Pogacar – continua Velo – magari oggi non era al top. Non era quello d’inizio Tour de France. Anche in Canada è andato forte, però dopo lo scatto si sedeva, non continuava l’azione col rapporto. E certo che adesso le cose cambiano anche in vista di domenica».
Una prestazione che spariglia gli equilibri attesi per la prova in linea. Ma di questo ne parleremo più avanti. «Ora Pogacar e il suo staff analizzeranno la prova. Magari non ha avuto sin da subito le sensazioni migliori e ha deciso di non spingere a tutta, ma queste cose le sa solo lui».
Pogacar mai del tutto in gara (nonostante sia uscito dal podio per appena 1″). Spesso è parso duro nella cadenza e non in posizione aeroRemco invece è stata la solita freccia. Alla fine ha sfiorato i 49 km/h di media su un tracciato che prevdeva oltre 750 metri di dislivelloPogacar mai del tutto in gara (nonostante sia uscito dal podio per appena 1″). Spesso è parso duro nella cadenza e non in posizione aeroRemco invece è stata la solita freccia. Alla fine ha sfiorato i 49 km/h di media su un tracciato che prevdeva oltre 750 metri di dislivello
Percorso complicato
Velo ha seguito dalla macchina prima Soraya Paladin, poi Matteo Sobrero e ribadisce la durezza del tracciato e la difficoltà anche tecnica nell’interpretarlo. Era un percorso da cronoman, quindi da specialisti, ma serviva tanta gamba.
«Anche nella scelta tecnica – riprende Velo – non era facile. Bisognava sia gestirsi che spingere forte. Dopo il primo intermedio, come tanti qui, anch’io ho pensato che Remco fosse partito troppo forte e invece… Era tosta perché bisognava spingere duro e recuperare nel breve tempo delle discese, le quali erano sì veloci ma richiedevano di pedalare. Era importante anche la scelta giusta dei rapporti».
E qui Velo fa un’analisi totale, specie quando gli facciamo notare che tra i primi cinque ci sono due Soudal-Quick Step e tre UAE Team Emirates. Vedere Van Wilder sul podio la dice lunga sull’interpretazione tecnico-tattica della crono. Per carità è bravo, ma chi se lo aspettava così in alto? Di contro gli uomini UAE, sempre schiacciassassi contro il tempo, sono apparsi “duri” nella cadenza.
«In UAE tutti fanno sempre a tutta le crono -dice Velo – e non stupisce vederli così avanti. Per quanto riguarda la scelta dei rapporti, ho notato che in tanti, anche tra le donne, avevano la monocorona, ma a mio avviso non era questo il percorso per usarla. Okay che nel finale c’era lo strappo in pavé, ma si cambiava prima dello sconnesso e poi con salti così ampi degli ingranaggi posteriori era facile piantarsi (o non trovare il rapporto, ndr). Un conto è fare le prove quando sei fresco e un conto arrivare sotto al muro dopo 40 o 50 chilometri. Io, da ex cronoman, non avrei mai montato una monocorona su un percorso simile».
I due azzurri impegnati oggi. Cattaneo (a sinistra) ha chiuso 15° e Sobrero 13°I due azzurri impegnati oggi. Cattaneo (a sinistra) ha chiuso 15° e Sobrero 13°
Casa Italia
A Kigali, dice Velo, si sta bene: 26 gradi, umidità giusta e, aggiungiamo noi, anche una buona cornice di pubblico. Mentre Remco si gode il suo titolo e forse ancora più la sua prestazione, che sa di rivincita dopo Peyragudes quando a sorpassarlo fu Jonas Vingegaard, c’è spazio per un pensiero anche sui nostri.
«Alla fine i ragazzi e le ragazze – spiega Velo – hanno fatto la crono che ci si aspettava. Sì, forse dagli uomini ci si attendeva una top 10 ma siamo lì. Non possiamo dire che stiano male. E lo stesso vale per le ragazze. Paladin rientrava dopo la frattura della clavicola e non le si poteva chiedere troppo di più. Il suo sforzo è stato funzionale soprattutto in vista della staffetta mista e per la prova di domenica in supporto a Elisa Longo Borghini. Monica Trinca Colonel invece è partita un po’ in sordina, poi ha detto di stare meglio. Bisogna considerare che le nostre non sono poi così abituate a crono di tale livello e lunghezza. Sono esperienze che servono».
Tra le donne vittoria netta di Marlen Reusser su Anna Van der Breggen e Demi VolleringIl podio della crono iridata maschile: 1° Remco Evenepoel, 2° Jay Vine a 1’14” e 3° Ilan Van Wilder a 2’36”Tra le donne vittoria netta di Marlen Reusser su Anna Van der Breggen e Demi VolleringIl podio della crono iridata maschile: 1° Remco Evenepoel, 2° Jay Vine a 1’14” e 3° Ilan Van Wilder a 2’36”
I dubbi di Tadej
A Kigali suona l’inno belga, ma a rimbombare è il sorpasso subito da Pogacar. Una batosta simile cambia tutto e inevitabilmente il pensiero scivola alla prova in linea.
«Pogacar è un fuoriclasse e magari questa batosta l’ha già superata – dice Velo – ma è indubbio che sia un po’ destabilizzante. E lo è perché non è stato battuto da uno specialista che non c’entra niente con la corsa in linea, ma da uno dei rivali più accreditati che adesso diventa ancora più favorito. Uno che fa una crono del genere non sta bene: sta a mille, e su queste salite un Pogacar così non lo stacca. Poi magari domenica mi smentirà… ma la sensazione è questa. Diciamo che Tadej una bottarella l’ha presa. Ma una cosa è certa, non dovranno lasciargli neanche 30″, altrimenti si rischia un Australia bis con Remco che scappa e vince il titolo».
Non si può dire che Pogacar ricorderà al meglio il giorno del suo ventisettesimo compleanno. Però è anche vero che l’ultima volta che ha preso una batosta, seppur molto più piccola come al Delfinato di questa estate, poi si è vendicato con ferocia inaudita. Insomma, guai a stuzzicare la belva ferita. Ma questo lo scopriremo strada facendo. Per il momento, onore assoluto al mostruoso Remco Evenepoel.
Si chiama proprio Aero Cockpit, è sviluppato da Swiss Side ed è un pacchetto completo che si basa sulle estensioni/prolunghe, utilizzabili in ambito crono e triathlon.
Il kit è stato disegnato per offrire le massime performance tecniche, essere completo, ma sempre tenendo l’atleta al centro dello studio. Quest’ultimo fattore implica il fatto di non sacrificare completamente il comfort. Vediamo le sue particolarità.
L’atleta è sempre al centro dello sviluppoL’atleta è sempre al centro dello sviluppo
Swiss Side Aero Cockpit, visto al Tour de France
Swiss Side è al fianco del Team Decathlon-AG2r, non solo in ambito ruote, ma in tutto quello che concerne la ricerca aerodinamica e delle performance. Come è facile immagine in questo rientra anche l’ambito prove contro le lancette. Aero Cockpit ha debuttato in modo ufficiale alla Grand Boucle ed al fianco del campione fancese a cronometro, Bruno Armirail. La base del cockpit Swiss Side è la medesima, ma con gli opportuni aggiustamenti si può sfruttare la configurazione road oppure triathlon.
Il kit prevede le due estensioni con i terminali adattabili per integrare i pulsanti delle trasmissioni elettroniche. La sezione centrale è voluminosa e nella parte superiore è previsto un inserto grippante che ferma l’avambraccio del corridore. La sezione posteriore ha una sorta di disegno alare/contenitivo ed ha l’obiettivo di fermare il gomito, senza influire negativamente sulla comodità, offrire una sorta di protezione/guscio aerodinamico. Quest’ultima parte, grazie alle piastre sottostanti è ampiamente posizionabile/orientabile. Per tutte le discipline è previsto un supporto per il device, per la versione triathlon è possibile integrare anche un portaborraccia.
Anteriore sagomato e “quasi” a proteggere le bracciaL’evoluzione dell’intera categoria anche grazie al triathlonInclinazioni diverse in base alla sezione delle prolungheUn portaborraccia in carbonio per i triatletiAnteriore sagomato e “quasi” a proteggere le bracciaL’evoluzione dell’intera categoria anche grazie al triathlonInclinazioni diverse in base alla sezione delle prolungheUn portaborraccia in carbonio per i triatleti
Alcuni numeri
Il prezzo di listino di Aero Cockpit è di 749 euro (tramite il sito ora sono disponibili a 599 euro) e come vuole la regolamentazione UCI è disponibile per il grande pubblico. Il valore alla bilancia del sistema è (dichiarato) di 633 grammi, non molto se consideriamo la categoria.
I materiali utilizzati per la sua costruzione/assemblaggio sono il carbonio T700 per le estensioni, viteria in acciaio e nylon con composito iniettato per i diversi supporti. Le imbottiture sono in EVA, morbide, adattabili e longeve.
«Devo dire che sono stato sorpreso da chi ha utilizzato la bici da crono», ha detto Domenico Pozzovivo. E’ con lo scalatore lucano che abbiamo sviscerato la cronoscalata di Peyragudes. Una cronometro che ha visto protagonista ancora lui, sempre lui: Tadej Pogacar.
Lo sloveno si porta a casa la frazione, rafforza la sua maglia gialla, mette in cassaforte la quarta vittoria di tappa e si riprende anche la maglia a pois. Ma forse la vera notizia, o meglio, l’immagine del giorno è Jonas Vingegaard che riprende Remco Evenepoel.
Il momento topico della crono di Peyragudes: Vingegaard riprende e sorpassa Evenepoel partito 2′ prima di luiIl momento topico della crono di Peyragudes: Vingegaard riprende e sorpassa Evenepoel partito 2′ prima di lui
Jonas e Remco: il sorpasso
Eppure Vingegaard non è parso poi così stupito. «Ieri – ha detto il danese – non ero al mio solito livello. Sì, è stata la mia seconda brutta giornata al Tour. Non so come sia possibile. Di solito non mi capitano queste cose. Oggi sono tornato al mio livello di prima. Credo ancora in me stesso e continuerò a provarci. La squadra è incredibilmente forte e dobbiamo dimostrarlo ora; il Tour non è ancora finito».
Mentre Remco, stremato e deluso, non ha risposto a chi gli chiedeva del sorpasso da parte di Vingegaard. Una domanda (legittima sia chiaro), ma che forse in quel momento di frustrazione poteva essere percepita come una provocazione.
«E’ stata una brutta giornata – ha detto il belga – di tutto il resto non mi importa». Come biasimarlo. Questi due giorni sono stati durissimi per lui e stasera andrà a dormire con più preoccupazioni che certezze.
Come diceva Pozzovivo, Tadej ha limato sul peso. Sulla Y1Rs non c’era neanche il nastro. I rapporti: 55-38 all’anteriore e 11-34 al posteriore. Pedivelle da 165 mm (dati UAe Emirates)Come diceva Pozzovivo, Tadej ha limato sul peso. Sulla Y1Rs non c’era neanche il nastro. I rapporti: 55-38 all’anteriore e 11-34 al posteriore. Pedivelle da 165 mm (dati UAe Emirates)
Tadej senza dubbi
Quanti spunti ha regalato questa frazione contro il tempo sul colle pirenaico. Con il Pozzo si è parlato delle scelte tecniche e delle prestazioni. Ma anche della media oraria stellare. Si ipotizzava una media tra i 26,5 e i 27 all’ora: Tadej ha abbattuto il muro dei 28.
Pogacar stesso si è espresso sulla scelta tecnica fatta in concerto con la sua UAE Team Emirates: «La scelta della bici è stata la decisione più importante di oggi. Gareggiamo quasi sempre con questa bici; la usiamo il 99 per cento delle volte. Abbiamo fatto i nostri calcoli e se su quella da crono non riesci a sfruttare tutta la tua potenza, finisci con lo stesso tempo finale. Mi sento più a mio agio con questa bici, anche in salita. Per me ha funzionato bene. Comunque ho faticato tantissimo anche io. Nel finale pensavo di esplodere, per fortuna che ho visto il cronometro sul tabellone e capendo che avrei vinto mi sono motivato».
Mettete bene da parte le parole di Pogacar, perché vi torneranno molto utili quando adesso leggerete quelle di Pozzovivo.
Per ovvie caratteristiche fisiche Pozzovivo non era un grande cronoman, ma in più di qualche occasione si è ben difesoPer ovvie caratteristiche fisiche Pozzovivo non era un grande cronoman, ma in più di qualche occasione si è ben difeso
Domenico, una gran bella cronometro con una marea di spunti tecnici, a partire dalla scelta dei materiali. Cosa ti è sembrato in merito?
Devo dire che sono stato abbastanza sorpreso dalla scelta di chi ha utilizzato le bici da crono, però alla fine vista la media oraria era davvero una scelta che ci poteva anche stare. Erano veramente due strategie al limite: poteva andare bene sia una che l’altra.
Ed è quello che ci diceva Pinotti un po’ di tempo fa: bici da crono sì o bici da crono no? Si era al limite…
Se si fosse restati sul classico Peyresourde, avrei detto assolutamente bici da crono. Mentre salendo all’aeroporto, quel finale così ripido metteva un po’ di dubbi dal punto di vista dell’efficacia della bici da crono. Pogacar è stato veramente sicuro di sé, non ha avuto nessun problema a scegliere la sua bici (la Colnago Y1Rs, ndr).
Una cosa che abbiamo notato è che chi aveva la bici da crono non sempre è stato in posizione, a parte Roglic… Forse questo ci dice che era meglio la bici da strada?
Considerando la bici aero che hanno in Visma-Lease a Bike (la Cervélo S5, ndr), per me era meglio. Poi è anche vero che Vingegaard è uno che sulla bici da crono ha la critical power migliore rispetto a quella da strada. Ricordiamoci di quando ha fatto la cronometro devastante a Combloux nel 2023: penso che quelle potenze relative al peso non le abbia mai fatte sulla bici da strada. Però secondo me, forse una decina di secondi li guadagnava con la bici da strada.
Vingegaard è andato molto forte. Quanto ha inciso vedere prima la macchina ferma della Soudal e poi Remco davanti?
In quei casi fa tanto vedere il corridore davanti a te, perché nel finale hai l’acido lattico fin sopra le orecchie. Ogni piccola motivazione, anche per distrarti, ogni appiglio può aiutarti ad andare più a fondo nello sforzo, specie su un muro del genere. Io credo che gli abbia fatto guadagnare tranquillamente 5-10 secondi rispetto a Tadej.
Tobias Foss: ruota anteriore ad alto profilo e posteriore bassa sulla sua Pinarello da stradaTobias Foss: ruota anteriore ad alto profilo e posteriore bassa sulla sua Pinarello da strada
Restiamo sul setup dei Visma: bici da crono, casco aero e ruote basse. Perché? Questione di peso?
Sì, la coperta era corta: l’hanno tirata da una parte e hanno lasciato scoperto l’aspetto ruote. Io avrei sacrificato il casco aero a vantaggio di quello normale. Piuttosto avrei messo una ruota altissima o comunque una un po’ più alta.
Qualche bel “mischione” in termini di setup c’è stato. Lenny Martinez con bici da strada e lenticolare dietro, Tobias Foss con ruota alta davanti e bassa dietro… Questo fa capire che c’è stato tanto studio?
Ognuno ha cercato a suo modo la prestazione. Sono situazioni in cui magari qualcuno usa la fantasia, però a volte forse bisognerebbe essere più razionali. In soldoni: io la lenticolare non l’avrei messa mai.
E quale sarebbe stato l’assetto di Domenico Pozzovivo?
Avrei assolutamente utilizzato una bici da strada aero, limando su tutte le parti possibili. In questo modo la porti tranquillamente a 7 chili e per me avrebbe fatto la differenza.
Quello che ha fatto Pogacar, sostanzialmente…
Anche perché ultimamente sto usando una bici aero e in salita dice tranquillamente la sua, almeno se non è troppo pesante. Poi conta anche lo stile dei corridori. A me, per esempio, piace una bici molto rigida, e di solito le bici aero lo sono, quindi avrei avuto una risposta elastica molto reattiva.
Che fatica per Remco oggi. Ha pagato ben 2’39” a Tadej PogacarChe fatica per Remco oggi. Ha pagato ben 2’39” a Tadej Pogacar
Secondo te si sono fatti interventi piccoli sui manubri, magari allungare l’attacco per stare più bassi, oppure nel mezzo del Tour non si tocca niente?
Sulla bici da strada no, su quella da crono sì. Remco era chiaramente meno aero del solito. Ha alzato le appendici di un bel po’ (si vocifera 2 centimetri, ndr). Il problema della bici da crono è che ti perdona meno quando sei in crisi, come successo proprio a Remco. Era una scelta molto più rischiosa. Se stai bene come PrimozRoglic, che ha vissuto la sua giornata migliore in questo Tour, la sfrutti bene.
Poi devi avere determinate caratteristiche, devi essere abituato a quella bici. Come dicevi prima, Vingegaard ha la critical power più alta sulla crono…
E anche Roglic ci si esprime bene. E pure Florian Lipowitz è uno che ha un core, la parte centrale del corpo, incredibile. Anche quando è sulla bici da strada sembra che stia su quella da crono per come tira il manubrio e per il suo stile così disteso. Ecco, nel suo caso non avrei avuto dubbi a usare la bici da crono. Si vede che ci è a suo agio e riesce ad esprimersi.
Invece a livello di prestazioni cosa ti è sembrato?
Alla luce della prestazione di ieri, oggi mi aspettavo un altro show di Tadej Pogacar. Il tempo che ha sancito la vittoria è veramente incredibile. La media è fuori dal comune. Già andare sopra i 27 all’ora sarebbe stato straordinario, lui ha fatto più di 28 (28,435 km/h, ndr). E’ su un altro pianeta. Già uno fortissimo come Vingegaard, rispetto agli altri campioni, ha fatto una differenza abissale.
Quindi questi 36 secondi sono una differenza abissale o qualcuno si poteva aspettare anche di più?
No, non ci si poteva attendere certi distacchi. Un conto è una tappa lunga e un conto uno sforzo breve. Il discorso è diverso. Bisogna anche capire nella testa come è stata approcciata. Ieri Tadej l’ho visto spingere fino in fondo perché secondo me aveva in testa il best time della salita. Oggi per me non aveva quel doppio fine, quindi quando ha capito che aveva vinto ha spinto, sì, ma senza distruggersi. E’ arrivato molto meno a tutta rispetto a Vingegaard.
Buona prestazione di Roglic. Lo sloveno chiude terzo e ora nella generale è 7° a 1’26” dal podioBuona prestazione di Roglic. Lo sloveno chiude terzo e ora nella generale è 7° a 1’26” dal podio
Invece qualcuno che ti ha colpito, in positivo o in negativo?
Luke Plapp me lo aspettavo perché è uno che a livello di potenza assoluta sulla salita secca ha quei numeri. In negativo direi Remco: me lo sarei aspettato terzo, invece ha fatto più fatica di ieri. Da lui mi aspetto di tutto. Domani potrebbe anche riprendersi, oppure potrebbe arrivare la giornata che mette la parola fine alla sua classifica.
La tendenza non è a suo favore. Ieri secondo te si è salvato solo perché si sono staccati Matteo Jorgenson e Simon Yates?
Però attenzione, ieri è stata una tattica quella della Visma talmente tirata, talmente al limite per cercare una falla in Tadej, che non sono state delle controprestazioni quelle di Jorgenson o Remco. Loro erano talmente al limite che il rischio di far saltare i compagni c’era, ed è stato così. Jorgenson e Yates sono saltati perché si andava fortissimo. Remco si è difeso davvero bene se pensiamo che si era staccato sulla penultima salita. Insomma, andare più forte di così era impossibile. Ci sarebbe voluto un altro Tadej e un altro Vinge per tirare in quel momento.
La lotta per il podio come la vedi?
E’ aperta. Per l’esperienza e dopo la buona prestazione di oggi direi che se Roglic non ha i suoi soliti problemi, è quello più lanciato verso il podio di Parigi. Però il compagno di squadra Lipowitz è solido. Sono loro due i miei favoriti. Ma manca ancora tanto. La tappa di domani dirà parecchio, perché non è solo un trittico. Bisogna aggiungerci anche la tappa di mercoledì. Diventano quattro giorni molto impegnativi. E in quattro giorni del genere possono verificarsi situazioni impreviste.
Secondo te che rapporti erano montati sui monocorona dei Red Bull e dei Visma? Potrebbero essere stati dei 48?
Non saprei dire con precisione, ma ad occhio sì: potrebbe essere stato un 48. Però la monocorona per me era una scelta azzardata, molto al limite a prescindere dalla dentatura precisa (se fosse un 46, un 48 o un 51, ndr), perché si rischiava di non trovare il rapporto, specie con le scale posteriori di adesso che fanno grandi salti.
Un po’ quello che è successo a Remco?
Molto probabilmente sì, anche se non era in una buona giornata. Sai, quando stai bene riesci sempre a metterci una toppa, ma se stai male ogni problema diventa un calvario.
Philippe Gilbert al palo. Evenepoel fermato. Froome che riparte da zero negli Usa. In comune hanno forse una rieducazione imperfetta. Ne parliamo con Borra
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Il brand svizzero Assos presenta Rapidfire Chronosuit S11, un body da cronometropensato per chi vuole indossare davvero il massimo nelle gare contro il tempo. Nessuna tasca posteriore, spazio sul petto per la radio e uno spazio per inserire il numero di gara. Il tutto con materiali nuovi, superleggeri e che garantiscono il massimo dell’aerodinamicità. Insomma, un capo per gli amatori che vogliono sentirsi professionisti.
In questo dettaglio di nota bene l’inserto in tessuto areo dove solitamente sono presenti le tasche posterioriIn questo dettaglio di nota bene l’inserto in tessuto areo dove solitamente sono presenti le tasche posteriori
Tessuti nuovi di zecca
Il body Rapidfire S11 è il punto più alto della tecnologia aerodinamica di Assos, testato in galleria del vento in collaborazione con il team svizzero Tudor Pro Cycling. Si avvale di nuovi, velocissimi tessuti. Nella parte superiore è stato utilizzato lo Hawk-01, un tessuto con una struttura a rombo che elimina le turbolenze superficiali.
Le maniche e la parte inferiore della schiena (dove di solito ci sono le tasche) sono realizzate con lo Eagle-01, un materiale contraddistinto da una striatura a coste che incanalano l’aria riducendo così la resistenza aerodinamica. Nella parte inferiore del body invece è stato usato il nuovo Kompressor: un tessuto brevettato che è il più traspirante, raffreddante e compressivo mai costruito da Assos.
Il nuovo body di Assos è un concentrato di tessuti tecnologici, un capo pensato esplicitamente per le competizioniIl nuovo body di Assos è un concentrato di tessuti tecnologici, un capo pensato esplicitamente per le competizioni
Taglio superaderente e fondello flottante
Inutile dire che il taglio del Rapidfire S11 è quanto di più aderente e tirato possibile, con cuciture nastrate ed orli a taglio vivo per minimizzare anche la più piccola turbolenza. Un altro esempio sono le gambe del pantaloncino, più lunghe rispetto ai modelli classici, per sfruttare il più possibile dei vantaggi del tessuto Kompressor.
Anche il fondello è stato aggiornato. E’ in schiuma con uno spessore di 8 mm, ma soprattutto ha un volume ridotto ed è fissato soltanto davanti e dietro, lasciando invece libera la parte centrale. In questo modo il fondello diventa “flottante”, cioè libero di muoversi assieme al corpo del ciclista, minimizzando le irritazioni.
Questo zoom mette in evidenza il tessuto a rombo Hawk-01 e la taschina per la radio Questo zoom mette in evidenza il tessuto a rombo Hawk-01 e la taschina per la radio
Altri dettagli, taglie e prezzo
Come accennato in precedenza le tasche posteriori sono state eliminate, lasciando spazio ad una taschina in rete per il numero nella parte inferiore della schiena. Inoltre, vera chicca da pro’, all’interno del petto è presente uno spazio dove riporre la radio, con il passaggio interno per i cavi dell’auricolare.
Il colore è un elegantissimo e minimal bianco e nero, e le taglie sono sei: dalla XS alla XXL. Anche il prezzo è, come ci si poteva aspettare, da professionisti: 490 euro.