Il poker della Cretti, su pista per riscattare la strada

Il poker della Cretti, su pista per riscattare la strada

25.10.2025
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Il bilancio della nazionale italiana paralimpica ai mondiali su pista di Rio de Janeiro è di gran lunga il migliore mai conseguito dal nostro movimento. Con 4 medaglie d’oro, una d’argento e 2 di bronzo l’Italia si è assestata al terzo posto nel medagliere, quando fino a pochissime stagioni fa eravamo completamente assenti dai vertici. Se i piazzamenti sono tutti ad opera dei tandem, il poker dorato è tutto di Claudia Cretti, che in terra brasiliana si è presa una grande rivincita non solo sulle recenti esperienze, ma sulla vita.

E’ l’approdo di un lungo percorso, che in quella maledetta giornata del Giro Rosa 2017 non s’interruppe con il terribile incidente e i giorni di coma in ospedale, con la lunga rieducazione, ma anzi fu proprio allora che iniziò la sua rinascita, facendone uno dei grandi personaggi del ciclismo paralimpico. Non è stato facile, ci sono stati anche momenti bui e delusioni come il 4° posto nell’inseguimento a Parigi 2024 e la rabbia per l’andamento degli ultimi mondiali su strada, ma tutto è servito per arrivare all’apoteosi.

Claudia Cretti è nata a Lovere (BG) il 24 maggio 1996. Oro europeo junior nel 2013, ha iniziato nel paraciclismo nel 2019
Claudia Cretti è nata a Lovere (BG) il 24 maggio 1996. Oro europeo junior nel 2013, ha iniziato nel paraciclismo nel 2019
Claudia Cretti è nata a Lovere (BG) il 24 maggio 1996. Oro europeo junior nel 2013, ha iniziato nel paraciclismo nel 2019
Claudia Cretti è nata a Lovere (BG) il 24 maggio 1996. Oro europeo junior nel 2013, ha iniziato nel paraciclismo nel 2019

Tornata a casa dalla lunga trasferta brasiliana, Claudia si è ritrovata quasi travolta da un’ondata di popolarità perché pian piano anche lo sport paralimpico guadagna la ribalta, non solo nei giorni a cinque cerchi. Un trionfo che non si aspettava: «Volevo tornare a casa con qualcosa di concreto, puntavo tutto sullo scratch, ma ad esempio il chilometro da fermo era la prima volta che lo facevo. Invece mi riusciva tutto al meglio».

La gara del chilometro è stata quindi la più difficile?

Quella più inaspettata. A Parigi avevo fatto i 500 metri, ma partendo sono un po’ lenta, invece dopo spingo forte come anche nell’inseguimento. Rivedendo la mia gara, a metà sarei stata seconda o terza, invece gli ultimi 500 metri sono stata la più forte. Ottenendo per due volte il record del mondo.

La volata vincente dell'azzurra nella sfida dell'eliminazione. La Cretti non aveva mai vinto un oro (foto UCI)
La volata vincente dell’azzurra nella sfida dell’eliminazione. La Cretti non aveva mai vinto un oro (foto UCI)
La volata vincente dell'azzurra nella sfida dell'eliminazione. La Cretti non aveva mai vinto un oro (foto UCI)
La volata vincente dell’azzurra nella sfida dell’eliminazione. La Cretti non aveva mai vinto un oro (foto UCI)
Dove allora hai sofferto di più?

La velocità ero abituata a farla quando competevo nell’omnium. Nello sprint è stata più dura la semifinale, con la russa che ha fatto lo scatto proprio appena partite e l’ho raggiunta e battuta in volata, lei e la canadese. Nella finale contro la Murray ero un po’ preoccupata perché anche lei è veloce, ma l’ho gestita molto bene, standole a ruota fino all’ultimo giro. Lì è stato fondamentale l’apporto di Fabio Masotti

Perché?

Mi ha detto quando dovevo partire e far la volata. Infatti sono riuscita a scattare nel lato opposto dell’arrivo e superarla nel migliore dei modi. Quindi anche quella è stata una sorpresa, ma soprattutto per il nome e il prestigio della battuta. Tornando alla prima domanda, la gara più difficile per me è stata l’ultima, lo scratch con la polacca che è partita quando mancavano 6 o 7 giri alla fine. E io ero nel gruppo, ci guardavamo e tra l’altro pensavo che qualche mia avversaria partisse perché erano due argentine, australiane, due della Nuova Zelanda. Pensavo che si sarebbero messe d’accordo per andare, una va a prendere la fuga e l’altra fa la volata.

Il podio dell'eliminazione, con la Cretti fra la neozelandese Murray e la polacca Harkowska (foto UCI)
Il podio dell’eliminazione, con la Cretti fra la neozelandese Murray e la polacca Harkowska (foto UCI)
Il podio dell'eliminazione, con la Cretti fra la neozelandese Murray e la polacca Harkowska (foto UCI)
Il podio dell’eliminazione, con la Cretti fra la neozelandese Murray e la polacca Harkowska (foto UCI)
Come ne sei uscita fuori?

Non nascondo che mi stavo innervosendo e temevo di perdere tutto. Addesi e Masotti però mi dicevano di aspettare e partire secco a 5 giri dalla fine. Ero un po’ indecisa, ma poi ho detto «sì, vado a prenderla, anche se ce le avrò tutte a ruota». Quando sono partita mi sono ritrovata presto sola, ai -3 ho detto che era il momento di prenderla con un grande sforzo. Sentivo la fatica salire lungo il corpo ma mi dicevo di non mollare. Quando è suonata la campana dell’ultimo giro mi sono mentalizzata: «Claudia, hai vinto il chilometro, qual è la differenza? Ce la fai a andare a tutta?». Così ho pedalato, pedalato, pedalato. L’ultimo giro è stato il più difficile perché era un po’ volata, un po’ inseguimento, ma alla fine l’ho presa.

La cosa più bella di questa trasferta?

Potreste pensare che sono le vittorie, ma per me c’è qualcosa che vale di più: tutte le avversarie, a ogni gara diversa, sono venute lì ad abbracciarmi e stringere la mano e dire che ero la più forte e me la meritavo.

La bergamasca con Bernard e Totò, argento nell'inseguimento, dietro lo staff azzurro (foto Federciclismo)
La bergamasca con Bernard e Totò, argento nell’inseguimento, dietro lo staff azzurro (foto Federciclismo)
La bergamasca con Bernard e Totò, argento nell'inseguimento, dietro lo staff azzurro (foto Federciclismo)
La bergamasca con Bernard e Totò, argento nell’inseguimento, dietro lo staff azzurro (foto Federciclismo)
Anche la Murray che per quattro volte ha dovuto mandar giù il boccone amaro?

Sì, anche lei dopo la finale della velocità era tutta sudata e distrutta. E’ venuta da me e ci siamo abbracciate e mi ha fatto i complimenti. L’anno scorso succedeva il contrario, Murray prima o seconda e io seconda o terza dietro di lei.

Questo salto di qualità a che cosa si deve?

Devo dire grazie a Pierpaolo Addesi che sin da tre anni fa mi diceva «Claudia, se mi segui, tu da oggi in poi puoi vincere tutte le gare a cui parteciperai». Io nel 2023 ero un po’ indecisa su queste cose, all’estero vanno più forte di me e a raggiungere il loro livello e a vincere mi sembrava quasi impossibile, però seguendo i suoi allenamenti, i suoi consigli e dando il massimo in ogni tipo di preparazione, sia in pista che strada quest’anno, i risultati sono arrivati.

L'Italia ha vinto anche 2 argenti e un bronzo. Qui Bissolati e Agostini, argento nel mixed team dello sprint con Ceci e Meroni (foto Federciclismo)
L’Italia ha vinto anche 2 argenti e un bronzo. Qui Bissolati e Agostini, argento nel mixed team dello sprint con Ceci e Meroni (foto Federciclismo)
L'Italia ha vinto anche 2 argenti e un bronzo. Qui Bissolati e Agostini, argento nel mixed team dello sprint con Ceci e Meroni (foto Federciclismo)
L’Italia ha vinto anche 2 argenti e un bronzo. Qui Bissolati e Agostini, argento nel mixed team dello sprint con Ceci e Meroni (foto Federciclismo)
Proprio Pierpaolo diceva al tempo dei mondiali su strada che non era stato tanto semplice per te quel periodo…

Eh, mi sono molto arrabbiata a Ronse, è andato tutto storto. La crono l’ho fatta così per riscaldamento, puntavo tutto sulla strada perché mi sentivo la più veloce, mi dicevo che non mi avrebbero staccato di un centimetro… Alla partenza non mi saliva il rapporto più duro, quindi sono andata lì alla partenza con tutti i meccanici che cercavano di modificare il rapporto e il cambio. Alla fine mi hanno dovuto adattare la bici di Giancarlo Masini e già ero nervosissima. Al secondo giro ho alzato la mano per chiedere assistenza della Shimano di scorta, ma eravamo un gruppetto ristretto e la macchina era lontana, quindi sono dovuta scendere dalla bici, aspettare la Shimano, abbassarmi la sella e poi in un gruppetto ho tirato un po’ per recuperare, col risultato che dopo tre giri ho spinto troppo e mi si è spaccata la catena. Ero fuori di me, poi mi sono detta: «Mi rifarò a Rio perché sono forte, sono preparata bene». Sono riuscita a dimostrare chi ero. La voglia di riscatto che avevo, tutta questa rabbia che avevo accumulato dentro sono state la mia benzina…

E’ chiaro che manca ancora tanto tempo, ma con un biglietto da visita del genere adesso non si può non pensare a Los Angeles…

Infatti parlando con Addesi e Masotti già ci siamo detti che questo è un punto di partenza. Ora bisogna mantenere questa andatura e migliorare in tante cose, perché l’appuntamento vero è quello.

Il mondiale dei 14 allori, Addesi si frega le mani…

02.09.2025
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L’Italia paraciclistica torna da Ronse, sede belga dei mondiali con 14 medaglie, lo stesso numero della rassegna zurighese dello scorso anno, solo che gli ori sono più che raddoppiati, arrivando all’esatta metà. La spedizione italiana guidata dal cittì Pierpaolo Addesi è stata trionfale, riportando alla memoria antichi bottini, quelli dell’epoca dello sfortunato Zanardi. Ma rispetto ad allora le differenze ci sono e sono sostanziali.

Addesi è appena sceso dall’aereo che lo riportava a casa, ritrovando sul cellulare una pioggia di chiamate inevase, di messaggi WhatsApp, di complimenti espressi da ogni parte e la prima cosa che ha notato è che mai come questa volta i successi dei suoi ragazzi hanno avuto un così forte riscontro mediatico, quando in passato (ecco una delle differenze…) avevano, se andava bene, una “breve” sui quotidiani sportivi.

Doppietta d’oro per l’olimpionico Cornegliani, battendo sempre lo storico rivale sudafricano Dui Preez (foto FCI)
Doppietta d’oro per l’olimpionico Cornegliani, battendo sempre lo storico rivale sudafricano Dui Preez (foto FCI)

«E’ una reazione a catena – sottolinea Addesi – La giornata storica di Rovescala non ha solo dato spinta al nostro gruppo sul piano tecnico e agonistico, ma ha anche attirato i fari dell’attenzione. C’era un’atmosfera speciale, si respirava sin dalla vigilia, ma io dico che era nell’aria già al primo ritiro stagionale. Si capiva che qualcosa stava cambiando, che si stava creando un vero e proprio gruppo, dove ognuno sostiene l’altro. Dove innanzitutto ci si diverte. Così sembra tutto più facile e ed è una cosa che ripeto da ogni volta che facciamo le riunioni: non è che si diventa felici dopo che si vince la medaglia, ma si vince la medaglia se si è felici».

Una volta si parlava di due gruppi separati, handbike e gli altri…

Non è così, almeno non più. Si sta tutti insieme, ma vorrei sottolineare anche lo staff che c’è dietro. Ci aiutiamo anche in ruoli diversi, cioè non facciamo distinzioni. E questa disponibilità i ragazzi la avvertono. Domenica sera sono uscite parole bellissime nella festa finale.

Come Cornegliani e Farroni, anche Roberta Amadeo ha vinto l’oro sia in linea che a cronometro (foto FCI)
Come Cornegliani e Farroni, anche Roberta Amadeo ha vinto l’oro sia in linea che a cronometro (foto FCI)
Che livello hanno avuto questi mondiali?

Ormai andiamo sempre più verso il professionismo, ogni edizione lo dimostra maggiormente. Il nostro bilancio non deve trarre in inganno, c’è ancora differenza con altri Paesi dove i corridori sono inseriti anche in squadre WorldTour e fanno i professionisti a tutti gli effetti. Ma noi ci stiamo arrivando, io sono ottimista, se riusciremo a coinvolgere le nostre squadre, anche se in Italia non è che ne abbiamo tante, ad aprirle a questi ragazzi. Come fanno in Francia – ammette Addesi – dove per esempio la Cofidis ha nell’organico due atleti in gara ai mondiali. E’ questione di tempo, ma stiamo andando nella direzione giusta. Infatti ci sono nomi che corrono e vincono fra Elite e Under 23 che già hanno le peculiarità per correre fra noi e sono molto interessati, il prossimo anno avremo tanti volti nuovi. Ma ci dobbiamo arrivare piano, anche se le società ancora ci guardano in modo diverso. Ma quel che è successo a Rovescala e questi risultati iridati sono un grande aiuto.

Il terzetto del team relay, con Cortini, Mazzone e Testa, bronzo dietro Francia e Australia (foto FCI)
Il terzetto del team relay, con Cortini, Mazzone e Testa, bronzo. In alto a sinistra il cittì Addesi (foto FCI)
Fino a qualche anno fa c’era sempre una sproporzione nel medagliere a favore delle handbike. La situazione adesso qual è?

Sta cambiando profondamente, anche se i campioni dell’handbike continuano a raccogliere allori. Ma lo dico apertamente, avremmo potuto ottenere molto di più con un pizzico di fortuna. Stacchiotti stava correndo un mondiale favoloso, era nella fuga decisiva di 5 corridori e il finale era a suo favore, ma una foratura ha spento i suoi e i nostri sogni. Sarebbe stata quantomeno un’altra medaglia perché l’arrivo era per lui. Anche nel tandem femminile Noemi Eremita e Marianna Agostini hanno perso per foratura un possibile bronzo. Senza dimenticare la Cretti che era in forma perfetta, ma ha avuto un problema meccanico prima della partenza. Ha corso con la bici di riserva, ma mentalmente non c’era più ed è comprensibile. Aspetteremo il mondiale su pista di Rio per rifarci. Non dimentichiamo che qualche anno fa non avevamo più neanche un ciclista, c’erano solo handbike. Ora diventiamo sempre più competitivi dappertutto.

La gioia di Di Felice e Andreoli per un oro atteso da ben 11 anni, vinto anche grazie a Totò e Bernard (foto FCI)
La gioia di Di Felice e Andreoli per un oro atteso da ben 11 anni, vinto anche grazie a Totò e Bernard (foto FCI)
Tra tante medaglie qual è quella che ti ha emozionato di più?

Dico la verità, l’oro del tandem, perché mancava da 11 anni ed è il frutto di un lavoro prolungato. Vedere un tandem che a distanza di due anni dalla sua costituzione vola sul gradino più alto del podio vuol dire che abbiamo lavorato bene (e a tal proposito Addesi racconta un episodio, ndr). Lo scorso anno a ottobre ho invitato Di Felice a provare il tandem con Andreoli. Sono venuti nella mia zona, a casa mia abbiamo fatto un test, ho visto subito che c’era qualcosa di buono.

Qual è la loro storia?

Di Felice, dopo le brutte vicissitudini culminate con la lunga squalifica ha trovato con noi la strada per riscattarsi. Io penso che avrebbe avuto tutto per fare il professionista. Le vicissitudini passate io le conosco in parte, non tutte, ma sono parte del passato. E’ molto determinato, ha una testa che è impressionante. Andreoli da parte sua l’agonismo lo aveva già masticato nello sci. Io però ho visto un Andreoli cambiato nel giro di un anno, che fa da guida anche agli altri. Sono andati proprio forte, le altre nazioni sono venute a complimentarsi e non dimentichiamo che ai piedi del podio sono finiti Totò e Bernard che hanno giocato di squadra.

Nella categoria H3 Testa e Pini hanno fatto compagnia sul podio al dominatore francese Bosredon (foto FCI)
Nella categoria H3 Testa e Pini hanno fatto compagnia sul podio al dominatore francese Bosredon (foto FCI)
Nelle handbike continuiamo a vincere con campioni che prolungano negli anni i loro successi, ad esempio Mazzone, il portabandiera di Parigi…

Le categorie di Mazzone, Cornegliani tengono conto di disabilità molto gravi, che portano gli atleti a prolungare negli anni la loro attività perché arrivare a quei livelli, anche per chi è giovane, è difficile. Nelle loro condizioni l’attività richiede enormi sacrifici, basti dire che se si gareggia o ci si allena alle 10, per espletare tutte le proprie attività bisogna alzarsi anche alle 4 di notte. Non tutti sono disposti a fare questi sacrifici. Le categorie con la C sono diverse, spesso sono legate a incidenti, per la maggior parte in moto.

Per Addesi non c’è nemmeno il tempo di rifiatare perché c’è subito da mettersi a lavorare per i mondiali su pista…

Sarà un mondiale un po’ ridotto perché lontano e non dà punti per le qualificazioni olimpiche, ma posso garantire che già dal prossimo anno avremo un livello più alto, a partire già dai materiali. Stiamo lavorando per trovare situazioni a nostro vantaggio. Stiamo lavorando proprio per Los Angeles, con calma, perché le cose si fanno per tempo, ma sono sicuro che nell’arco di un paio d’anni avremo un gruppo solido e forte sia su strada che su pista. Quest’anno però non andrò a Rio per cambiare aria con gli atleti che ho. Mi aspetterò piazzamenti importanti, potrebbe arrivare anche qualche medaglia. Guardando solo alle specialità olimpiche perché non dobbiamo disperdere le energie. La Federazione ci sta sostenendo, sono sicuro che anche il Comitato italiano Paralimpico ci metterà delle condizioni migliori per arrivare alle prossime Paralimpiadi con una squadra veramente di livello forte. Io voglio vincere, parliamoci chiaro…

Addesi e l’idea di una speciale domenica paralimpica

28.08.2025
5 min
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Quella di domenica è stata una “prima” storica, che potrebbe rivoluzionare anche una certa cultura ciclistica imperante nel nostro Paese. Al GP Colli Rovescalesi, classica internazionale per Elite e U23 in terra pavese, si è presentata al via anche la nazionale paralimpica, al suo ultimo test prima dei mondiali di Ronse (BEL) che prendono il via proprio oggi. Mai in passato c’era stata questa commistione e la cosa, al di là dei risultati, ha fatto certamente notizia.

Quella di domenica a Rovescala è stata una prima assoluta per il ciclismo paralimpico. Prima di una serie?
Quella di domenica a Rovescala è stata una prima assoluta per il ciclismo paralimpico. Prima di una serie?

Alla vigilia delle gare titolate, il cittì Pierpaolo Addesi rivive quella che è stata un’esperienza forte, che personalmente ha voluto profondamente: «L’idea è nata dal fatto che le categorie C4 e C5 all’estero fanno abitualmente queste gare, per noi invece è una novità a cui non siamo abituati, anche perché fuori dai nostri confini molti corridori paralimpici sono all’interno di squadre Continental. Quando poi andiamo a gareggiare con loro abbiamo sempre difficoltà perché i ritmi sono diversi, l’approccio alla gara è diverso. Troviamo una concorrenza molto più allenata. I chilometraggi sono aumentati, le altimetrie anche. Questo tipo di gare sicuramente mi permettono di preparare meglio i ragazzi. Ci avevo già pensato lo scorso anno, ma devi anche avere il materiale umano giusto».

Nella squadra presentata a Rovescala e quindi ai mondiali, avevi invece gente abituata a questi confronti…

Sì perché il mio impegno è quello di trovare nuove leve, di fare proprio una propaganda, di cercare di reclutare il più possibile. E sto avendo un buon riscontro. Ci sono anche altri ragazzi che adesso non sono qui al mondiale, che però comunque ho già coinvolto in qualche ritiro federale e che dal prossimo anno sicuramente entreranno a far parte della rosa. Ragazzi di livello, Devo dire grazie al Consiglio Federale che ha appoggiato questa mia proposta e agli organizzatori che sono stati molto disponibili, con un’accoglienza bellissima.

Il gruppo azzurro impegnato da oggi fino a domenica alla rassegna iridata di Ronse
Il gruppo azzurro impegnato da oggi fino a domenica alla rassegna iridata di Ronse
Con che obiettivi vi siete presentati al via?

L’obiettivo era allenarsi e il fatto che 3 su 5 abbiano finito la gara è un ottimo segnale, anche perché gli altri due li abbiamo fermati noi non ritenendo necessario arrivare al termine, ma anzi sarebbe stato dannoso vista la differenza di chilometraggio. Quel che si è visto è che avevano tutti quei ritmi rimanendo comunque nel gruppo, quindi hanno onorato al meglio l’impegno.

Quanto cambia per i ragazzi gareggiare solo in prove paralimpiche e invece gareggiare in una gara del genere?

C’è un abisso. Ho sempre detto che per creare un gruppo di ciclisti dobbiamo metterli anche nelle condizioni di potersi preparare al meglio. Non nascondiamoci che comunque parliamo sempre comunque di atleti lavoratori. Stacchiotti ad esempio è in cantiere tutto il giorno. In una gara paralimpica c’è un numero molto più ristretto di corridori, quindi è meno stimolante.

Giacomo Salvalaggio, già Elite dell’Uc Pregnana in gara questa volta con la nazionale paralimpica
Giacomo Salvalaggio, già Elite dell’Uc Pregnana in gara questa volta con la nazionale paralimpica
Un esperimento che avrà un seguito?

Io dico che è solo la prima, queste gare a me serviranno per far diventare il settore ancora più competitivo. Spero vivamente che questo sia stato l’inizio di una lunga serie di questi appuntamenti, perché per noi è fondamentale in una programmazione di allenamento di un macrociclo, per prendere il ritmo e per avere un approccio completamente diverso alla gara. Io dico si è aperto un nuovo capitolo del paraciclismo.

Per gente come Totò e come Stacchiotti la gara di domenica era quasi ordinaria amministrazione. Per gli altri?

Anche Di Felice e Salvalaggio hanno abitudine a questi contesti, anzi soprattutto quest’ultimo fa attività normale. Un po’ diverso il discorso per Tarlao, che certamente non è un ciclista professionista, lavora come bancario, ma ha dimostrato di avere un gran motore, perché ha concluso i 5 giri tranquillamente. Andando avanti così, il livello lo alzeremo tanto anche noi. Io guardo in prospettiva, si sono avvicinati molti ragazzi, anche nomi importanti che non voglio svelare. E devo dire grazie anche voi media che vi occupate di noi: c’è un ragazzo che proprio leggendo di noi sulle vostre pagine mi ha contattato per provare…

Il GP Colli Rovescalesi ha premiato alla fine Marco Palomba della Padovani (foto Rodella)
Il GP Colli Rovescalesi ha premiato alla fine Marco Palomba della Padovani (foto Rodella)

Per Stacchiotti un ritorno al passato

Tra i protagonisti di questo evento storico anche Riccardo Stacchiotti, che ha rivissuto esperienze ormai perse nella memoria: «L‘ultima gara disputata tra i dilettanti l’ho fatta nel 2013, anche per questo l’idea mi stuzzicava. Tornare ad attaccare il numero in una categoria molto competitiva, non mi dispiaceva affatto, anche se temevo di non reggere i ritmi, visto che il livello si è alzato ulteriormente. Quindi diciamo che c’era curiosità e anche un po’ di apprensione».

Cinque di voi con la maglia azzurra: come vi vedevano gli altri?

E’ stato bello veramente presentarsi con le maglie azzurre, fa sempre un certo effetto e ho visto che nelle squadre che ci hanno visto arrivare, destavamo tanta curiosità. Soprattutto quando si sono accorti che eravamo pienamente competitivi, penso che sia stata una bella scoperta per tutti. Anche il pubblico ci ha sostenuto, io non ho visto alcun preconcetto, c’era un appoggio pieno e quel calore che la maglia azzurra sempre suscita.

Stacchiotti è in piena crescita, dopo il bronzo conseguito in Coppa del mondo a Maniago
Stacchiotti è in piena crescita, dopo il bronzo conseguito in Coppa del mondo a Maniago
Tu sei uno di quelli più esperti da questo punto di vista, i vostri avversari come vi hanno accolto in gara?

Ho visto un’enorme rispetto verso di noi, un mio compagno nazionale che conosceva un po’ più l’ambiente mi raccontava che gli andavano a chiedere se pure noi potevamo fare classifica, quasi impauriti perché ad esempio io e Totò avevamo un passato da professionisti. Devo dire che questo rispetto nei miei confronti e nei confronti dei miei compagni mi ha fatto davvero piacere.

In base alla tua esperienza, il fatto di gareggiare tra i normodotati può essere davvero un aiuto?

Sicuramente e spero che sia l’inizio di una lunga serie di esperienze perché si alza il nostro livello atletico e di corsa in generale. Dobbiamo proseguire su questa strada…

La nuova vita di Paolo Totò, ora veterano paralimpico

06.08.2025
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Paolo Totò l’avevamo lasciato nel 2021, a chiusura di una carriera da pro’ neanche tanto lunga e con belle soddisfazioni, ad esempio la piazza d’onore al Trofeo Laigueglia 2018 dietro Moreno Moser, seppur non fosse mai uscito dall’universo delle continental, senza riuscire ad avere una chance per un livello superiore. Quando appese la bici al classico chiodo sembrava che la sua vita ciclistica fosse conclusa, non poteva sapere che, come dice il proverbio, chiusa una porta si sarebbe aperto un portone che lo avrebbe portato addirittura a vestire la maglia azzurra.

Con Fabio Colombo, Totò aveva colto un prestigioso podio agli europei 2023 (foto Instagram)
Con Fabio Colombo, Totò aveva colto un prestigioso podio agli europei 2023 (foto Instagram)

Paolo infatti è ora una colonna portante della nazionale paralimpica, ma per capire com’è nata questa sua seconda vita ciclistica bisogna tornare indietro nel tempo, alle sue scelte di 4 anni fa.

«Avevo già lasciato il il ciclismo ed ero pronto a dedicare la mia passione al mondo amatoriale, mi ero già tesserato con il Team Go Fast. In quello stesso anno ho avuto la proposta di Pierpaolo Addesi di provare l’esperienza paralimpica. Non ho avuto dubbi nell’accettare subito, ho pensato che poteva essere davvero una bellissima esperienza, una cosa nuova per me. Mi ha dato subito una motivazione giusta per riprendere. E sono contentissimo di aver preso questa decisione».

Il fermano, parallelamente alla sua attività in nazionale, si tiene in allenamento nelle Granfondo (foto Facebook)
Il fermano, parallelamente alla sua attività in nazionale, si tiene in allenamento nelle Granfondo (foto Facebook)
Facciamo un salto indietro, quando tu hai chiuso con il professionismo, cosa hai fatto dal punto di vista professionale?

Ho iniziato a lavorare in un ristorante-pub. La sera ho frequentato la scuola per massaggi diplomandomi e e ho iniziato a fare i massaggi a casa, aprendo una mia attività. Collaboravo con una palestra, poi dopo ho chiuso l’attività e la mia partita IVA perché comunque la nazionale mi portava via moltissimo tempo e non riuscivo a gestire la mia attività di massaggi. L’anno scorso si è aperta la possibilità di andare a fare le Paralimpiadi, è stato un motivo in più per concentrarmi su quello.

Che ambiente hai trovato nel mondo paralimpico?

Un ambiente tutto nuovo per me, ma sicuramente molto più bello di quando correvo fra i professionisti. Più rilassante, un mondo particolare, con tante storie e tanti racconti che mi hanno portato a essere sempre più coinvolto a 360°.

Il podio del Laigueglia 2018 con il marchigiano secondo, battuto da Moser in maglia azzurra
Il podio del Laigueglia 2018 con il marchigiano secondo, battuto da Moser in maglia azzurra
Tu quest’anno hai cambiato, diventando la guida di Bernard, prendendo il posto di Plebani sul tandem medagliato paralimpico…

Ogni anno c’è stato un cambiamento per me, perché sono passato da avere Fabio Colombo il primo anno, poi l’anno scorso con Federico Andreoli le Paralimpiadi e adesso quest’anno sono con Lorenzo ed è arrivata subito la prima vittoria in Coppa del Mondo a Ostenda. A Magnago siamo stati sfortunati, abbiamo avuto un problema meccanico al secondo giro e non siamo potuti ripartire, ma stiamo molto bene insieme.

Quanto cambia per una guida la sostituzione del compagno di tandem?

Cambia moltissimo, sia caratterialmente che fisicamente. Lorenzo ha una marcia in più perché ha un passato da atleta, è stato medagliato anche nel canottaggio, era già un atleta ben strutturato rispetto agli altri ragazzi. Poi è quello dei tre che comunque assomiglia di più alle mie caratteristiche.

Negli ultimi tre anni Paolo Totò ha cambiato sempre compagno di tandem. Ora c’è l’olimpico Bernard (foto Instagram)
Negli ultimi tre anni Paolo Totò ha cambiato sempre compagno di tandem. Ora c’è l’olimpico Bernard (foto Instagram)
Si dice sempre che nel ciclismo paralimpico di oggi si stia raggiungendo un livello professionale enorme. All’estero, praticamente sono veri e propri professionisti. Trovi più differenza adesso rispetto a questi o quando correvi in team Continental contro quelli del World Tour?

Beh, diciamo che quando correvo fra i professionisti mi sono scontrato con gente di calibro molto importante. La differenza lì si notava perché comunque essendo in una squadra Continental erano davvero due mondi diversi, con possibilità economiche neanche comparabili. Qui tra l’altro ho trovato tanti che correvano con me, che hanno fatto la mia stessa scelta, ma sono rimasti professionisti, lo fanno per lavoro in squadre professionistiche. Sia le guide che gli atleti. Negli ultimi due anni il livello qualitativo si è alzato enormemente. Volete sapere una cosa? Mi alleno anche più di quando correvo fino a 4 anni fa…

Vedi nel livello del paraciclismo italiano un gap da colmare rispetto agli altri?

Tecnicamente sì, soprattutto su pista.  Siamo in linea con i tempi, ma è a livello di materiali che in questi tre anni si deve lavorare per colmare il divario. E noi possiamo migliorare anche la nostra capacità atletica. Su strada diciamo che noi possiamo dire la nostra. Possiamo competere con i migliori, soprattutto nelle prove in linea perché a cronometro torna in ballo il discorso materiali. Ma io sono ottimista, mancano tre anni all’appuntamento principe, abbiamo il tempo necessario.

Totò ha corso nelle continental dal 2016 al 2021, cogliendo molti podi in Italia e all’estero
Totò ha corso nelle continental dal 2016 al 2021, cogliendo molti podi in Italia e all’estero
Prossimi appuntamenti?

Siamo in ritiro con la nazionale a Campo Felice fino al 13 agosto e poi partiremo il 24 agosto per i mondiali strada e cronometro a Ronsse in Belgio. Che cerco di prendere senza assilli. Lo scorso anno ho pensato continuamente alle Paralimpiadi e poi è andata com’è andata. Questo è un anno più di transizione perché non portano punti per le qualificazioni olimpiche, quindi diciamo che sono molto più tranquillo. E chissà che non sia meglio così…

Di Somma e un addio arrivato troppo presto

27.03.2025
6 min
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Un paio di mesi fa Fabio Triboli, campione paralimpico a Pechino 2008, era al telefono con Fabrizio Di Somma: «Ci vediamo la Sanremo insieme?», gli aveva detto sapendo della malattia che lo stava consumando. «Caro Fabio, spero di esserci ancora…», era stata la sofferta risposta del laziale, che lo aveva gelato. Purtroppo non ce l’ha fatta, cedendo il passo nella sua corsa più importante, a soli 54 anni.

Fabrizio Di Somma non era un personaggio comune nel mondo del ciclismo paralimpico. Anzi, ne è stato una colonna: prima come atleta conquistando anche un argento e due bronzi olimpici a Sydney 2000, poi come direttore tecnico, condividendo una buona parte della sua storia con Mario Valentini, che l’aveva portato in quel mondo così particolare.

Di Somma insieme a Mario Valentini, per anni suo tecnico in nazionale per poi entrare nel suo staff (FotoGliso)
Di Somma insieme a Mario Valentini, per anni suo tecnico in nazionale per poi entrare nel suo staff (FotoGliso)

La sua forza? L’astuzia

Fabrizio era un atleta normodotato, parola distintiva che giustamente non aveva in grande simpatia, che come altri si era messo a disposizione della causa. Oggi lo fanno tante stelle del ciclismo su strada e su pista, allora non era così comune. Ma in quell’ambiente Di Somma, che in passato era stato un buon stradista arrivando fino ai dilettanti nelle file della Forestale, aveva trovato il modo per dare respiro alla sua passione: la bici.

Per Valentini, Fabrizio era prima di tutto un amico, anche se di un’altra generazione: «Ricordo quando arrivò nel gruppo. Lo conoscevo come buon corridore, tra i ragazzi c’era bisogno di inserire ciclisti in grado di guidare il tandem. Gli proposi l’idea e a lui piacque subito. C’era pochissimo tempo, eppure iniziò con entusiasmo con l’obiettivo di andare ai mondiali in Australia. Fu protagonista, aveva imparato subito. Fabrizio non era un ciclista che si distingueva particolarmente per mezzi fisici o talento, ma aveva una furbizia unica, sapeva sempre come muoversi.

Il laziale aveva seguito tutta la trafila ciclistica, fino ai dilettanti emigrando a Parma
Il laziale aveva seguito tutta la trafila ciclistica, fino ai dilettanti emigrando a Parma

Gli anni d’oro del ciclismo paralimpico

«Con Fabrizio abbiamo vissuto stagioni difficili – ricorda Valentini – ma proprio per questo entusiasmanti. Sono stati gli anni nei quali abbiamo iniziato a fare bottino nei grandi eventi fino a diventare un esempio per tutto il mondo. Eppure non avevamo nulla quando arrivammo, eppure tutti, lui compreso, contribuirono a dare qualcosa in più, a supplire con l’impegno alle carenze. Venne poi l’epoca di Macchi, dello stesso Triboli, Farroni e così via.

«Lo conoscevo da quando aveva 9 anni. Venne con un gruppo di ragazzini di Latina, io già lavoravo al velodromo e me lo vidi davanti, con una sagacia enorme. Correva con grande intelligenza e questa l’ha messa a disposizione anche quando da atleta è passato tecnico. Nessuno aveva la sua preparazione, di ogni cosa voleva sapere tutto. Quando eravamo in trasferta, gli chiedevo: “«”Che cosa sai di quel corridore o di quella squadra?“. “Capo, dammi 10 minuti e ti dico tutto“, era sempre la sua risposta. Parlava correntemente tre lingue e non ne aveva studiata una…».

Insieme ad Alex Zanardi nel 2014, uno dei momenti migliori del ciclismo paralimpico italiano
Insieme ad Alex Zanardi nel 2014, uno dei momenti migliori del ciclismo paralimpico italiano

Una chiusura di carriera sofferta

Di Somma è stato alla Forestale fino al 2017 per poi passare ai Vigili del Fuoco: «Ricordo che mi raccontava quanto gli dispiacesse e non trovasse giusto il fatto di prendere uno stipendio più alto rispetto ai suoi pari grado, perché veniva da un’altra realtà militare. Perché Fabrizio era così: un animo buono, che non litigava mai con nessuno. L’addio alla nazionale dopo Tokyo 2020 gli aveva fatto male, ci aveva sofferto tanto soprattutto nel vedere quanta acredine ci fosse stata».

ll carattere del laziale è riassunto fortemente dall’episodio che segnò la sua uscita di scena dall’agonismo, un terribile incidente stradale nel 2010 nel quale riportò più di 30 fratture: «Aveva una gamba davvero distrutta, eppure non faceva altro che dire che voleva tornare in bici, già quand’era in ospedale. La rieducazione è stata lunga e difficile, ma lui non faceva altro che ripetere “datemi una bici e mi rimetto in sesto” e così è stato, ha fatto qualcosa di grandioso. Poi il destino l’ha messo di fronte a un’altra battaglia, un tumore al pancreas e al fegato, ma era troppo grande per lui. Me lo disse in una telefonata: “Capo, devo darti una brutta notizia…”. Mi è crollato il mondo addosso».

Fabrizio Di Somma ha corso fino al 2010, costretto poi al ritiro da un gravissimo incidente
Fabrizio Di Somma ha corso fino al 2010, costretto poi al ritiro da un gravissimo incidente

La gara più bella? Quando perse…

C’è una gara che più delle altre è rimasta impressa nella mente del suo tecnico? «Paradossalmente è una di quelle che non vinse. Paralimpiadi di Atene 2004: Fabrizio sapeva che non aveva i mezzi per vincere, c’erano coppie molto più forti e blasonate. Ma lui prima della partenza mi dice: “basta solo che facciano uno sbaglio e li faccio secchi tutti”. E quasi ci riusciva: sul rettilineo d’arrivo aveva trovato uno spazio di meno di un metro eppure ci si era buttato dentro con tutto il coraggio di questo mondo. Ma il tandem è lungo e un avversario li chiuse la porta facendogli perdere il ritmo. Finirono quarti, ma avrebbero potuto vincere.

«Lui diceva sempre che aveva due grandi amori ed era stato fortunato per questo: la famiglia e la bici. Per questo non faceva altro che ringraziare e diceva che non gli piacevano quelli che si lamentano sempre del lavoro, perché fai tante ore, guadagni meno di quell’altro e così via. Quando hai qualcosa bisogna sempre ringraziare e diceva che questo valore si è un po’ perso. Io che ho quasi trent’anni più di lui devo riconoscere che aveva una saggezza fuori del comune».

Fabrizio svolgeva anche opera di consulenza in giro per l’Italia per invitare a fare sport (foto Caddeo)
Fabrizio svolgeva anche opera di consulenza in giro per l’Italia per invitare a fare sport (foto Caddeo)

Guardare l’insieme

Dopo la sua scomparsa, sui social al fianco dei tanti messaggi di cordoglio sono comparsi anche riferimenti poco simpatici alle polemiche seguenti il travagliato cambio tecnico post Tokyo 2020. Il che porta a una considerazione: se da una parte è vero che quando una persona scompare tutti ne tessono le lodi, magari anche con un pizzico di ipocrisia, dall’altro è anche vero che, alla fine, molti dimenticano di andare oltre i singoli episodi e guardare il complesso, il valore di una persona nel corso di tutta la sua vita. E forse è proprio quel valore acquisito, la più grande vittoria di Fabrizio Di Somma.

La nuova vita di Plebani, ora a caccia del podio olimpico

09.04.2024
6 min
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Per Davide Plebani la notizia della prossima convocazione per i Giochi Paralimpici ha un sapore dolce come il miele. E’ già di per sé un riscatto dopo che la sua carriera da pistard si era chiusa senza essere riuscito a ottenere quel che voleva. Per anni parte della nazionale, sempre nel gruppo del quartetto anche se non titolare, nel corso del tempo Plebani era diventato l’esempio della grande speranza non concretizzatasi, di un corridore di grande talento ma con risultati inferiori a quelli che si attendevano. Il treno olimpico sembrava passato, invece…

La storia del suo connubio con Lorenzo Bernard, che l’ha portato al bronzo mondiale e quindi all’ammissione d’ufficio alla rassegna a cinque cerchi è un racconto che Davide fa con una gioia palpabile, che traspare dalla sua voce anche per il fatto che questo successo è condiviso.

I due in allenamento a Rio. Il loro bronzo vale direttamente la qualificazione olimpica
I due in allenamento a Rio. Il loro bronzo vale direttamente la qualificazione olimpica

«Io avevo smesso di correre per mia scelta, i mondiali del 2022 erano stati l’ultimo atto di una carriera comunque importante, considerando che ho dalla mia anche un bronzo mondiale ed europeo nell’inseguimento. Un mese dopo aver appeso la bici al chiodo mi ha chiamato il presidente della Fci Dagnoni, dicendomi che ha sempre creduto in me e che era un peccato mollare, ma che avrei potuto dare un contributo diverso. Mi ha suggerito l’idea del paraciclismo, fatto sta che a gennaio ero già in sella al tandem».

Una specialità completamente diversa, anche dal punto di vista tecnico…

Sì, serviva un po’ di tempo per abituarsi, ma d’altro canto la regola che vuole il decorrere di un anno di passaggio dal ciclismo olimpico a quello paralimpico mi dava il tempo per ambientarmi. Poi la mia esperienza nei velodromi mi consentiva di prendere presto confidenza col nuovo mezzo. Attenzione però, perché con Lorenzo il nostro impegno non riguarda solo la pista, ma anche le gare su strada, in linea e a cronometro. Io prima ero abituato ad affrontare le prove contro il tempo come un di più, ora invece sono un obiettivo vero e proprio.

Per Plebani e Bernard c’è anche la strada, con due occasioni di gara a Parigi 2024
Per Plebani e Bernard c’è anche la strada, con due occasioni di gara a Parigi 2024
Che cosa significa correre in tandem?

E’ diverso, non tanto e non solo per il gesto tecnico. E’ fondamentale trovare il giusto feeling con il compagno, conoscersi anche fuori dalla gara, entrare in sintonia. Soprattutto nel nostro caso dove per forza di cose abbiamo compiti diversi. Lorenzo, dietro, è fondamentale, perché deve spingere e trovare una grande sensibilità di gesto verso di me, seguire e assecondare la mia pedalata. In sella comunichiamo molto, io non sono solamente i suoi occhi, ma devo dargli i tempi. E’ importantissimo che ci sia sincronia e questa si acquisisce con il lavoro.

Accennavi al fatto che non sarete impegnati solo su pista, quanto cambia il vostro impegno passando alla strada?

Sono sforzi diversi. Le cronometro sono intorno ai 30 chilometri e anche qui bisogna trovare il giusto rimo di pedalata. Nelle gare in linea serve anche la sensibilità nel coesistere con gli altri, sono prove sui 100-120 chilometri, forse sono quelle dove il connubio è più forte. Resta il fatto che pista e strada sono connesse, ognuna è utile all’altra come per me è sempre stato, ogni specialità aiuta l’altra.

Ai mondiali hai ritrovato tanti corridori che erano con te nelle gare su pista e su strada da normodotati. Che effetto ti ha fatto ritrovarli in una situazione così diversa?

E’ particolare, tra una gara e l’altra a Rio spesso ci ritrovavamo, ci salutavamo, condividevamo le nostre esperienze e in tutti ho trovato la gioia di essere lì, di vivere questa nuova esperienza molto più profonda. E’ qualcosa che va al di là della pura competizione, è appagante già per il solo fatto di esserci. Ho trovato campioni della pista e anche della strada, è stato bellissimo.

Personalmente che effetto ti fa questa nuova esperienza?

Sono contentissimo, mi sento per la prima volta teso verso un obiettivo chiaro. Avevo chiuso la mia carriera insoddisfatto, mi era mancato qualcosa, soprattutto non sentivo fiducia intorno a me. Invece qui è tutto diverso. A gennaio avevamo gareggiato in Coppa del Mondo e le cose non erano andate bene, ma sapevo di poter crescere e avevo chiesto fiducia a Perusini. Lui me l’ha accordata, si è fidato. Io e Lorenzo abbiamo lavorato insieme trovando il giusto mix e ho potuto dare risposta a quella fiducia. Ora so che possiamo fare anche molto meglio, abbiamo ampi margini di crescita, quindi per Parigi sono molto ottimista.

Lorenzo Bernard, 27 anni della Valsusa, è già stato olimpico a Tokyo 2020 nel paracanottaggio
Lorenzo Bernard, 27 anni della Valsusa, è già stato olimpico a Tokyo 2020 nel paracanottaggio
Oltretutto avere già in tasca il biglietto olimpico è una motivazione in più…

Sì, perché possiamo concentrarci totalmente sulla preparazione, anche le tappe di Coppa diventano ora semplici test, non dobbiamo dannarci l’anima per qualificarci. Noi ci crediamo fortemente, possiamo davvero puntare al massimo risultato, l’importante è finalizzare l’obiettivo. Il mondiale era una tappa, il target è più in là…

Ti ritroverai a Parigi come la tua compagna Elisa Balsamo. Che cosa ha detto di questa tua seconda carriera?

Elisa mi aiuta e mi supporta in tutto, come io faccio con lei. Ci siamo sentiti durante i mondiali, ma lei era contenta per me già prima, mi diceva che da tempo non mi vedeva così felice, così concentrato verso qualcosa e per lei tanto bastava, i risultati venivano di conseguenza. Sarebbe stato bellissimo condividere la nostra esperienza olimpica, ma anche il fatto di viverla entrambi anche se con qualche settimana di differenza è esaltante.

Plebani con Elisa Balsamo: saranno entrambi a Parigi, ma in periodi diversi
Plebani con Elisa Balsamo: saranno entrambi a Parigi, ma in periodi diversi
Che impressione hai tratto dal mondo del ciclismo paralimpico?

Non credevo davvero di trovare tanta professionalità. Sono atleti veri. Il primo pensiero che mi è venuto in mente è che qui dovevo andare anche più forte di prima, se volevo emergere. Poi c’è il fatto che non si corre solamente per se stessi, si condivide l’esperienza con un compagno ed è bellissimo. Vorrei che Parigi fosse già domani…

Il ciclismo paralimpico italiano ha trovato un nuovo tesoro: la pista

02.04.2024
6 min
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Nei giorni scorsi Rio de Janeiro ha ospitato i mondiali di ciclismo paralimpico su pista e la nazionale italiana è tornata a casa con un oro, un argento e 3 bronzi (nella foto di apertura della Fci). Un bottino sontuoso, considerando che la disciplina era sempre stata l’anello debole del movimento, pochissimo praticata e pressoché senza squilli. Qualcosa si era già visto lo scorso anno a Glasgow, ma si gareggiava in un contesto particolare, con tutte le discipline su due ruote concentrate in una sorta di “Olimpiade interna”. Questa volta no, tutti i fari dell’attenzione erano sul velodromo e sugli atleti paralimpici.

Perusini insieme a Claudia Cretti. Il tecnico azzurro ha costruito il settore quasi dal nulla
Perusini insieme a Cretti. Il tecnico azzurro ha costruito il settore quasi dal nulla

Tre anni per costruire una disciplina

Inoltre, dato da non sottovalutare, fino a pochissimi anni fa in Italia il ciclismo paralimpico era sinonimo di handbike e nient’altro. Tanti allori in quello specifico settore, niente nell’altro al punto che tre anni fa, ai Giochi Olimpici di Tokyo, non eravamo neanche presenti (e nel mondo paralimpico il ciclismo su pista è disciplina trainante, quasi al livello di atletica e nuoto).

Per questo i risultati ottenuti in Brasile hanno un peso enorme e Silvano Perusini, il cittì del settore ci tiene che venga messo in rilievo: «Non guardo solo al medagliere, ma anche alle prestazioni generali, ho visto tempi davvero di rilevanza internazionale. Poi è arrivato l’oro e non in una specialità qualsiasi, ma nel team sprint con i tandem, battendo la Gran Bretagna che di questo sport è un po’ il faro per tutti».

La squadra azzurra del team sprint, con Colombo, Bissolati, Meroni e Ceci
La squadra azzurra del team sprint, con Colombo, Bissolati, Meroni e Ceci

Cretti e il tandem già a Parigi

Non era, quello di Rio, un mondiale normale, perché arriva a pochissimi mesi dai Giochi Paralimpici di Parigi e quindi non solo dava punti fondamentali per le qualificazioni, ma era anche uno specchio di quel che ci poteremo aspettare.

«Ci presenteremo a Parigi non per fare comparsa. Intanto ci sarà Claudia Cretti che a Rio ha preso tre medaglie pur essendo lontana dalla miglior condizione per alcuni problemi e questo dà a lei e a noi molta speranza. Poi avremo Bernard e Plebani nel tandem che a Rio hanno preso un bronzo clamoroso. Anche perché è una coppia costituita da pochissimo. Non dimentichiamo che Plebani fino a poco più di un anno fa era nel gruppo di Villa, ha dovuto aspettare che decorressero i 12 mesi richiesti dall’Uci per il passaggio dal settore olimpico a quello paralimpico».

I due tandem oro nel team sprint con Bissolati e Colombo davanti, Ceci-Meroni dietro
I due tandem oro nel team sprint con Bissolati e Colombo davanti, Ceci-Meroni dietro

Tokyo 2020 senza azzurri al velodromo

E’ qualcosa per certi versi clamoroso, perché tre anni fa la nostra assenza nel velodromo, in un’edizione paralimpica considerata la migliore di sempre, fece comunque scalpore: «Siamo partiti da zero, non posso negarlo. Nel precedente quadriennio non c’era alcuna attività nei velodromi. Non c’era organico, non avevo niente in mano. Devo dire grazie alla Federazione e al Cip che si sono resi conto di come quell’assenza fosse una macchia nell’immagine dello sport italiano e mi hanno messo nelle migliori condizioni per lavorare. Negli ultimi 18 mesi si è investito molto, considerando anche che per colpa del Covid abbiamo avuto un anno in meno per lavorare. Ma non dobbiamo illuderci: anche se a Parigi ci saremo, abbiamo un lungo cammino da compiere.

Bernard e Plebani, in un anno sono arrivati sul podio mondiale e ora sognano Parigi
Bernard e Plebani, in un anno sono arrivati sul podio mondiale e ora sognano Parigi

Manca ancora un calendario

«Ora abbiamo un velodromo per lavorare, materiali, anche un budget seppur non cospicuo. Ma siamo anni luce lontani dalle altre Nazioni. Ai mondiali abbiamo portato gente che era alle prime armi in assoluto, non solo in ambito internazionale, ma proprio immersa in un ambiente completamente sconosciuto. E ci confrontiamo con nazioni dove c’è una tradizione pluridecennale. Per questo i nostri risultati sono clamorosi».

Perusini, pur facendo leva sull’entusiasmo e sulle speranze per Parigi, non dimentica dove si deve lavorare: «E’ fondamentale che si costruisca un calendario nazionale di gare. Noi non l’abbiamo e questa è una grave lacuna. C’è gente che non ha mai fatto gare di gruppo, senza alcuna esperienza, facendo leva solo sulla propria preparazione che in contesti del genere risulta quasi asettica. Da noi deve crescere la cultura paralimpica, abbiamo bisogno dell’impegno delle società, anche, anzi soprattutto nell’allestimento di eventi. Costruiamo una strada che porta ai grandi eventi. Allora le imprese di Cretti o Bernard-Plebani non saranno più isolate».

Per Claudia Cretti a Rio l’argento nello scratch e il bronzo nell’omnium e nell’inseguimento
Per Claudia Cretti a Rio l’argento nello scratch e il bronzo nell’omnium e nell’inseguimento

Il cammino verso Parigi

Che atmosfera c’era a Rio? «Pubblico ce n’era, ma è stato sicuramente molto diverso da quanto avvenuto a Glasgow. Lì avevamo un’attenzione mediatica straordinaria perché eravamo fianco a fianco con i grandi campioni del ciclismo. Questa volta l’impatto è stato più tranquillo».

Ora la mente è proiettata verso Parigi, ma il cammino è ancora lungo: «Abbiamo in programma due prove di Coppa del Mondo, a Maniago e Ostenda, poi verranno stilati i ranking definitivi e sapremo a quanti posti abbiamo diritto per tutto il ciclismo paralimpico. A quel punto con Pierpaolo Addesi che è il cittì della strada faremo le nostre scelte. E’ chiaro però che un podio iridato dà già un posto nella selezione azzurra e mi dispiace che il team sprint non sia fra le specialità previste a Parigi, meritavano quella chance. La Colombo ha appena 19 anni, anche Meroni è giovanissimo e con Bissolati e Ceci hanno subito trovato un connubio importante. Quell’oro è stato un capolavoro ed è lo specchio di dove possiamo arrivare se c’è collaborazione da parte di tutti».

Per la rappresentativa azzurra 8° posto nel medagliere vinto dalla Cina con 14 ori
Per la rappresentativa azzurra 8° posto nel medagliere vinto dalla Cina con 14 ori

Come a Tokyo, se non di più…

Finora l’Italia del ciclismo paralimpico è stata identificata con l’handbike. In che modo questa, non prevista a Rio, si presenterà al consesso olimpico?

«Dopo Tokyo abbiamo profondamente rivoluzionato la nazionale, immettendo nomi nuovi, molti giovani che hanno fatto esperienza come Pini e Testa già assiso sul massimo gradino del podio mondiale. Tanti elementi sono ancora “grezzi” nel senso che hanno poca esperienza, ma io dico che andremo a Parigi per puntare allo stesso obiettivo di Tokyo ma con la possibilità di fare anche di più».

Da Glasgow a Rotterdam, la rincorsa di ct Addesi a Parigi 2024

16.08.2023
6 min
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Oggi a Rotterdam, nel contesto degli European Para Championships (voluti dalla EPC, che sta a tutti gli sport paralimpici europei come UEC sta al ciclismo) sono iniziate anche le prove di ciclismo. Direttamente da Glasgow, dove li abbiamo incontrati, sono volati in Olanda anche alcuni atleti azzurri guidati da Pierpaolo Addesi, abruzzese classe 1976, che fino a Tokyo 2021 ha gareggiato in bici in mezzo a questi stessi ragazzi.

Come abbiamo già detto a proposito del settore pista, la concomitanza scozzese ha dato visibilità anche allo sport paralimpico. Tuttavia, mentre gli atleti di Perusini hanno gareggiato nello stesso velodromo di Ganna e compagni, gli stradisti di Addesi sono stati spediti a Dumfries, 130 chilometri a nord.

Addesi e Tarlao: per l’azzurro di Gorizia, bronzo nella prova in linea C5 (foto FCI)
Addesi e Tarlao: per l’azzurro di Gorizia, bronzo nella prova in linea C5 (foto FCI)

La staffetta di Glasgow

L’incontro col tecnico azzurro, che da quest’anno ha preso in mano tutto il settore, avviene dopo la caduta di Luca Mazzone nella staffetta a squadre, che ha visto l’Italia prima in seconda posizione e poi sparire dalle classifiche a causa dell’incidente.

«Stavano andando forte – dice Addesi – era un argento assicurato, bisognava solo gestire il vantaggio sulla terza, mentre la Francia al comando non si prendeva più. Probabilmente una distrazione, forse la curva troppo veloce. Quell’ultimo giro si poteva fare in modo più tranquillo, dato che il tempo si costruisce nel secondo, ma anche questa grande organizzazione poteva pensare di mettere qualche materasso nelle curve più pericolose? A Dumfries se non altro sugli spartitraffico al centro hanno messo i materassi. Questi ragazzi hanno una visibilità completamente diversa dalle bici. Sono in basso, quindi vedono gli ostacoli all’ultimo e a volte non li vedono neanche. Quindi forse un po’ più di attenzione in questo ci voleva».

Guardandolo nel complesso, che mondiale è stato?

Ottimo, perché a parte quest’ultima disavventura, qualche incidente di troppo con le donne H3 e H4 e qualche quarto posto che ci sta stretto, direi che è andato bene. La squadra si è comportata in modo egregio, sono stati compatti. Il risultato dell’H3 (vittoria di Mirko Testa, foto FCI in apertura, ndr), dimostra proprio che c’è un affiatamento non indifferente. Abbiamo tre personaggi molto forti nella stessa categoria, cercare di gestirli non è semplice. Invece hanno seguito le indicazioni che gli ho dato e questa cosa mi fa molto piacere perché vuol dire che si vogliono bene.

Quali indicazioni avevano?

Ho voluto risparmiare Mirko Testa, perché era un arrivo dove poteva fare differenza, e gli altri si sono messi a disposizione. Maestroni ha gestito la prima parte di gara, poi ha mollato e nell’ultimo giro si è riposato, pensando al team relay. Invece Cortini l’ha sostenuto sino in fondo ed è finita come pensavamo.

Nella gestione personale di Pierpaolo Addesi, com’è andata? Che esperienza è stata?

Questo è il primo anno con il titolo di tecnico, ma in fondo anche lo scorso anno ho gestito molto questa nazionale. Non la chiamerei seconda esperienza, perché ci sono dentro da vent’anni. Prima da atleta, per cui questo mondo lo conosco bene. E poi ho un ottimo rapporto con gli atleti, perché con tanti di loro eravamo compagni di squadra. Sicuramente ho il vantaggio, essendo stato dentro ed essendo anch’io un ex atleta paralimpico, di poter fornire qualche accorgimento in più sulla logistica e sulla gestione personale degli atleti.

Addesi e Mazzone: momento ad alta intensità emotiva dopo l’incidente: bici distrutta, l’atleta sta bene
Addesi e Mazzone: momento ad alta intensità emotiva dopo l’incidente: bici distrutta, l’atleta sta bene
Anche al di fuori delle gare?

Qui non c’è solamente da stare attenti ai percorsi, ma c’è tutto un discorso completamente diverso, a partire dall’accessibilità dei servizi degli alberghi. Quindi questa è una parte molto importante per farli stare bene.

Credi che il mondiale tutti insieme vi abbia dato più visibilità?

Sicuramente è stato una vetrina importante, perché il mondo ci guardava. Una notorietà che prima si aveva ogni quattro anni con le Paralimpiadi e che ora raddoppia. Soprattutto c’è stato molto più spazio televisivo, soprattutto per la pista. Credo che, essendo all’interno di un velodromo, seguirli sia stato più semplice. Magari, se anziché metterci così lontano dal centro di Glasgow, fossimo stati più vicini, sarebbe stato diverso. Oggi era un’occasione per pubblicizzare questo settore, ma è andata così.

Da Glasgow agli europei di Rotterdam con quale obiettivo?

Saremo forti anche lì, perché i ragazzi stanno molto bene. Abbiamo programmato la stagione in questo modo, iniziandola volutamente sotto tono. Non ho chiesto loro il 100 per cento, perché lo volevo per i mondiali e per gli europei. Diciamo che mi hanno ascoltato, perché nelle Coppe del mondo non abbiamo brillato, ma va bene.

I tandem di Andreoli-Chiesa sfiorano il podio, sesti Agostini-Gasparini (foto FCI)
I tandem di Andreoli-Chiesa sfiorano il podio, sesti Agostini-Gasparini (foto FCI)
Avete atleti di età diverse, facili da gestire?

Abbiamo una nazionale con molti giovani, adesso possiamo dirlo. Ragazzi giovani, che devono ancora crescere. Accanto ce ne sono altri molto adulti, per cui se con i giovani non possiamo pretendere troppo perché hanno appena iniziato, con gli adulti non possiamo pretendere che siano al top per tutto l’anno. L’età non è dalla loro parte, quindi i picchi di forma non possono essere tanti. Ne servivano due, uno a Glasgow e uno a Rotterdam. E grazie a questa pianificazione, abbiamo ottenuto secondo me dei risultati importanti nell’anno pre-olimpico, in cui il livello è altissimo. Portare a casa 15 medaglie su strada e le 4 su pista credo che sia stato un eccellente risultato.

Da qui alle Olimpiadi, quale pensi che sarà il cammino?

Da settembre in poi, vorrei prima inquadrare il discorso delle classificazioni. Per 3-4 mesi vorrei concentrarmi su questo, perché credo che fino ad oggi forse non abbiamo prestato la giusta attenzione. Magari abbiamo atleti borderline che potrebbero stare in altre categorie, mentre ho visto che in altre nazionali, soprattutto in occasione di questo mondiale, ci sono stati molti passaggi di categoria verso il basso, quindi in classi più favorevoli. Questo naturalmente mi fa pensare che anche noi dobbiamo muoverci in questo senso. Però adesso serve anche staccare…

Gli europei paralimpici si stanno svolgendo a Rotterdam dal 6 agosto e si concluderanno il 20
Gli europei paralimpici si stanno svolgendo a Rotterdam dal 6 agosto e si concluderanno il 20
Dopo Livigno, i mondiali e ora gli europei: un’estate impegnativa?

Molto, ma dopo gli europei sarà già il tempo per programmare la prossima stagione a livello di ritiri. Il prossimo anno ci saranno tre Coppe del mondo e il mondiale su pista che daranno punti per le Paralimpiadi, cosa che non è mai successa. I punti si chiudevano al 31 dicembre dell’anno precedente, invece quest’anno hanno inserito queste altre prove. Saranno quattro appuntamenti importanti e dobbiamo darci da fare perché se arrivassimo troppo indietro, perderemmo posti e questo non lo voglio di certo. 

Il metodo Perusini, tecnico azzurro della pista paralimpica

14.08.2023
5 min
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GLASGOW – Alla guida del settore pista del paraciclismo c’è Silvano Perusini, friulano, una lunga esperienza tecnica nelle categorie giovanili e ora indicato dai suoi atleti come fautore del salto di qualità. Lo abbiamo incontrato per la seconda volta nella Sir Chris Hoy Arena, dopo l’argento della velocità a squadre.

La prima volta, celebrata con un abbraccio, risale al giugno del 2021, quando assieme ad altri amici Silvano accompagnò Riccardo Piccini nel suo lungo viaggio in bicicletta dal Friuli a Roma, per portare in Vaticano la figlia Silvia, uccisa da un’automobilista. E forse anche questo apre uno spaccato sulla sua personalità e conferma in modo indiretto la disponibilità di cui parlano i suoi atleti.

Le tre medaglie di Claudia Cretti e quella del tandem compongono una bella base su cui lavorare in vista dei prossimi mondiali di Rio e le Paralimpiadi di Parigi.

Andrea Tarlao ha sfiorato il bronzo nell’omnium, preceduto dal brasiliano Lauro Chaman
Andrea Tarlao ha sfiorato il bronzo nell’omnium, preceduto dal brasiliano Lauro Chaman
Allora Silvano, sei soddisfatto di come è andata?

Non mi ero fissato dei particolari obiettivi di prestazione, per quanto riguarda l’aspetto atletico. Ma ci interessava fare esperienza, anche perché ho un gruppo prevalentemente nuovo. Su 11 atleti che partecipano al mondiale, 8 sono alla prima esperienza. Abbiamo dei ragazzini veramente giovani e dei talenti, che però non hanno mai corso. E non parlo del mondiale, ma proprio di prime gare in assoluto. Quindi siamo veramente alle prime esperienze. Per quanto riguarda le prestazioni, sono molto contento perché siamo andati al di là anche di quello che potevo preventivare. Ho visto un’altissima motivazione, nonostante ovviamente le tensioni qui siano state alte.

C’era da valutare anche l’aspetto psicologico?

L’ansia da prestazione può essere molto elevata, soprattutto in un mondiale per ragazzi abbastanza giovani. Ma io sono soddisfatto perché il gruppo si è reso protagonista in tutte le gare alle quali ha partecipato. Li ho visti veramente determinati e convinti e questo mi fa ben sperare. Il gap con le altre nazionali è ancora elevato, ma nonostante questo siamo riusciti a prendere delle medaglie e anche altri due quarti posti e altri piazzamenti nelle prime dieci posizioni.

Quindi bilancio positivo?

Sono molto soddisfatto, perché ci sono veramente delle superpotenze alle quali è difficile avvicinarsi in un periodo breve. Dobbiamo lavorare sulla programmazione, sui materiali, ma anche sulla base per la promozione di un movimento che su pista fatica a crescere. Il problema principale secondo me attualmente è proprio che in Italia non c’è attività paralimpica su pista. Abbiamo gare su strada, c’è qualche gara di bike, però niente per la pista.

Questi risultati quindi sono un piccolo miracolo?

Siamo venuti con una buona preparazione, però ci siamo arrivati senza correre, facendo solo allenamenti. Nell’affrontare determinate specialità, in cui si deve correre in gruppo affiancati agli avversari, abbiamo avuto qualche problema tecnico nell’interpretazione della gara. In termini della tattica da assumere in determinati frangenti…

Come si risolve, chiedendo a qualcuno di organizzare gare in Italia o girando l’Europa?

Abbiamo due obiettivi. Uno è curare il gruppo che ho a disposizione e farlo crescere, quindi fare esperienza a livello internazionale. L’altro è fare promozione sul territorio, responsabilizzando un po’ tutti quelli che ci circondano come nazionale, a partire dalla Commissione paralimpica nei Comitati Regionali, passando per la promozione di base fatta dal CIP. Abbiamo bisogno di un’opera collegiale, grazie alla quale come nazionale possiamo individuare anche dei talenti nuovi o comunque delle persone interessate a fare attività ad alto livello.

Come nasce il tuo coinvolgimento?

In realtà è nato parecchi anni fa. Io sono un laureato in Scienze Motorie e lavoro da diversi anni in un centro di riabilitazione per tetra e paraplegici. Faccio l’avviamento allo sport per i disabili, quindi sono quotidianamente a contatto con dei fisiatri e con medici. Avevo già iniziato a collaborare con delle società che si occupavano di paralimpico, per cui è una cosa che seguo professionalmente da anni. E poi l’anno scorso c’è stato il coinvolgimento da parte della Federazione che mi ha dato l’incarico della pista.

Ecco il doppio equilaggio dei tandem che hanno preso l’argento: Colombo-Bissolati, Meroni-Ceci
Te ne eri già occupato, giusto? Eri fra l’altro il direttore della pista di Pordenone.

Venivo dalla pista e avevo già avuto esperienze in nazionale. Parecchi anni fa ho guidato quella degli juniores, quindi per me questo incarico è veramente una soddisfazione. Riesco a lavorare a questi livelli in un ambito nel quale credo molto, perché per me la miglior cura per la disabilità è proprio l’attività motoria. Attraverso lo sport possono raggiungere l’autonomia.

I corridori con cui lavori parlano molto bene di te.

Mi fa piacere, abbiamo un buon rapporto. Gli dico sempre: «Io non pretendo che facciate le cose che non potete fare, però vi voglio sempre protagonisti, non solo durante la gara, ma anche nei momenti collegiali e nei momenti a casa». Devono veramente essere protagonisti della loro vita. E il risultato si è visto in gara, dove mi sono piaciuti tantissimo per la determinazione che hanno mostrato.