Anastasia, il gigante buono accanto a Consonni

12.01.2022
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Una foto su Facebook. Simone Consonni accanto a un gigante con lo sguardo buono. E’ Flavio Anastasia, classe 1969, altro azzurro della Cento Chilometri. Il bergamasco della Cofidis olimpionico a Tokyo nel quartetto su pista, il ragazzone di Como argento a Barcellona nel quartetto della Cento Chilometri su strada. Due storie così lontane eppure a loro modo vicine. E in comune lo stesso preparatore, Luca Quinti, e la sua palestra di Nova Milanese. Al pari di Gianfranco Contri, sceso di bici dopo due anni sfortunati all’Amore e Vita, Anastasia è sparito dalle scene. Lo si vede sui social, però mai in gruppo. Ci capitò personalmente di incontrarlo a Cesano Maderno in una serata in cui si presentava “Era mio figlio”, libro su Marco Pantani. Poi anni di silenzio, fino a quella foto che ha acceso la curiosità.

«Sentiamoci lunedì – dice – sono pasticciere, il lunedì è la mia domenica e sono a casa, anche se di solito faccio distanza. Di solito comincio a lavorare alle due del mattino. E’ pesante come orario, però mi piace. Subito dopo aver smesso, ho lavorato in un negozio sportivo che vendeva bici. Quindi ho fatto due anni in pasticceria, poi mio papà mi ha cercato per il negozio che vende mobili con mio fratello. Ci sono stato per due anni, però non mi piaceva e sono tornato a fare il pasticciere. Sono nel laboratorio. La sera vado a dormire alle nove e mezza, ma ogni tanto, qualche pomeriggio che non esco in bici, faccio un sonnellino».

A Stoccarda nel 1991, con Peron, Contri e Colombo vincono il mondiale a casa dei rivali tedeschi
A Stoccarda nel 1991, con Peron, Contri e Colombo vincono il mondiale a casa dei rivali tedeschi
Vivi sempre a Mariano Comense?

Vivo a Cesano Maderno, però lavoro a Mariano.

Segui il ciclismo?

Mi piace ancora. Pedalo perché mi piace far fatica e quando posso seguo la squadra di esordienti del Pedale Senaghese. Un paio di volte a settimana, forse tre esco con loro. Del mio ciclismo sono rimasti i diplomi e anche l’esperienza, perché il ciclismo ti insegna molto. Tutta quella fatica ti fa capire che davanti a qualsiasi problema, bisogna subito mordere, andare avanti e combattere. Come di recente quando hanno dovuto operarmi al cuore.

Sei sempre stato un cronoman?

La verità è che fino al 1989 non avevo mai fatto una cronometro. Poi venne come direttore sportivo Nizzolo, lo zio di Giacomo e mi disse che mi avrebbe fatto vincere l’italiano e così fu. Ma non è che in quei due anni da dilettante io ci abbia dato dentro più di tanto. Chiusi anzitempo la carriera per un problema alle ginocchia. Neanche si può dire che sia dipeso dai lunghi rapporti o carichi eccessivi, perché dei quattro della Cento ero quello che andava più agile.  Venne fuori appena passato professionista con l’Amore e Vita, la cartilagine del ginocchio tutta distrutta sotto la rotula. Mi sono operato, ma ormai il treno era andato. Se fosse successo oggi, avrei risolto molto velocemente, sarei rientrato e avrei avuto una carriera diversa. 

Stoccarda 1991, dopo l’arrivo Anastasia è stremato: ha corso la prima crono nel 1989 e ora, dopo due anni, è iridato
Stoccarda 1991, dopo l’arrivo Anastasia è stremato
Invece cosa hai avuto al cuore?

Ho avuto una riparazione della valvola mitralica. Praticamente, anche non correndo più, facevo sempre la visita di idoneità e l’ultima volta trovarono qualche battito irregolare. Siamo andati a fondo e hanno trovato questo problema, la valvola non chiudeva più bene e rilasciava del sangue. Così mi hanno operato. Hanno aperto, scollegato, riparato e ricollegato il cuore. Ma da quel giorno non mi hanno più dato l’idoneità. Quindi adesso sono cicloturista, ma ci do dentro lo stesso. Il mio cardiologo ha detto che se non oltrepasso il limite posso andare.

L’altro giorno hai pubblicato quella foto con Simone Consonni. Lui ha vinto un’Olimpiade con il quartetto su pista, tu arrivasti secondo con quello su strada… 

Le Olimpiadi mi bruciano ancora, solo adesso forse apprezzo quella medaglia d’argento. Ai tempi masticai amaro, però col passare degli anni ho imparato a pensare che qualsiasi sportivo farebbe la firma per riuscirci. Ma noi puntavamo all’oro, essendo usciti vincitori dal mondiale dell’anno prima e proprio a casa dei tedeschi che a Barcellona vinsero l’oro. Non siamo mai stati amici con loro, c’era una rivalità pazzesca. In casa loro gli rifilammo due minuti e mezzo, tanta roba! Alle Olimpiadi loro ce ne diedero uno, che però bastò…

Che cosa successe?

Alle Olimpiadi il percorso era duro per noi. Sul piano eravamo superiori. Ad esempio a Stoccarda 1991, il mondiale era tutto su una superstrada. Andata e ritorno, tutto pianeggiante e facemmo una grande differenza. A Barcellona invece c’era un po’ di dislivello e per me l’abbiamo pagata. Eppure per me i ricordi belli sono altri.

Nel 1991 Anastasia vince a Castelfidardo e in precedenza anche Montecassiano: le Marche portano bene
Nel 1991 Anastasia vince a Castelfidardo: le Marche gli portano bene
Quali?

Tanto di cappello per il mondiale del 1991, ma quelle che ricordo più volentieri sono le vittorie di Castelfidardo su strada e il Gran Premio d’Europa a Bergamo, la cronocoppie che corsi con il tedesco Thomas Hartmann.

Perché Castelfidardo?

C’era una fuga con più di due minuti e noi eravamo dietro a chiacchierare e ridere, con Alberto Destro e altra gente. Non ci pensavo più alla gara, però a un certo punto con la squadra, la Coalca, scatenammo un vero inferno e alla fine facemmo primo e secondo

Guardi Consonni e cosa provi?

Un po’ di invidia perché è giovane, questa sì. Poi penso a me e affiora un po’ di rammarico. Però mi scuoto, mi dico che è andata così e… pace. Anche perché se continuo a pensarci poi mi viene il nervoso.

Cosa ti pare di questo ciclismo?

Mi piaceva di più il mio, senza radioline, un po’ allo sbaraglio. Invece adesso, con queste preparazioni precisissime e il controllo dei watt non c’è margine di errore. Certi strumenti vanno bene in allenamento, ma in gara secondo me via tutto. Di sicuro con questi stessi mezzi, nella Cento Chilometri saremmo potuti andare molto più forte. 

Stoccarda 1991, ecco il quartetto iridato. Da sinistra, Contri, Anastasia, Colombo e Peron
Ecco il quartetto di Stoccarda 1991. Da sinistra, Contri, Anastasia, Colombo e Peron
Quanto era difficile a suo tempo passare professionisti?

Parecchio. Oggi si passa anche solo per qualche vittoria da juniores, però in effetti vedi Pogacar che a 23 anni ha già vinto due Tour e capisci che il ciclismo è cambiato. Però non tutti sono fenomeni, questo forse va considerato. 

Ti senti ancora con i ragazzi della Cento?

Ci siamo appena visti a Milano per la consegna del Collare d’Oro, altrimenti cerchiamo di trovarci una volta all’anno.

Cosa ti ha lasciato il ciclismo?

Dei bei ricordi, che adesso magari racconto ai miei figli. Adesso che mi avete chiamato per questa intervista diranno che allora ero forte davvero. Rimane l’amaro di non averci provato davvero da professionista, quello mi pesa tanto. Ci penso ancora. Magari non sarei stato un corridore, però lo avrebbe detto la strada. Così adesso me ne vado in bici quelle 2-3 volte a settimana, il più delle volte da solo. Gli amici di una volta come Maggioni (Roberto Maggioni, azzurro della Cento Chilometri a Seoul 1988, ndr) tendono a evitarmi. Roberto è davvero una brava persona, ma forse ha visto qualche dato di allenamento e ha preso paura

A Natale con Contri: «I miei 3 mondiali per l’oro olimpico»

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Forse ha ragione Contri, quando dice che quelli dell’Emilia Romagna si tende a cercarli poco e a non trattarli bene. Fa l’esempio di Pantani, poi però ammette di essersi tirato fuori dal gruppo subito dopo aver smesso e che nella sua città, Bologna appunto, il ciclismo sia ormai sparito. Al punto che mollando per un attimo i ricordi e quello che assieme s’è vissuto, viene il dubbio che non tutti sappiano chi sia Gianfranco Contri. Anche Wikipedia si confonde.

«Gianfranco Contri – scrive – è un ex ciclista su strada italiano. Mai passato professionista, vinse la medaglia d’argento ai Giochi olimpici di Barcellona 1992 e tre medaglie d’oro ai Campionati del mondo di ciclismo su strada a Stoccarda 1991, Oslo 1993 e Catania 1994 nella cronometro a squadre».

L’ultima non fu a Catania, ma a Palermo. Il resto tuttavia è vero e vale la pena sottolineare che tra quelli della Cento Chilometri, Contri c’è sempre stato, risultando l’azzurro plurivittorioso della specialità. Classe 1970 come Pantani e Bartoli, Casagrande e Casartelli, come quell’infornata di campioni che a pensarci adesso si viene assaliti da un treno di nostalgia.

Però poi sei sparito…

Sono uscito completamente. Da allora avrò preso la bici trenta volte, ma il ciclismo continuo a seguirlo. Il lavoro mi prende mattina e sera, non avrei potuto aspirare a un ruolo nello sport, perché ti assorbe completamente. Lavoravo già quando correvo. Per cui quando ho smesso, mi sono licenziato dalla Forestale e mi sono buttato nel lavoro.

Lavoravi già quando correvi?

L’azienda l’aprì nel 1987 mio fratello Alessandro, che correva anche lui e ha due anni di più. Io entrai dopo il diploma e diventò un’azienda di famiglia. La Tulipano Impianti di Bologna. Nel 1992, l’anno delle Olimpiadi di Barcellona, tenevo già i libri contabili. Ci occupiamo di gestione e manutenzione di impianti termici.

Nella Cento già in Giappone (1990) con Cortinovis, Morando e Zanini: 7° posto
Nella Cento già in Giappone (1990) con Cortinovis, Morando e Zanini: 7° posto
E così sceso di bici, addio bici…

Siamo fagocitati, ma se ci fossero tempo e voglia, andare in bici sarebbe ancora possibile. E’ un bellissimo divertimento. Ti permette uno svago mentale come nessun altro. Puoi correre a piedi, ma dopo due ore sei sempre dalle stesse parti. Con la bici in due ore, arrivi in un’altra città, sui colli, in un altro mondo. Per questo, anche se non pedalo, cerco di difendere il ciclismo dagli opinionisti da bar, che ancora ci tengono attaccate brutte etichette.

Ce le stiamo togliendo di dosso, non è più come prima…

Parlo spesso con Cristian Salvato, che faceva le Cento con noi. E mi spiega che ora è uno sport pulito. Solo che non tutti sanno come stanno le cose.

Che cosa ti resta di quegli anni?

Grandi ricordi e un’immensa esperienza. Giosuè Zenoni, oltre che un tecnico è stato un maestro di vita, per quanto riguarda il comportamento, gli impegni, il saper stare al mondo. Fare attività sportiva di vertice ti insegna a essere metodico e preciso.

Tre mondiali e un argento olimpico: rimpianti?

Se potessi tornare indietro, baratterei tutti i mondiali con un oro olimpico. Sarei entrato nella storia. Nell’immediato vissi bene l’argento. Forse perché non dovevo neppure esserci, fui riserva fino all’ultimo. Poi entrai in squadra e feci la mia parte. E ripensandoci, viene da mangiarsi le mani.

Come mai?

Eravamo i campioni del mondo in carica, i tedeschi la nostra bestia nera. Rimanemmo in testa fino ai 70 chilometri, poi saltammo e loro vennero fuori.

Cosa accadde?

Probabilmente eravamo già in fase calante. Se si fosse corso dieci giorni prima, non ce ne sarebbe stato per nessuno. Ma fare 100 chilometri con gli ultimi 25 in salita, perché si arrivava al circuito del Montmelò a Barcellona, che è in alto, fu una prova troppo dura.

Come si fa a restare concentrati in una crono di 100 chilometri?

Facendone quattro di 25 chilometri ciascuna. Le scomponevamo, aiutava tecnicamente e mentalmente. Poi c’era il giro di boa, altro riferimento importante.

Nel 1993 l’Italia vince un altro mondiale della Cento, Contri e Salvato si rapano a zero
Nel 1993 l’Italia vince un altro mondiale della Cento, Contri e Salvato si rapano a zero
Le cronosquadre per club fatte fino a qualche anno fa erano di 40 chilometri…

Erano cronosquadre abbastanza improvvisate. Qualcuno ci investiva, altri andavano e correvano, ma è più difficile farle in sei che in quattro

E’ valsa la pena dedicare una carriera alla Cento Chilometri?

All’epoca non avevo dubbi, anche se non tutti abbiamo poi avuto una grande carriera su strada. Peron era il più stradista di tutti e alla fine ha avuto le sue soddisfazioni anche di là. Per noi era l’occasione di fare mondiali e poteva starci anche un’altra Olimpiade. Invece dopo Oslo 1993 in cui vincemmo un altro mondiale, il Cio comunicò che l’avrebbero tolta dal programma olimpico assieme al “due con” di canottaggio.

Fu come staccare la spina?

Praticamente sì. Corremmo l’ultima Cento Chilometri a Palermo nel 1994 e vincemmo il mondiale, poi il gruppo si sciolse. Però ogni tanto ci penso. Ed è bello rendersi conto che siamo ancora campioni del mondo e lo saremo per sempre.

Ritorno alla Cento: possibile o suggestione?

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Piace pensare che ci fosse una logica quando decisero di farle così. Pertanto, nella Roma che diede l’oro al quartetto azzurro su pista, altri quattro italiani conquistarono l’oro nella Cento Chilometri su strada con Trapè, Bailetti, Cogliati e Fornoni. Una cronometro a squadre che si trasformò in uno straordinario banco di ricerca (che aveva la versione light negli juniores con la 70 Chilometri) e andò avanti alle Olimpiadi fino al 1992 e ai mondiali fino al 1994.

Sul tetto del mondo

Ve ne abbiamo già parlato, ricordate? L’Italia conquistò l’oro a Los Angeles 1984 con Giovannetti, Bartalini, Poli e Vandelli, mentre prese l’argento a Barcellona 1992 con Anastasia, Contri, Peron e Colombo battuti dai tedeschi (l’anno prima ai mondiali di Stoccarda, prima Italia e seconda Germania).

Gli eroi di Palermo 94: da sinistra, Contri, Colombo, Salvato, Andriotto e Dolci. E bici Colnago
Gli eroi di Palermo 94: da sinistra, Contri, Colombo, Salvato, Andriotto e Dolci. E bici Colnago

Eravamo tra i più forti al mondo, poco da dire. Italia e Germania si dividevano costantemente i primi due gradini del podio. Quelli dotati di memoria migliore ricordano le settimane di lavoro dei cittì azzurri, da Edoardo Gregori a Giosuè Zenoni, fino ad Antonio Fusi che portò il nostro quartetto – composto da Salvato, Andriotto, Contri e Colombo, con Andrea Dolci per riserva – alla vittoria nell’ultimo mondiale di specialità a Palermo 1994, prima che la Cento venisse definitivamente accantonata. Secondi i francesi, zitti i tedeschi.

Ritorno alla Cento

Perciò oggi, con l’entusiasmo del quartetto di Tokyo e delle splendide gare di Lamon, Consonni, Milan e Ganna, ci siamo chiesti quando sarebbe spettacolare avere nuovamente la Cento e che fantastico banco sarebbe se a correrla fossero i professionisti. Già, perché la Cento Chilometri venne tolta dal programma olimpico quando ai Giochi vennero ammessi i professionisti, con il pretesto che il gap tecnologico fra le grandi Nazioni e le piccole fosse troppo marcato. Via la cronosquadre e dentro quella individuale.

L’Uci negli anni ha provato a inserire nel programma mondiale la cronometro a squadre per club, con sei atleti per squadra, ma la Cento era un’altra cosa rispetto ai 62,8 chilometri che nel 2018 premiarono a Innsbruck la Quick Step. Loro corsero in sei, la Cento Chilometri si correva in quattro. E si correva per nazioni.

Solo suggestione?

Così per giocare, ma con i piedi per terra, abbiamo rivolto qualche domanda a Cristian Salvato, uno degli ultimi quattro iridati di Palermo 1994 (l’anno prima vincitore anche a Oslo) e oggi presidente dell’Accpi, l’Associazione italiana dei corridori, per capire se ci sarebbe il margine per reintrodurre la Cento e come eventualmente secondo lui la accoglierebbero i corridori.

«Quella per club – dice – forse si correva in troppi, avrebbero potuto fare il quartetto anche loro. Correndo in sei si privilegiavano troppo gli squadroni. Ma di sicuro per il team e di conseguenza per la Nazione sarebbe ancora una vetrina straordinaria. Quasi due ore di diretta…».

Parlando di professionisti, viene da pensare che il primo scoglio sarebbero le bici. Voi avevate le Colnago uguali per tutti…

Anche in pista sono professionisti e hanno le Pinarello uguali per tutti, non credo sarebbe quello il problema. Semmai vedo complicata la distanza, per le abitudini delle crono di oggi, 100 chilometri sono una cosa enorme. Erano quasi due ore di sforzo massimo (a Palermo l’Italia vinse in 1h 57’54”, ndr), ma sarebbe curioso vedere a quali medie la farebbero adesso.

Già, mettere assieme Ganna, Milan, Affini e un altro tra Cattaneo e Sobrero. Ci sarebbe il problema della preparazione: la vostra aveva tempi lunghi.

Facevamo l’avvicinamento in ritiro, per circa un mese. Prima 15 giorni in altura, con tre blocchi distinti di velocizzazione, resistenza e forza in salita con interval training. Poi tornavamo a casa per tre giorni, si faceva una corsa su strada e poi iniziavano i cicli di lavoro specifico. Un professionista che ad esempio esca dalla Vuelta, potrebbe fare una settimana di lavori specifici e sarebbe prontissimo.

Sarebbe possibile fare la Cento e quattro giorni dopo la crono individuale, immaginando un programma mondiale oppure olimpico?

La gara era la parte più facile del discorso, il duro era prepararla e arrivarci bene. Per cui se sei portato e la domenica fai la Cento Chilometri, il mercoledì puoi fare la crono individuale. Sarebbe più dura da recuperare una prova su strada. Adesso ai mondiali e agli europei c’è il Team Relay, pare che a Trento potrebbe esserci anche Ganna.