Dietro macchina a Livigno. Di Fresco e il Team Casano sono in Valtellina all’Alpen Resort, lo stesso super residence scelto dalla Quick Step-Alpha Vinyl e per i ragazzi è ogni volta una scossa veder passare Alaphilippe e gli altri pro’ dello squadrone belga. E mentre, finite le scuole, ci si allena per la seconda parte di stagione (quella più… vera per gli juniores), con il diesse siciliano parliamo del tema dei rapporti liberi nella categoria. Le parole pronunciate da Andrea Morelli la settimana scorsa hanno sollevato qualche curiosità. Giuseppe è stato junior ai primi anni Novanta, dilettante fino al 1998 e poi è passato professionista.
Secondo te sarà un grosso problema oppure alla fine è solo un fatto mentale cui bisogna abituarsi?
E’ un fatto mentale. Se vogliamo adeguarci, dobbiamo stare a passo coi tempi. Questa è una regola messa dall’UCI, secondo me per un discorso di aziende, perché è sempre più difficile reperire materiale, specialmente il 52×14. E poi c’è il lato sportivo. Quando ero junior, i rapporti erano liberi. Mi ricordo che al Lunigiana, Antonino Dama vinse la volata a Genova con il 53×11. Non lo vedo come un grosso problema. Qualcuno dice che si rischia di bruciare i ragazzi, ma sta all’intelligenza e alla bravura del direttore sportivo gestire questa situazione.
Li hai mai allenati usando i rapporti liberi?
No, non ancora e non avrei problemi a dirlo. Di recente, ho fatto una bella chiacchierata con Salvoldi (tecnico azzurro degli juniores, ndr) e lui sarebbe quasi per consigliarlo. Ha detto che l’ha sempre fatto anche con le donne, il fatto di allenarle con rapporti più duri. Però alla fine tutti facciamo potenziamento, tutti facciamo palestra d’inverno e la maggior parte continua ad andarci anche durante la stagione. Quindi non vedo quale sia il problema di utilizzare un rapporto più duro.
Perché allora non allenarli usandoli?
Mi sono adeguato alla categoria, poi per sentito dire pare che qualcuno li utilizzi in allenamento. Secondo me però si riesce a fare determinati tipi di lavoro anche con il 14. E quando per esempio sono andati in pista – perché l’anno scorso Villa li convocava e li portavo a Montichiari – hanno usato dei rapporti molto più lunghi e non hanno avuto problemi. E questo è segno che li hai allenati bene.
In cosa deve essere bravo dunque il direttore sportivo?
Non è che monti l’11 e il corridore va fisso con l’11. C’è quello che lo spingerebbe sempre, ma deve capire che è un errore. D’altronde sono andato in Svizzera a vedere Sciortino con la nazionale al Tour du Pays de Vaud e ho visto la netta differenza tra gli stranieri e noi.
Quale differenza?
Emil Herzog che ha vinto la Corsa della Pace, ha già fatto tre gare a tappe. Per Sciortino, quella in Svizzera era la prima. Abbiamo delle limitazioni. I nostri possono correre due volte a settimana soltanto da luglio. Possono fare una gara a tappe con la società e una con la rappresentativa regionale o in alternativa ancora una con la società. Da quest’anno è escluso il Lunigiana. In più può fare due giri con la nazionale. Quindi cinque gare a tappe in tutto, però tra un giro e l’altro devono passare 20 giorni, quindi non puoi farne due in un mese.
Il fatto che al Lunigiana del 2021 i francesi ci abbiano fatto a fettine dipende dai rapporti liberi ma anche dall’attività che fanno?
Prendiamo Crescioli, il mio corridore che è arrivato secondo dietro Lenny Martinez. Il Lunigiana era il primo giro che faceva e si è trovato a correre con Martinez che a luglio aveva fatto il Tour de Valromey (il francese è arrivato terzo, dietro il compagno Gregoire e il belga Uijtdebroeks, ndr).
Perché non lo hai portato in altre gare a tappe?
Ne avremmo fatte di più, ma in Italia sono saltati il Friuli e il Basilicata e non c’era più tempo per chiedere l’invito all’estero, perché vanno programmati a inizio stagione. Altro esempio. Attualmente c’è uno svizzero che ho preso da poco. Fra l’altro, non mettetevi a ridere, si chiama Caruso: Francesco Caruso.
Damiano come l’ha presa?
Prima di farlo venire gli ho mandato un messaggio per chiedergli il permesso (il ragusano ha svolto la carriera da U23 con Di Fresco, ndr) e ha detto: «Prendilo, prendilo, sai mai che dovesse nascere un altro Caruso?!». Comunque, questo Caruso viene dal ciclocross, è un primo anno e ha fatto gare su strada esclusivamente con la nazionale svizzera. E’ arrivato che ne ha già fatte tre a tappe e si è presentato in ritiro con due ruote. Una col 14 e una con l’11.
Torniamo ai rapporti, si parla degli scalatori leggeri che saranno penalizzati.
Condivido questa preoccupazione, però stiamo parlando di una categoria internazionale e di lì a poco potrebbero correre fra i pro’ e dovranno usare l’11. Devi essere bravo a farli abituare, ma è ovvio che lo scalatore di 50 chili avrà difficoltà all’inizio e poi troverà il modo di starci dentro. Sicuramente almeno inizialmente saranno agevolati i corridori che pesano 70 chili e hanno un rapporto potenza/peso più alto.
Pensi che a livello di preparazione invernale il prossimo inverno cambierete qualcosa?
No, continuerò con i miei programmi e semmai modificherò poi qualcosa nei lavori in bici. Bisognerà andare avanti osservando e semmai correggendo. Il mio scopo non è vincere un monte di corse, come chi spende magari 5-600 mila euro all’anno fra gli juniores. Io propongo un programma per poter tirare fuori corridori professionisti.
Il discorso resta aperto e bisognerà aspettare il 2023 per capire di cosa si stia effettivamente parlando e se ci saranno conseguenze da gestire. Per il momento si lavora in altura. E tutto sommato, rileggendo l’esperienza di Piganzoli e le spiegazioni di Basso, anche questo potrebbe essere considerato un passo lungo.