Negli ultimi giorni il video di Pogacar nella foresta di Arenberg ha fatto il giro del mondo. Tutti ne hanno parlato, dagli avversari (intimoriti) ai tifosi (sognanti). In una recente intervista Fabio Baldato ci ha rivelato che quella ricognizione faceva parte di una due giorni più generale sulle strade del Nord, e che per quest’anno la Roubaix non è nei programmi del campione del mondo. Pogacar però non ha mai fatto mistero di voler correre la regina delle classiche e la sensazione generale è che abbia tutte le carte in regola per poterla vincere.
Un’idea – un corridore da corse a tappe che se la gioca sulle pietre francesi – che solo cinque anni fa sembrava impensabile. Non a caso l’ultimo vincitore del Tour de France a trionfare alla Roubaix è stato Bernard Hinault nel 1981, 44 anni fa. Abbiamo raggiunto al telefono Giuseppe Martinelli per chiedere la sua opinione su questa difficile quanto affascinante convivenza.
Martinelli, che effetto le ha fatto vedere Pogacar sfrecciare nella foresta di Arenberg?
Ci sono due cose che mi fanno pensare. La prima è che andato a provare perché non si sa mai, se dovesse sentirsi bene in quel periodo potrebbe anche dire: vado e provo. La seconda è che secondo me gli piace proprio andare in bici, in sella gli viene tutto facile e allora ci è andato anche giusto per divertirsi. Non possiamo saperlo. Quello che è chiaro è che sicuramente è l’unico corridore in questo momento che può pensare di fare una cosa del genere, vincere un Grande Giro e la Parigi-Roubaix. Sono molto curioso di vederlo ora all’inizio della stagione, perché credo che quest’anno andrà ancora più forte. Sa che Vingegaard arriverà al Tour più forte rispetto alla scorsa stagione, quindi anche lui arriverà ancora più preparato.
L’ultimo vincitore di Tour a fare sua la Roubaix è stato Hinault nel 1981. E’ davvero così difficile coniugare le due cose?
Abbastanza. Roubaix e Tour si potrebbe anche fare forse, ma Roubaix e Giro è davvero difficile.
Troppo ravvicinati?
Sì, alla Roubaix una caduta è dietro l’angolo e non hai tempo di recuperare. In più una gara del genere ti lascia strascichi anche nelle gambe. E per uno che prepara il Giro sono tossine e fatiche che possono rimanere per molto tempo. Ma soprattutto il problema sono le incognite, gli incidenti. Quando programmi una stagione valuti anche i rischi, è normale, è alla fine di solito dici di no. E’ una questione di strategia e di rischi calcolati.
Lei era in ammiraglia nella famosa tappa del pavè al Tour 2014, quando sulle pietre Nibali fece la differenza in maglia gialla. Anche considerando il suo passato in mtb avrebbe potuto provarla?
Quel giorno Vincenzo aveva una condizione eccezionale e accanto compagni fortissimi, Contador prese qualcosa come 4 minuti. Sono quelle giornate in cui viene tutto facile. Per quanto riguarda il provare a fare la Parigi-Roubaix ci abbiamo pensato molto, l’idea c’era ma non c’è stata l’occasione. Il problema, oltre ai rischi di cui parlavo prima, è che se un uomo di classifica va lì trova gli specialisti che si concentrano su quelle gare. Ai tempi di Vincenzo per esempio c’erano Sagan e Cancellara. Quindi era difficile andarci solo per provare, correndo quegli inevitabili rischi.
Magari avrebbe potuto andarci a fine carriera?
Nel 2022 volevamo provare, ma Vincenzo alla fine ha rinunciato e anch’io ho tirato un po’ indietro. Dispiace un po’ perché avrà quel piccolo rimorso, ma alla fine uno come lui non ha bisogno di quello per ampliare un palmares già straordinario. Poi nel 2022 c’erano già campioni più forti di lui e a quel punto non ne valeva più la pena.
Oggi sarebbe più facile rispetto al passato con i nuovi materiali che si hanno a disposizione?
Forse sì, è più semplice, con le nuove bici e i copertoni tubeless, magari si corrono meno rischi. Ma il punto vero è sempre un altro, cioè il fatto che, oggi soprattutto, alla Roubaix ci sono tre o quattro corridori fortissimi contro cui scontrarsi. Per un corridore da Grandi Giri pensare davvero di battere gente come Van Aert o Van Der Poel è dura, campioni del genere se non hanno problemi se la giocano tra loro. Quindi finisci con l’andare solo per partecipare, e un 6° o 7° posto secondo me non vale il rischio.
Considerazioni che valgono per tutti tranne che per Pogacar…
Non c’è dubbio. Se dovessi buttarla lì, per lui è quasi più facile vincere la Roubaix che la Sanremo. Perché sul pavè contano le gambe e la tecnica, e lui ce l’ha tutte e due. Ha anche una squadra forte, con compagni come Wellens e Politt che lo possono pilotare molto bene.
Se lei fosse il suo DS quando gliela farebbe fare?
Intanto se fossi il suo tecnico, sarei molto contento, in generale. A parte gli scherzi, lascerei decidere a lui. Gli direi: «Quando vuoi farla, io ci sono». Poi ha il vantaggio che non deve preparare più di tanto una gara del genere, perché lui è sempre pronto, basta fargli trovare la bici a posto e lui va. Ora che non sono più dentro il ciclismo ho proprio voglia di godermelo, mi è piaciuto dal primo giorno. Perché semplicemente è un fenomeno e quindi fa cose impensabili per gli altri, anche vedendole da fuori. Io ho seguito il ciclismo tutta la vita, ma quando l’ho visto attaccare al mondiale a 100 chilometri dall’arrivo ho spento la tv e sono andato a farmi una passeggiata.
Perché credeva che la gara fosse già finita lì?
No, al contrario, perché pensavo l’avesse buttata via. Poi dopo un’ora e mezza sono tornato, ho riacceso la tv ed era ancora lì, in testa. Qualcosa di davvero incredibile. Non mi sono mai divertito tanto a guardare il ciclismo come gli ultimi tre-quattro anni, perché se ami questo sport non puoi non voler bene a corridori del genere che ti fanno saltare sulla sedia e avvicinano tanti giovani alla disciplina. Speriamo che tutto questo aiuti anche il movimento italiano.