Poggio in apnea e VdP gregario: la Sanremo è di Philipsen

16.03.2024
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SANREMO – Ha vinto alla Freire. Non si è mai visto. Sempre nascosto. Coperto. Coperto persino sul rettilineo d’arrivo. Ma alla fine a tagliare per primo la linea bianca di Via Roma è stato lui, Jasper Philipsen.

In belga dell’Alpecin-Deceuninck è stato autore di una corsa forse invisibile, ma magistrale dal punto di vista tattico. In quasi 300 chilometri di gara, corsi ad una media folle (46.113 km/h), non ha speso mezza pedalata in più del necessario.

Quatto, quatto… ecco Philipsen sul Poggio. Già a ruota di VdP
Quatto, quatto… ecco Philipsen sul Poggio. Già a ruota di VdP

Gamba al top

In pochi, il che è un eufemismo, lo davano tra i vincitori. Gli occhi erano tutti puntati sul duello fra Tadej Pogacar e Mathieu Van der Poel. Semmai il terzo uomo poteva essere Mads Pedersen. Invece, facendo come detto la formichina, Philipsen si è preso la Milano-Sanremo numero 115.

Che stesse bene, si poteva capire alla Tirreno-Adriatico. Invece proprio la corsa dei Due Mari e il terzo posto di mercoledì scorso nella “sua” Nokere Koerse hanno tratto in inganno.

«Fare la Tirreno è stato importante – spiega Philipsen – Ero raffreddato, poi il viaggio in Belgio, la Nokere, il ritorno in Italia… non mi hanno aiutato. Anzi, sono ancora un po’ raffreddato. Però da giovedì ho sentito di stare meglio. Ho sentito che qualcosa è cambiato. E credo che forse oggi ho avuto le mie gambe migliori di sempre. Se c’era un giorno in cui vincere la Sanremo era questo».

Il colpo di reni in Via Roma che ha permesso a Philipsen (classe 1998) di conquistare la sua prima Sanremo
Il colpo di reni in Via Roma che ha permesso a Philipsen (classe 1998) di conquistare la sua prima Sanremo

I segnali c’erano

Eppure quegli sprint persi ci hanno fatto riflettere sullo spunto meno brillante del solito. Il spunto abituale gli avrebbe consentito di dare una bici a tutti. Erano forse quei “grammi” in meno di muscolo necessari per superare, e bene, la Cipressa e il Poggio? Il fatto che a Giulianova, durante la Tirreno, sia stato battuto da Milan ha portato tutti un po’ fuori strada.

Quel giorno invece se si riguarda  a mente fredda l’ordine di arrivo non c’erano degli sprinter puri. Basta pensare che tra i primi dieci c’erano Girmay, Alaphilippe e Tiberi.

Vero, vinse Milan. Ma torniamo al discorso dello spunto. Jasper aveva superato la salitella come Milan, ma poi non aveva avuto la stessa potenza del friulano.

«In realtà non sono più magro, anzi peso più dello scorso anno. Ma ho più potenza. Forse è per questo che ho vinto», devia Jasper con il sorriso… Di certo ha lavorato su questo aspetto. Lui ha detto di essersi concentrato molto sulle classiche durante l’inverno. 

Il discorso del raffreddore sarà anche vero e lo stesso vale per il peso, ma è chiaro che la Sanremo l’aveva preparata in altro modo rispetto al passato. Forse perché anche in squadra sapevano che una doppietta consecutiva di VdP sarebbe stata impossibile ed era pur sempre alla prima gara della stagione. E forse perché quel 15° posto del 2023 il tarlo glielo aveva insinuato.

Philipsen e Van der Poel: un abbraccio sincero e potente dopo l’arrivo
Philipsen e Van der Poel: un abbraccio sincero e potente dopo l’arrivo

Monumento a VdP

E’ vero anche che un monumento lo deve fare al suo compagno, Mathieu Van der Poel. Il campione uscente, una volta fatta “la conta” in fondo al Poggio si è messo totalmente a sua disposizione. Ha tirato, forte, ma senza strappi. Ha tirato lungo dopo l’attacco di Pidcock e Sobrero e gli ha servito la Sanremo su un piatto d’argento.

«L’ho ringraziato per il grande lavoro fatto – ha detto e ridetto Philipsen dopo l’arrivo – E’ stato speciale così come speciale è stato il team. Sono orgoglioso di loro. Ci siamo auto regolati in corsa sulla leadership della squadra. Se dopo il Poggio fossi stato ancora lì con buone gambe avrei fatto lo sprint. In più avere un campione del mondo che lavora per te… non potevo sbagliare».

Il momento in cui Philipsen, nella discesa del Poggio, dice a Van der Poel di non tirare. Per un gesto simile serve grande lucidità
Il momento in cui Philipsen, nella discesa del Poggio, dice a VdP di non tirare. Per un gesto simile serve grande lucidità

Poggio in apnea

Ma un corridore come Jasper è sulla Cipressa e ancor più il Poggio che fa davvero il numero. Di sprinter puri in quel momento ce n’erano rimasti ben pochi davanti. Anzi, nessuno.

«Sul Poggio dovevo resistere. La UAE Emirates aveva speso molto e sapevamo che Pogacar prima o poi sarebbe partito. Io ho cercato di restare attaccato. Di non perderli di vista. Quando il Poggio è finito mi sono detto: “meno male!”.

«In discesa avevo paura di una caduta, di un buco. Ma a quel punto Mathieu è stato molto bravo. Gli ho chiesto di non spingere troppo. E lo ha fatto… nonostante fosse il capitano e anche lui avesse le gambe per vincere. Mathieu è davvero un generoso. Gli piace vincere, ma gli piace anche aiutare la squadra».

Il podio della Sanremo 2024: primo Jasper Philipsen, secondo Michael Matthews, terzo Tadej Pogacar
Il podio della Sanremo 2024: primo Jasper Philipsen, secondo Michael Matthews, terzo Tadej Pogacar

Il suo terreno

Finalmente al chilometro 286 Philipsen entra nel suo regno: il finale in pianura e lo sprint. A quel punto la sua mente diventa quella di un “killer”. 

«In realtà – spiega Jasper – proprio lì ho sentito la pressione. Avevo il campione del mondo che lavorava per me. Ad inizio stagione qualche sprint lo avevo sbagliato, c’erano Matthews e Pedersen che erano pericolosissimi e se si guardava l’albo d’oro degli ultimi anni non c’erano sprinter. Certo, non è stato un grande sprint. Dopo una corsa tanto lunga e tanto veloce credo di aver espresso dei valori da dilettante. Si è trattato più di una volata di voglia, di resistenza che di potenza».

La Alpecin-Deceuninck si porta a casa un altro monumento. Ormai sembra la Quick Step dei tempi migliori. Philipsen ammette che questo succede perché oltre che forti sanno essere compatti nei momenti complicati.

«Io credo che tutto ciò sia dovuto alla nostra forza mentale. Dopo la Tirreno è scattato un “clik”. La vittoria ha calmato tutti. Ma in generale il team ci dà grande supporto psicologico. Serviva pazienza e l’abbiamo avuta». 

Van Der Poel toglie il velo: la Sanremo si avvicina

14.03.2024
4 min
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VILLANTERIO – Le ombre si allungano sull’Agriturismo il Cigno come braccia che vogliono avvolgere tutto quello che incontrano. Mathieu Van Der Poel arriva puntuale, alle 18,30 per la conferenza stampa di rito pre Milano-Sanremo. La prima Classica Monumento della stagione si avvicina e l’olandese ripartirà da qui con la strada, esattamente come fece nel 2023, quando vinse sul traguardo di Via Roma

Le giornate si allungano piano piano e nel momento in cui il campione del mondo in carica inizia a parlare ancora il sole non si è deciso ad andare via. Fa caldo, le temperature invogliano a togliere la giacca, la primavera è alle porte, è proprio il clima da Milano-Sanremo. Van Der Poel è andato a provare il percorso, la maglia iridata brillava sotto il sole della Liguria. Il corridore della Alpecin-Deceunink ha provato Cipressa e Poggio, anche con un buon ritmo, viste le quasi 48 ore che lo dividono dalla partenza di sabato mattina. Il tempo per recuperare c’è tutto. 

Nella giornata di oggi, giovedì, Ven Der Poel e compagni hanno fatto la ricognizione (Instagram/Photonews)
Nella giornata di oggi, giovedì, Ven Der Poel e compagni hanno fatto la ricognizione (Instagram/Photonews)

Nessuna gara

Le prime domande dei giornalisti presenti, tanti provenienti dal Belgio e dall’Olanda, solo pochi gli italiani, vanno subito sulla preparazione invernale. Si farà sentire l’assenza di gare?

«Mi sento bene – dice prontamente Van Der Poel con voce bassa, come se il risparmio delle energie iniziasse già da ora – ho accumulato tante ore di allenamento in Spagna. La prima corsa dell’anno porta tante domande, anche per me, ma ho pedalato molto e bene, alzando l’intensità giorno dopo giorno. Non ho corso la Parigi-Nizza o la Tirreno-Adriatico, è difficile simulare l’intensità di corse di questo tipo. Però ho fatto tanta fatica sulle strade spagnole, penso di essere pronto».

Nel 2023 ha vinto la sua prima Milano-Sanremo, anche in quel caso era al debutto stagionale
Nel 2023 ha vinto la sua prima Milano-Sanremo, anche in quel caso era al debutto stagionale

Le tattiche

La Milano-Sanremo è la Classica Monumento più difficile da vincere, non per la sua difficoltà, ma per le tante possibilità che si concentrano in pochi chilometri. Un attacco potrebbe bastare, come potrebbero risultare vani altri cento. Serve trovare il momento giusto.

«Questa gara – continua il campione del mondo – è l’unica che puoi vincere senza essere al massimo della condizione. Infatti sono sereno anche se non ho altre gare nelle gambe. La Sanremo si può vincere in diversi modi, ma tutti hanno il Poggio come scenario principale. Si può scattare in cima, oppure in discesa, ma prima è difficile fare la differenza. Non ricordo di edizioni vinte con un attacco sulla Cipressa o in altre situazioni di gara. Le posizioni saranno super importanti sul Poggio, anche più rispetto alla Cipressa, poi saranno le gambe a determinare il vincitore».

Gli avversari

L’avversario numero uno è Tadej Pogacar, il nome dello sloveno è sulla bocca di tutti. La vittoria alla Strade Bianche ha impressionato. Anche lo stesso Van Der Poel ha commentato il post di Tadej con una frase che fa capire il rispetto che c’è tra questi due grandi corridori: amico, mi sto spaventando un po’. 

«Ho visto la Strade Bianche una volta rientrato dall’allenamento – racconta VdP – l’attacco di Pogacar mi ha impressionato. Tra noi c’è rispetto, so quello che può fare, ma non è l’unico da tenere sotto controllo. Ganna nell’edizione scorsa ha fatto molto bene, rispondendo all’attacco di Tadej. Ma penso davvero che prima del Poggio sia difficile attaccare e andare via da soli con tutti i grandi team alle spalle che tirano».

La Sanremo sarà la sua prima Monumento in maglia iridata, ma l’olandese non sente la pressione (Instagram/Photonews)
La Sanremo sarà la sua prima Monumento in maglia iridata, ma l’olandese non sente la pressione (Instagram/Photonews)

L’arcobaleno addosso

«Il 2023 è stato un anno eccezionale – conclude Van Der Poel – nel quale ho vinto due Classiche Monumento (Milano-Sanremo e Parigi-Roubaix, ndr). Poi ho vinto anche il mondiale di Glasgow, che è stato davvero speciale. Correre con la maglia arcobaleno addosso è veramente bello, ma non penso che cambierà qualcosa nel modo di correre o di approcciare le gare. Non so ancora con quali pantaloncini partirò – ride – dipenderà dal mood di sabato mattina». 

Van Der Poel poi si alza e risponde alle domande delle televisioni davanti a telecamere che lo accerchiano con microfoni puntati. L’olandese esprime una calma senza eguali, assomiglia ad un giocatore di poker, solo lui conosce le carte che ha in mano. Sabato sarà il momento di giocarle…

La Parigi-Nizza di Vergallito: «Una vera faticaccia…»

13.03.2024
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Per Luca Vergallito la prima stagione nel WorldTour diventa più impegnativa ogni giorno che passa. Prima la trasferta australiana, poi le altre corse a tappe fino alla Parigi-Nizza, dove con il suo 36° posto è stato il terzo degli italiani in classifica dopo Cattaneo e Battistella. Per il milanese l’impatto con la corsa francese è stato duro, perché non parliamo di una gara a tappe come le altre, è l’ideale spartitraffico fra le tante del calendario e i tre grandi Giri.

Tornato a casa e in attesa di rimettersi in viaggio tra qualche settimana (lo attende il Giro dei Paesi Baschi a inizio aprile per poi dirigersi verso le Classiche delle Ardenne), Vergallito traccia il bilancio non focalizzandosi sull’ultima gara.

«Ho iniziato subito con l’Australia cominciando ad assaggiare il massimo circuito – spiega il milanese – poi le prime gare a tappe europee, ma non sono la stessa cosa. Lì, anche agli antipodi, trovi sì le squadre del WorldTour ma anche quelle Professional e Continental. Alla Parigi-Nizza cambia tutto: ci sono i massimi team, solo qualche altra squadra a invito, si vede che il livello è più alto».

Vergallito alla Parigi-Nizza. Un 29° posto come miglior risultato e tanta esperienza in più
Vergallito alla Parigi-Nizza. Un 29° posto come miglior risultato e tanta esperienza in più
Da che cosa te ne sei accorto?

La startlist diceva sin dal via che tutti i team portavano i grossi calibri e in gara lo percepisci, lo vivi. C’è molto più nervosismo in gruppo, il ritmo è più alto, tutti cercano di mettersi in luce. Poi c’è un fattore che emerge: la lunghezza, sono ben 8 tappe, rispetto alle altre corse di più giorni è un’altra cosa. Finita la gara la senti nelle gambe che non è come tutte le altre.

Tu come l’hai vissuta?

E’ stata abbastanza tranquilla perché la squadra non mi ha messo pressione, né me la sono messa io. Sapevo che era un impegno diverso dal solito, una corsa più lunga e con una concorrenza della massima qualità. E’ chiaro che dentro senti sempre la voglia di arrivare davanti, fare risultato, ma non ci arrivi dall’oggi al domani.

La corsa francese è stata stressante soprattutto per la sua lunghezza e la condotta del gruppo
La corsa francese è stata stressante soprattutto per la sua lunghezza e la condotta del gruppo
Quali erano i tuoi compiti?

Inizialmente tutta la squadra era votata al supporto di Kaden Groves per le volate, poi nella terza frazione, una cronosquadre, sapevamo di essere svantaggiati rispetto agli altri team, non siamo specializzati e potevamo solamente difenderci. La quarta tappa era forse la più dura: io ero nel primo gruppo, ma quando è caduto Gaudu ho perso l’aggancio con i primi e non sono più riuscito a recuperare. Poi sono andato avanti pressoché allo stesso livello. Non ho ottenuto risultati eccezionali, ma sono soddisfatto perché credo di aver imparato più in questa settimana che in tutte le altre gare dell’anno.

Che c’è che cambia in una corsa del massimo livello?

La tensione che si respira. L’aspetto tattico della corsa diventa essenziale, il posizionamento in gara per ogni singolo chilometro. Non puoi davvero sbagliare nulla. Il fatto di avere vissuto tutto ciò, di avere visto piccoli miglioramenti proprio nella condotta di gara lo reputo come una vittoria personale.

Evenepoel e Roglic, i due big al via della corsa francese. Eppure Jorgenson è riuscito a batterli
Evenepoel e Roglic, i due big al via della corsa francese. Eppure Jorgenson è riuscito a batterli
Questo è il tuo primo anno nella squadra maggiore. Anche alla Parigi-Nizza hai affrontato grossi calibri, anche corridori come Evenepoel e Roglic, due di quelli considerati fra i “magnifici 5” che stanno cambiando il ciclismo contemporaneo. Che cosa significa correrci contro?

In questo senso la Parigi-Nizza mi ha detto molto. Si capisce che hanno qualcosa in più sia dal punto di vista fisico che tattico. Vedi corridori del genere e vedi gli altri: il 95 per cento di loro cerca di stare al passo mettendoci tutto quel che ha, ma poi quelli fanno la differenza. Non vedi in loro alti e bassi, segni di chiaro cedimento. A prescindere dalla condizione, fanno risultato. Però ho anche capito che con il sacrificio, crescendo piano piano ci si può arrivare a competere: la vittoria di Jorgenson in questo senso è un messaggio di speranza per me perché anche chi non è baciato dal talento puro può farcela.

Ora ti attendono Paesi Baschi, le Classiche e il Romandia. L’impressione è che la squadra creda fortemente in te al punto di aver portato il tuo calendario quasi all’estremo…

E’ vero e so che in corse simili, fare risultato è molto difficile. Ma è solo così che si cresce, dando il massimo e analizzando i propri errori, per questo dico che l’esito della Parigi-Nizza è stato un’ispirazione. L’Alpecin Deceuninck non è una squadra di scalatori, quindi ho spazi nelle corse più difficili, spero piano piano di poterli sfruttare.

Per il lombardo una prima parte di stagione impegnativa. Il livello di gare rispetto al 2023 è salito molto
Per il lombardo una prima parte di stagione impegnativa. Il livello di gare rispetto al 2023 è salito molto
Tutti sanno che tu vieni dall’esperienza della Zwift Academy, dove poche settimane fa Mattia Gaffuri ha sfiorato l’ottenimento del contratto. Tu che ci sei passato che cosa ti senti di consigliargli?

Se vuole diventare professionista deve insistere, tenere i rapporti con l’ambiente e sperare nel colpo di fortuna. La logica vorrebbe che chi da una selezione di decine di migliaia in tutto il mondo è emerso fino alla finale, all’ideale podio, dovrebbe avere una chance in questo mondo, ma è difficile che gli altri team vengano a cercarti. La ragione è semplice: il mondo dei professionisti è ristretto, c’è un ricambio continuo, guardate quanti corridori in carovana lo scorso anno sono rimasti senza contratto… Anche se ha talento – e lui ne ha da vendere – questo non basta. Io lo so bene: con Chiara Doni sapevo che aveva perso la finale di pochissimo: ho contattato mari e monti, alla fine è saltato fuori solo un breve stage a fine stagione. Chissà, potrebbe capitare anche a lui, mai rassegnarsi.

Finale Zwift: Gaffuri secondo, ma non tutto è perduto

27.02.2024
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Lo ha sognato. Ci ha sperato fino all’ultimo, ma alla fine Mattia Gaffuri ha dovuto riporre i suoi sogni in valigia insieme a tutto il resto. La finale della Zwift Academy non si è conclusa nel modo sperato, premiando alla fine il tedesco Louis Kitzki, al quale è stato offerto un contratto con il devo team dell’Alpecin Deceuninck, seguendo quindi le stesse orme di Luca Vergallito e di Jay Vine prima di lui.

Sono passati ormai giorni da quel 25 gennaio, ma l’ufficialità dell’esito della finale si è avuta solo nelle ultimissime ore: «Avevamo firmato tutti un contratto di riservatezza, non potevamo far trapelare nulla. Intorno a questo concorso c’è un impegno totale non solo della Zwift, ma anche di Alpecin-Deceuninck, della Canyon/Sram (la squadra WT femminile che dal canto suo ha premiato con un ingaggio l’ex triathleta sudafricana Maddie Le Roux) e anche di Eurosport. L’emittente ha addirittura mandato una troupe a fare un servizio a casa mia».

L’ex triathleta sudafricana Maddie Le Roux e il tedesco Louis Kinzki, i due vincitori (foto Zwift Academy)
Il vincitore Louis Kinzki, classe 2004, attualmente tesserato per il team Embrace the World (foto Zwift Academy)
Raccontaci com’è stata questa finale…

Ci siamo ritrovati in Spagna, a Calpe, durante il ritiro della Alpecin. C’era anche Van Der Poel, anche se è rimasto solo per i primissimi giorni, in quanto poi aveva la prova di Coppa del mondo a Benidorm. Noi sapevamo da fine dicembre di essere i finalisti dell’evento e già essere in 3 a giocarsi la vittoria (con Gaffuri e il vincitore anche l’altro tedesco Anton Schiffer, tesserato per Bike Aid, ndr) era già un grande risultato. Non sapevamo però su quali prove ci saremmo affrontati: da questo punto di vista è stato tutto una scoperta.

In che cosa consistevano queste prove?

La sfida vera e propria è iniziata il secondo giorno, quando abbiamo affrontato, dopo l’allenamento con la squadra, un test sul lattato e poi una prova massimale di 4’. Il giorno successivo era prevista la gara su Zwift e poi un test in discesa, che abbiamo affrontato dopo aver preso lezione da un tecnico specializzato. Il quarto giorno altro test massimale di 4’ a fine allenamento di gruppo. Poi i dirigenti si sono riuniti e in base ai responsi hanno preso le loro decisioni.

Per il comasco il test del lattato, subito dopo l’allenamento di squadra
Per il comasco il test del lattato, subito dopo l’allenamento di squadra
Quindi non erano prove con classifica, con un punteggio?

No, la decisione era in base alla loro valutazione. Era una scelta tecnica, che alla fine ha premiato il più giovane. Ci hanno detto che, dovendo dare un solo contratto, hanno preferito privilegiare il più giovane che può garantire una durata più lunga.

Com’era il rapporto fra voi tre, c’era concorrenza?

Sì, ma nei giusti limiti, per il resto abbiamo legato molto. Eravamo nella stessa camera e non mi sono mai sentito escluso dal fatto di non essere tedesco come loro. In quei giorni abbiamo chiacchierato molto, condiviso le nostre emozioni. E’ chiaro che ci speravamo tutti, ma alla fine uno solo poteva essere premiato. Io se devo essere sincero ho assimilato la delusione quasi subito, non posso rimproverami nulla perché ho dato il massimo ma neanche a chi ha preso la decisione. Non ho nulla da recriminare.

Quattro minuti di test massimale, sulle rampe de La Vallesa, il 2° e il 4° giorno
Quattro minuti di test massimale, sulle rampe de La Vallesa, il 2° e il 4° giorno
Il fatto che lo scorso anno ha vinto Vergallito pensi possa avere pesato nella decisione finale?

Non credo. Di fatto la decisione è stata presa dalla Alpecin in base alle loro esigenze, chiaramente il fatto che alla fine pesi la carta d’identità da una parte è un po’ doloroso, dall’altra però ci può anche stare nell’economia di un team WorldTour. Inoltre è stata una finale particolare…

In che senso?

Quando ci hanno comunicato il responso, i dirigenti hanno premesso che mai in passato c’era stato un livello così alto e la decisione era stata davvero difficile, per questo l’età è stata l’unica discriminante, perché eravamo allo stesso livello. Magari lo hanno detto per “indorarci la pillola”, però sono convinti che potremmo avere altre occasioni, ci hanno invitato a insistere perché a loro avviso siamo adatti anche al livello più alto, quello dei corridori professionisti della massima serie.

Mattia impegnato nella prova sulla piattaforma Zwift, dove si è guadagnato la finale
Mattia impegnato nella prova sulla piattaforma Zwift, dove si è guadagnato la finale
Parole importanti, soprattutto considerando i giudizi non troppo lusinghieri che un campione come Vincenzo Nibali aveva avuto via social su di te e in generale su questo passaggio diretto dal ciclismo virtuale a quello professionistico…

Con Vincenzo ci siamo chiariti da tempo, sui social la polemica è stata creata più da chi commentava che da me e mi è spiaciuto per lui, dato il suo prestigio. Non voglio assolutamente tornare su quella polemica che è stata più costruita, io sono orgoglioso di quello che ho fatto e vado avanti per la mia strada.

Quello che hanno detto i dirigenti potrebbe però essere vero, considerando ad esempio la vicenda legata a Chiara Doni, seconda lo scorso anno e protagonista di uno stage con la Jayco-AlUla…

Chissà, potrebbe capitare anche a me, i dirigenti hanno detto che i nostri nomi ora sono nei taccuini non soltanto loro perché la finale di Zwift è molto seguita nell’ambiente. Io non voglio illudermi, cerco di andare avanti alla giornata e seguire nuovi obiettivi.

Gaffuri impegnato a Girona: nella Santa Vall ha chiuso 43° a 26’26” dallo slovacco Vakoc (foto Instagram)
Gaffuri impegnato a Girona: nella Santa Vall ha chiuso 43° a 26’26” dallo slovacco Vakoc (foto Instagram)
Quali sono?

Ora sono entrato in rapporti con Colnago per seguire la stagione del gravel. Anzi, ho già gareggiato in una prova internazionale, la Santa Vall a Girona in Spagna che era una corsa a tappe su tre prove. Non è andata benissimo, nella tappa finale sono caduto e alla fine in classifica ho chiuso 43°. E’ stata però una gara molto utile e importante per capire, per imparare. Il passaggio dalla strada alla gravel non è così automatico, soprattutto per chi come me non ha un passato offroad, devo lavorare molto sulla tecnica. Conto comunque di seguire la stagione internazionale e magari presto o tardi il cellulare squillerà…

Ruta del Sol: la corsa fantasma sulle strade dell’Andalucia

23.02.2024
4 min
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«Alla fine la trasferta in Spagna per la Ruta Ciclista del Sol, in Andalucia, si è trasformata in un ritiro di squadra. Abbiamo sfruttato il clima. Purtroppo non siamo riusciti a correre a causa delle proteste degli agricoltori. Peccato, perché per me sarebbe stato un blocco importante in vista dei prossimi impegni: Strade Bianche e Tirreno-Adriatico. Sarebbe stata una corsa di buon livello dove avrei potuto mettermi in mostra e capire a che punto ero con la condizione».

A parlare è Nicola Conci, corridore della Alpecin-Deceuninck che come altri 102 corridori, si è presentato alla partenza della Ruta Ciclista del Sol. La corsa alla fine non c’è stata, ad eccezione della breve cronometro disputata nella terza tappa. 

La protesta degli agricoltori è arrivata fin sulle strade delle Ruta del Sol
La protesta degli agricoltori è arrivata fin sulle strade delle Ruta del Sol

Giorni difficili

In Andalucia degli oltre 500 chilometri previsti se ne sono completati solamente 5. Un bottino scarso per chi, come Conci, era arrivato per accumulare chilometri e fatica verso i primi obiettivi di stagione

«Non nascondo che sono stati giorni frustranti – ammette Conci – ogni atleta vive le corse e gli allenamenti a modo suo. Io ero davvero carico per questo appuntamento, ma già alla prima tappa ci sono state delle complicazioni. Abbiamo fatto la riunione sul bus, come consuetudine, ma una volta scesi abbiamo capito che qualcosa non stesse andando nel modo giusto. Parlando con altri corridori era girata subito la voce che non avremmo corso. Infatti, non ci hanno nemmeno fatto andare al foglio firma. 

La prima tappa è stata cancellata a 45′ dal via, i corridori erano pronti. Qui Alex Martin
La prima tappa è stata cancellata a 45′ dal via, i corridori erano pronti. Qui Alex Martin
Quindi voi eravate sicuri di correre?

Fino alla riunione tecnica sì. Ci hanno avvisato della cancellazione della tappa solamente 45 minuti prima del via. Fuori dal bus poi, confrontandoci anche con atleti di altre squadre, c’era chi diceva che non avremmo corso tutta la settimana. In questi casi, però, prendi tutto con le pinze. Non sei mai sicuro perché tra corridori gira qualche voce, ma l’ufficialità spetta all’organizzazione. 

Come avete preso la decisione?

La motivazione della cancellazione della tappa e anche di quelle successive è stata la mancanza di polizia stradale. Io mi domando, più che altro, come sia stato possibile saperlo solo 45 minuti prima. A Besseges hanno cancellato la prima tappa sempre a causa delle proteste degli agricoltori, ma i corridori lo hanno saputo la sera prima. 

Alla cronometro è stato poi comunicato che anche la quarta e la quinta tappa sarebbero state cancellate
Alla cronometro è stato poi comunicato che anche la quarta e la quinta tappa sarebbero state cancellate
Che avete fatto una volta cancellata la tappa?

Ci siamo spostati con il bus e abbiamo fatto una ricognizione di un paio d’ore sul percorso della seconda frazione. Anche perché, a quanto sapevamo noi, si sarebbe corsa. Invece, la sera in hotel, sulla chat della squadra hanno detto che avremmo fatto un meeting prima di cena. Mi è sembrata subito una cosa strana. Infatti, una volta riuniti tutti, i diesse ci hanno avvisato che non avremmo corso il giorno dopo.

La cronometro della terza tappa è stata l’unica frazione disputata, con vittoria di Van Gils su Ayuso e Tiberi
La cronometro della terza tappa è stata l’unica frazione disputata, con vittoria di Van Gils su Ayuso e Tiberi
E per i giorni successivi?

Le informazioni che avevamo erano che avremmo fatto la cronometro, lunga solo 5 chilometri e interamente nel deserto, e le ultime due tappe sarebbero state modificate. Al posto del percorso previsto avremmo fatto dei circuiti, il primo anche molto esplosivo, l’ultimo, invece, per velocisti. 

Alla cronometro siete andati, era tutto normale?

Più o meno. Nel senso che alla ricognizione, dove abbiamo provato il percorso, è emerso che avremmo fatto solo la cronometro e poi basta. Però erano fonti non sicure, erano informazioni che ci siamo scambiati noi corridori per strada. Una volta tornati sul bus per prepararci ci hanno confermato le voci che la cronometro sarebbe stata l’unica tappa. 

Conci e compagni hanno utilizzato i giorni previsti per la gare come allenamento
Conci e compagni hanno utilizzato i giorni previsti per la gare come allenamento
I circuiti erano una soluzione alla mancanza di uomini della polizia?

Ci sarebbe stato bisogno di meno personale per il controllo, solo che dei 30 poliziotti richiesti, solo in 2 erano disponibili. Quindi capite bene che era impossibile fare qualsiasi cosa. Dopo la cronometro siamo tornati in hotel e ci siamo organizzati per allenarci. Abbiamo sostituito le tappe con due allenamenti lunghi. Abbiamo messo una pezza, ma di certo non è stato come correre.

Del Grosso, italiano solo di nome, campione di fatto

20.02.2024
5 min
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A Tabor, oltre al trionfo di Viezzi, c’è stato un altro cognome italiano capace di svettare su tutti e laurearsi campione del mondo. Peccato che d’italiano, Tibor Del Grosso abbia solo il cognome, per il resto è olandese da più generazioni. Il corridore di Eelde, 20 anni compiuti, è una delle vere rivelazioni della stagione di ciclocross appena conclusa, anche se la conquista del titolo sembrava davvero nel suo destino dopo la piazza d’onore dello scorso anno.

Il tulipano non è solo un ciclocrossista, anzi. Campione nazionale juniores sia in linea che a cronometro nel 2021, lo scorso anno si è messo in luce anche nella categoria superiore con molti piazzamenti, sfiorando la Top 10 agli europei. Una doppia veste sulla quale era interessante indagare considerando anche che “in casa” ha un maestro d’eccezione nel campo come il bicampione del mondo Van der Poel.

Tante bandiere al vento per il suo trionfo a Tabor, ma Del Grosso ha vinto anche la Coppa del mondo
Tante bandiere al vento per il suo trionfo a Tabor, ma Del Grosso ha vinto anche la Coppa del mondo
Partiamo dal tuo cognome e quindi dalle tue origini italiane.

Sinceramente non ne so molto. E’ una cosa che risale a molto tempo fa, la mia famiglia è olandese da più generazioni, neanche mio nonno sa da dove sono arrivati i suoi antenati. Mi resta questo cognome piuttosto insolito, anche difficile da pronunciare nella nostra lingua.

Come hai iniziato a fare strada e ciclocross?

Mi sono sempre diviso, fin da quando ero giovanissimo. Mio padre aveva un negozio di biciclette, ci sono salito praticamente subito e ho visto che me la cavavo piuttosto bene, quindi ho provato qualcosa di più tecnico come il ciclocross. Mi dicevano tutti che ero bravo, allora ho insistito. Poi ho iniziato a fare le corse su strada da quando avevo 8-9 anni e non ho più smesso, anche se ho fatto anche altri sport. Ma ora sono concentrato sul ciclismo.

Sin da bambino il corridore di Eenle si è diviso fra strada e ciclocross (foto Julia Zwaan)
Sin da bambino il corridore di Eenle si è diviso fra strada e ciclocross (foto Julia Zwaan)
Ti senti più ciclocrossista o stradista?

Bella domanda. La verità è che non lo so davvero neanche io. Mi sento entrambi. Mi piace davvero tanto questa commistione, il passare da una parte all’altra. Penso che sia una combinazione perfetta, anche perché temporalmente non coincidono se non in minima parte, quindi si possono fondere bene.

Nel ciclocross sei sicuramente più conosciuto, ma su strada che caratteristiche hai?

Io non ne ho ancora idea. Non so in cosa mi trovo meglio, ma penso di essere piuttosto un corridore da classiche. Mi trovo bene sulle salite brevi anche con pendenze pronunciate, allo sprint vado abbastanza bene, mentre le grandi salite e quindi le corse a tappe (intese come caccia alla classifica) non fanno per me.

Su strada Del Grosso ha chiuso 2° nel Flanders Tomorrow Tour, con 9 Top 10 in totale (foto Gibson/DirectVelo)
Su strada Del Grosso ha chiuso 2° nel Flanders Tomorrow Tour, con 9 Top 10 in totale (foto Gibson/DirectVelo)
Rispetto agli altri team, essere all’Alpecin è un aiuto per chi come te fa entrambe le specialità?

Sì, di sicuro. Il fatto che siano in tanti a fare doppia attività non è un caso e nella ricerca di nuovi corridori la commistione è un aspetto che viene valutato molto positivamente. Tra l’altro è importante il fatto che i preparatori sanno coniugarlo bene, anche con l’allenamento, dando i giusti tempi di stacco tra un’attività e l’altra. Mi sento davvero a casa, è un buon passo per me.

Che cosa significa per te avere Van der Poel come compagno di squadra?

E’ molto importante per tutto il gruppo, anche se personalmente non farò gare con lui essendo io nel devo team. E’ comunque importante stare seduti sul bus della squadra con lui, condividere esperienze, oltretutto è davvero un tipo molto estroverso e simpatico. Ci sono anche momenti di allegria da condividere. Poi parliamo proprio di uno dei miei eroi d’infanzia. Essere nel suo team, averlo come riferimento è fondamentale, è un tipo davvero “cool”. Sono un suo grandissimo tifoso.

Compagno di colori di VDP, Del Grosso è uno dei tanti che all’Alpecin fa doppia attività
Compagno di colori di VDP, Del Grosso è uno dei tanti che all’Alpecin fa doppia attività
Nel ciclocross Olanda e Belgio sono le Nazioni che dominano. Quanta rivalità c’è fra voi?

Direi davvero che è una rivalità più forte che con qualsiasi altra Nazione. Penso che sia semplicemente perché il ciclocross nei nostri Paesi è molto diffuso, forse anche il più popolare tra gli sport su due ruote. Ma considerando quel che ho visto ai mondiali e più in generale durante la stagione, nelle categorie giovanili ci sono tante Nazioni che hanno corridori validi, il bacino di rivali si sta allargando, come anche nel movimento femminile. Resta però un sapore particolare quando ci troviamo in gara noi e i cugini belgi, la rivalità si sente forte.

Dopo la lunga stagione nel ciclocross, come ti prepari per la strada e quali obiettivi ti poni?

Mi sto prendendo una breve pausa dopo i campionati del mondo e ora sto ricominciando a prepararmi per la stagione su strada, che inizierò a marzo. Proverò ad essere bravo nello sfruttare la condizione, soprattutto per le prove d’un giorno.

L’olandese in maglia iridata. A Tabor ha preceduto di 27″ i belgi Verstrynge e Michels
L’olandese in maglia iridata. A Tabor ha preceduto di 27″ i belgi Verstrynge e Michels
Ciclismo a parte, raccontaci qualcosa di te: quale scuola fai, quali hobby hai?

Non vado più a scuola. Per ora da quel punto di vista non so che cosa farò. A me comunque piace imparare sempre qualcosa di nuovo. Mi piace molto anche praticare altri sport, come il tennis che nel mio Paese sta sviluppandosi molto.

Qual è il tuo sogno nel ciclismo?

Questa è davvero facile: diventare un giorno campione del mondo tra gli élite…

Laurance, un iridato alla corte di VDP. Ora punta più in alto

10.02.2024
6 min
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Quando vinci alla tua seconda gara nel team principale WorldTour, portandoti addosso il fardello di responsabilità del mondiale U23 vinto l’anno precedente, significa che c’è davvero stoffa. Axel Laurance ha iniziato la sua stagione come meglio non si poteva, mettendo la firma sulla prima tappa dell’Etoile de Bessèges.

Una volata imperiosa, lasciandosi alle spalle l’ex campione del mondo Mads Pedersen. Un successo che ha il sapore dolce delle belle avventure al loro inizio, che Laurance ha accolto con la consapevolezza di chi sa di valere. «Quando parti speri sempre di vincere e così è stato il giorno di Rousson. Poi penso che tutti sappiano che è molto, molto difficile vincere tra i professionisti, ma su quello strappo ho corso con intelligenza, cercando di risparmiare le energie per sparare tutto negli ultimi 150 metri».

La volata di Laurance stroncando Pedersen negli ultimi 150 metri. Nella corsa a tappe ha chiuso 12°
La volata di Laurance stroncando Pedersen negli ultimi 150 metri. Nella corsa a tappe ha chiuso 12°
Che cambiamenti hai notato passando dal devo team alla squadra principale dell’Alpecin Deceuninck?

Ovviamente, quest’inverno, c’è stato molto più seguito per me e ovviamente mi è stata anche data molta più fiducia. E’ chiaro che con il titolo mondiale molto è cambiato rispetto allo scorso anno, quando avevo vissuto un inverno complicato, dato che ero piuttosto teso per l’evoluzione della mia carriera. Sono tranquillo, ho trascorso un inverno intero e sono stato ben seguito.

Come hai iniziato a fare ciclismo?

Ho cominciato all’età di 4 anni e mezzo con la bmx. Ho continuato circa otto anni e poi sono passato al ciclismo su strada, alla pista e al ciclocross, tutte e tre le discipline contemporaneamente. Poi gradualmente ho interrotto la pista e ora faccio ancora un po’ di ciclocross di tanto in tanto in inverno. Il tutto finalizzato alla strada, che è diventata lo sport principale.

Laurance, 22 anni, è approdato all’Alpecin lo scorso anno, nel team di sviluppo
Laurance, 22 anni, è approdato all’Alpecin lo scorso anno, nel team di sviluppo
Ripensandoci oggi, che cosa ti è rimasto impresso della vittoria ai mondiali?

Penso che mi abbia fatto imparare molto sullo stress che una gara può causare, sulla pressione che viene esercitata. Riflettendo ho capito che alla fine, quando ero davvero rilassato e non avevo alcuna pressione, facevo le mie gare migliori.

Una lezione utile per il futuro?

Certamente mi aiuterà a gestirmi nei grandi appuntamenti, anche perché i campionati del mondo sono una grande gara, ci sono molte persone, tutti i media. Un po’ quello che succede nelle classiche o nei grandi Giri, con l’attenzione sempre a mille e dovendo gestire tutti gli aspetti.

Glasgow 2023. La lunga fuga sembra ormai fallire. Laurance se ne accorge e riparte
Glasgow 2023. La lunga fuga sembra ormai fallire. Laurance se ne accorge e riparte
Che cosa pensavi sul rettilineo finale quando Morgado e gli altri stavano rimontando, avevi paura?

E’ stato abbastanza difficile perché era già difficile pensare, ero davvero concentrato sullo sforzo perché ero a tutta. Tutto il mio corpo era lì solo per premere sui pedali. Ma sapevo che non erano molto lontani e speravo con tutto il cuore che quel che stavo facendo fosse sufficiente. Sapevo benissimo che ce n’erano parecchi dietro, ma anche che quando sono in tanti c’è in palio il titolo di campione del mondo, non tutti danno il 100 per cento. Quindi speravo che non ci fosse tanta coesione nel gruppetto inseguitore.

Hai visto giusto, insomma…

Avevo il mio vantaggio nell’essere tutto solo davanti. Dietro, anche se a volte collaboravano, spesso perdevano tempo guardandosi. Sono stato più di 27 chilometri davanti e pensavo che comunque non dovevo avere rimpianti: «Se mi prendono – dicevo a me stesso – è così: questa è la vita».

La caratteristica principale di Laurance è la sua propensione ad andare all’attacco, ma saper anche giocarsi la volata
La caratteristica di Laurance è la propensione ad andare all’attacco, ma saper anche giocarsi la volata
Che tipo di corridore sei?

Sono un ciclista piuttosto incisivo. Penso che la bmx mi abbia aiutato molto. Mi piacciono gli sforzi piuttosto brevi e intensi, come abbiamo visto a Bessèges. So di essere abbastanza veloce nello sprint quando la gara è un po’ difficile. Dopo sono abbastanza completo, ma devo continuare a lavorare sui punti forti e anche su quelli deboli per migliorare.

Molti ti paragonano ad Alaphilippe: in che cosa gli assomigli e in che cosa sei diverso?

Penso che la somiglianza con Julian ci sia in termini di potenza, impatto, esplosività. Quando attacchiamo, siamo esplosivi e facciamo la differenza. Ma poi penso che Alaphilippe sia ancora più completo di me. L’abbiamo visto, al Tour de France, superare bene le montagne. Contro il tempo è molto bravo. Rispetto a lui forse sono un po’ meno scalatore e un po’ più veloce nello sprint. Chiaramente non parlo del curriculum, ci vorrà tantissimo per raggiungere i suoi livelli. Lui ha già avuto buona parte della sua carriera con grandi vittorie. E’ uno dei più grandi corridori francesi e ha ancora tanto da fare.

I complimenti di Pedersen battuto dal giovane francese. Un ingresso trionfale nel ciclismo che conta
I complimenti di Pedersen battuto dal giovane francese. Un ingresso trionfale nel ciclismo che conta
Quanto è importante la vicinanza con Van der Poel, vi allenate mai insieme?

Sì, pedaliamo insieme nei raduni che abbiamo avuto. E’ anche bello vedere come lui, come corridore, gestisce le gare, perché c’è molta pressione da parte dei media. Posso imparare molto, osservendo ciò che sta attraversando e guardando come funziona. Penso che la cosa più importante sia che abbiamo il miglior esempio nella squadra.

Hai un programma molto ricco, con Sanremo e tante classiche del Nord. Quali sono quelle più adatte a te e che cosa ti aspetti?

Per il momento non posso sapere quale gara mi si addice meglio, perché non le ho mai fatte. Quest’anno mi permetterà di scoprire molte gare, classiche e non, e vedere cosa fa per me. Penso che potrei farmi un’opinione a fine stagione e dirmi a quali posso puntare, che cosa mi si addice per il futuro.

Festeggiamenti da tutta la nazionale a Glasgow dopo la grande impresa mondiale
Festeggiamenti da tutta la nazionale a Glasgow dopo la grande impresa mondiale
Hai fissato un obiettivo da qui a fine stagione?

L’obiettivo era ovviamente vincere. Ne ho già vinta una, quindi è fantastico, ma penso che l’obiettivo sia vincerne di più. Non mi pongo un obiettivo perché come ho detto è un po’ una scoperta, per cui adotto una visione più globale e mi dico che l’obiettivo è cercare di vincere il più possibile.

In Francia tutti aspettano un corridore che possa rivincere il Tour de France. Per voi giovani questo porta maggiore pressione addosso?

No, non credo. Penso che noi della stessa generazione siamo molto lucidi al riguardo e sappiamo cosa dobbiamo fare. Poi, ovviamente, le dimensioni fisiche e le capacità faranno sì che alcuni corridori forse un giorno saranno capaci di vincere il Tour rispetto, ad esempio, a me. Sappiamo tutti che la Francia è una grande Nazione nel ciclismo, ma alla nostra età è difficile immaginarlo, dire: «Ok, un giorno forse vincerò il Tour de France». E’ un obiettivo così alto che quando sei giovane e vuoi emergere, è meglio non averlo troppo in giro per la testa.

Alla Alpecin non c’è più posto, Sbaragli riparte dalla Corratec

08.11.2023
5 min
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Dalla Alpecin alla Corratec, così Kristian Sbaragli ha preso il suo mondo e lo ha ridisegnato, un po’ per necessità e un po’ cercando qualcosa di diverso per se stesso. Negli ultimi anni è stato la sponda e la guida per Van der Poel e Philipsen, ma ora che la squadra belga ha deciso di ringiovanire la rosa, tenendo i tre leader e facendo passare tutti o quasi i ragazzi del Devo Team, per il corridore classe 1990 di Castel Fiorentino non c’è stato più posto.

«Io con loro stavo bene – spiega – non ho avuto problemi. Solo che dopo il mondiale si è parlato con la squadra: c’erano progetti diversi e alla fine non c’erano più le condizioni per rimanere. Ho fatto quattro anni, anche loro erano contenti. Così alla fine è stata solo una scelta tecnica, una volontà di rinnovamento. Nel mondo del lavoro funziona così, ognuno ha la sua politica e per questo ci siamo lasciati. Non è stato più possibile proseguire, ma siamo rimasti in ottimi rapporti».

Sbaragli e il diesse Frassi: foto di inizio rapporto: si parla in dialetto toscano (foto Team Corratec)
Sbaragli e il diesse Frassi: foto di inizio rapporto: si parla in dialetto toscano (foto Team Corratec)
Come siamo arrivati alla Corratec?

Quando abbiamo parlato con la squadra e abbiamo capito che non era nei piani rimanere, c’erano varie opzioni, però niente di concreto. Abbiamo parlato con sia con WorldTour sia professional, però non siamo mai arrivati a firmare un contratto. Nel frattempo avevo parlato anche con la Corratec. Per cui, una volta finita la stagione, ci siamo visti un paio di volte con Lastrucci, che è uno degli sponsor della squadra. Lo conosco da una vita, perché quando ero junior alla Vangi, era sponsor del team. Poi da dilettante ho corso con lui alla Hopplà e mi ha convinto a sposare questo progetto, a rimettermi in gioco in prima persona per raggiungere degli obiettivi personali che negli ultimi quattro anni avevo messo in secondo piano. E io alla fine ho accettato la sfida. Naturalmente è una squadra più piccola, ci saranno occasioni in cui altri saranno leader, ma di base parto con molta più libertà.

Diciamo che il terzo posto al campionato italiano ti ha acceso una lampadina?

Quello è stato uno dei fattori, una delle cose che mi ha convinto. Sicuramente faremo un calendario più adatto alle mie caratteristiche. E poi non mi dispiacerebbe riscoprire questa parte. Non si tratta di vincere un Giro d’Italia o partire la stagione con l’obiettivo di vincere la Sanremo, anche se tutto può succedere. Voglio essere competitivo e vedere che risultati si possono raccogliere non avendo compiti da svolgere per altri capitani.

Il terzo posto ai tricolori vinti da Velasco ha riacceso in Sbaragli la curiosità di mettersi alla prova
Il terzo posto ai tricolori vinti da Velasco ha riacceso in Sbaragli la curiosità di mettersi alla prova
La differenza più grande sarà proprio l’organizzazione della squadra.

La struttura è senza dubbio più piccola, quindi come in tutte le professional ci saranno sicuramente dei deficit per il livello di personale e alcune parti organizzative. Però diciamo che essere vecchio, fra virgolette (sorride, ndr), mi ha permesso di raccogliere l’esperienza che può servire. In questi quattro anni alla Alpecin ho imparato tanto. Lavoravamo in maniera molto specifica, soprattutto su determinati allenamenti e l’alimentazione durante gli allenamenti e la gara. Se uno sta attento e non lo fa soltanto perché gli viene detto, ma ascolta e si guarda intorno, sono cose che si ritrova anche quando cambia squadra. E’ un bagaglio di esperienza che con l’età ti porti dietro. Ogni anno ho sempre cercato di raccogliere tutta l’esperienza possibile, cercando di fare le cose sempre nel modo migliore.

Magari il tuo arrivo sarà di aiuto anche per gli altri…

Penso di avere un po’ di esperienza da mettere a disposizione per far crescere tutta la squadra. Ho in mente i ragazzi più giovani. Magari non gli manca niente, però non sono mai stati in realtà più grandi e forse avere qualche riferimento in più potrà essergli utile.

Quest’anno Sbaragli ha corso il mondiale di Glasgow, andando in fuga e conquistando il 34° posto
Quest’anno Sbaragli ha corso il mondiale di Glasgow, andando in fuga e conquistando il 34° posto
Dei fantastici italiani del 90 siete rimasti soltanto tu, Cattaneo e Felline. Cosa significa avere 33 anni in questo ciclismo così veloce?

A livello assoluto, 33 anni possono essere relativamente tanti. Il prossimo anno nelle WorldTour ci saranno tantissimi ragazzi nati dopo il 2000. Una delle considerazioni che ho fatto è quella di considerare il livello che ho attualmente e penso che sia ancora buono. Se non fossi più competitivo o non credessi di poterlo essere nella prossima stagione, avrei potuto anche smettere. Ho fatto una carriera di 11 stagioni fra i professionisti, quindi alla base deve esserci la consapevolezza di essere competitivi. Di certo ci sono tanti giovani che vanno forte, è cambiato l’approccio dalle categorie giovanili. Gli juniores che passano e sono competitivi sono la regola, mentre una volta poteva esserci qualche eccezione e poco di più. E’ il ciclismo che si evolve, vediamo se si può ancora dire qualcosa.

Pensi sarà difficile tornare a giocarsi le corse?

Negli ultimi quattro anni mi è capitato spesso di essere a disposizione di Philipsen, Van der Poel e Groves. Ma anche nell’ultima stagione, qualche giornata libera l’ho sempre avuta. L’istinto di giocarsi le gare andrà risvegliato, l’importante sarà essere avanti e riprendere un po’ il feeling. Ma soprattutto serviranno le gambe. Sono meccanismi che seguono anche la condizione di giornata. Quando si sta bene, si fanno meno errori.

Sanremo 2023 vinta dal compagno Van der Poel e festeggiata col figlio Lorenzo: un giorno indimenticabile (foto Instagram)
Sanremo 2023 vinta dal compagno Van der Poel e festeggiata col figlio Lorenzo: un giorno indimenticabile (foto Instagram)
Hai ripreso ad allenarti?

Da questa settimana ho ricominciato con un po’ di palestra. Poi farò qualche uscita in bici, magari a seconda del meteo, in mountain bike o bici da strada. Un paio di settimane di riattivazione blanda e da fine novembre si riprende con gli allenamenti più lunghi, fino al ritiro di dicembre. Non so se troverò qualche compagno con cui allenarmi, di sicuro in ritiro avrò modo di conoscerli bene. Ma con il magazzino in Toscana, non sarà difficile incontrarsi anche al di fuori delle corse.

Vergallito in prima squadra, ora i dubbi si allontanano

15.10.2023
5 min
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La stagione di Luca Vergallito si è chiusa anzitempo, con la caduta alla Coppa Agostoni costatagli la frattura alla clavicola che ha richiesto un intervento del chirurgo. A rendere la convalescenza meno amara è stata però la notizia della sua promozione nella prima squadra dell’Alpecin Deceuninck, che andrà a comporre il risicato contingente italiano insieme a Nicola Conci, unico azzurro confermato.

Per il milanese è un passo importante, dopo un anno di apprendistato nel team Devo che aveva fatto seguito alla sua vittoria nel contest Zwift. Una seconda opportunità che gli ha aperto la porta del ciclismo che conta, ridando vigore ai sogni che aveva messo da parte quasi con rassegnazione.

Vergallito con il braccio al collo alla Tre Valli, con Chiara Doni anche lei passata per la Zwift Academy
Vergallito con il braccio al collo alla Tre Valli, con Chiara Doni anche lei passata per la Zwift Academy

«Per me questa promozione ha un sapore dolcissimo – racconta Vergallito – la conferma da parte del team è il premio più bello per quel che ho fatto in questo primo anno di attività, dimostra che ho fatto davvero qualcosa di buono se i dirigenti mi hanno visto adatto a fare l’ulteriore, decisivo salto di qualità».

Questo risultato è anche la risposta ai dubbi sul tuo cammino ciclistico, avevi confessato che anche tu ne avevi…

Sì, è vero, mi hanno accompagnato nel corso di questa stagione. Io per primo avevo dentro di me quella vocina scettica che mi poneva davanti a quel che stavo facendo. Alla fine quest’anno ha dimostrato che la mia scelta era stata giusta, ma credo di aver lanciato anche un messaggio agli altri, facendo vedere che si può seguire anche una strada diversa per realizzare i propri sogni, che tutto è possibile. Non voglio sembrare arrogante, so che i miei risultati sono arrivati in corse minori e che tanto altro c’è da fare, ma per me questo è un inizio, non l’arrivo di un percorso.

Per il lombardo appena 33 giorni di gare Uci e 5 vittorie. Ha 26 anni, è alto 1,90 e pesa 67 chili
Per il lombardo appena 33 giorni di gare Uci e 5 vittorie. Ha 26 anni, è alto 1,90 e pesa 67 chili
Ora sali di categoria, ti confronterai con i più forti, anzi alcuni li avrai nel tuo stesso team…

E’ uno stimolo assoluto, dovrò affrontare il meglio al mondo e questa è la più grande sfida che mi posso trovare davanti. E’ importantissimo che possa affrontare una buona preparazione invernale. Per questo appena possibile, spero già fra una settimana, voglio tornare in bici, per farmi trovare pronto quando la preparazione vera e propria inizierà.

Qual è stato il momento più bello di questa stagione?

Probabilmente la vittoria all’ultima tappa dell’Oberosterreichrundfarth, che mi ha permesso di conquistare anche la classifica generale. Era la mia terza corsa a tappe della stagione, è stata una svolta, ha messo da parte tutti quei dubbi di cui dicevo prima. Una scarica violenta di emozioni. Poi sono arrivati altri buoni risultati, come i successi al Province Cycling Tour in Belgio e al Giro del Friuli, ma non hanno avuto quel carico emozionale.

Vergallito solo al traguardo in Austria, una vittoria forse decisiva per il suo futuro (foto Instagram)
Vergallito solo al traguardo in Austria, una vittoria forse decisiva per il suo futuro (foto Instagram)
Che effetto ti fa essere stato scelto come uno dei due italiani?

So che nel team hanno cambiato molto, d’altronde 30 posti sembrano tanti, ma non è assolutamente così, soprattutto considerando tutti gli obiettivi che un team del WorldTour ha. I posti sono quelli e ciascun dirigente vuole che ogni poltrona sia occupata bene… Questo significa che se sei fra quelli prescelti te lo sei meritato davvero, non è un regalo…

Gareggerai con i più grandi, Van Der Poel e Philipsen, che cosa significa?

A dir la verità non saranno molte le occasioni nelle quali saremo insieme, avremo calendari molto differenziati almeno come impostazione. Loro sono corridori da classiche e da volate, hanno bisogno di una squadra che li supporti. L’Alpecin d’altro canto è costruita molto su di loro e su quel tipo di calendario, non è un team che punta ai grandi Giri. Io sarò chiamato a impegnarmi in gare più adatte alle mie caratteristiche, a prove impegnative, con molte salite. Non saremo molti a seguire questa strada, ma so che avremo comunque un team competitivo dove di volta in volta si proverà a fare risultato, magari in qualche caso ci proverò in prima persona.

Il milanese insieme a Diego Ulissi. Dal prossimo anno pronto per lui un calendario di classiche impegnative
Il milanese insieme a Diego Ulissi. Dal prossimo anno pronto per lui un calendario di classiche impegnative
Da quando la tua storia è emersa, hai avuto addosso molta attenzione da parte dei media. Pensi che questa ti abbia aiutato?

Non più di tanto, ma non mi ha creato neanche tanta pressione addosso. Mi sono sempre concentrato su quel che posso fare. Non guardo tanto quel che succede intorno a me quanto a me stesso e alle persone che mi sono state più vicine e mi hanno spinto a dare sempre quel qualcosa in più.

Nel mondo social, accennavi tu stesso in passato che molti non hanno mancato di darti addosso, come se la tua trafila attraverso un concorso invece che tramite le categorie giovanili fosse una colpa. Pensi che questo epilogo chiuderà finalmente la bocca a tanti detrattori?

Purtroppo non ci credo molto, le critiche non sono mai mancate, anche nei momenti migliori della stagione e so che non appena qualcosa andrà storto torneranno a farsi sentire. Spero che comunque almeno qualcuno che aveva dubbi su di me si sia convinto. Io dubbi non ne ho più, questo è ciò che conta.