Le 1000 vittorie del Wolfpack, un box speciale e Tegner racconta…

15.09.2025
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Era un pomeriggio rovente dell’ultimo giugno, il 12 per la precisione. Alle 16,54 Remco Evenepoel tagliava il traguardo di Saint-Péray 2025, vincendo la cronometro del Giro del Delfinato. Questa vittoria però non era come le altre, almeno non per lui. Era infatti la numero 1.000 della sua squadra, la Soudal-Quick Step. La millessima del Wolfpack.

Il primo a firmare questa lunga lista fu Servais Knaven, che il 4 febbraio 2003 conquistò la quinta tappa del Tour of Qatar a Doha. All’epoca la squadra si chiamava Quick Step-Davitamon. Non poteva immaginare a cosa aveva dato il via (in apertura foto Pedersen).

Per celebrare questo traguardo unico, il team belga ha inviato un box a tutti gli atleti che hanno contribuito al bottino di vittorie. Dentro c’era un attestato, redatto nella lingua del corridore, che ringraziava per il contributo. Un’iniziativa del Wolfpack di cui parliamo con Alessandro Tegner, oggi Head of Marketing, Communication and Partnerships. Lui iniziò con Patrick Lefevere ed è uno dei pochissimi ad essere rimasto: una colonna del gruppo, oggi guidato dal CEO Jurgen Foré.

Dal 2003 Alessandro Tegner (a destra), qui con Davide Bramati, è in questa squadra
Dal 2003 Alessandro Tegner (a destra), qui con Davide Bramati, è in questa squadra
Alessandro, partiamo dalla fine: il diploma…

Tutto è nato perché questa cosa delle mille vittorie non volevamo farla passare così. E’ un traguardo che, per quanto ne so io, siamo la prima squadra a tagliare e quindi abbiamo detto che il merito è di tutti, dei corridori, dello staff, di chiunque abbia lavorato con noi. Rincorrere anche lo staff per dare quel box sarebbe stato troppo complicato, dato che sono passate centinaia di persone. Così abbiamo deciso di concentrarci sugli atleti che hanno vinto almeno una corsa con noi, che sono 109.

E come è nata questa idea?

Abbiamo fatto maglie, creato contenuti, ma per gli atleti abbiamo pensato a un box speciale, con il logo “1000 and beyond” che abbiamo disegnato appositamente. Dentro c’era l’elegante attestato personalizzato e un puzzle in laminato Quick Step.

Come mai Quick Step?

Perché, anche se oggi il nostro primo sponsor è Soudal, Quick Step è l’unico che è rimasto dal primo all’ultimo giorno. Una scelta che abbiamo condiviso con Soudal che ha accettato di buon grado. Ed anche questo è stato bello: erano consapevoli della grandezza di questo traguardo. Il puzzle rappresentava un ciclista e sulle ruote c’era il logo della squadra con scritto “1000 and beyond”.

Quando questa operazione ha preso corpo quali sono state le reazioni?

Un’emozione enorme. Per tutti, atleti e staff. Persone come Bramati o Peters che sono lì da sempre l’hanno vissuta con grande trasporto. Come me del resto…

A proposito di sempre, tu ci sei sempre stato in questo gruppo. Come ci sei arrivato?

Con una partita a biliardo con Frank Vandenbroucke! Eravamo a Frejus per un ritiro invernale. Era dicembre 2002 e dal 2003 è iniziato questo viaggio. Quindi sì, le ho viste tutte.

C’è una vittoria di queste mille che ha un sapore particolare per te?

Per chi lavora in un team ci sono vittorie più significative di altre più note e roboanti. Io penso a Paolo Bettini che vinse il Giro di Lombardia da campione del mondo pochi giorni dopo la morte del fratello. Una storia incredibile, con la squadra che lo aiutò ad allenarsi, Bramati che lo seguì in quelle poche ore di bici che aveva fatto in settimana e lui che disse ai genitori. «Andate sul Ghisallo perché lì mi fermo. Lì ci sono tanti tifosi e voglio onorare questa maglia». Invece di fermarsi tirò dritto e fece un’impresa memorabile.

Il puzzle in laminato Quick Step. Alla fine ne uscirà un corridore in sella (foto Pedersen)
Il puzzle in laminato Quick Step. Alla fine ne uscirà un corridore in sella (foto Pedersen)
In effetti è toccante…

Un’altra vittoria mitica per me è quella di Wouter Weylandt a Middelburg, nella tappa del Giro d’Italia 2010, partito dall’Olanda. Lui era stato criticato anche da Lefevere perché non aveva corso bene le classiche e gli era stato detto che doveva rispondere con i pedali. E così ha fatto: in una tappa ventosa, con cadute a ripetizione, rimescolamenti vari, arrivò con un gruppetto e li batté tutti in volata. Io ero lì: ho ancora in mente l’abbraccio che gli ho dato. E’ stato un momento bellissimo.

Come hai detto tu, Alessandro, parli di questi successi perché li hai vissuti dall’interno. Sarebbe troppo facile citare la Sanremo di Alaphilippe o una Roubaix di Boonen…

Per esempio, di Boonen la corsa che mi è rimasta più nel cuore è la Gand-Wevelgem del 2011, quando rientrava da un infortunio al ginocchio. Era un anno in cui, come si dice in gergo, non la muovevamo. Tom rientrò e con una delle sue magie vinse quella volata. Se lo chiedete a cento persone, nessuno vi indicherà mai quella vittoria, ma per me rappresentò il suo ritorno al livello che ci aspettavamo. In tempi più recenti ricordo la vittoria di Alaphilippe in Colombia, con uno scatto alla Saronni, oppure quella di Kwiatkowski all’Amstel Gold Race. Ma le prime tre che ho citato restano le più sentite.

A proposito di Boonen: è lui il più vincente con voi?

Sì, con 120 successi. Abbiamo preparato due bici blu con dettagli oro: una per chi avrebbe firmato la vittoria numero 1000 e che quindi è andata a Remco. E una per Boonen, il nostro corridore più vincente di sempre. Entrambi sono stati felici di questa sorpresa. Ma tutti lo sono stati. Vi dico: quando i corridori hanno iniziato a ricevere i box commemorativi, vedendo i social dei loro colleghi che ricevevano l’omaggio, alcuni ci hanno chiamato per assicurarsi che non ci fossimo dimenticati di loro.

La Specialized celebrativa (s’intravede il 1000 sul tubo piantone) data a Boonen ed Evenepoel (foto @WoutBeel)
La Specialized celebrativa (s’intravede il 1000 sul tubo piantone) data a Boonen, in foto, ed Evenepoel (foto @WoutBeel)
A fine stagione vi lascerà Remco Evenepoel, un faro megagalattico che ovviamente richiede un certo riguardo sia nel modo di correre che nel supporto a livello di uomini. Adesso sembra potrà riemergere forte il senso di gruppo, il Wolfpack?

Il senso di gruppo non è mai venuto meno. Questa squadra ha sempre fatto la sua forza con il gruppo, pur avendo grandi individualità. Mi ricordo, per esempio, Addy Engels che una volta dopo una corsa, vedendo seduto Bettini in lontananza, mi disse: «Caspita, ho tirato per lui tutti quei chilometri ed è stato un piacere!». Capite? Ci sono dei momenti nei quali la squadra emerge forte. La filosofia del Wolfpack è tutta lì. E questo si è rivisto anche recentemente.

Quando l’avete rivisto di recente?

Al Tour, sul Mont Ventoux. Penso al direttore sportivo (Bramati, ndr) che ferma Eeckhorn in fuga per farlo tirare e tenere la fuga a una certa distanza. A un corridore come Valentin Paret-Peintre che attacca e Van Wilder che rientra e, invece di giocare le sue carte, si mette davanti e gli fa il ritmo perché sa che quel giorno è la volta del suo compagno. Quelli sono momenti bellissimi. Momenti che abbiamo avuto anche con Remco. Alla fine Evenepoel ha vinto oltre 50 corse con noi.

Ora il mercato vi riporta in una nuova fase…

Abbiamo creato una squadra bilanciata, come avete visto, con acquisti che sono investimenti importanti e anche un po’ strategici nell’economia della squadra. C’è chi aiuterà e chi si giocherà le sue carte. L’importante è continuare a crescere. Perché è vero che abbiamo festeggiato le mille vittorie ma siamo già a 1.016… Questa è la mentalità che conta e che non deve cambiare mai.

Ilan Van Wilder abbraccia Paret-Peintre sul Ventoux. Quel giorno fu una vittoria da vero Wolfpack
Ilan Van Wilder abbraccia Paret-Peintre sul Ventoux. Quel giorno fu una vittoria di squadra
Cosa puoi dirci del passaggio da Patrick Lefevere a Jurgen Foré?

Lo spirito che è stato creato in quegli anni con Patrick resta. Lefevere è uno che ha sempre trasmesso questa grinta, il senso del gruppo: è lui l’uomo che ha dato una direzione a tutto questo. Io in realtà non ho fatto altro che mettere un nome, Wolfpack, a una cosa che sentivo, che esisteva già e che ho vissuto in prima persona. La grande cosa è che il Wolfpack è diventato talmente sentito che ora ci contraddistingue in modo preciso. Non è un’invenzione di marketing.

Chiaro…

Anche con Jurgen in questi giorni ci diciamo sempre che il Wolfpack è come una scatola in mezzo alla tavola e tutti ogni giorno ci devono mettere dentro qualcosa. Ecco, questa è la nostra realtà: continuare a far crescere questa cosa, metterci dentro un pezzettino e proteggerla. E mi piace tanto il fatto che tutto questo lo abbiano capito benissimo tutti coloro che lavorano nel team. Che abbiano capito che questa fiamma va continuamente alimentata.

In viaggio con Patrick Lefevere, 21 anni di mestiere e passione

29.12.2024
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«Ci hanno presentato ad agosto 2002. Ci vedemmo con lui e Alvaro Crespi a Lugano. Patrick è una persona che ti mette soggezione, se non lo conosci bene. All’epoca era un uomo di questo tipo, un sopravvissuto al cancro. Aveva un’aura quasi magica. Dopo quell’incontro lo rividi un paio di volte, quindi ci trovammo in ritiro e alla presentazione della squadra nel gennaio 2003. La condusse lui, corridore per corridore. E alla fine arrivò a me, pronunciò il mio nome e disse qualcosa in fiammingo, che però non capii…».

Alessandro Tegner racconta. I 21 anni con Patrick Lefevere, passando dal ruolo di addetto stampa a quello di responsabile marketing del team, meriterebbero piuttosto un libro. E ora che il grande capo ha deciso di passare la mano, cedendo a Jurgen Foré il ruolo di CEO della Soudal-Quick Step ma restando comunque nel board, rileggere la storia è un viaggio fra episodi vissuti per lunghi tratti fianco a fianco.

«All’epoca andare a lavorare in Belgio – spiega – non era come adesso che il mondo è piccolino. Era ancora un viaggio, lo sapete bene. C’era una barriera linguistica non indifferente, un mondo completamente diverso dal nostro. Io all’inizio non parlavo fiammingo, la battuta di Patrick durante la presentazione me la spiegò Stéphane Thirion, il giornalista di Le Soir. “Questo è Alessandro – aveva detto – il nostro nuovo ufficio stampa. Mi hanno detto che è bravo”. Mi sentii gelare il sangue. Pensai: cavolo, tre mesi e sono a casa».

Bakala, azionista di maggioranza del team, Lefevere e il suo erede Jurgen Foré (foto Soudal-Quick Step)
Bakala, azionista di maggioranza del team, Lefevere e il suo erede Jurgen Foré (foto Soudal-Quick Step)

La storia del ciclismo

Lefevere ha fatto la storia del ciclismo. Fra alti e bassi, le sue squadre hanno sempre lasciato segni importanti, sin da quando nel 1992 sbarcò anche in Italia con la Mg-Gb, la prima multinazionale del ciclismo. Ha vinto innumerevoli edizioni del Fiandre, della Roubaix e delle altre classiche fiamminghe con Museeuw, Boonen, Devolder, Terpstra, Gilbert, Ballerini e Tafi. La Sanremo, la Freccia Vallone, la Liegi e il Lombardia con Bettini, Pozzato, Alaphilippe ed Evenepoel. Centinaia di volate con Boonen, Kittel, Cavendish, Gaviria, Viviani, Jakobsen, Merlier e leadout come Morkov e Richeze. Con 981 successi in carriera, la conta delle vittorie è da record. Una strada lastricata di successi e anche di qualche caso spinoso da cui Lefevere è sempre uscito con assoluzioni nette.

Il suo ritiro chiude un’epoca e proietta la squadra verso un futuro da scrivere, con un leader come Evenepoel trattenuto caparbiamente nonostante la corte sfrenata della Ineos Grenadiers e della Red Bull-Bora. Ci piace immaginarlo come un appagato D’Artagnan che, stanco a capo dell’ultimo duello, ha scelto di passare il mantello e la spada a dirigenti più giovani di lui per il bene della squadra da lui creata.

Nei momenti belli e in quelli più difficili, Boonen è stato uno delle bandiere dei team di Lefevere
Nei momenti belli e in quelli più difficili, Boonen è stato uno delle bandiere dei team di Lefevere
Si può fare un paragone fra Patrick Lefevere e Giorgio Squinzi? C’erano cose in comune secondo te?

Ho avuto la fortuna di lavorare con Giorgio Squinzi per un paio di stagioni. Lui aveva una capacità decisionale incredibile. Un aspetto che secondo me lo lega a Patrick, era l’abilità nel risolvere le problematiche. Mi ricordo di una riunione infinita alla Mapei, al quarto piano del marketing. Stavamo discutendo di mille cose e non riuscivamo a trovare il bandolo. Finché arrivò lui, si affacciò alla porta e si fece spiegare il problema. «Scusate – disse – ma perché non fate così?». In un minuto risolse una cosa su cui noi discutevamo da una giornata intera.

Patrick è così?

Non sapete quante volte l’ho chiamato per uscire da una situazione difficile. E quando lo facevo, con la capacità incredibile di leggere le cose, mi diceva che si sarebbe potuto fare in un certo modo. Io lo guardavo e pensavo: ma cavolo, avevo la soluzione davanti agli occhi e non la vedevo. Stiamo parlando di fuoriclasse, non per niente hanno raggiunto entrambi il vertice nel loro lavoro.

Patrick è tifoso del corridore belga o del corridore forte?

Patrick è sempre stato tifoso del corridore forte. Aveva sempre un occhio per i belgi, perché per quel tipo di sponsor il mercato belga era importantissimo. Però ha creato la prima vera squadra internazionale dopo la Mapei. C’erano corridori di 10-11 nazionalità, fra noi parlavamo inglese e Patrick voleva che facessimo così. E’ sempre riuscito a far convivere qualità e mentalità incredibili. Li vedete Paolo Bettini e Tom Boonen nella stessa squadra? Come adesso far convivere Pogacar e Van der Poel. E lui l’ha fatto. Ha rivitalizzato Virenque, Gilbert e Cavendish. Sicuramente era più innamorato dei corridori forti che dei corridori belgi. E ha sempre speso parole importanti per lo staff, per i meccanici e i massaggiatori.

Liegi 2023, Evenepoel fa doppietta. La difesa del suo contratto è stato il colpo di Lefevere per tenere la squadra ad alto livello
Liegi 2023, Evenepoel fa doppietta. La difesa del suo contratto è stato il colpo di Lefevere per tenere la squadra ad alto livello
In che modo?

Ha sempre detto che i corridori vanno e vengono, mentre lo staff è la spina dorsale delle squadre. Questi sono insegnamenti che poi, giorno dopo giorno, in qualche modo riesci ad assimilare. Da qui nasce la mentalità e quello che noi abbiamo chiamato Wolfpack, che esisteva dal primo giorno di fondazione della squadra ed è l’espressione dello spirito di Patrick. Il modo di fare, il modo di aiutarsi e di collaborare. Lui è l’uomo che ha creato tutto questo, non c’è ombra di dubbio. Se venite in Belgio, Patrick è un’opinion leader su tante cose.

Patrick è passato anche attraverso campagne di stampa contro la sua figura in tema di doping, ma non ha mai chinato il capo.

Patrick non ha mai chinato il capo e la dimostrazione che avesse ragione è venuta con le cause che ha vinto. Non ha mai mollato l’osso. Abbiamo lavorato giorno e notte per venirne a capo, però sono cose molto istruttive. Quando vedi che il tuo capo è dritto e dice che non è successo nulla, ti viene addosso una forza non comune. Se guardi Patrick, capisci che non ti sta dicendo una cavolata. Quindi ti butti nel fuoco e fai tutto quello che è necessario fare.

Un vero condottiero?

Nelle situazioni difficili, Patrick diventa freddissimo. Diventa di una lucidità pazzesca, non solo su questo caso, parlo in generale delle mille cose che sono successe. Quando a te sembra che tutto attorno stia crollando, lui ha sempre la freddezza e la lucidità di trovare soluzioni su tutto. E in questo diventa una figura ancora più prominente. E’ una cosa che ho provato a fare mia, cercando di vedere le cose con più distacco quando ci sono avvenimenti importanti, in modo da avere un punto di vista più obiettivo.

Nel 2012 Boonen vince Harelbeke, Fiandre, Gand e Roubaix: un filotto mai visto
Nel 2012 Boonen vince Harelbeke, Fiandre, Gand e Roubaix: un filotto mai visto
C’è stato un momento dopo quella presentazione del 2003 in cui Patrick ti ha dato una pacca sulla spalla?

Patrick non è un uomo da complimenti. Ho saputo quello che lui pensava di me da altre persone oppure lo capivo da piccoli gesti o in certi momenti in cui la confidenza va oltre il lavoro. Passando tanto tempo insieme, parlandoci quotidianamente al telefono, sono riuscito a conoscerlo in modo diverso. Solo una volta l’ho visto davvero far festa per i risultati della squadra.

Quando?

Nel 2012, quando Boonen mise in fila Harelbeke, Fiandre, Gand e Roubaix. La sera dell’ultima vittoria, riservammo il ristorante di Gand dove festeggiavamo le nostre vittorie. E quella sera Patrick mi disse: «Alessandro, questa sera non pensiamo a niente e divertiamoci, perché in 30 anni che faccio questo mestiere, una cosa così non era mai successa e dobbiamo celebrarla». Altrimenti è sempre stato uno che vinceva la corsa e mezz’ora dopo stava già pensando alla successiva.

Mai soddisfatto?

E’ sempre stato così, quasi al punto di cercare il difetto nella vittoria. Ha sempre registrato tutte le corse. Il lunedì le riguardava e poi durante la giornata chiamava le persone cui voleva far notare qualcosa. Magari la squadra che in un certo momento si era mossa male. Quando perdi, l’errore lo vedi subito, ma quando vinci è più difficile. Ci sono stati dei momenti con dei fuoriclasse come Bettini e Boonen in cui vincevamo le corse anche se la tattica non era perfetta, però lui ha sempre cercato questo tipo di perfezione

Il rapporto tra Patrick Lefevere e Alaphilippe è stato strettissimo, ma si è sgretolato nel finale
Il rapporto tra Patrick Lefevere e Alaphilippe è stato strettissimo, ma si è sgretolato nel finale
Ha avuto lo stesso rapporto con tutti i suoi campioni oppure qualcuno è stato più… figlio di altri?

Secondo me ha avuto più o meno con tutti lo stesso modo di rapportarsi. Forse con Alaphilippe qualcosa di più. Julian ha fatto tutto qui, è nato ed è cresciuto con noi. Correva alla Armée des Terres in Francia e praticamente nessuno se lo filava. Patrick ha sempre avuto un certo amore per i corridori francesi. Alaphilippe, Chavanel, Cavagna, ora Paul Magnier. Un po’ perché avere corridori francesi è importante per il Tour e un po’ perché forse ci vede l’estro, la fantasia, qualcosa di diverso dai belgi.

Avrà amato Alaphilippe, ma negli ultimi anni lo ha anche trattato con una durezza non comune…

A Patrick non saltano mai i nervi e non dice mai una cosa a caso. Magari l’ha fatto alla Lefevere, però ha espresso i suoi concetti. Forse le cose che pensavano in tanti, ma che solo lui ha veramente espresso fino in fondo. Questo a volte sprona i corridori e li porta a performare, a volte no, dipende dai casi. Quando uno firmava un contratto con Patrick, sapeva che da lui avrebbe avuto tutto, perché Patrick ai suoi atleti dà tutto. Compresa la durezza nelle situazioni di tensione.

C’è stato un momento, con l’arrivo dei mega budget, in cui Patrick ha capito che far quadrare i conti stava diventando sempre più difficile?

Abbiamo sempre fatto delle scelte oculate. Non siamo mai stati in una situazione di primi budget al mondo, però la squadra va sempre così bene che probabilmente nessuno si è mai posto il problema. Abbiamo fatto il massimo con quello che avevamo, senza strafare. L’entrata nel ciclismo del mondo arabo ha dato una svolta, può essere stata la pietra miliare che ha cambiato il panorama internazionale e ha creato degli sbilanciamenti. Ci ha costretto a lavorare più a fondo. Noi abbiamo degli sponsor fantastici, però è chiaro che non è semplice lottare contro squadre che hanno un budget di quel livello.

Patrick è sempre stato attento ai dettagli e ha sempre riletto le corse cercando la perfezione. Qui con Bettini nel 2007
Patrick è sempre stato attento ai dettagli e ha sempre riletto le corse cercando la perfezione. Qui con Bettini nel 2007
Ti aspettavi che annunciasse il ritiro in questi tempi?

Mi ha un po’ spiazzato. C’era un progetto per il cambiamento, per cui mi aspettavo che avvenisse con più gradualità. Però magari negli ultimi tempi era stanco. E poi, anche se non sarà più l’amministratore, rimarrà accanto alla squadra, che ha curato e fatto crescere per 24 anni. Immagino che non l’abbandonerà così.

Chi è per te Patrick Lefevere?

Un maestro su come lavorare con passione mantenendo la professionalità. Mi ha insegnato uno stile di vita. Dico sempre che lui appartiene a una cerchia di fuoriclasse che illuminano il gioco. Come Baggio o Maradona, un grande artista. Uno di quei personaggi dotati di una capacità di intuizione superiore alla media, da cui è bene cercare di imparare il più possibile. Detto questo, non sono sempre stato d’accordo con lui. Però le decisioni in cui mi ha coinvolto sono state così condivise che le ho sentite anche mie. Patrick ha una grande capacità di delega. Avvia un processo, lo lascia andare avanti con gli altri e poi torna per metterci l’ultimo tocco e la firma.

La squadra senza di lui cambierà pelle?

Jurgen Foré l’ha segnalato, scelto e portato lui in squadra. Non viene dal ciclismo per la voglia di dare un’impronta più aziendale alla squadra. Ha una personalità diversa da Patrick e sa bene che non potrà sostituirlo. Farà come tutti il suo lavoro cercando di essere la versione migliore di se stesso. Sono convinto che sia la persona giusta per continuare a pensare a questa squadra e avere davanti a noi magari altri 10 anni.

Alessandro e Patrick, la foto mandata dallo stesso Tegner: come due amici in relax
Alessandro e Patrick, la foto mandata dallo stesso Tegner: come due amici in relax
Ti abbiamo chiesto una foto di voi due insieme, perché tra quelle che hai ci hai mandato proprio quella qui sopra?

Mi è sempre piaciuta. Di solito nelle foto nostre indossiamo la maglia della squadra, siamo sempre in discussione con qualcuno, con un badge attaccato al collo. Questa è l’unica foto che ho di lui nella quale abbiamo una giacca addosso. Siamo noi due, Patrick e Alessandro. Non so chi l’abbia fatta, ma è un’immagine a cui tengo.

Remco se ne va in Spagna. E in Belgio cosa dicono?

11.11.2022
5 min
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Remco Evenepoel lascia il Belgio e va a vivere in Spagna. La notizia, come del resto tutto ciò che fa il campione del mondo, è stata ripresa da tutti media belgi, ma al tempo stesso non ha creato indignazione, o chissà quale scalpore, come ci si sarebbe attesi da un Paese dalle forti tradizioni ciclistiche. Nessuna levata di scudi contro il talento di Schepdael. Cosa che invece avvenne per Tom Boonen quando decise di andare a Monaco, ormai una ventina di anni fa.

Remco se ne va nella zona di Alicante sulla Costa Blanca, al fine di allenarsi meglio, di sfruttare il clima migliore. Si farà costruire anche una camera ipossica.

Evenepoel con sua moglie Oumaima di origini marocchine in abiti da cerimonia tipici (foto Instagram – @mirroreffect.co)
Evenepoel con sua moglie Oumaima di origini marocchine in abiti da cerimonia tipici (foto Instagram – @mirroreffect.co)

Fuga sì o no?

«Questo trasferimento – ha detto Evenepoel – renderà tutto più semplice. Nessuno saprà cosa sto facendo e dove sono. Potrò concentrarmi sulla mia quotidianità di sportivo in un periodo in cui gli inviti in Tv sono spesso troppo numerosi». Insomma vuol sfuggire alle pressioni mediatiche e, si dice, anche ai fan troppo pressanti.

Ma è davvero così? E come l’hanno presa i suoi connazionali, sempre molto attaccati al ciclismo?

Di fronte a tanta “normalità” abbiamo coinvolto tre esperti di ciclismo belga. Si tratta del giornalista di Het Nieuwsblad, Guy Van Den Langenbergh, di Alessandro Tegner colonna portante della Quick Step di Remco e di Valerio Piva, diesse della Intermarché Wanty Gobert, che da anni vive in Belgio.

Il numero dei tifosi di Evenepoel sta crescendo. Parecchi erano anche in Australia
Il numero dei tifosi di Evenepoel sta crescendo. Parecchi erano anche in Australia

Il giornalista…

«Nessuno è rimasto sorpreso – ha detto Van Den Langenbergh – di questa sua decisione. Ormai ci sono diversi corridori che hanno fatto la scelta di andare fuori dal Belgio. In più Remco neanche ha scelto un paradiso fiscale come Andorra o il Principato di Monaco. 

«Andare in Spagna è una scelta che lui fa per allenarsi, perché il suo unico obiettivo è vincere e laggiù ha i percorsi e il clima ideale. Tutto rientra in quest’ottica di atleta di grande ambizione».

«E’ vero, Remco è molto popolare, ma non è ancora ai livelli di Boonen. In più è passato del tempo da allora. Non si tratta di lasciare il Belgio per sempre, non credo sentirà la nostalgia. Lui va lì perché, come ho detto, è motivato a fare bene, a vincere.

«E poi è un cosmopolita. Viene dal calcio. Ha giocato anche in Olanda, oltre che nell’Anderlecht, è a cavallo con la parte vallone e quella fiamminga, sua moglie ha origini marocchine… Stare in Spagna per lui non farà troppa differenza».

Tegner, marketing & communication manager della Quick Step, con Boonen, vera star di quegli anni in Belgio e non solo
Tegner, marketing & communication manager della Quick Step, con Boonen, vera star di quegli anni in Belgio e non solo

Il manager

Alessandro Tegner è responsabile del marketing e della comunicazione della Quick Step-Alpha Vinyl. Da anni è nel gruppo di Lefevere e ha vissuto anche “l’emigrazione” di Boonen. Il quale però dopo un po’ di tempo volle tornare a casa.

«Era un altro periodo – spiega Tegner – e le cose venivano vissute diversamente. Si era in piena “Boonen mania”. Non c’era ragazzino fiammingo che non avesse il poster di Tom in cameretta. Era molto famoso. Si veniva dai Museeuw, Van Petegem… ma Tom era più internazionale. Inoltre parlando con lui c’era subito una certa empatia e ci sta che la notizia fosse accolta diversamente. Poi nel tempo le necessità cambiarono: la famiglia, la figlia… e decise di tornare».

«Per Remco è tutto diverso. Anche le squadre oggi danno un altro supporto ai corridori di vertice. Quindici anni fa c’ero solo io, ora ci sono altre strutture. S’impara e si cresce anche sotto questo profilo.

«Evenepoel va in una zona della Spagna in cui non ci sono solo altri corridori, ma tanti belgi in generale. Sono tanti i connazionali che vanno a svernare lì. Un po’ come i tedeschi a Palma di Mallorca».

Tegner parla di un cambio di residenza prettamente per fini sportivi: «Remco è un metodico. Vuole programmare per tempo la sua vita. Ama avere i suoi spazi. E quella per lui è la scelta migliore. Senza contare che ovviamente laggiù si può allenare bene.

«E poi è a meno di due ore di volo dal Belgio. Quando ha bisogno prende e va. Anche qualche giorno fa è stato tre giorni in sede. Ha sbrigato degli impegni ed è ripartito. Immagino possa fare così anche per le sue esigenze familiari. Insomma, non è una fuga».

Remco Evenepoel in allenamento sulle strade spagnole d’inverno. Molto tempo ci è stato anche in primavera (foto Instagram)
Remco Evenepoel in allenamento sulle strade spagnole d’inverno. Molto tempo ci è stato anche in primavera (foto Instagram)

Il diesse

E che non è una fuga ce lo conferma anche Valerio Piva. Il direttore sportivo italiano, ex corridore, da anni vive in Belgio. Lassù ha trovato l’amore e messo su famiglia. Se vogliamo, in questo caso, è un po’ “un Remco al contrario”.

«Non ha fatto tanto scalpore la scelta di Evenepoel di andare in Spagna – ha dichiarato Piva – Sono diversi i corridori che lasciano casa in cerca di destinazioni climatiche migliori. Tanti belgi hanno la residenza in Spagna, ma qualcuno vive anche in Italia o nel Sud della Francia. A mio avviso la sua è una decisione spinta da clima e possibilità migliori per allenarsi».

Piva poi non crede totalmente che Remco scappi via da pressioni mediatiche.

«Non sono così vicino al ragazzo per poter giudicare. Dopo il mondiale ci sono state tante feste, ma non so se ha problemi a tal punto da spingerlo a lasciare Belgio. Di certo è conosciuto e laggiù sarà più tranquillo».

«La popolarità cresce in funzione dei risultati. Lui è giovane e ha già conquistato grandi gare pertanto la sua popolarità sta crescendo enormemente e penso che presto si potrà paragonare a quella di un Boonen. Ma se dovesse continuare a vincere i grandi Giri presto potrebbe essere paragonato anche in termini di popolarità ad un Merckx».

«Malinconia? Non penso potrà essere questo il suo problema. Va lì per lavoro. Si tratta di una scelta momentanea. Io abito in Belgio ma le mie relazioni con l’Italia ci sono sempre. E Remco ha con sé i suoi affetti. Anche io senza quelli non sarei rimasto qui».

Un altro anno con l’iride in casa: Tegner, come si gestisce?

04.10.2021
5 min
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Che cosa significa per una squadra, la Deceuninck-Quick Step in questo caso, aver avuto in casa il campione del mondo? E che cosa significa averlo di nuovo? In questo mondo fuori dal mondo, in cui i team non percepiscono diritti televisivi o ricavi da biglietti e gli sponsor investono cifre importanti senza alcun ritorno certificabile, fare un tuffo nel marketing di una squadra può offrire spunti nuovi. E se il responsabile di queste strategie è per giunta un amico, Alessandro Tegner, conosciuto vent’anni fa quando curava la comunicazione della Mapei e ora titolare anche di AT Communication, il viaggio finisce col trasformarsi in una lunga immersione.

«Quando hai il campione del mondo – dice Tegner, in apertura con Davide Bramati – la percezione della squadra è diversa, perché quella maglia catalizza l’attenzione. In più Julian (Alaphilippe, ndr) è un generoso e questo piace alla gente. Ma è anche un campione che deve restare concentrato, per cui cerchiamo di stressarlo il meno possibile. Pochi eventi, tre cose importanti all’anno perché possa fare bene il suo lavoro. E tutto intorno c’è invece il nostro…».

Tour 2019, Alaphilippe ancora in maglia gialla. Lefevere con lui in conferenza stampa
Tour 2019, Alaphilippe ancora in maglia gialla. Lefevere con lui in conferenza stampa
Ecco, bravo… Che lavoro fai?

Bella domanda, me lo chiedo anche io. Tanto marketing, supervisione della comunicazione e relazione con gli sponsor. E’ tutto interconnesso. I partner sono interessati alle attivazioni possibili, per cui si cerca di creare contatto fra lo sponsor e l’attività di marketing. Poi c’è Wolfpack, che è iniziato come una cosa fra noi e invece sta diventano un marchio che ci rende riconoscibili.

In Belgio il ciclismo è super popolare. E’ anche ambito dalle aziende?

Le aziende scelgono e usano la squadra per le loro campagne. Ma alle spalle, c’è un lavoro di preparazione da parte nostra perché la squadra possa diventare un traino per chi ci investe. C’è un marketing rivolto agli sponsor con asset realizzati su misura e poi c’è il marketing della squadra.

Ti ha aiutato aver lavorato prima a contatto con la stampa?

Quelli della mia età nelle squadre hanno acquisito un’infarinatura totale. Abbiamo vissuto il passaggio da analogico a digitale e la trasformazione dei team in aziende. Dal 2006 al 2014 seguivo anche le pubbliche relazioni per gli sponsor alle corse, creando campagne per valorizzare la squadra. Così ho capito come funzionava il meccansimo.

Tegner è passato dal ruolo di addetto stampa a quello di responsabile marketing
Tegner è passato dal ruolo di addetto stampa a quello di responsabile marketing
Ti intendi bene con Patrick Lefevere?

Come tutti i leader di carisma, lascia molta autonomia, ma in cambio ovviamente pretende risultati. Ci sentiamo quotidianamente. Quando arrivai in questo gruppo con Bettini, Guercilena, Bramati e pochi altri, non scommettevo che sarei durato sei mesi. Era una sfida. Invece fra poco festeggerò i 20 anni. L’esperienza Mapei e quegli anni di sperimentazione di come si potesse inquadrare una squadra come un’azienda, si sono rivelati preziosissimi.

E intanto hai persino imparato a parlare il fiammingo…

Mi piacciono le lingue. In squadra usiamo l’inglese, perché Patrick ha sempre voluto mantenere un tasso di internazionalità. Con lui parlo sempre in italiano. Ma capire una conversazione in fiammingo, con il meccanico o con lo sponsor, è un modo importante per entrare nel loro tessuto sociale. Creare sintonie e sinergie è da sempre il mio credo.

Belgio e Italia.

Belgio e Veneto. Trovo affinità fra le due culture del lavoro. Il tessuto economico della Silicon Valley del Belgio – fra Gand, Courtrai e Bruges – fa pensare a quello dell’area di Conegliano e Montebelluna, dove vivo. Dove la cultura del lavoro è ancora importante.

Lefevere è molto attivo nella cura degli sponsor e nelle fasi di rappresentanza. Qui è con Zdenek Bakala, proprietario del team
Lefevere qui con Zdenek Bakala, proprietario del team
Torniamo al campione del mondo.

Quest’anno ha vinto quattro corse. Una tappa alla Tirreno. La Freccia Vallone. La prima tappa del Tour con la maglia gialla. Il mondiale. Però si piazzato anche 14 volte nei primi cinque. Lo abbiamo lasciato correre libero, sapendo quanto pesi quella maglia e l’anno prossimo sarà lo stesso. Gli sponsor capiscono. Faremo le nostre sessioni di foto a gennaio e febbraio e poi lo lasceremo in pace.

Basta davvero così?

Cerchiamo di razionalizzare la promozione che lo riguarda. In più, tolti gli spazi fissi, gli chiediamo delle finestre in cui poter eventualmente fare qualcosa. A dicembre si fanno i programmi delle corse e quelli delle attività collaterali. Dopo la Liegi ad esempio facemmo due attività di marketing importantissime con Lidl e a casa di Julian con installazioni dei nostri sponsor. E poi altre due durante l’anno.

Julian si presta sempre?

Lui è come lo vedete. E’ così legato a questa squadra, che quando tagliò il traguardo della tappa del Tour, andò da Patrick e gli chiese se fosse contento.

Con la vittoria di Leuven, inizia il secondo ano da iridato di Alaphilippe
Con la vittoria di Leuven, inizia il secondo ano da iridato di Alaphilippe
La squadra ha lasciato andare parecchi corridori allettati da offerte superiori. C’è mai stato il rischio di perdere Alaphilippe?

Nel ciclismo di oggi, chi ha Pogacar, Roglic, Van der Poel, Van Aert e Alaphilippe difficilmente se li lascia scappare. Lui in più è anche personaggio, sa coinvolgere, viene facile tenerselo legato. E’ una grande ispirazione per gli sponsor, non si scelgono i corridori solo per il numero delle vittorie. Ha con tutti noi e con lo stesso Lefevere un rapporto bellissimo.

Hai la tua agenzia, sei un pezzo importante della squadra, cosa manca ad Alessandro Tegner?

Se devo dirvi la verità, mi manca il rapporto coi giornalisti, che negli anni mi ha permesso di avere con alcuni di loro delle relazioni umane importanti. Ma faccio un lavoro bellissimo. Sono fiero della mia AT Communication e dei miei collaboratori. Ci vediamo sabato al Lombardia. La stagione non è ancora finita e già quasi si pensa a come ricominciare.