Il’nur Zakarin chiude la sua carriera. Lo avrebbe fatto a fine stagione, ma per il tartaro la fine è arrivata prima, decisa dai vertici Uci quando hanno chiuso le porte alla Gazprom senza se e senza ma. Zakarin ha aspettato pazientemente, ma ormai gli era chiaro che non ci sarebbero state altre occasioni agonistiche. Chiude lasciando un velo di mistero e d’incertezza su chi era veramente, su come posizionarlo in quella scala di valori che va dal buon corridore al campione. Perché la sua carriera è fatta di alti e bassi, è di difficile interpretazione, rispecchia abbastanza fedelmente quel carattere derivato dalle sue radici tartare, sempre in bilico fra gli estremi.
Le accuse di Kwiatkowski
Perché Zakarin è un tartaro vero, fieramente legato alle sue radici. Uno dal quale non sai mai che cosa aspettarti, uno che è difficile decifrare. Cosa che spesso lo ha portato in situazioni difficili e che non sarebbero state tutte rose e fiori.
Il’nur (l’apostrofo è d’obbligo, proprio rispettando la trascrizione tartara) lo capì presto, agli europei junior del 2007 quando vinse il titolo nella cronometro. Secondo giunse il polacco Michal Kwiatkowski, proprio quello che sarebbe diventato collezionista di classiche, che lo accusò apertamente di pratiche illecite. I controlli non rivelarono nulla e Zakarin si portò a casa la maglia, ma due anni dopo la federazione russa lo sospese per uso di metandrostenolone. Risultato: due anni di stop.
Solo chi cade si può rialzare. Quello che riapparve nel mondo delle due ruote era un Zakarin che aveva fatto i conti con i suoi errori, ma che cercava ancora di capire chi fosse. Approdato al professionismo nelle file della Katusha, era un corridore diverso da quello che ci si aspettava rispetto alle sue imprese giovanili. Passista? No, tutt’altro, un vero e proprio scalatore.
Il tallone d’achille della discesa
Ci si era sbagliati nel giudicarlo e ci si sbaglierà ancora. Giro d’Italia 2015, tappa con arrivo all’autodromo di Imola, una di quelle frazioni dove il meteo fa la differenza e trasforma una frazione semplice in qualcosa di epico. Freddo e pioggia scompaginano il gruppo. Zakarin è in fuga con corridori di nome e di peso, come Hesjedal e Kuijswijk. Si scala il Tre Monti, colle infido, quasi un’astrusità nel panorama geografico regionale. Al terzo passaggio il russo va via, nessuno tiene la sua ruota, ma la differenza Zakarin la fa in discesa, ampliando il divario e andando a conquistare la sua prima vittoria al Giro.
Abbiamo trovato un discesista… Appena si dà una definizione, ecco che Zakarin ci mette del suo per smentirla. La sua carriera infatti sarà ben presto caratterizzata proprio dal divario fra le sue capacità in salita e la sua proverbiale sofferenza in discesa. Sono tanti i gran premi della montagna conquistati, che dovrebbero portarlo a traguardi ben più importanti, ma poi c’è la discesa, dove le sue capacità di guida sono sempre messe a dura prova, costano tempo, secondi, distacchi.
La terribile caduta nella discesa dal Colle dell’Agnello… …Un mese dopo eccolo trionfare al Tour, tappa di Finhaut-Emosson
Più forte del dolore
Anche cadute: terribile quella del Colle dell’Agnello nel 2016, quando sta giocandosi qualcosa di realmente importante. Il suo volo ripreso da dietro, dalle telecamere mobili fa scorrere un brivido in tutti coloro che guardano. E quei secondi che separano la caduta dai soccorsi non fanno presagire nulla di buono. Ma Zakarin è come un gatto. Si rialza con una clavicola rotta, appena un mese dopo va al Tour e vince con una fuga da lontano la 19ª tappa. Con arrivo in salita, così non si rischia niente…
Solo che quando hai un tallone d’Achille, anche piuttosto evidente, è difficile combattere ad armi pari per la conquista dei grandi Giri. Ma Il’nur ha il sangue tartaro, quello dei conquistatori, di gente che prima di tutto fa appello al coraggio. Nei grandi Giri parte sempre con grandi ambizioni e spesso si ritrova a riaggiustare i cocci. Perde molto in frazioni che dovrebbero essere tranquille e recupera con azioni da lontano e fughe a lunga gittata. Questi tira e molla costano, difficile che possano portare al massimo successo, ma in fin dei conti Zakarin chiude con un bilancio congruo: una top 10 conquistata in tutte e tre i grandi Giri con il 2017 come anno principe, 5° al Giro e 3° alla Vuelta.
Cosa farà? Per ora triathlon…
Uomo chiuso e di poche parole, quasi arroccato nelle sue radici e nella sua lingua, con l’inglese utilizzato solo per quel che serve per girare il mondo, Zakarin aveva già detto a inizio anno che questo sarebbe stato l’ultimo, ma pensare che sparisca dalla scena sarebbe sbagliato.
Già si è dedicato a qualche gara di triathlon, ora passa il suo tempo con la famiglia nella sua residenza di Cipro, ma presto o tardi tornerà a farsi vedere proprio come faceva in corsa. Lo vedevi staccato e derelitto il giorno prima e dopo neanche 24 ore eccolo lì, all’attacco, in fuga, a dare tutto per la vittoria. Perché Zakarin è così, tartaro fiero di esserlo, impossibile da essere identificato con un’etichetta.
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