Ripartire, far girare di nuovo le gambe e settare nella testa il prossimo obiettivo. Antonio Tiberi, in cima al Pordoi, insieme ai compagni del Team Bahrain Victorious ha iniziato a mettere nel mirino la Vuelta Espana. La corsa a tappa spagnola che partirà da Torino il 23 agosto sarà il secondo Grande Giro nella stagione del corridore laziale.
«Staremo sul Pordoi – racconta Tiberi mentre riposa prima della sessione di allenamento in palestra – fino al 24 luglio. Faremo un bel periodo di allenamento in vista della Vuelta. Siamo saliti il 5 luglio e abbiamo già messo insieme una buona dose di bicicletta e di sessioni in palestra».
Dopo il Giro Tiberi si è concesso una vacanza per recuperare le energie fisiche e mentali (foto Instagram)Dopo il Giro Tiberi si è concesso una vacanza per recuperare le energie fisiche e mentali (foto Instagram)
Ricaricare le batterie
Tiberi è ripartito dopo un periodo di stacco che è servito per metabolizzare la batosta del Giro, nel quale è stato tagliato fuori dalla lotta per la classifica generale nel giorno di Gorizia. Una caduta che ha rovinato i piani iniziali del ciociaro.
«Al termine del Giro – riprende Tiberi – ho staccato completamente. Mi sono concesso qualche giorno a casa e una breve vacanza di cinque giorni all’Isola d’Elba. Serviva un periodo in cui resettare tutto per poi ripartire in vista della seconda parte di stagione. Sono anche andato a trovare i miei genitori a Roma in occasione del mio compleanno (il 24 giugno, ndr). Al termine di una prima parte di stagione senza mai fermarmi avevo bisogno di un momento così».
Dal 5 luglio è in ritiro con il team sul Pordoi e sta lavorando con la Vuelta nel mirinoDal 5 luglio è in ritiro con il team sul Pordoi e sta lavorando con la Vuelta nel mirino
E’ stato difficile digerire la batosta morale del Giro?
Queste cose capitano, le cadute sono all’ordine del giorno nel ciclismo. Succede e non è colpa di nessuno. I giorni passati con gli amici, la mia ragazza e la famiglia sono serviti per rilassarmi e ricalibrare le forze a livello mentale. Ora che ho riposato sono pronto per l’altura e per lavorare in vista della Vuelta.
Come si reagisce a un brutto momento come quello?
Dà sempre fastidio e fa male al morale perché abbiamo lavorato per tanti mesi e alla fine un imprevisto porta via tutto. Ripeto, sono cose che capitano. Chiaramente nei giorni successivi prevale il dispiacere, poi metabolizzi l’accaduto e vai avanti. Le cose si prendono anche per quel che sono.
In questi giorni non manca il freddo pungente agli oltre 2.000 metri del PordoiIn questi giorni non manca il freddo pungente agli oltre 2.000 metri del Pordoi
Tutti prima del Giro dicevano di averti visto con una grande consapevolezza dei tuoi mezzi, anche un episodio negativo fa parte degli step di crescita?
Resettare la mente dopo che sei stato per molti mesi concentrato su un obiettivo che per una caduta non si è riusciti a raggiungere non è semplice. Però sì, sento di aver imparato qualcosa sulla gestione anche nei momenti no.
Quanto è stato importante arrivare a Roma?
Tanto. Si è trattato comunque di tenere duro e finire un Giroche mi ha chiesto tanto impegno mentale e fisico, soprattutto dopo la caduta. Ci sono stati giorni molto impegnativi nei quali ho lottato solamente per arrivare al traguardo. Finire quei ventuno giorni di corsa vuol dire averli messi nelle gambe e immagazzinati.
Finire il Giro nonostante la caduta e le difficoltà per Tiberi è stato uno step sia fisico che mentaleFinire il Giro nonostante la caduta e le difficoltà per Tiberi è stato uno step sia fisico che mentale
Arrivi alla Vuelta con le stesse ambizioni che avevi al Giro?
Già lo scorso anno ero andato con l’obiettivo di fare una bella classifica. Fino al giorno del mio ritiro a causa di un colpo di calore ero andato bene. Avevo la maglia bianca ed ero quarto nella generale. Quindi sì, anche quest’anno andrò con in testa la classifica e cercherò di curarla al meglio, non nascondo di puntare al podio. Ora sono concentrato su questo nuovo obiettivo e vedremo come reagiranno il corpo e la mente.
In che senso?
Che comunque preparare due Grandi Giri in una stagione, con l’obiettivo di fare classifica, non è semplice. Il lavoro da fare è tanto e intenso sia a livello fisico che mentale. Un conto poi è affrontare certi carichi quando si arriva dalla pausa invernale e si è freschi. Un altro è farlo dopo una prima parte di stagione comunque esigente. Vero che l’ho già fatto lo scorso anno ma ancora non mi conosco al 100 per cento. Ho un’idea di quello che posso fare ma mi lascio sempre un piccolo margine.
Ventuno giorni di corsa sono un carico che poi rimane nelle gambe e bisogna trovare il giusto equilibrio tra riposo e garaVentuno giorni di corsa sono un carico che poi rimane nelle gambe e bisogna trovare il giusto equilibrio tra riposo e gara
Cambierà qualcosa nella preparazione?
No, direi di no. Vero che il Giro e la Vuelta sono due gare molto diverse per le tipologie di salite che troveremo, però qui sul Pordoi abbiamo tanti scenari differenti e perfetti per prepararci al meglio. Al momento abbiamo ancora il doppio allenamento con al mattino bici e nel pomeriggio palestra, ma senza carichi eccessivi.
Farai qualche gara prima della Vuelta?
Il Giro di Polonia. Insieme alla squadra abbiamo deciso di fare solo una gara. Mi trovo bene sia nel fare tanta altura sia quando faccio qualche corsa in più prima dell’obiettivo principale. La squadra ha scelto così e ci concentriamo al massimo per farci trovare pronti.
Healy ha la faccia da furetto e quando sorride fa grande simpatia. Poi sarà per i capelli smossi e lo sguardo che a volte sembra da matto, gli hanno costruito addosso la fama dell’anarchico: difficile da imbrigliare e vittima del suo stesso estro. Oggi ha portato via la prima fuga a 178 chilometri dall’arrivo e poi se ne è andato da solo quando ne mancavano 40. Sul traguardo di Vire Normandie, il piccolo britannico che dal 2016 corre con licenza irlandese, è arrivato con 2’44” su Simmons. Più che il suo estro, oggi gli avversari non sono riusciti a imbrigliare lui.
Servono nuovamente le parole di Charly Wegelius che lo ha guidato verso la vittoria per far capire che quell’immagine scarmigliata e disordinata è sbagliata. Anche di fronte a un’impresa così estemporanea, che tanto estemporanea (vedremo) non è stata.
«Abbiamo parlato di una mossa del genere – racconta il tecnico britannico – sul pullman questa mattina. Conosciamo le caratteristiche dei nostri atleti e pensiamo sempre al modo migliore per sfruttarle. Ma tra pianificare una cosa del genere e farlo, c’è di mezzo il mare. Sono cose toste. Questo ragazzo ha alcuni punti in suo favore. Il primo è il suo cervello, perché riflette molto sulle cose che fa. Il secondo è che è molto aerodinamico. E poi ha una resistenza bestiale alla fatica. Ma di certo non è anarchico. Certo ha fantasia, però studia quello che fa e si muove sempre con un motivo. La conseguenza è spesso molto bella da vedere».
Le prime due ore si sono corse a una media elevatissima: un vero show per la tanta genteLe prime due ore si sono corse a una media elevatissima: un vero show per la tanta gente
Ripagare la squadra
Di certo sorride tanto Ben Healy ed è come se oggi fosse uno di quei pochi giorni in cui abbia davvero voglia di mostrare quello che ha dentro. Come quando nel 2023 vinse la tappa di Fossombrone al Giro d’Italia e apparve raggiante come non l’avevamo mai visto prima. Parla da vincitore e da leader, da uno che sa dire grazie.
«E’ semplicemente incredibile – risponde Healy – è successo quello per cui ho lavorato non solo quest’anno, ma da quando ho iniziato a fare il corridore. E non io da solo, parlo di ore e ore di duro lavoro da parte di così tante persone e questa vittoria è il modo migliore per ripagarle. I passi avanti degli ultimi tempi sono stati una vera e propria rivelazione e questo mi ha davvero fatto credere che sarei potuto diventare un corridore per risultati importanti. Mi sono messo sotto. Ho lavorato duramente. Ho cercato di perfezionare anche il mio stile di gara. Poi ho guardato anche un sacco di filmati di gara e questo oggi ha dato i suoi frutti».
Ben Healy è nato l’11 settembre del 2000 a Kingswinford in Gran Bretagna. E’ alto 1,75 per 65 kgSecondo al traguardo è Simmons, che stacca Storer e si volta per controllareBen Healy è nato l’11 settembre del 2000 a Kingswinford in Gran Bretagna. E’ alto 1,75 per 65 kgSecondo al traguardo è Simmons, che stacca Storer e si volta per controllare
Un colpo a sorpresa
Decisamente tanto studio e tanto cervello: mai giudicare (superficialmente) qualcuno dal suo aspetto. Quando 9’30” dopo di lui passano sul traguardo appaiati Powless, Baudin e Sweeney, che hanno saputo della sua vittoria dalla radio, le loro braccia si alzano al cielo all’unisono. Healy è ancora in strada e li aspetta. Fra l’emozione, la stanchezza e la necessità di riprendere fiato, quel tempo non gli è parso neppure così lungo.
«La tappa ha avuto un inizio pazzesco – racconta ancora Healy – un ritmo altissimo dall’inizio alla fine e io mi sono acceso subito. Forse ho passato un po’ troppo tempo e tante energie per cercare di entrare nella fuga, ma penso che sia solo il modo in cui sono capace di farlo. Una volta che ci sono riuscito, abbiamo dovuto davvero lavorare per avere il vantaggio giusto, quindi è stato un giorno davvero impegnativo. E intanto pensavo. Sapevo che dovevo avvantaggiarmi e scegliere il mio momento. E penso di aver calcolato bene i tempi e di averli colti di sorpresa. A quel punto, ho capito cosa dovevo fare. Da solo, a testa bassa e fare del mio meglio fino al traguardo. C’era l’altimetria perfetta: era una tappa che avevo cerchiato sin dall’inizio. Sono cresciuto guardando il Tour e ho sempre desiderato di farne parte. Ed è vero che ho solo vinto una tappa, ma esserci riuscito è davvero così incredibile…».
Pogacar risponde così al tentativo di forcing della Visma sull’ultima salita: il padrone per ora è luiPogacar risponde così al tentativo di forcing della Visma sull’ultima salita: il padrone per ora è lui
I calcoli di Pogacar
Lo portano via perché sta arrivando Pogacar. E a chi si chiedeva se quest’ultimo strappo sarebbe servito ad accendere la miccia fra i primi della classifica, la risposta arriva puntuale come il forcing della Visma-Lease a Bike e la risposta della maglia gialla. Vingegaard è arrivato con lui, ma ne ha subìto il passo. Su questi strappi non c’è storia, vedremo sulle salite più lunghe. Oggi semmai era lecito aspettarsi Evenepoel, su strade simili alla Liegi. Invece Remco è rimasto buono nella scia, mentre sotto il cielo del Tour si è sparsa la voce del suo (probabile) prossimo passaggio alla Red Bull-Bora. La maglia gialla se la riprende Van der Poel, che in fuga ha faticato ben più di quello che si aspettava e quel primato così fragile (un secondo su Pogacar, ndr) sarà più un sollievo per il campione del mondo che un vanto per l’olandese.
«Pensavamo che avrebbero provato – dice Pogacar sorridente – non so a cosa sarebbe servito, ma sono andati forte e ci siamo limitati a seguire. Le prime due ore sono state velocissime e fortunatamente siamo sopravvissuti. A quel punto abbiamo pensato se valesse la pena correre per la tappa, ma abbiamo deciso di non sparare colpi a vuoto e abbiamo fatto il nostro passo. Forse la Visma ha accelerato per impedirmi di perdere la maglia gialla, ma alla fine l’ho persa per un solo secondo, perché comunque la fuga davanti ha fatto davvero un lavoro straordinario. Tutto merito loro. Non mi dispiace avere la maglia gialla, ma come ho detto, l’obiettivo per oggi era di spendere il meno possibile, mentre domani è un altro buon traguardo per me. Però attenti, abbiamo ancora bisogno di un po’ di gambe per la seconda e la terza settimana. Quindi il lavoro di oggi va considerato positivo soprattutto in questa prospettiva».
Van der Poel è stato a lungo maglia gialla virtuale con ampio margine. Il crollo nel finale gliel’ha portata con appena 1″ su PogacarVan der Poel è stato a lungo maglia gialla virtuale con ampio margine. Il crollo nel finale gliel’ha portata con appena 1″ su Pogacar
Roba da mal di testa
C’è tanto calcolo in questo ciclismo spaziale che ha visto svolgersi una tappa di 201,5 chilometri con 2.987 metri di dislivello a 45,767 di media. Il calcolo millimetrico di Healy nel prendere la fuga e poi nel lasciare i compagni con un attacco che unisse potenza e sorpresa. Quello di Van der Poel, stremato sull’asfalto a capo di una giornata che gli ha riportato la maglia gialla, ma forse lo priverà delle gambe per rivincere domani al Mur de Bretagne. Il calcolo di Pogacar, deciso a mollare il primato. E il calcolo di quelli dietro, con il tempo massimo di 52’50” che ha permesso a Milan di arrivare a 29’33”, salvando la gamba e la maglia verde per appena 4 punti. Chi pensa che sia solo un fatto di muscoli e cuore, alla fine di tappe come questa potrebbe aver bisogno di una pillola per curare il mal di testa.
Le parole di Alessandro Borgo appena terminato il campionato italiano under 23 di Darfo Boario Terme, con il tricolore addosso ci hanno lasciato qualcosa su cui ragionare: «Quando ero al secondo anno juniores avevo iniziato a lavorare con un mental coach, penso sia una figura importante per chi corre a questi livelli. Alleniamo ogni giorno il corpo, ma serve allenare anche la mente appoggiandoci a queste figure. Avevo perso il campionato italiano di categoria e la notte non avevo dormito a causa di tutte le lacrime che ho versato. Lavorare con un mental coach mi ha aiutato tanto (in apertura lo stesso Borgo al Giro della Lunigiana 2023, photors.it)».
Anche la categoria under 23 sta alzando il livello con l’arrivo dei devo team (foto La Presse)Anche la categoria under 23 sta alzando il livello con l’arrivo dei devo team (foto La Presse)
Pressioni anche da giovani
Spesso abbiamo parlato dell’importanza di lavorare sulla mente tra i professionisti, ma anche tra i giovani è fondamentale non sottovalutare questo aspetto. I ragazzi a diciassette e diciotto anni, ovvero nella categoria juniores, sono ormai sottoposti a stress e confronti che non fanno sempre bene. Siamo andati così da Paola Pagani, mental coach, e ci siamo fatti raccontare in che modo si lavora e ci si confronta con i giovani. Le sue parole non si discostano, nel significato, da quelle di Stefano Garzelli di qualche giorno fa.
«Nella performance – racconta Paola Pagani – la mente ha sempre il suo peso, che un atleta sia junior, under 23 o professionista. I ragazzi, anche i più giovani, subiscono pressioni stratosferiche e affrontano le categorie giovanili con il coltello tra i denti. A volte il carico mentale è addirittura superiore rispetto ai professionisti».
La categoria juniores è la prima nella quale c’è un confronto a livello internazionale e aumentano le aspettative (photors.it)La categoria juniores è la prima nella quale c’è un confronto a livello internazionale e aumentano le aspettative (photors.it)
A volte i ragazzi giovani vivono tutto come un qualcosa di determinante…
Ciò che dico ai più grandi vale anche per loro: la vita non finisce dopo una corsa e non sarà un risultato negativo a determinare il loro futuro. Tutto è questione di passaggio e alla base c’è un cammino. Nessuno di noi è definito da un risultato, in ogni campo della vita.
Nei giovani come si disinnesca questo pensiero?
C’è da dire una cosa, i ragazzi giovani che fanno sport hanno una maturità non indifferente. Lavoro con pochi ragazzi di categorie giovanili, ma questa caratteristica la riscontro in tutti. Non sono dei classici adolescenti.
Il pubblico e l’attenzione mediatica sono due fattori da gestire, lavorare sulla mente può dare un giusto supportoIl pubblico e l’attenzione mediatica sono due fattori da gestire, un mental coach può dare un giusto supporto
Come mai?
Fare sport fin da bambini ti mette davanti a fatica e impegno costanti. Si fanno allenamenti duri, lunghi e si corre con il freddo, la pioggia, il caldo. Questi ragazzi fanno cose che altri adolescenti nemmeno si sognano. E’ normale abbiano una resilienza mentale totalmente diversa. Però va fatto un passaggio importante.
Quale?
Si deve ricordare a questi ragazzi che lo sport comunque deve avere una base di divertimento. Questo aspetto è capace di non farci percepire il peso di tante cose. Nella testa di ragazzi juniores e under 23 c’è un cammino delineato: vogliono diventare dei professionisti. Non fanno ciclismo come hobby ma vogliono farlo diventare il loro lavoro.
Il rischio è che ogni gara diventi una lotta interna tra successo e fallimento…
Tanto del mio lavoro passa da qui. Non performare in una gara che si aveva nel mirino a volte diventa una tragedia e ci si concentra solamente su ciò che non è andato. Invece io li prendo e dico loro: «Guarda anche quello che è andato bene». Il focus deve essere su quello che si può dare. E’ importante cercare di farli rimanere loro stessi e non guardare agli altri.
Da giovani le emozioni di una sconfitta o di una vittoria vengono amplificate dalla passione verso questo sport (photors.it)Da giovani le emozioni di una sconfitta o di una vittoria vengono amplificate dalla passione verso questo sport (photors.it)
Con gli juniores l’approccio cambia?
Entra in gioco un fattore di “accudimento” ovvero di tutela. Ma non è questo che porta a porre domande diverse o fare discorsi tanto differenti rispetto a quelli che si fanno agli under 23 e ai professionisti. Nel parlare cerco di usare l’umorismo come arma di comunicazione, per sdrammatizzare, ma l’equilibrio è delicato.
In che senso?
Non deve entrare nella loro testa che li prendo in giro o che non si dà il giusto peso a ciò che dicono. Comunque bisogna riconoscere l’impegno e il doppio lavoro, sia sportivo che scolastico. Questi ragazzi, specialmente gli juniores, dedicano praticamente tutto il loro tempo alle due attività.
Si deve valorizzare ciò che fanno…
Esattamente, il loro impegno e tutto il tempo che dedicano. Questo aggiunge valore alle loro attività. E’ difficile perché questi ragazzi stanno diventando sempre più professionisti e anche la loro mente.
SOSPIROLO – Ieri il Giro d’Italia Women è passato esattamente davanti a casa nostra, poco dopo l’inizio della tappa Castel Tesino-Pianezze. Capita spesso che il Giro, Women o maschile che sia, passi in luoghi a noi familiari, anzi questa è una delle particolarità e delle bellezze del ciclismo. Ma vederlo scorrere proprio di fronte a casa propria, al punto che ci si può godere lo spettacolo dalla finestra, è un po’ più raro.
Ad un’ora dal passaggio faccio un giretto nei dintorni, per vedere come i paesi vicini si sono preparati al passaggio. Le atlete arriveranno da Cesiomaggiore lungo la pedemontana, una strada che chi scrive percorre tre-quattro volte la settimana in bicicletta (anche se normalmente in senso inverso a quello fatto dal gruppo).
Le decorazioni per il passaggio del Giro Women non hanno avuto niente da invidiare a quelle per il passaggio del Giro maschileOgnuno decora con quello che ha: anche una carriola rosa va benissimoLe decorazioni per il passaggio del Giro Women non hanno avuto niente da invidiare a quelle per il passaggio del Giro maschileOgnuno decora con quello che ha: anche una carriola rosa va benissimo
La passione dei piccoli paesi
Il passaggio è atteso tra le 11,30 e le 11,40, ma la strada è chiusa già dalle 10,30. Molte persone sono già fuori, qualcuno attacca le ultime decorazioni, ma la maggior parte è già solo lì che aspetta. Un po’ in piedi, un po’ seduti su sedie di plastica o panche di legno, chiacchierano e aspettano. Qualcuno ha installato un gazebo e offre a chi passa ombre di vino rosso e pane e salame (il fatto che non siano nemmeno le 11, da queste parti, non spaventa nessuno).
Il Giro maschile è passato qui tre anni fa, nel 2022, e il paese era stato agghindato come solo i paesini di provincia riescono a fare. Perché nei paesini ogni piccolo evento diventa un grande evento, figurarsi il Giro d’Italia. Ogni casa ha messo fuori un nastro, dei fiocchi, anche solo un drappo rosa. Come mi dice un conoscente a cui faccio i complimenti per come, assieme ai vicini, ha preparato la sua strada: «Ci teniamo, certo, sono cose importanti queste. E’ pur sempre il Giro d’Italia che passa davanti casa!»
Il bello delle zone rurali è che si hanno a disposizione ampi spazi per manifestare la propria passioneNon sempre la grammatica è esatta, specie se si tratta dell’inglese, ma l’impegno è innegabileIl bello delle zone rurali è che si hanno a disposizione ampi spazi per manifestare la propria passioneNon sempre la grammatica è esatta, specie se si tratta dell’inglese, ma l’impegno è innegabile
I bambini in Giro
Qualche centinaio di metri più avanti, sparsi su prato e colorati come fiori di campo, ci sono i bimbi dell’asilo di Paderno (frazione di San Gregorio nelle Alpi). Con le maestre hanno dipinto un telo bianco con le forme delle loro mani e lo tengono già lì dispiegato, in attesa di vedere arrivare la carovana. Stanno lì e salutano chiunque passi, anche me, come fossi un grande atleta.
Continuo il mio giretto lungo la pedemontana, salgo lungo la strada dove le atlete tra pochi minuti scenderanno. In cima alla salita che porta a San Gregorio incontro una giovane mamma con i due figli in giardino. Il più grande con una bandiera italiana come mantello, la piccolina con una corona di palloncini tricolori. «Li ho tenuti a casa dal centro estivo apposta, così possono veder passare le ragazze».
Camilla e il suo cartello, che è un manifesto per le principesse moderneI bambini dell’asilo del paese sono usciti in strada, armati di striscioni colorati, per godersi l’eventoDue fratellini in livrea tricolore aspettano la carovana nel giardino di casaUna signora attende, tranquillamente seduta su un prato, il passaggio. E’ un giorno di festa un po’ per tuttiCamilla e il suo cartello, che è un manifesto per le principesse moderneI bambini dell’asilo del paese sono usciti in strada, armati di striscioni colorati, per godersi l’eventoDue fratellini in livrea tricolore aspettano la carovana nel giardino di casaUna signora attende, tranquillamente seduta su un prato, il passaggio. E’ un giorno di festa un po’ per tutti
“Dateci le biciclette”
In una fattoria tra San Gregorio e Cergnai, frazione di Santa Giustina, hanno fatto le cose in grande: scritta gigante “W il Giro” sul prato e due lenzuoli per Elisa attaccati a due balle di fieno. «Longo Borghini?», chiedo. «Certo!».
Inizia ad esser tardi, meglio sbrigarsi se voglio tornare a casa prima che arrivino. Prima di girarmi e tornare indietro però mi fermo di fronte al museo della bicicletta di Cesiomaggiore, dove incontro un amico. E’ qui con sua figlia vestita da principessa. Ieri, assieme, hanno preparato un cartello che aspettano di mostrare alle atlete. Ma sarebbe bello, penso leggendolo, che lo vedesse tutto il mondo. Il cartello recita: “Tenetevi le carrozze, dateci le biciclette”.
BERGAMO – Sulle gambe e sulle braccia si notano i segni di alcune cadute più o meno recenti. Qualcuno dice che le cicatrici siano sinonimo di esperienze vissute e probabilmente per Linda Laporta potrebbe essere decisamente così. Anzi, lo ammette lei stessa. Il ciclismo lo sta vivendo sulla propria pelle da pochissimo tempo dopo essere stata una campionessa di ginnastica artistica.
Una vita dedicata ad una disciplina per lo più individuale in cui vieni votata al termine dell’esercizio per poi passare ad una in cui corri in mezzo a tante altre colleghe. Essere in gara al Giro d’Italia Women è un sogno ad occhi aperti per la 25enne della BePink-Imatra-Bongioanni che ha trovato una nuova dimensione atletica diametralmente opposta a quella precedente. Dal 2023 ad oggi è come se avesse fatto un… salto triplo, giusto per restare in tema sportivo.
Quest’anno lo aveva aperto andando subito in fuga per 120 chilometri nella prima tappa del UAE Tour Women. Pronti-via così, nell’azione che al momento le viene meglio visto che in gruppo sta imparando a conviverci, ma Laporta è mossa da grandi motivazioni e voglia di imparare in fretta. In questo senso il retaggio avuto dalla ginnastica artistica, dove perfezionare al millesimo ogni movimento è un imperativo, aiuta molto. E finora Linda ha corso tantissimo tra corse a tappe e classiche, trovando anche un incoraggiante settimo posto al Giro dell’Appennino a fine giugno.
Linda predilige percorsi mossi, ma al Giro Women sta scoprendo ulteriormente le sue caratteristicheLinda predilige percorsi mossi, ma al Giro Women sta scoprendo ulteriormente le sue caratteristiche
Tutto in un minuto
Laporta al Giro Women corre col dorsale 34 e sa che deve portare il suo mezzo, la bici, il prima possibile al traguardo in tappe di qualsiasi lunghezza o durezza. Nella sua prima vita da atleta invece non era del tutto padrona della propria esibizione.
«Fino a vent’anni – racconta la ragazza originaria di Tribiano nel milanese e modenese di Bastiglia d’adozione – ho praticato uno sport nel quale ti devi allenare duramente 8/10 ore al giorno per disputare gare di uno o due minuti al massimo, dove vieni giudicata. E magari la votazione raggiunta non basta o non è giusta per ottenere un risultato.
«Nella ginnastica artistica – prosegue Laporta – esistono quattro specialità: trave, corpo libero, volteggio e parallele. Si può vincere sia per attrezzo che nella generale ed il livello medio è sempre stato alto. Di vittorie ne ho ottenute tante, anche se ormai non le ricordo più (sorride, ndr) perché sono passati un po’ di anni. Ricordo bene invece che ci si allenava e si gareggiava in Italia e all’estero per poi centrare l’obiettivo di partecipare a mondiali, europei e chiaramente olimpiadi. Ora molte cose sono diverse e mi piace tantissimo quello che sto facendo».
Laporta è andata in fuga per 120 chilometri alla prima tappa del UAE Tour, suo esordio stagionaleLaporta è andata in fuga per 120 chilometri alla prima tappa del UAE Tour, suo esordio stagionale
Gli insegnamenti di Zini
In pratica Laporta pedala seriamente dal 2023 e solo l’anno scorso nella BTC City Ljubljana Zhiraf Ambedo ha fatto la sua prima stagione in un team continental. Quest’anno ha fatto un netto salto di qualità come calendario e per farlo ha seguito gli insegnamenti di Walter Zini, team manager della BePink, che ha visto in lei una ragazza su cui lavorare. E la convocazione al Giro Women se la è guadagnata sul campo.
«Il mio problema principale – spiega Linda – è che non avevo un bagaglio di esperienza tale per allenarmi e correre come si deve. Con Walter abbiamo deciso di impostare un programma ben preciso e lo ringrazio per avere avuto pazienza con me e per avermi portata al Giro. In squadra abbiamo un buonissimo livello. La concorrenza interna mi ha stimolata tanto ed io ho fatto il possibile per meritarmi la chiamata. Sono contenta perché Walter mi ha fatto fare un buon lavoro».
«Anche a cronometro – va avanti – abbiamo fatto tante rifiniture. Mi ha seguito spesso in presenza per aiutarmi a migliorare. Cerco e spero di ricambiare cercando di farmi vedere il più possibile in gara perché lo posso fare. Anzi, se potessi andrei in fuga sempre, anche se alcuni giorni mi viene meglio. Finora a questo Giro non ci sono riuscita, ma continuo a sognare in grande, come credo facciano in tante con le dovute proporzioni».
Finora nel 2025 Laporta ha fatto quasi 40 giorni di gara, distribuiti quasi equamente tra gare a tappe e classicheFinora nel 2025 Laporta ha fatto quasi 40 giorni di gara, distribuiti quasi equamente tra gare a tappe e classiche
Caratteristiche da scoprire
Capire che tipo di corridore sei quando arrivi da altri sport o corri da poco è qualcosa che scopri col passare del tempo, al netto dei valori espressi dai test. Laporta è una ragazza che non ha paura di allenarsi per ore per definire le proprie caratteristiche.
«La mentalità dell’atleta è sempre quella – puntualizza Linda – e credo che Walter mi abbia fatto ritornare ad essere quell’atleta che era convinta dei propri mezzi come in ginnastica artistica. Le gambe credo siano sempre quelle che facevano una bella quantità di ore. Non avendo pedalato da bambina, il fondo è sempre utile, così come immettersi in gruppo in gara e capire le dinamiche osservando tanto».
Fino a 20 anni ha fatto ginnastica artistica, ora Laporta sta imparando a stare in gruppo seguendo i consigli di ZiniFino a 20 anni ha fatto ginnastica artistica, ora Laporta sta imparando a stare in gruppo seguendo i consigli di Zini
«Correndo tanto – conclude Laporta facendo un cenno al passato – ho accertato che sono una passista-scalatrice e che prediligo i percorsi piuttosto mossi. Al Giro dell’Appennino mi sono trovata a mio agio e sono andata bene, anche se so che il livello era più basso rispetto al WorldTour. Però sto lavorando molto anche sulle salite più lunghe e sono pronta a dare il meglio di me anche su quel terreno. Se penso ad un anno fa, quando ho iniziato a lavorare con Walter, sono davvero contenta di come sto crescendo. Lui mi aveva già scoperto le carte su che tipo di corridore potevo diventare. E finora si è rivelato tutto giusto. Incredibile, sto correndo il Giro Women e non potrei chiedere di meglio».
ORCIANO DI PESARO – Sesta tappa del Giro Women un anno dopo, stessa scena, stessa gioia. Sul traguardo di Terre Roveresche, Liane Lippert trionfa nello sprint a due su Pauliena […]
Magnaldi e Trinca Colonel hanno un passato nelle granfondo, ma sono arrivate tra le pro' con percorsi diversi. Ne abbiamo parlato con la atleta della UAE
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Mancano due tappe alla prossima volata. Se ne riparlerà sabato a Laval Espace Mayenne e per allora Jonathan Milan potrebbe dare la svolta al suo Tour che per ora è fatto della maglia verde, della distrazione che lo ha privato del primo sprint e del secondo posto di Dunkerque dietro Merlier. Il Tour non è il Giro, vincere non è per niente semplice.
Per farcelo spiegare ci siamo rivolti ad Alessandro Petacchi, l’ultimo italiano vincitore della maglia verde. Uno che prima di vincere al Tour dovette prendergli le misure. La prima volta nel 2001 ottenne come miglior piazzamento un terzo posto. La volta successiva, nel 2003, si ritirò il settimo giorno nel tappone di Morzine, ma fece in tempo a vincere 4 volte. Da allora non corse più il Tour. Ci tornò nel 2010: vinse 2 tappe e la maglia verde. Il primato mancava all’Italia dal 1968 di Franco Bitossi e Petacchi è l’ultimo ad averla conquistata. Potrà Milan portare a Parigi quel primato?
«Fossi in lui – dice Alessandro – fra tornare a casa con la maglia verde o con qualche tappa vinta, non avrei dubbi e punterei alle tappe. Ha tutte le carte in regola per poterlo fare, quindi non vedo perché debba pensare già da ora alla classifica a punti. Se vincerà aumenterà la consapevolezza e potrebbe venirgli tutto più facile. E a quel punto via con la maglia verde».
Nel 2010, correndo per la Lampre, Petacchi conquista la maglia verde, che mancava all’Italia dal 1968Nel 2010, correndo per la Lampre, Petacchi conquista la maglia verde, che mancava all’Italia dal 1968
Se Milan ha i mezzi per vincere – e ne siamo certi – come mai finora ha incontrato qualche difficoltà di troppo?
Perché il Tour è una gara completamente diversa. Se vai a fare una classica, trovi corridori adatti al suo percorso. Al Tour invece ci sono tutti i migliori per ciascuna specialità, quindi è chiaro che il livello sia altissimo. Vincere alla prima partecipazione non è facile. Io vinsi nel 2003 e posso considerarlo il mio primo Tour da competitivo, perché la prima volta non ero ancora Petacchi e non andai con l’idea di vincere le volate. Quando tornai nel 2003, fu tutta un’altra cosa. Sabato scorso, nella prima tappa c’è stato il ventaglio ed è andata via così. Nella terza, Merlier ha vinto con merito…
La Lidl-Trek è forte, ma è un fatto che al Tour si sgomiti molto più che in altre corse.
La Lidl-Trek è attrezzata benissimo, però non è semplice ritrovarsi sempre al momento giusto. Riguardando la volata, devo dire che Merlier se l’è meritata. Era da solo. Evenepoel gli ha dato una mano fino a 2,5-3 chilometri dall’arrivo. Poi si è arrangiato completamente da sé. C’è un momento che risale da solo e se lo fai quando in testa c’è una squadra che va a tutta, vuol dire che hai grandi gambe. Vincere rimontando Milan, che non è l’ultimo arrivato, significa che sta andando davvero forte.
Credi che l’assenza di Philipsen possa rendere le cose più agevoli?
C’è un avversario importante in meno. Uno che veniva da una vittoria e dalla maglia gialla, quindi sarebbe stato molto motivato. Fondamentalmente parliamo del velocista più forte che negli ultimi tempi non vinceva più come prima.
La caduta di Philipsen, già vincitore della prima tappa, ha tolto dal Tour un avversario tostissimoLa caduta di Philipsen, già vincitore della prima tappa, ha tolto dal Tour un avversario tostissimo
E’ più difficile fare delle volate lineari perché nei finali si va più forte?
Non lo so. Perché poi alla fine, quando sei al vento, sei al vento. Le forze in campo sono quelle. E’ vero che tutti hanno bici più performanti, però le hanno tutti e per questo alla fine vengono fuori le qualità atletiche. Anche noi si andava forte, mi pare che le velocità delle volate siano sempre quelle. Forse ci arrivano più veloci, perché il gruppo va più forte, ma con certi mezzi quasi viene da sé. La bici e tutta la tecnologia ti aiutano, questo è sicuro. Alla fine se stai a ruota, il risparmio c’è ugualmente, quindi non so se sia la giusta chiave di lettura.
Quindi?
Quindi mi pare che Merlier avesse un rapporto leggermente più duro di Milan. Ora c’è questa moda di usare i rapportoni, anche se al Tour credo che li abbiano bloccati al 54 ed è una fortuna. Usavano il 56 per avere la catena dritta, che poi quanta differenza ci sarà mai? Merlier andava forte, ma aveva una frequenza di pedalata non altissima. E così rischi, perché se perdi leggermente velocità, con quei rapporti non ce la fai a riprenderla. Noi facevamo le volate col 53×11 e la frequenza di pedalata era giusta per delle velocità paragonabili a quelle di ora. Non mi sembra ancora che facciano le volate 80 all’ora.
Secondo Endrio Leoni i treni di oggi sono meno potenti di quelli di prima, le velocità sono più basse e questo impedisce di avere delle volate regolari.
Non è così semplice. E’ vero che ci sono più squadre attrezzate ed è vero che c’è tanta confusione, quella la vedo anch’io. Si esce fuori col treno molto più vicino all’arrivo, perché evidentemente non si riesce a tenere a lungo certe velocità. Chi sta dietro è avvantaggiato anche per risalire, perché sfruttando la scia evidentemente è più facile venire avanti. Stare davanti è difficile, quindi forse per questo ci sono continuamente questi cambi in testa al gruppo. Quanto ai treni, una volta non erano tantissimi. In più si correva in 9, mentre ora sono 8. Un uomo in meno secondo me fa differenza. Potrebbe essere uno scalatore in più per l’uomo di classifica, ma anche un corridore in più per le volate.
Declerq non è al Tour, la sua presenza avrebbe aiutato nel gestire la prima tappa? Secondo Petacchi sìDeclerq non è al Tour, la sua presenza avrebbe aiutato nel gestire la prima tappa? Secondo Petacchi sì
La Lidl-Trek ha lasciato a casa Declercq, ma hanno Skjelmose per la classifica…
E’ chiaro che hanno puntato sul prendere la maglia gialla nella prima tappa. Ed è evidente che una squadra come loro, con i corridori e i passistoni che hanno, il primo giorno si sia fatta sorprendere. Hanno sottovalutato la situazione e mi ha sorpreso che ci sia caduto anche un corridore come Stuyven. E’ ovvio che se cerchi di tenerti gli uomini per il finale e stai un po’ più rintanato, prendi meno vento. Però in una tappa come quella, ti ci vuole il grande lavoratore che tiene la squadra davanti. Declerq è uno che magari a 15 dall’arrivo ti fa a 7-8 chilometri a 55 all’ora e ti tiene davanti. Gli dai due cambi e lui fa il suo lavoro, impedendo che ti sorprendano. Secondo me nella prima tappa erano nascosti, perché volevano utilizzare tutti gli uomini per fare un grande treno. Però ti ci vuole anche chi lavora e tiene davanti i corridori. Poteva essere Nys, però l’hanno messo vicino a Skjelmose.
Torniamo alla maglia verde: dici che Milan ha tutti i mezzi per vincerla?
Dipende da chi trovi, con chi lotti. Nel 2010, io ho lottato fino all’ultimo giorno con Thor Hushovd e se fossi uscito dai primi quattro a Parigi avrei perso da Cavendish. Hushovd non era velocissimo nelle volate di gruppo, ma il problema è che andava in fuga in tutte le tappe. Andava in fuga anche sull’Aubisque, scollinava davanti e andava a fare il traguardo volante. Per me era difficile prendere punti in quelle tappe, però spesso e volentieri finché non andava via la fuga, mi toccava seguirlo perché lui attaccava su ogni strappo. Voleva andare in fuga e prendere punti. E siccome i punti ai traguardi volante non sono pochi, lui si piazzava sempre sull’arrivo e poi andava a prendere i punti nelle tappe complicate.
Quindi Milan?
Io non sono andato al Tour pensando alla maglia verde, Johnny dovrà andare a cercarsi i punti. Dalla decima tappa in poi ci saranno un paio di volate e poi i punti andranno presi nei traguardi volanti di montagna, dove però se ne assegnano di meno.
Nel secondo posto di Dunkerque, Merlier è stato imbattibile ma il treno Lidl-Trek non è stato impeccabileNel secondo posto di Dunkerque, Merlier è stato imbattibile ma il treno Lidl-Trek non è stato impeccabile
Non eri andato per la verde?
No. Tornavo al Tour dopo sette anni, sperando di vincere e per vedere come stessi. Ho vinto la prima tappa. Poi ne ho vinta un’altra. E a quel punto, dopo due tappe vinte, si è cominciato a parlare della maglia a punti.
Quindi Milan farebbe bene a pensare alle vittorie?
Di sicuro in salita va più forte di Merlier. In alcune tappe l’ho visto andare veramente bene. Al Delfinato ha vinto una tappa di 3.000 metri di dislivello ed è andato forte anche al campionato italiano. Secondo me le gambe le ha, poi è chiaro che fare un Tour è diverso. Perché c’è la stanchezza e ci sono tante salitelle messe nel finale in cui potrebbe avvantaggiarsi.
Peccato che la tappa di Parigi non sia la classica sui Campi Elisi…
Peccato fare questi cambiamenti, non lo condivido. Secondo me i Campi Elisi erano duri anche nel modo tradizionale, perché andare verso l’Arco di Trionfo non è proprio una passeggiata. Però evidentemente avranno i loro motivi. L’anno scorso siamo arrivati a Nizza e hanno fatto una tappa diversa. Quest’anno altro cambiamento. Potevano rifare i Campi Elisi, visto che il Tour è già abbastanza lungo e soprattutto duro. Ai velocisti di certo non hanno fatto un favore…
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Tutto (quasi) secondo programma. A Caen, tappa a cronometro individuale, vince Remco Evenepoel, ma subito dietro c’è Tadej Pogacar, che torna a vestirsi di giallo. Completa il podio un grandioso Edoardo Affini. E anche Adriano Malori in qualche modo si gode e saluta il gigante mantovano: è con lui che analizziamo questa crono.
Ma forse la grande notizia di giornata è che Jonas Vingegaard ha pagato dazio. Neanche Donald Trump avrebbe fatto tanto: 1’21” da Remco e 1’05” dal primo rivale, Pogacar
Di nuovo il Tour de France offre un bagno di folla. E’ incredibile come questo evento riesca a essere così attraente. Un po’ per il suo DNA e parecchio per la bravura dei suoi organizzatori anche nel renderlo così grande e appetibile. La gente che si è vista in queste due frazioni è stata qualcosa di incredibile. In fin dei conti, quella odierna è stata uno spettacolo lungo: i test del mattino e poi la possibilità di vedere uno ad uno tutti i 179 atleti rimasti in gara.
Pogacar in giallo. VdP cede nettamente. Lo sloveno guida con 42″ su Remco e 59″ su Vauqelin. Vingegaard è a 1’13”Pogacar in giallo. VdP cede nettamente. Lo sloveno guida con 42″ su Remco e 59″ su Vauqelin. Vingegaard è a 1’13”
Parola ai tre tenori
«Tutto è andato secondo i piani – ha detto Evenepoel – non ho mai avuto la sensazione di poter andare più veloce, quindi sono contento del risultato. E’ la seconda vittoria per la squadra (dopo quella di Tim Merlier, ndr), quindi è fantastico. Ho corso in modo piuttosto costante, ho mantenuto un ritmo regolare dall’inizio alla fine e credo che questo sia stato il mio punto forte. Nei vari intermedi: ho continuato a risalire in classifica ogni volta e ho guadagnato tempo negli ultimi 7 chilometri. Il mio ritmo era perfetto e tutto procedeva a gonfie vele. E’ un passo in avanti verso il podio, non vincerò questa corsa quest’anno. Ma fra qualche anno sì».
Stranamente, nonostante non abbia vinto, il più felice sembra essere proprio il re sloveno. La rivincita dopo la debacle nella cronometro al Delfinato è bella e servita.
«Sono davvero contento di come ho corso oggi – ha detto Pogacar già in giallo – sono a soli 16 secondi dal campione olimpico, dal campione del mondo e miglior cronoman del momento. Sono estremamente contento. E inoltre, a parte Evenepoel, sto guadagnando tempo su tutti gli altri miei rivali per la maglia gialla. Soprattutto perché non mi aspettavo di guadagnare così tanto tempo, pensavo che Vingegaard sarebbe stato più vicino. Ora però dobbiamo restare concentrati. Nulla è deciso e difendere la maglia gialla fino a Parigi non sarà facile».
Piegato a lungo sulla sua Cervélo dopo il traguardo, Vingegaard è stato l’ultimo a parlare ed è stato laconico: «Non avevo le gambe e non so… non me lo aspettavo, ma succede. Il risultato riflette le sensazioni che avevo in bici. Stavo lottando con le gambe e la posizione in bici. Distacco superiore al minuto? Se guardiamo agli ultimi anni si è vinto con distacchi maggiori – come a dire che c’è spazio per recuperare».
E adesso passiamo ad Adriano Malori.
Vingegaard è incappato in una giornata poco positiva. «Ho litigato con la posizione», ha detto il daneseVingegaard è incappato in una giornata poco positiva. «Ho litigato con la posizione», ha detto il danese
Adriano, cosa ti è sembrato di questa crono?
Sicuramente non mi aspettavo un tracollo così di Vingegaard. Mi aspettavo un Pogacar più forte rispetto a quello visto al Delfinato, perché lì non era per niente in giornata. Credevo che il danese potesse perdere 15”-20” da Pogacar ma non così tanto. Lo si vedeva scomposto, anche di spalle. E poi una volta era agile, una volta andava duro… questo è il tipico segno di chi non riesce a trovare il ritmo, il rapporto…
Ovviamente un distacco simile, Adriano, è figlio di una giornata no. Però abbiamo notato che c’era vento e lui aveva all’anteriore una ruota molto più alta rispetto agli altri. Può aver inciso?
No. Ripeto, si vedeva che non era in giornata e lo si è visto sin da subito. Storicamente Vingegaard è leggermente superiore a Tadej a crono, mentre oggi la tendenza è stata decisamente opposta. Per me, anche con una ruota più bassa, non sarebbe cambiato niente. Anche perché il vento forte e costante c’era solo nella parte finale. E tra l’altro, se guardiamo bene, è quella dove Remco ha fatto la differenza netta su Plapp e Affini.
E ora?
Tanti diranno Tour finito, ma il Tour non è finito perché 1’13” si possono recuperare. E’ chiaro che non è facile perché là davanti c’è Pogacar… Ma aspetterei, insomma.
La freccia Evenepoel. Da notare la visiera tagliata per lasciare spazio alle bracciaLa freccia Evenepoel. Da notare la visiera tagliata per lasciare spazio alle braccia
Quale aspetto tecnico ti ha incuriosito di questa crono?
In generale un miglioramento di posizione veramente grande. Fino all’anno scorso solo Evenepoel riusciva a stare incassato veramente bene con le spalle ed essere tutt’uno col manubrio. Ora sono in tanti. Ma è così: quando uno ha un’invenzione, gli altri la copiano. Oppure prendiamo i caschi, per esempio. Tutti dicevano che quelli lanciati dalla Visma erano inguardabili, però adesso li usano quasi tutte le squadre così. Davvero una grande cura. Così come la guida…
Anche noi lo abbiamo notato. La parte finale era tecnica, eppure Remco è sembrato più abile con la bici da crono che con quella da strada…
In generale ora c’è una ricerca della prestazione anche dal punto di vista della guida. Nel finale Pogacar ha addirittura guadagnato 3”-4” a Remco che a sua volta è stato bravissimo, e quella poteva essere tranquillamente la differenza che decideva la gara. Di certo questo livello di guida, parlo in generale, è figlio di allenamenti particolari. Allenamenti che, se non avessi avuto l’incidente, avrei fatto anche io.
Spiegaci meglio…
La guida della bici da crono era un aspetto migliorabile e avevo in programma degli allenamenti nei kartodromi. Era una cosa che avrei fatto a fine stagione. Kartodromi, o piste per bambini… insomma circuiti sicuri con curve strette, in cui si riesce a fare tecnica di guida. A stare in posizione, a fare bene le traiettorie. Un tempo solo Cancellara guidava la bici da crono come fanno i ragazzi oggi. Adesso tutti si buttano giù in ingresso curva come se fossero sulla bici da strada.
Rispetto al Delfinato si è visto un Pogacar più sciolto. Probabilmente quel giorno stava provando un nuovo assettoRispetto al Delfinato si è visto un Pogacar più sciolto. Probabilmente quel giorno stava provando un nuovo assetto
Credevamo che con tutto il vantaggio su Vingegaard, dall’ammiraglia avessero detto a Pogacar di non rischiare. E invece ha guadagnato…
Pogacar ha rischiato, ma non oltre il limite, perché lo fa con naturalezza. Questo vuol dire che è abituato, che è sicuro su quella bici. Poi penso anche che tutti questi atleti vivono in luoghi dove le strade, almeno in certi orari del giorno, ti permettono di osare un pelo di più, di fare tecnica. Vivono in Francia, Slovenia, Monaco, Danimarca, Spagna… dove la lingua d’asfalto è ampia, sicura, e il fondo stradale è ottimo. Qui da noi, almeno dalle mie zone di Parma, ci sono crepe in cui ci finisci dentro fino alle protesi!
Chiaro…
Gente così può dire: «Beh, stamattina mi sveglio presto e mi butto giù una discesa bello andante». E magari davanti ho anche una moto che mi fa da riferimento. Vi racconto questa: prima dei mondiali di Firenze 2013, Cancellara si svegliò in piena notte per essere pronto alla primissima luce dell’alba. Erano lui e una moto e andò a percorrere il finale della crono perché voleva vederlo senza traffico e farlo a velocità di gara, o quasi. E anche questo faceva una grande differenza. Già dieci anni fa si guardava a queste cose. E dieci anni fa, nel ciclismo di oggi, è come se fossero trenta.
Invece il casco di Remco con l’apertura sulla visiera?
Prima ancora che una questione aerodinamica, io credo sia perché, stando lui così chiuso, la visiera gli dava fastidio sugli avambracci. Quel taglio oltre a non avere questo problema gli permette di chiudersi ancora meglio.
La crono è specialità futuristica, l’estremo della tecnica e della preparazione?
C’è stata un’evoluzione impressionante: materiali, posizione. Prendiamo gli scalatori: un tempo prendevano minuti, su minuti… oggi sono lì a un minuto e mezzo. Ci pensate voi a un Quintana che in una crono di 33 chilometri come quella di oggi prende solo un minuto e mezzo da Cancellara? Ora è normalità. Cura delle posizioni, gestione dello sforzo, misuratore di potenza, preparatore che ti fa un’analisi del wattaggio prima del via e come distribuirlo… Per assurdo, se vogliamo, il mestiere del cronoman è andato un po’ a sparire. Perché non devi più imparare a gestirti, non devi più imparare la posizione: sono i team, gli staff, che ti ci portano.
Bravissimo Affini, terzo a 33″ da Remco. Sarebbe stato interessante vederlo partire più vicino a Remco per avere pari condizioni di ventoBravissimo Affini, terzo a 33″ da Remco. Sarebbe stato interessante vederlo partire più vicino a Remco per avere pari condizioni di vento
Cos’altro ti ha colpito della crono di Caen?
Che finalmente hanno messo una cronometro da cronoman. Senza salite in mezzo o strappi al 15 per cento che non si possono vedere. Quello odierno era un percorso bello, lineare. Anzi, farei un appunto…
Vai…
Visto che c’è questo grande fenomeno, Pogacar, che poi stacca tutti anche in salita, mi piacerebbe vedere un Tour con due belle cronometro da 50 chilometri come un tempo. Pensateci. Magari Remco arriva alle montagne con due minuti di vantaggio. Cambierebbe tutto. Ci sarebbe più spettacolo.
Torniamo all’attualità: che ci dici di Affini?
Ve ne avrei parlato anche se non me lo aveste chiesto! Edoardo mi è piaciuto veramente tanto. Senza nulla togliere ad altri grandi cronoman, ma ricordiamoci che è un gregario. Tira tutto il giorno, tiene davanti i capitani, va a prendere le borracce. Ha fatto così al Giro e sta facendo così al Tour. Non ha potuto fare la crono tricolore perché lo hanno richiamato in altura e nonostante tutto il lavoro di questi giorni oggi ha fatto terzo… dietro due alieni che hanno preparato il Tour al meglio. Quindi, veramente complimenti a lui. E’ bello vederlo lì. E se una squadra come la Visma-Lease a Bike lo ha appena fatto rinnovare per tre anni, un motivo c’è.
Prima resiste agli attacchi di Pogacar (che cade), poi Jonas Vingegaard e la sua squadra stritolano il rivale. Vittoria a Hautacam, grazie a super Van Aert
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DARFO BOARIO TERME – Davide Donati è il secondo volto italiano che corre in casa Red Bull-BORA-hansgrohe Rookies. Il bresciano, che lo scorso anno ha esordito nella categoria under 23 con la Biesse Carrera, è entrato nel panorama del team di sviluppo del colosso austriaco. Correre in un devo team è un grande traguardo per un ragazzo giovane, che però lo porta spesso a gareggiare fuori dall’Italia. Un bel modo per crescere e fare esperienza, ma diventa difficile trovare momenti in cui incontrarli.
Così quando ce lo troviamo davanti al campionato italiano la curiosità di sapere come stanno andando questi primi mesi insieme alla Red Bull-BORA è tanta. Donati ci accoglie e seduti all’ombra di un cortile racconta tutto.
«Entrare in un mondo enorme come questo – dice – è spiazzante per certi versi. Ti trovi proiettato in qualcosa più grande di quel che ti potresti mai aspettare. All’inizio ti senti quasi fuori luogo perché a cena sei accanto a Roglic, Hindley e tanti altri campioni. Rispetto a una continetal il budget è enorme e tutto diventa gigantesco. Senti la pressione di avere un grande sponsor sulla maglia e di essere in un team forte e strutturato. Loro non ci parlano di risultati o di vincere a tutti i costi anche se poi quando sei in certe squadre l’obiettivo è di provarci».
Davide Donati e Lorenzo Finn sono i due volti italiani del team Red Bull-BORA-hansegrohe Rookies e nel tempo sono diventati ottimi amiciDonati e Finn sono i due volti italiani del team Red Bull-BORA-hansegrohe Rookies, nel tempo sono diventati ottimi amici
Com’è stato avere un riferimento come Lorenzo Finn, che conosceva già l’ambiente?
E’ quello con cui ho legato di più, ci chiamiamo spesso e ci sosteniamo molto. Da parte mia cerco di sfruttare l’esperienza maturata in un anno nella categoria under 23 per sostenerlo e non fargli sentire la pressione. Ne ha davvero tanta addosso, già ora. Credo sia prematuro. Lui sarà sicuramente un grande corridore ma è difficile sostenere tutta la pressione che arriva dall’esterno. Per questo lo ammiro molto.
Come cerchi di sostenerlo?
In corsa cerco di essere un po’ il suo “angelo custode”, lo porto avanti quando serve, vado all’ammiraglia a prendere le borracce. Mi piace come ruolo, da un lato mi sento un po’ privilegiato nell’essere in squadra con il corridore che sarà il nostro futuro. Dal canto suo Lorenzo (Finn, ndr) mi insegna molte cose. La caratteristica che più mi trasmette è la tranquillità, lui è davvero uno sereno nel fare quello che deve.
Davide Donati ha disputato un calendario di primo livello con ottime esperienze anche nelle Classiche, terreno dove vuole migliorare (foto Flavio Moretti)Davide Donati ha disputato un calendario di primo livello con ottime esperienze anche nelle Classiche, terreno dove vuole migliorare (foto Flavio Moretti)
C’è qualcosa che ti dice o anche semplicemente il suo atteggiamento?
Solo il suo atteggiamento, il suo modo spensierato di vivere questo mondo e di correre con gli occhi puntati addosso.
Ti è dispiaciuto dover saltare il Giro Next Gen che avresti corso al suo fianco?
Moltissimo. Il mio obiettivo era quello di esserci ma un problema al ginocchio mi ha costretto a stare fermo nel momento decisivo. La squadra ha corso benissimo, li ho seguiti dalla televisione e mi hanno impressionato per la capacità di gestire i momenti cruciali. Erano sempre al posto giusto nel momento giusto. Essere parte di un team forte come il nostro vuol dire anche essere sicuri che chiunque va a una gara sa cosa fare e come farlo.
Come ti trovi nell’essere parte di un team con tanti ragazzi di diverse nazionalità e culture?
E’ bello, riusciamo a fare gruppo ed essere coesi. Un’esperienza di otto giorni come il Giro Next Gen permette di rafforzare ancora di più certi legami. Sono convinto che anche le squadre italiane siano valide e forti, non sono uno di quelli che è andato all’estero con la teoria che da noi non ci sia nulla. Credo che vivere un’esperienza del genere avrà un impatto positivo sulla mia vita, sia che continuerò nella carriera ciclistica o meno. Sto imparando molto bene l’inglese ed è bello relazionarsi con tutte le persone che incontri senza l’ostacolo della lingua, penso sia la cosa più bella che mi sta dando questa esperienza.
Le prime esperienze con i professionisti (qui alla Settimana Coppi e Bartali) hanno dato buoni riscontri Le prime esperienze con i professionisti (qui alla Settimana Coppi e Bartali) hanno dato buoni riscontri
A livello tecnico come ti trovi?
In Red Bull-BORA tutto è curato alla perfezione, fin dagli juniores: copertoni, rapporti, aerodinamica, vestiti ecc. Personalmente ho investito tanto negli studi e nel migliorare a cronometro, è una disciplina che mi piace e sulla quale voglio puntare molto.
La vittoria del campionato italiano è stata un bel traguardo…
Ho iniziato a credere nella cronometro da quando ho vinto la Crono des Nations nel 2023. E’ un rapporto di amore e odio perché è una disciplina che richiede tanta cura e molto lavoro. Però poi quando arrivano certi risultati la voglia di migliorare è sempre maggiore delle “sofferenze”.
Donati ha curato molto la cronometro investendo sui materiali per migliorare la posizioneLavoro ripagato con la vittoria del campionato italiano U23 a San Vito al Tagliamento Donati ha curato molto la cronometro investendo sui materiali per migliorare la posizioneLavoro ripagato con la vittoria del campionato italiano U23 a San Vito al Tagliamento
In quali altri aspetti pensi di poter migliorare ancora?
In generale penso di avere un bel margine nelle Classiche e su sforzi da cinque minuti. In una squadra così c’è modo di curare tutto e questo aspetto è importante perché senti di avere alle spalle una struttura solida. Anche quando avevo male al ginocchio ho girato per diversi centri al fine di capire e risolvere il problema. Sono stato a Girona due settimane da uno specialista e poi nel centro Red Bull a Salisburgo. Tutto si è risolto con dei ritocchi alla posizione in bici e delle sedute di fisioterapia per rafforzare la parte alta (il core, ndr).
Obiettivi da qui a fine stagione?
Mi piacerebbe andare agli europei e conquistare un posto per il Tour de l’Avenir per correre con Lorenzo (Finn, ndr) e dargli una mano. Poi vedremo con la squadra quali saranno i programmi da qui a fine stagione e capirò come muovermi.
Hardskin è da sempre un marchio leader nel settore del triathlon, una categoria che prima di tutte altre ha imparato ad usare i body, capi super performanti ed estremamente tecnici. Nelle ultime stagioni siamo testimoni del dilagare dei body anche nel ciclismo, soprattutto in ambito professionistico, ma a cascata tutte le categorie della bici stanno mutuando questo indumento.
Il body è il capo tecnico del futuro anche in ambito bici? Che ruolo può giocare un marchio come Hardskin che porta il suo importante know-how? Ne parliamo con Roberto Sambinelli, Brand Manager Hardskin in Italia.
Alla base il know-how e l’esperienza sviluppata nel triathlon ai massimi livelliAlla base il know-how e l’esperienza sviluppata nel triathlon ai massimi livelli
Perché un’azienda che da sempre è leader nel triathlon entra anche nel mondo bici?
Il ciclismo è parte integrante e fondamentale nel triathlon, soprattutto nelle gare di lunga distanza. Da quando è nato il marchio Hardskin abbiamo realizzato capi da ciclismo che potessero essere utilizzati dai triatleti nelle fasi di allenamento, capi molto tecnici con le stesse caratteristiche di aerodinamicità, leggerezza e performance dei body da gara.
Roberto Sambinelli è il Brand Manager di HardskinRoberto Sambinelli è il Brand Manager di Hardskin
Quanto è utile in questa fase il know-how che arriva dal triathlon?
E’ fondamentale. Da sempre il triathlon è sinonimo di innovazione in tutti i suoi segmenti: biciclette, ruote, caschi e ovviamente abbigliamento. Le innovazioni sono rivolte a trovare materiali più performanti, aerodinamici e leggeri, marginal gains che nelle lunghe distanze possono fare enormi differenze. Per i body della collezione FormulaE abbiamo passato molte ore in diverse gallerie del vento, testando tessuti differenti con i nostri atleti professionisti ed esperti bike fitter. Il risultato? Un body dal peso di soli 160 grammiche permette unrisparmio di 180 secondi considerando un wattaggio medio di 220 watt sulla distanza del segmento bike di un Ironman. Le stesse caratteristiche le ritroviamo anche nel body FormulaE da strada.
Quale sono o potrebbero essere i plus che Hardskin può offrire al ciclismo attuale?
Uno su tutti è l’approccio “ossessivo” che Hardskin mette nella ricerca dei migliori tessuti e materiali, oltre alla realizzazione. La qualità complessiva di capi tecnici che portino benefici effettivi alle performance degli atleti professionisti e non.
Il nuovo body FormulaE di Hardskin è destinato una volta di più ad essere un gamechangerIl nuovo body FormulaE di Hardskin è destinato una volta di più ad essere un gamechanger
Oggi come oggi di cosa, restiamo nella categoria abbigliamento performance, non si può fare a meno?
Aerodinamica e leggerezza sono oggi i due punti fondamentali ricercati dagli atleti. L’alta qualità dei capi per noi di Hardskin è una prerogativa fondamentale. Come ogni azienda di oggi non è possibile fare a meno dello strumento marketing, ma per noi il core numero uno restano la ricerca, sviluppo e produzione del miglior capo possibile, con le tecnologie migliori a nostra disposizione.
Lo sviluppo dei capi tecnici ha raggiunto una sorta limite, oppure i margini di sviluppo sono ancora ampi?
Ci sono ancora margini di miglioramento sia in termini di peso che di termoregolazione. Nella nuova collezione FormulaE 2.0 che presenteremo in anteprima all’Italian Bike Festival, andremo ad inserire dei nuovi tessuti ultra leggeri per le maglie ed i body e altri materiali innovativi per i pantaloni.
Triathlon e ciclismo, estremizzazione e ricerca della massima resa, tutto collimaTriathlon e ciclismo, estremizzazione e ricerca della massima resa, tutto collima
Un capo tecnico incide realmente sulla performance complessiva dell’atleta?
Nel caso dei nostri atleti long distance può portare benefici cronometrici reali soprattutto nella sezione in bicicletta grazie all’aerodinamica del body. Sbilanciandoci verso il triathlon e cercando di quantificare i risultati ad ampio spettro, sono da considerare anche il peso ridotto ed una compressione idonea sul corpo. Sono due fattori importanti per le frazioni di nuoto e corsa, ma in generale aspetti tecnici che aiutano l’atleta, anche il ciclista, a performare meglio.
Gregory Barnaby, primo italiano a scendere sotto le 8 ore in un ironmanGregory Barnaby, primo italiano a scendere sotto le 8 ore in un ironman
Nella categoria dell’abbigliamento super tecnico, il Made in Italy vale ancora?
Certamente. I capi della collezione FormulaE sono 100% Made in Italy, a partire dai tessuti, i fondelli, fino alla confezione del capo finito. L’ossessione per i dettagli e l’esperienza nella modellistica dei capi sono prerogative tutte italiane che non si trovano con lo stesso livello all’estero. Le mode del momento e le seduzioni temporanee esistono, ma è l’alta qualità che fa la differenza e ripaga sempre. In Hardskin siamo certi che puntare costantemente sul Made in Italy, sull’alta qualità sia ancora un aspetto fondamentale per il successo del marchio nel lungo periodo.