OGGIONO – Le nuvole grigie e il cielo che sembra sfiorare le teste dei corridori hanno portato un vero clima autunnale sulle strade del Lombardia U23. Ha vinto Callum Thornley, cronoman scozzese della Red Bull-BORA-Hansgrohe Rookies, con una volata dove contava avere testa e lucidità. Ha battuto gli altri tre contendenti alla vittoria: Elliot Rowe, Antoine l’Hote (i due sono insieme al vincitore nella foto di apertura) e Mattia Negrente .Una volta appoggiata la bici al muro giallo pastello di una casa qualunque Thornley non sta più fermo, cammina a destra e sinistra, esulta, urla e sorride felice. La sua prima vittoria in linea da under 23 coincide con una classica della categoria, arrivata alla sua 97ª edizione e che ha lanciato grandi nomi del ciclismo professionistico.
«Vincere qui è davvero speciale – dice con un sorriso largo così dall’alto dei suoi 190 centimetri – lunedì ho parlato con il diesse del team e abbiamo deciso che sarei venuto qui con l’obiettivo di vincere. Riuscirci è davvero surreale, anche perché è la prima vittoria su strada in una gara difficilissima. La Federazione della Gran Bretagna non ha partecipato agli europei U23, quindi sono venuto qui in una gara di grandissima importanza per questa categoria».
Thornley dopo l’arrivo è un fiume in piena, il Lombardia U23 è la sua prima vittoria in lineaIl corridore del Regno Unito ha corso da leader vincendo con meritoThornley dopo l’arrivo è un fiume in piena, il Lombardia U23 è la sua prima vittoria in lineaIl corridore del Regno Unito ha corso da leader vincendo con merito
Un cronoman sul Ghisallo
La giornata è stata caratterizzata da una fuga uscita quando all’arrivo mancavano oltre cento chilometri. Tanti per pensare di arrivare fino alla fine, ma i quattordici corridori che si sono avvantaggiati durante i giri iniziali hanno trovato l’accordo giusto e da dietro il gruppo ha potuto solamente guardare la corsa scivolare via. Per tutti il momento cruciale sarebbe stata la salita del Ghisallo. In un certo modo lo è stata, perché da dietro nessuno si è mosso e così la gara davanti è continuata. Si trattava di resistere, stare davanti e non sprecare troppe energie e così Thornley ha fatto.
«Quando siamo entrati sui fuggitivi – continua a raccontare il corridore della Red Bull-BORA-Hansgrohe nel retro podio – ho guardato il computerino e ho visto che mancavano ancora 110 chilometri all’arrivo. Ho capito subito che sarebbe stata una giornata lunga. La penultima salita (Colle Brianza, ndr) era durissima, molto più del Ghisallo, lì ero ancora in controllo».
«E’ un bel modo per salutare la categoria U23 – dice Thornely – l’anno prossimo sarò promosso nel WorldTour. Questa vittoria era l’ultima cosa che dovevo fare prima di diventare professionista. Molti pensano sia un cronoman, ma non so nemmeno io che corridore posso diventare, spero solo di lavorare bene per il team il prossimo anno».
La corsa è passata dalla salita del Ghisallo, simbolo del Lombardia U23Molte squadre nei giorni scorsi si sono fermate ad ammirare i cimeli donati alla chiesa durante gli anni (foto Werner Müller-Schell)La corsa è passata dalla salita del Ghisallo, simbolo del Lombardia U23Molte squadre nei giorni scorsi si sono fermate ad ammirare i cimeli donati alla chiesa durante gli anni (foto Werner Müller-Schell)
La generosità di Negrente
Il più attivo nella giornata di oggi è stato sicuramente Mattia Negrente, il veneto della XDS Astana Development Team ha corso in maniera generosa, forse troppo in certi momenti. Ha rischiato, poi si è staccato ed è rientrato con uno sforzo incredibile. Quando ha lanciato la volata finale ha però sbagliato il momento cui alzarsi sui pedali, e questo è il suo unico rammarico di oggi.
«Dopo cinquanta chilometri io e un ragazzo del team Tirol – racconta all’arrivo – abbiamo lanciato la fuga giusta. E’ stata un’azione nata per caso, perché non mi sentivo benissimo e volevo provare a sbloccare le gambe. Poi quando sono rientrati anche gli altri abbiamo trovato l’accordo, ci siamo guardati quasi ridendo e siamo andati».
«Nel finale, su uno strappo, mi sono staccato – continua – ma perché pensavo che la salita fosse più lunga e volevo gestire le forze. Una volta rientrato, insieme a due ragazzi della Decathlon AG2R LA Mondiale, non c’era un grande accordo. Ho tirato tanto, e ho tentato anche un allungo, ma evidentemente li ho pagati. Allo sprint sono arrivato poco lucido, penso di non aver mai sbagliato una volata in questo modo. Ho visto l’arrivo e sono partito, quando ho alzato gli occhi sui cartelli ero ai 300 metri e mi sono detto: «Basta, l’ho persa».
Thornley ha gestito la volata nel modo giusto, sullo sfondo un Negrente affranto capisce di aver perso una grande occasioneIl corridore del Team XDS Astana Develoment ha corso con enorme generosità prendendo in mano spesso la situazioneThornley ha gestito la volata nel modo giusto, sullo sfondo un Negrente affranto capisce di aver perso una grande occasioneIl corridore del Team XDS Astana Develoment ha corso con enorme generosità prendendo in mano spesso la situazione
L’europeo della discordia
Il Lombardia U23, così come la Coppa Agostoni domani, e oggi il Giro dell’Emilia Donne, si svolgono in concomitanza con le prove su strada degli europei. In Francia i migliori atleti sono in lotta per il titolo continentale, un danno non da poco per alcune delle corse di riferimento del calendario italiano e non solo.
«Le squadre non sono mancate – racconta a fine corsa Daniele Fumagalli, Presidente del Velo Club Oggiono, società organizzatrice del Lombardia U23 – anche i nomi. Thornley era uno dei favoriti e non ha deluso, purtroppo la sovrapposizione di date ci ha in qualche modo penalizzati. Abbiamo parlato con la Federciclismo ma ci hanno detto che non potevano fare nulla, sono decisioni che spettano all’UCI e al UEC. In settimana ho anche chiesto alla Federazione di lasciare Lorenzo Finn libero dal campionato europeo per farlo correre qui in maglia iridata. Ci hanno detto che non sarebbe stato possibile, è stato un altro schiaffo che abbiamo preso ma noi andiamo avanti e cerchiamo di fare sempre tutto al meglio».
Prima l’annuncio di Alessandro Borgo, poi quello di Jakob Omrzel, così la Bahrain Victorious ha comunicato che i due atleti del devo team sono stati promossi nella formazione WorldTour. Il tutto è avvenuto nei giorni del mondiale africano, al quale entrambi hanno preso parte. Da un lato Borgo ha corso da protagonista aiutando Lorenzo Finn a conquistare il titolo iridato under 23. Mentre, dall’altra parte, Jakob Omrzel si è giocato le sue carte chiudendo la corsa al quattordicesimo posto.
Borgo ha corso un mondiale da protagonista confermando i grandi progressi fatti durante il 2025Borgo ha corso un mondiale da protagonista confermando i grandi progressi fatti durante il 2025
Stesso destino
Due volti giovani e promettenti si stanno per affacciare nel mondo dei grandi, con due cammini e storie altrettanto differenti. Insieme ad Alessio Mattiussi, diesse del team Bahrain Victorious Development abbiamo parlato del percorso fatto da entrambi, analizzandone similitudini e differenze.
«Alessandro Borgo– racconta Mattiussi – ha fatto un percorso più canonico all’interno della categoria under 23, dimostrando progressi costanti all’interno delle due stagioni. Ha ottenuto ottimi risultati e anche quando è andato a correre con i professionisti ha dimostrato di poter stare in quel gruppo. Su Jakob Omrzel vi faccio una domanda: «Come fai a tenere under 23 uno che ha vinto il Giro Next Gen e che, a valori e risultati, ha fatto vedere ottime cose anche tra i professionisti?».
Borgo insieme a Mattiussi (a destra) in questa stagione si è tolto tante soddisfazioni tra cui la vittoria alla Gent U23, ora vuole mettersi alla prova tra i pro’Borgo insieme a Mattiussi (a destra) in questa stagione si è tolto tante soddisfazioni tra cui la vittoria alla Gent U23, ora vuole mettersi alla prova tra i pro’
Partiamo da Borgo?
Credo che la performance al Tour de l’Avenir ci abbia dimostrato una crescita impressionante dal punto di vista fisico e atletico. Il salto nel WorldTour per lui arriva nel momento giusto, è pronto per andare alla ricerca di quel qualcosa in più. Di qualche sfida.
Quale?
Borgo ama le sfide. Vi faccio un esempio: quando ha vinto la Gent U23 quest’anno, la prima cosa che ci siamo detti era che si deve puntare a quella dei grandi. Nella categoria under 23 avrebbe ancora qualche sfida da cogliere, come cercare di vincere una tappa al Giro Next Gen o all’Avenir, ma quelle che può trovare dall’altra parte fanno più gola.
La consacrazione per Borgo è arrivata con la vittoria del titolo italiano under 23 a Darfo Boario TermeLa consacrazione per Borgo è arrivata con la vittoria del titolo italiano under 23 a Darfo Boario Terme
Dove vorresti vederlo all’opera?
In Belgio. Non è un caso che appena arrivato nel nostro devo team, lo scorso anno, sia andato forte proprio in quelle gare. Vento, pavé, fango, fatica, insomma dove c’era da lottare è emerso il suo talento. Borgo si alza l’asticella delle sfide da solo, tra i professionisti potrà trovarne di davvero appetibili.
Passiamo a Omrzel?
Lui è un corridore da corse a tappe, ama le salite lunghe e si trova bene su quelle distanze. Poi arrivano le gare di un giorno come Capodarco, dove il percorso esigente fa emergere comunque le sue qualità. Al Val d’Aosta ha fatto fatica, ma è stato più un discorso mentale dopo quello che è successo (la scomparsa di Samuele Privitera, ndr).
Le prestazioni fatte registrare da Omrzel hanno fatto capire che lo sloveno è un corridore da corse a tappe (foto La Presse)Le prestazioni fatte registrare da Omrzel hanno fatto capire che lo sloveno è un corridore da corse a tappe (foto La Presse)
Che corridore è lo sloveno?
Intelligente e sveglio. Non è uno scalatore con caratteristiche esplosive come Widar, però basta ricordare l’azione che gli ha permesso di vincere il Giro Next Gen. L’ha vinto l’ultimo giorno a Pinerolo, ma le basi le ha gettate nella quinta tappa (a Gavi, ndr) quando è entrato nell’azione con Tuckwell e ha guadagnato due minuti.
Hai fatto l’esempio di Widar, per Omrzel non sarebbe stato meglio fare come il belga? Vincere e poi affermarsi tra gli under 23?
Per lui vale lo stesso discorso di Borgo, tra i professionisti le sfide sono più grandi e una corsa a tappe di categoria WorldTour è stimolante per un ragazzo come lui. Senza dimenticare che al Giro di Slovenia (corsa 2.1, ndr) è arrivato quarto nella generale. Personalmente mi ha stupito il suo miglioramento tra il Giro di Slovenia e il Giro Next Gen.
La vittoria del Giro Next Gen ha proiettato in alto il nome di Omrzel, che dopo un solo anno nel devoteam ora passa nel WT (foto La Presse)La vittoria del Giro Next Gen ha proiettato in alto il nome di Omrzel, che dopo un solo anno nel devoteam ora passa nel WT (foto La Presse)
Quali sono i suoi margini?
Il 2025 è stato il primo anno nel quale ha inserito dei ritiri in altura e ha iniziato a curare gli allenamenti al massimo. Comunque non dimentichiamoci che può sempre fare come ha fatto Nordhagen, ovvero venire a fare qualche gara tra gli under.
Omrzel sembra essere mentalmente più sensibile, visti anche alcune situazioni che ha vissuto…
E’ un ragazzo con i piedi per terra e che ascolta molto, conosce i passi da fare e sa dove vuole arrivare. Lo scorso anno, da junior, aveva fatto una stagione di grande livello ma non si era montato la testa. Il 2025 lo ha affrontato con la voglia di mettersi alla prova e con la giusta sicurezza.
Jakob Omrzel nelle gare con i professionisti ha fatto vedere di potersi giocare le sue chance, qui al Giro di Slovenia dove ha vinto anche la maglia di miglior giovaneJakob Omrzel nelle gare con i professionisti ha fatto vedere di potersi giocare le sue chance, qui al Giro di Slovenia dove ha vinto anche la maglia di miglior giovane
Anche lui è molto determinato, gli ultimi due giorni del Giro Next Gen sapeva di poter vincere.
Il momento in cui mi ha impressionato maggiormente è stato alla partenza dell’ultima tappa, a Pinerolo. Sul van mi ha guardato e ha detto: «Oggi vinciamo». Ha le idee veramente chiare su quello che vuole ottenere. Sarà comunque un cammino ponderato.
Può ambire a vincere una Grande Giro in futuro?
Le corse a tappe di tre settimane sono il sogno di tutti i corridori, ma fare ventuno giorni a quel livello è difficile anche solo per la mente. Omrzel ha quella mentalità e le gambe possono seguirlo, a mio modo di vedere al Giro Next Gen se fossimo andati avanti ancora qualche giorno sarebbe emerso ancora di più.
Un ridimensionamento del team? Nelle ultime settimane era circolata questa voce, a proposito del Fas Airport Services-Guerciotti. Considerando le notizie riguardanti suoi atleti approdati in altri team, come Gioele Bertolini, sembrava che la squadra considerata il riferimento del panorama italiano dovesse quantomeno rivedere programmi e aspettative. Niente di più falso, il team prosegue il suo cammino passando per un’opera di rinnovamento, questo sì, ma le ambizioni sono sempre molto alte.
Paolo e Alessandro Guerciotti con la new entry Patrick Rosola Pezzo (foto team)Paolo e Alessandro Guerciotti con la new entry Patrick Rosola Pezzo (foto team)
Tanti cambiamenti per crescere
Alessandro Guerciotti ammette che gli ultimi mesi sono stati perlomeno impegnativi con molti cambiamenti in essere: «Abbiamo dovuto lavorare molto ma alla fine direi che il livello del team (presente domani alla seconda prova del Giro delle Regioni, ndr) è sempre molto competitivo, anzi secondo me da un certo punto di vista è cresciuto rispetto all’anno scorso.
«Proprio la scorsa settimana abbiamo tesserato il campione italiano juniores Patrick Pezzo Rosola, che subito ha messo la sua firma nella prova inaugurale della stagione a Illnau, in Svizzera. Con lui alla fine abbiamo tre figli d’arte: lui con due campioni per genitori, la figlia di Luca Bramati e la figlia di Franco Pellizzotti e tra l’altro anche Giorgia ha esordito con un successo».
A Illnau (SUI) subito due vittorie per il team italiano con la Pellizotti e con Rosola Pezzo (foto team)A Illnau (SUI) subito due vittorie per il team italiano con la Pellizotti e con Rosola Pezzo (foto team)
Come numeri cambia qualcosa?
Direi di no nel senso che siamo presenti in tutte le categorie. Avremo un elite che al posto di Bertolini è Federico Ceolin. Torna da noi e per come sta crescendo dico che può competere tranquillamente con Fontana, Bertolini e gli altri di vertice. Tra gli under 23 abbiamo ancora Tommaso Ferri, come l’anno scorso. E’ un corridore che può farsi vedere bene nelle gare nazionali e darci il suo contributo per il campionato italiano team relay. Di Pezzo Rosola c’è poco da dire…
Diciamolo ugualmente…
E’ il campione italiano (e il nostro team avrà così ancora una maglia tricolore), si è già distinto con podi internazionali e potrebbe anche essere l’Agostinacchio di turno. Per questo gli faremo fare un percorso uguale a quello che abbiamo fatto fare a Mattia. Con lui Francesco Dell’Olio che è un junior primo anno ma che tra gli allievi è sempre andato al podio. Su strada è andato fortissimo e si sa che se emergi d’estate, lo farai anche d’inverno e viceversa.
Patrick Rosola Pezzo ha riportato la maglia tricolore nel team guidato da Luca Bramati (foto team)Patrick Rosola Pezzo ha riportato la maglia tricolore nel team guidato da Luca Bramati (foto team)
E fra le donne?
Intanto abbiamo Lucia Bramati che passa elite andando a completare una categoria nella quale non eravamo presenti la scorsa stagione. Poi abbiamo confermato Elisa Ferri che tra le juniores ha fatto benissimo e passa under con tante aspettative e avremo Beatrice Fontana che è all’ultimo anno nella categoria, seconda all’italiano dell’anno scorso. Quindi diciamo che abbiamo due atlete che, nel caso la Corvi dovesse rinunciare alla stagione, possono essere protagoniste. Fra le juniores abbiamo la Pellizotti, anche lei già in evidenza al primo anno anche all’estero e sulla quale puntiamo forte come su Pezzo Rosola. Inoltre c’è una new entry, Nicole Righetto che a livello giovanile ha vinto quattro campionati italiani, due da esordiente e due da allieva, quindi in prospettiva è una delle atlete più interessanti del panorama.
Coprite quindi tutte le categorie, puntate a fare l’en plein ai tricolori?
Non voglio fare proclami, diciamo che abbiamo una squadra di 9 elementi, 5 donne e 4 uomini, molto competitiva dappertutto, che sicuramente può puntare al titolo tricolore nella staffetta, al quale teniamo molto. Secondo me comunque il team è un gradino superiore all’anno scorso e parliamo di un team 2024-25 che aveva colui che è diventato campione del mondo…
Dopo un’ottima stagione nella mtb, Giorgia Pellizotti punta in alto anche a livello internazionale (foto team)Dopo un’ottima stagione nella mtb, Giorgia Pellizotti punta in alto anche a livello internazionale (foto team)
Nella ristrutturazione del team, che chiaramente richiede tempo e impegno, c’è stato qualche momento di difficoltà che avete affrontato e che ha portato alle voci di un ridimensionamento?
Nella costruzione del team sì. Sapendo chi andava via, chi era ingaggiato dai grande team. Lo ammetto senza timori, ma io lo reputo anche abbastanza normale, nell’ordine delle cose: al nostro livello fare il ciclocross diventa sempre più difficile. Un Agostinacchio ad esempio non puoi trattenerlo, non puoi competere con i team della massima serie che dal nulla possono creare una struttura concorrenziale anche nel ciclocross. Devi solo sperare che vada a finire in un team dove non fanno attività ciclocrossistica e quindi si debbano appoggiare a una squadra già esistente.
Dispiaciuti che sia andato via?
Ci sarebbe piaciuto averlo ancora con noi per un anno, ma non si sono create le condizioni. Lo stesso Pezzo Rosola lo abbiamo rincorso per un paio di mesi siamo andati a definirlo a fine agosto, perché aveva contatti con altre squadre e poi ha fatto la scelta secondo me più sensata per essere in una squadra italiana che possa fargli fare una attività internazionale.
Dopo l’esordio in Svizzera, il team Guerciotti seguirà lo sviluppo friulano del Giro delle Regioni (foto Facebook)Dopo l’esordio in Svizzera, il team Guerciotti seguirà lo sviluppo friulano del Giro delle Regioni (foto Facebook)
Che cosa rispondi allora a chi preconizzava un calo?
Noi partiamo con gli stessi presupposti del settembre 2024. Chi allora si sarebbe potuto aspettare che Agostinacchio potesse vincere mondiale ed europeo e che Bertolini vincesse un altro campionato italiano? Oggi invece abbiamo un corridore, Ceolin, che è comunque ai livelli di Bertolini e anziabbiamo una visibilità maggiore, non solo a livello juniores uomini, ma anche donne. Possiamo giocare le nostre carte in tutte le categorie. Insomma, secondo me la squadra è molto più competitiva. In futuro sarà sempre più difficile tenere questo livello.
Per voi però avere questo livello è fondamentale, anche come marketing per l’azienda considerando la diffusione delle vostre bici…
E’ vero, per noi la passione è legata a doppio filo a un discorso tecnico. La squadra la utilizziamo anche come veicolo per proporre nuovi prodotti e far conoscere l’azienda. I successi di Casasola prima e di Agostinacchio poi hanno indotto un bell’incremento di vendite in Belgio, Guerciotti è tornata a essere molto visibile come marchio, molto richiesto. Quindi appunto è importante che la squadra rimanga e lo faccia a un livello degno.
E quindi ci siamo… «Siamo ai titoli di coda!». Gianluca Brambilla, vicentino classe 1987, annuncia il ritiro dalle competizioni. Lo fa dopo 16 stagioni da pro’, tutte vissute alla grande. «Alla fine è stato un bel viaggio, una bella avventura. Il film di un ragazzino che inizia a pedalare guardando il Giro d’Italia al pomeriggio e poi per fortuna, capacità e altre mille variabili è riuscito a diventare corridore».
“Brambi” dice basta insomma. E lo fa per scelta sua e non per contrarietà. Cosa determinante a nostro, ma soprattutto a suo, avviso. Per salutarlo abbiamo deciso di fare un’antologia: dieci foto, dieci momenti della sua carriera che lo stesso Gianluca ha estrapolato per noi e che ci racconta.
E’ il 19 giugno 2010′ Brambilla vince il GP Nobili, la sua seconda gara in assoluto da pro’E’ il 19 giugno 2010′ Brambilla vince il GP Nobili, la sua seconda gara in assoluto da pro’
La prima vittoria
La prima foto è subito di una vittoria, la prima. Quella che non si scorda mai, ma anche le altre non si dimenticano. Solo che suona bene dire così! «Avevo firmato il contratto a casa di Reverberi – inizia Brambilla – Loro già mi seguivano, ma dopo la mia vittoria da Under 23 al Palio del Recioto mi fecero firmare subito. E furono bravi, perché poi arrivarono altre squadre grandi, ma era tardi ormai. Di questa scelta sono contento, perché poi di campioncini che passano subito in squadroni e poi si perdono ce ne sono stati tanti. Io invece sono potuto crescere gradualmente».
«Venendo alla foto, quella è la vittoria al GP Nobili Rubinetterie e si può dire che in parte era anche la mia prima corsa da pro’. Era giugno più o meno. Avevo esordito a Lugano, ma non stavo bene. Già da dicembre avevo una fortissima tendinite, rischiavo l’operazione. Il mio viaggio stava per finire ancora prima di cominciare. Restai fermo per mesi, ripartii da zero e quel giorno tutta la sfortuna girò alla grande. Ero incredulo, perché comunque era una gara impegnativa. Mi ricordo benissimo: c’era fuori una fuga ed io ero riuscito a partire dal gruppo. Rientrai in discesa e sul San Carlone staccai tutti».
Il sogno realizzato. Gianluca indossa la maglia rosa al Giro 2016Il sogno realizzato. Gianluca indossa la maglia rosa al Giro 2016
La maglia rosa
La seconda foto che ci ha inviato Gianluca è un giovane Brambilla in maglia rosa. Il sogno. «Eh già – sospira Brambilla – quello è proprio il sogno da bambino. Presi la maglia rosa vincendo la tappa, il famoso “tappa e maglia”. Si arrivava ad Arezzo dopo aver scalato l’Alpe di Poti, salita sterrata. Ero già in fuga e rimasi da solo. Discesa a tutta, pancia a terra in pianura e riuscii a tenere a bada il gruppo che tirava per Valverde. La cosa bella è che il giorno dopo c’era la crono e riuscii a tenerla per pochi secondi».
Fu un momento toccante per Brambilla e per la sua famiglia, anche per la sua compagna Cristina che in qualche modo era cresciuta con lui. «Ci siamo conosciuti quando io ero all’ultimo anno da dilettante».
Alla Vuelta 2016, Brambilla precede Quintana nella 15ª tappaAlla Vuelta 2016, Brambilla precede Quintana nella 15ª tappa
Big battuti
Per questo terzo momento, Brambilla ha scelto il podio della sua vittoria di tappa alla Vuelta 2016. Quel giorno riuscì a battere i grandissimi. C’erano davanti gente come Quintana e Contador, tanto per dirne due.
A questo punto viene da chiedersi che corridore era il miglior Gianluca Brambilla. «Direi un attaccante, un uomo da fuga che quando in forma sbagliava poco. Anche contro campioni, perché quel giorno in Spagna si andò fortissimo. Finirono in 90 fuori tempo massimo. Poi furono riammessi. In quell’attacco c’erano grandi atleti e anche dei loro compagni che tiravano a tutta per staccare il più possibile Froome, che infatti andò alla deriva».
La voglia d’azzurro. Brambilla ha corso due mondiali da pro’La voglia d’azzurro. Brambilla ha corso due mondiali da pro’
Amore azzurro
Tra i momenti clou, Brambilla ha inserito anche la nazionale. Una foto che lo ritrae con Pellizotti ad Innsbruck.
«Fu il primo mondiale tra i pro’ – racconta Gianluca – ma non la prima maglia azzurra. Infatti avevo fatto gare con la nazionale maggiore, tipo la Tre Valli, il Pantani… E da under 23 corsi a Mendrisio. Quell’anno il cittì era Cassani, io ero stato uno degli ultimi ad essere inserito perché andai forte in quelle classiche gare premondiali. La volevo proprio quella maglia e me l’ero guadagnata. Ci tenevo tantissimo».
«Credo che qualche tempo fa la maglia azzurra fosse più prestigiosa, più ambita. Senza andare contro nessuno, ma soprattutto dopo il caso Gazprom iniziando a fare tante gare era diventata quasi come una squadra di club».
I primi anni con Reverberi li ricorda con serenità. Eccolo con Nicoletti, suo primo procuratoreI primi anni con Reverberi li ricorda con serenità. Eccolo con Nicoletti, suo primo procuratore
Gli amici…
Brambilla ha scelto una foto semplice, quasi una scena di vita quotidiana: lui con Moreno Nicoletti, all’epoca suo procuratore.
«Moreno – racconta Brambilla – mi ha aiutato nel passaggio al professionismo. Quando firmai con Reverberi c’era lui. Tra l’altro eravamo vicini di casa e mi vedeva sgambettare sin da piccolo. Mi avvicinò che ero under 23. Sono rimasto con lui per quasi dieci anni, poi per altri 3-4 ho fatto da solo e adesso sono con i Carera».
Ma è chiaro che nella carriera di un atleta professionista le figure che ruotano attorno a lui, anche non per forza tecniche, sono diverse, anche per il morale. Sicuramente la mia compagna è stata importante. E oltre a lei mi vengono in mente altri due personaggi. Uno è Gianni Faresin. Lui è stato un po’ quello che mi ha scoperto. Ero con lui ancora prima della Zalf, mi fece passare da juniores prima alla Breganze U23 e poi mi portò alla Zalf. Mi ha seguito anche nei primi anni da pro’. Era il mio confidente. Poi quando passai in Quick-Step, dove non si potevano più avere allenatori esterni, abbiamo interrotto. Ma un occhio me lo dava sempre!».
Altra figura centrale, anzi centralissima, è il mio amico Filippo Conte Bonin. «Lui mi ha aiutato tantissimo. Era stato massaggiatore in Bardiani, anche se non quando c’ero io. Mi faceva i massaggi a casa, il dietro moto, mi supportava negli spostamenti e persino nei traslochi! E c’è tuttora. Sono anche il suo compare di nozze. Oggi lavora presso una ditta di distribuzione bevande, però spesso e volentieri salta la sua pausa pranzo per farmi fare dietro motore. Io sono proprio un rompi c…i!».
Brambilla è stato con molti capitani. Uran (alla sua ruota) uno di quelli con cui ha più legatoBrambilla è stato con molti capitani. Uran (alla sua ruota) uno di quelli con cui ha più legato
E i grandi leader
La sesta foto l’abbiamo scelta noi ed è venuta in seguito alla chiacchierata. Stando in grandi squadre Brambilla è stato vicino a grandi campioni.
«Pidcock mi piace parecchio, è un bel leader, ma non lo conosco benissimo. Non ci sono poi stato così tanto a contatto. Che dire, ho corso con Uran, Cavendish, Boonen… difficile dire un nome. Boonen aveva la fama del festaiolo, però in ritiro la mattina alle otto era il primo a fare “core stability”. Era una macchina d’allenamento, aveva un fisico mostruoso. E tosto era tutto il gruppo belga o del Nord nei ritiri di dicembre e gennaio. Erano già in modalità classiche e mi uccidevano. Partivamo e appena sentivi il “clac” del pedale che si agganciava, eri già a 43 all’ora fisso. Ancora mi ricordo le curve per uscire da Calpe, quei su e giù a tutta. Una sofferenza. La prima volta rimasi al vento! Giuro… mi staccai subito. Poi lo sapevo. Dovevi mangiare poco, perché sennò vomitavi l’anima, partendo così forte con quei bestioni».
«E poi Cav… talento puro. Anche Uran e la sua simpatia. Eravamo sempre in camera assieme io e Rigo. Lui era veramente “tranquillo style”. Mai vista una persona così pacata. Gli hanno rubato un Giro d’Italia – perché secondo me quell’anno le staffette a scendere dallo Stelvio fecero un bel casotto – e lui in camera che diceva a me: “Tranquillo, non c’è problema».
Tappa e maglia al Tour des Alpes Maritimes, l’unica corsa a tappe in bachecaTappa e maglia al Tour des Alpes Maritimes, l’unica corsa a tappe in bacheca
La sua corsa a tappe
«Ho scelto questa foto – va avanti Brambilla – perché ritrae la vittoria di tappa e dell’unica corsa a tappe che ho vinto: il Tour des Alpes Maritimes. Ci tengo anche perché all’epoca abitavo a Monaco e quella salita dove vinsi era la salita di “casa”. Anche lì, feci tappa e maglia. Ve l’ho detto che quando riuscivo ad andare in fuga ero pericoloso!».
«Non ho vinto tanto, ma ho vinto di qualità e soprattutto ho vinto in tutte le squadre in cui sono stato… Devo ancora farlo con la Q36.5 Pro Cycling Team. Spero di riuscirci in queste ultime otto gare. Sarebbe il top, ma con il livello che c’è è difficilissimo».
Una foto amarcord per Brambilla…Una foto amarcord per Brambilla…
Ecco la Q36.5
In qualche modo, Brambilla lancia il tema Q36.5, la squadra che lo ha accolto dopo l’uscita dalla Trek-Segafredo. Tra l’altro, una foto in cui si sta mettendo i gambali seduto sul portabagagli dell’ammiraglia.
«Questo scatto mi piace perché è un po’ amarcord e non ce ne sono più così. E’ una foto di vecchi tempi. L’ammiraglia oggi non si usa più. Ci sono il bus o il camper, siamo al chiuso… qui invece eravamo per strada, come una volta. Mi piace questo senso di semplicità».
Cosa significa stare in questa squadra? Che ciclismo rappresenta? «E’ il ciclismo di una squadra moderna – spiega Brambilla – sono tre anni che sto qui e l’ho vista crescere tantissimo, soprattutto nell’ultimo anno con l’innesto di Pidcock e del suo staff. E vedo come stanno impostando l’anno prossimo. Vogliono il salto di qualità. Si vede anche dagli innesti importanti: vuol dire che la squadra vuole essere protagonista. Vuole arrivare nel WorldTour e vuole farsi trovare pronta una volta lì».
Strade Bianche 2016, uno stratosferico Cancellara lo rintuzza portandosi dietro il compagno StybarStrade Bianche 2016, uno stratosferico Cancellara lo rintuzza portandosi dietro il compagno Stybar
Il “rimpianto”
La nona foto che ha scelto Brambilla è il podio della Strade Bianche 2016. Ne eravamo sicuri anche noi. Potremmo descrivere quel giorno, visto che eravamo a bordo strada poco prima che entrasse a Siena e Cancellara lo riacciuffasse. Fu a tanto così da una vera impresa. Ne riparlammo anche la sera stessa nel suo hotel…
«Questo – racconta Brambilla – è forse l’unico rammarico della mia carriera. Non aver vinto quella corsa mi è rimasto qui. Ma non perché fosse la Strade Bianche in quanto corsa prestigiosa, ma per come l’avevo affrontata sul piano fisico e tattico. Perfetto. A me non successe niente: niente crampi o nervosismo. Fu Cancellara che andava il doppio. Soprattutto quando nel finale dentro Siena iniziò il pavé. Io iniziai a rimbalzare e lui invece restava saldo a terra e faceva proprio un’altra velocità. E’ andata così… ma tra le tante questa è una corsa che mi piace tantissimo, bellissima. Una gara che andrò a vedere a bordo strada».
Gianluca è alla Q36.5 da tre stagioni. Chiuderà la carriera in casa, con il “suo” Giro del Veneto e Veneto Classic Gianluca è alla Q36.5 da tre stagioni. Chiuderà la carriera in casa, con il “suo” Giro del Veneto e Veneto Classic
Il presente e il futuro
Questa ultima è il presente. Quello che è adesso Brambilla. Un corridore a tutti gli effetti fino alla Veneto Classic. Anche questa è una foto di vita quotidiana per un pro’.
«Lì ero al Tour de l’Ain, quest’estate. Una gara in cui sono andato bene. Ho finito settimo nella generale e c’erano bei nomi, gente che era uscita dal Tour de France. Questa foto, che può sembrare banale, in qualche modo per me rappresenta il mio presente. Un atleta professionista fino alla fine».
E qui va detta una cosa fondamentale. Brambilla smette per sua scelta, non perché non avesse un contratto. Detta fuori dai denti, la Q36.5 lo avrebbe tenuto, proprio per chi è, per il dietro le quinte e anche per i risultati (giusto qualche giorno fa è arrivato quinto al Romagna).
«Non volevo trascinarmi e smettere perché non avevo alternative. Questo mi rende tranquillo, sereno. Non dico “voglio smettere”, mi risulta difficile. Sembra quasi che uno rifiuti il proprio lavoro o denigri quello che ha fatto fino adesso. Ma è piuttosto: voglio finire perché magari inizio altro, perché lo scelgo io e non gli eventi».
E allora caro Gianluca buon viaggio e che la grande festa abbia inizio. Prima però sotto con le altre corse, a partire dal Giro dell’Emilia di oggi. Fino al 19 ottobre sei ancora un pro’!
Dal quarto posto mondiale all’argento europeo, c’è ancora Paula Blasi purtroppo a strozzare la gioia ad Eleonora Ciabocco. La settimana scorsa in Rwanda la spagnola aveva superato allo sprint l’azzurra per il bronzo iridato, stamattina l’ha anticipata sul traguardo in Ardeche andando a prendersi il titolo continentale U23. Tuttavia per la 21enne marchigiana è una medaglia che pesa per come è arrivata.
Sull’ultima salita restano in quattro: Bego (che farà terza), Ciabocco, Chladonova e Blasi. Bastianelli e Borgia incitano l’azzurraNel finale Blasi anticipa tutti e a quel punto Ciabocco sfrutta le sue doti veloci per lo sprint che vale il secondo postoDopo 20 km Ciabocco ha rischiato di chiudere la gara per un problema meccanico. Venturelli la riporterà in gruppoSull’ultima salita restano in quattro: Bego (che farà terza), Ciabocco, Chladonova e Blasi. Bastianelli e Borgia incitano l’azzurraNel finale Blasi anticipa tutti e a quel punto Ciabocco sfrutta le sue doti veloci per lo sprint che vale il secondo postoDopo 20 km Ciabocco ha rischiato di chiudere la gara per un problema meccanico. Venturelli la riporterà in gruppo
Argento di squadra
Finora le prove europee hanno emesso verdetti che ricalcano quelli usciti dal mondiale. Chi è arrivato davanti in Rwanda, lo ha fatto anche nel sud-est della Francia. Normale che potesse essere così anche per Ciabocco. E così è stato nonostante alla vigilia sentisse un po’ più di pressione rispetto ad otto giorni fa. Il suo secondo posto è frutto della forza dell’intero gruppo.
«Alla fine – ha detto Eleonora appena dopo quella che sarà la sua ultima gara stagionale – devo essere soddisfatta della prova che è saltata fuori. Ho avuto un problema meccanico nel secondo giro e devo davvero ringraziare tanto Federica Venturelli. Avevo la catena incastrata, lei si è fermata, mi ha fatto mantenere la calma mentre cercavamo di risolvere il problema. Siamo state ferme tantissimo e siamo passate sotto il traguardo con quasi due minuti di ritardo. Sappiamo però quanto Federica sia forte e quindi mi ha riportato nel gruppo principale. Abbiamo fatto una grande fatica, ma senza di lei avrei finito la gara dopo venti chilometri. E’ stata fantastica, è la persona migliore al mondo perché è sempre pronta a sacrificarsi quando lo deve fare».
Nelle junior stesso podio del mondiale. Vince sempre Ostiz, ma stavolta Grossmann è seconda e Pegolo terzaPegolo ha stretto una buona amicizia con Ciabocco al mondiale. All’europeo la junior ha chiesto consigli alla marchigianaNelle junior stesso podio del mondiale. Vince sempre Ostiz, ma stavolta Grossmann è seconda e Pegolo terzaPegolo ha stretto una buona amicizia con Ciabocco al mondiale. All’europeo la junior ha chiesto consigli alla marchigiana
«Comunque oggi – ha proseguito – stavo molto bene, perché riuscivo a rispondere agli attacchi in salita, che di solito mi risulta un po’ più difficile. E per questo devo ringraziare anche Elisabetta Borgia e Marta Bastianelli che mi hanno incitata perché ero un po’ al limite in cima alla salita. Ho davvero stretto i denti nel finale, perché ormai l’arrivo era vicinissimo.
«Mi spiace solo che Blasi ha anticipato. In quel momento ci siamo guardate e questo capita sempre. Io sapevo però che avrei dovuto aspettare la volata perché forse ero la più veloce tra le quattro (le altre due erano Bego e Chladonova finite nell’ordine, ndr). Non volevo fare lo stesso errore del mondiale, quindi è stata una buona lezione. Era importante prendere una medaglia una volta che la maglia di campionessa europea era andata».
Il gruppo azzurro è stato la grande forza per ogni ragazza. Ciabocco ha avuto il tifo delle compagne durante la sua garaIl gruppo azzurro è stato la grande forza per ogni ragazza. Ciabocco ha avuto il tifo delle compagne durante la sua garaIl gruppo azzurro è stato la grande forza per ogni ragazza. Ciabocco ha avuto il tifo delle compagne durante la sua garaDopo il rientro dal Rwanda, Ciabocco si è fermata a casa di Barale per fare il viaggio assieme all’europeo (foto instagram)
Da Kigali all’Ardeche via Piemonte
Dal mondiale all’europeo passando da casa Barale. Le ultime trasferte stagionali per Eleonora Ciabocco sono un mix di sapori ed esperienza di vita che le hanno fatto fare un gradino in più nella sua scala di crescita.
«Sono rimasta da Francesca – spiega – per essere più comoda per andare in Francia e per stare più tempo con le compagne per provare il percorso. Al netto del risultato che ho fatto al mondiale, resta la bella esperienza vissuta con le altre ragazze, sia le elite che le juniores. Era importante trovarsi bene e divertirsi e così è stato. Anzi, abbiamo approfondito la nostra amicizia. Ad esempio al mondiale di Wollongong nel 2022 ero junior e avevo già conosciuto alcune delle elite che c’erano anche a Kigali. Loro erano a bordo strada a tifare per me durante il mio mondiale ed io ho fatto altrettanto al sabato nella loro gara.
«In Africa – continua – si è creato un gran bel gruppo dove ci siamo scambiate tanti consigli. Io li ho chiesti alle elite ed io a mio volte li ho dati alle juniores. De Laurentiis la conoscevo già perché siamo cresciute entrambe nel Team Di Federico, ma ho avuto modo di conoscere meglio Chantal Pegolo. Anche lei è una ragazza sveglia. Sono felicissima di poterla aiutare anche se sa già cosa deve fare. Anche oggi dopo il mio europeo ho dato i miei feedback sia a lei che alle altre juniores. E sono felicissima che abbia conquistato la medaglia di bronzo dopo l’argento mondiale».
Dopo la sua prova, Ciabocco si è allenata sulle strade di Kigali per altri tre giorni scoprendo meglio la cittàCiabocco tornerà in Africa in vacanza per assaporare nuovamente la spontaneità di quel popoloDurante gli allenamenti, Ciabocco e le altre azzurre si sono spesso imbattute con persone che usano la bici per lavoroIl traffico di Kigali al di fuori del circuito è uno spaccato di vita più da turista che da atletaTanti incontri duranti le ricognizioni in bici. Alcuni originali, altri insegnano valori da non sottovalutarePer Ciabocco il viaggio in Rwanda non si è limitato solo all’aspetto agonistico. E’ stato bello scoprire chi si poteva trovare a bordo stradaDopo la sua prova, Ciabocco si è allenata sulle strade di Kigali per altri tre giorni scoprendo meglio la cittàCiabocco tornerà in Africa in vacanza per assaporare nuovamente la spontaneità di quel popoloDurante gli allenamenti, Ciabocco e le altre azzurre si sono spesso imbattute con persone che usano la bici per lavoroIl traffico di Kigali al di fuori del circuito è uno spaccato di vita più da turista che da atletaTanti incontri duranti le ricognizioni in bici. Alcuni originali, altri insegnano valori da non sottovalutarePer Ciabocco il viaggio in Rwanda non si è limitato solo all’aspetto agonistico. E’ stato bello scoprire chi si poteva trovare a bordo strada
Colore e calore africano
Al di là dei tanti dubbi che avevano circondato l’assegnazione del mondiale in Rwanda, bisogna riconoscere che questa prima volta della rassegna iridata nel continente africano ha lasciato il segno in ogni partecipante e in ogni abitante a bordo strada. Per Ciabocco è stato un mix di colore e calore, come ha pubblicato sui suoi profili social, che vorrebbe ritrovare a breve.
«E’ vero – racconta – che sono rientrata con tanto rammarico per come è andata la gara, ma dal punto di vista personale è stato un viaggio straordinario. Non ero mai stata in vacanza in Africa e dopo il mondiale ho capito che voglio tornarci presto, magari per un safari e per riassaporare ciò che trasmette quel popolo. Ho visto e conosciuto bellissime persone che ci hanno applaudito e anche insegnato qualcosa in termini di valori. Spesso diamo per scontato tante cose e non capiamo invece quanto in certi posti si soffra ancora tanto per una vita più facile.
«Durante gli allenamenti prima e dopo la mia gara – conclude Ciabocco – ho incontrato tanti bambini che ci chiedevano borracce e addirittura barrette o gel energetici. Mi hanno fatto tenerezza e mi è spiaciuto solo non essere potuta partire con più cose da lasciare. Abbiamo visto anche tanti ragazzi che ci accompagnavano in bici durante i nostri allenamenti. Spero che il mondiale in casa loro possa incentivare il ciclismo. O ancora che possa sbloccare qualche fondo da investire sia in Rwanda che in altre nazioni per consentire loro di correre in bici. Sarebbe bello se potessimo essere stati fonte di ispirazione peril ciclismo per questo popolo. Io porterò sempre con me un gran bel ricordo di questa trasferta africana».
KIGALI (Rwanda) – A pochi minuti dal via del mondiale dei professionisti, Stefano Cerea ha appoggiato sul tavolo un piccolo scatolone pieno di gel con il sodio. Così, quando è stato il momento di alzarsi per riempire le tasche della maglia, i corridori ci si sono avventati come api sul fiore. Troppo alto il rischio di crampi, a quello che si era visto nei giorni precedenti, per non attingere a ogni rimedio possibile.
Come si sa, la nazionale è sponsorizzata da Enervit per tutto ciò che concerne la supplementazione e l’integrazione, ma alcuni corridori si sono presentati al mondiale con i prodotti dei loro team. Non esistendo il nutrizionista della nazionale, ciascuno di loro si è fatto assistere a distanza. Incuriositi dall’uso degli integratori in una corsa così dura e in condizioni tanto particolari, nei giorni di vigilia abbiamo iniziato a parlarne con Andrea Bagioli, considerato che alla Lidl-Trek il valtellinese utilizza ugualmente prodotti Enervit.
Le borracce contengono 60 grammi di carboidrati, affiancate ai gel che ne contengono 40Per Bagioli a Kigali, rifornimenti solidi solo in partenza, per il resto solo gelCerea prepara il bicarbonato: si prende prima e a volte anche durante la corsaLe borracce contengono 60 grammi di carboidrati, affiancate ai gel che ne contengono 40Per Bagioli a Kigali, rifornimenti solidi solo in partenza, per il resto solo gelCerea prepara il bicarbonato: si prende prima e a volte anche durante la corsa
Il sale sui pantaloncini
Bere, bere e ancora bere. In sintesi estrema, è stata questa la raccomandazione che il dottor Corsetti dava ogni santo giorno a tutti gli azzurri di Kigali. Un consiglio preso così alla lettera da Giada Silo, da essersi presentata al via con un pezzo di nastro attaccato sul manubrio, con scritto: BEVI.
Delle condizioni ambientali del Rwanda avevamo parlato anche con il dottor Giorgi, secondo cui l’altura e il clima tropicale hanno avuto effetti incisivi sulle prestazioni degli atleti. «L’atleta muovendosi – ha detto Giorgi – produce calore e cerca di disperderlo con la sudorazione. In un clima umido, però, la dispersione del calore tramite sudore è ridotta perché l’aria è già satura di vapore acqueo. Di conseguenza, la temperatura corporea resta più alta e l’atleta si affatica più rapidamente. Questo porta anche a una disidratazione precoce, soprattutto nei primi giorni».
Ce ne siamo accorti guardando il sale sui pantaloncini e le maglie degli atleti, anche quelli di Pogacar, ma anche sentendo parlare di crampi, come non succedeva da tempo nel ciclismo dell’integrazione ormai perfetta.
Sui pantaloncini di Pogacar in bella evidenza il segno del sudore e del sodioSui pantaloncini di Pogacar in bella evidenza il segno del sudore e del sodio
Sodio, 8 milligrammi ogni ora
«Su un percorso come quello del mondiale – ha spiegato Bagioli – si andava avanti con gel e maltodestrine. Poco cibo solido, intendo barrette o rice cake, e giusto nelle fasi iniziali e più tranquille della gara. Principalmente gel, anche quelli col sodio, visto che faceva caldo e c’era tanta umidità, quindi si sudava. E’ un aspetto che tanti magari non considerano, però integrare ogni ora con 800 milligrammi di sodio fa la differenza».
Un paio di giorni prima, ragionando assieme a Pietro Mattio, Lorenzo Finn era giunto alla conclusione di buttare giù un gel per ciascun giro. La gara era dura, per cui oltre a curarsi della disidratazione, c’è stato da prendersi cura dell’indispensabile carico di carboidrati.
«La mia quantità – ha detto ancora Bagioli – è di 100-110 grammi per ora, composti fra gel e borracce. I gel sono da 40 grammi, le borracce da 60. Però è capitata anche la borraccia di sola acqua, soprattutto nel finale della gara si cerca sempre più acqua. Le malto si lasciano un po’ da parte».
La scatola piena di gel al sodio è stata presa d’assalto dagli azzurri prima del via del mondialeSul tavolo del box, c’erano anche delle barrette, ma solo per l’avvio della corsaLa scatola piena di gel al sodio è stata presa d’assalto dagli azzurri prima del via del mondialeSul tavolo del box, c’erano anche delle barrette, ma solo per l’avvio della corsa
Sali anche nella borraccia
Incontrato in aeroporto all’indomani della corsa ed essendo con Ciccone e Garofoli uno dei tre azzurri che ha concluso il mondiale di Kigali, abbiamo chiesto a Bagioli se l’uso del gel con il sodio abbia funzionato e la risposta è stata un sorriso: «Direi proprio di sì, no?».
«Da quando ho iniziato a usarli – ha spiegato il corridore della Lidl-Trek – il rischio di crampi si è allontanato. Non so spiegare, è come se la gamba sembrasse sempre pronta. A volte, quando ti mancano i sali, senti un calo sia mentale che fisico. Invece usando i gel col sodio, secondo me si evitano questa fase e questo rischio».
A questo punto però la curiosità è venuta da sé: avere i gel con il sodio porta a non avere sali nelle borracce? «No, perché nella borraccia con le malto sono compresi anche i sali. In minore quantità rispetto ai gel – ha spiegato Bagioli – però ci sono anche loro».
Per Bagioli anche Enervit Magic Cherry, l’antiossidante che si assume subito dopo l’arrivo oppure in ’allenamentoAndrea è stato uno dei tre azzurri che hanno finito il mondiale assieme a Ciccone e GarofoliPer Bagioli anche Enervit Magic Cherry, l’antiossidante che si assume subito dopo l’arrivo oppure in ’allenamentoAndrea è stato uno dei tre azzurri che hanno finito il mondiale assieme a Ciccone e Garofoli
Acqua (anche) per bagnarsi
Bere, bere e ancora bere. Ma anche bagnarsi per tenere bassa la temperatura corporea: il mondiale di Kigali non ha fatto sconti. Anche se delle sporadiche nuvolette hanno dato a tratti un senso di minor calore, il sole e l’umidità dell’aria erano a livello di una sauna.
«Difficile dire quante borracce abbiamo usato – ha confermato Bagioli – anche perché tante ci sono servite per bagnarci. Comunque tante. Venerdì in allenamento, avendo fatto quattro ore, c’era un caldo così forte che abbiamo bevuto come cammelli. E anche in allenamento si deve guardare quello che si fa e che si mangia. Se dobbiamo fare dei lavori, le maltodestrine vanno prese, però non nelle stesse quantità della gara. In allenamento non arrivo ai 110 grammi, resto sempre più basso. Invece con questa altura e questo clima, assumere sodio è più importante, perché davvero sono condizioni in cui si suda tanto».
Il mondiale di Kigali finisce così in archivio con la vittoria travolgente di Pogacar e appena 30 corridori al traguardo. Come abbiamo letto stamattina da Cassani e come si è evinto ascoltando i commenti dei corridori dopo la gara, si è trattato di una gara di eccessiva durezza. 5.128 metri di dislivello nel cuore dell’Africa sono stati un eccesso (forse) immotivato. A maggior ragione per questo, il ricorso a prodotti specifici è risultato ancora più importante.
Primo grande successo in una corsa a tappe per Paul Double, il britannico della Jayco Alula che si è portato a casa il Giro di Slovacchia, impreziosendo così la sua prima stagione nel WorldTour. Il corridore di Winchester è ormai un italiano d’adozione: ha trascorso tanti anni nelle squadre del nostro Paese, ha imparato il mestiere e si è talmente affezionato ai nostri lidi da aver programmato la sua permanenza proprio da queste parti, trasferendosi a San Marino.
Per il corridore di Sua Maestà quella slovacca è la classica vittoria che rappresenta un crocevia nella sua carriera: «La inseguivo da tempo, erano anni che sentivo di avere nelle gambe il successo in una gara di più giorni e in Slovacchia ho pensato che avevo la forma giusta per vincere. Il successo nella seconda tappa della Coppi & Bartali mi aveva detto che ero sulla strada giusta e soprattutto nel team giusto. In squadra sto bene, è un team ideale per me, con molti britannici e australiani ma anche italiani, quindi mi sento molto a casa».
In Slovacchia l’inglese è stato autore di un’impresa, ribaltando la gara all’ultima tappaIn Slovacchia l’inglese è stato autore di un’impresa, ribaltando la gara all’ultima tappa
Tu hai fatto il Giro d’Italia, hai notato un cambiamento nella tua forma ma anche nella tua esperienza prima e dopo il Giro?
E’ stata una grande esperienza, di quelle che ti cambiano. Dopo la corsa non sono stato bene di salute e mi è dispiaciuto perché appena sono rientrato in gara ho sentito che le gambe andavano ancora forte, avevo acquisito una forma invidiabile e non avevo potuto sfruttarla appieno. Sono rimasto fuori dalle gare oltre un mese e quando ho ripreso in Austria è stato un supplizio, stavo malissimo. Adesso ho ritrovato la forma di prima con un po’ di lavoro mirato con il mio allenatore, abbiamo recuperato bene ed è stato un sollievo perché ho avuto paura di non recuperare più per questa stagione.
Il Giro di Slovacchia è stato la tua prima vittoria in una corsa a tappe. Prima dell’ultima tappa pensavi che fosse possibile? In classifica eri molto indietro…
Io ed Engelhardt avevamo puntato tutto sull’ultima tappa, ma avevamo anche De Pretto pronto al risultato. Nel finale ci siamo trovati davanti io e Felix, ma sapevamo che con il controllo della Visma-Lease a Bike sarebbe stato difficile costruire qualcosa, invece siamo riusciti a trovare la tattica giusta e devo dire grazie al mio compagno di squadra tedesco che mi ha coperto, riuscendo così a vincere tappa e giro. E’ stato un gran colpo.
Ben sette stagioni in Italia per Double, l’ultima nel 2024 alla Polti. Alla Jayco è confermato per il 2026Ben sette stagioni in Italia per Double, l’ultima nel 2024 alla Polti. Alla Jayco è confermato per il 2026
Tu sei arrivato al World Tour quest’anno. Quanto sono stati importanti tutti gli anni che hai passato in Italia?
Talmente tanto che sto pensando di tornare. Le difficoltà che ho incontrato, la lingua, l’ambientamento, mi hanno forgiato, sono state fondamentali. Sono arrivato al WorldTour al momento giusto, nel senso che ero finalmente pronto per affrontarlo e i risultati mi stanno dando ragione.
Tu hai 29 anni. Hai mai avuto paura di non poterlo raggiungere, visto che le squadre scelgono sempre i più giovani?
Sì, certamente. Io però credo sempre che la carta d’identità dice 29 anni ma io me ne sento molti meno. La testa è giovanissima e quella conta enormemente nel ciclismo di oggi.
In stagione Double ha accumulato 58 giorni di gara: nessuna Top 10, ma ben 3 vittorie per il suo teamIn stagione Double ha accumulato 58 giorni di gara: nessuna Top 10, ma ben 3 vittorie per il suo team
Pensi che la vittoria in Slovacchia sia il momento più importante della tua carriera?
Penso che è tutto importante. Secondo me questo successo è un altro step perché ha aumentato la mia fiducia, considerando anche coloro che mi sono lasciato dietro, gente importante, che ha già vinto nella massima serie. Io credo che ogni esperienza sia importante, nel bene come nel male, ma è chiaro che vincere aiuta.
Che differenze trovi come organizzazione tra le squadre italiane dove sei stato e quella australiana?
C’è una grande differenza, che influisce sul corridore e se ne parla troppo poco. Faccio un esempio: quand’ero alla Zappi, spesso toccava a me portare anche il camion con tutto il materiale. In un team della massima serie hai tutto a disposizione, sei servito e riverito, ma io non sono capace. Spesso chiedo di dare una mano e mi dicono che devo pensare solo a correre e stare tranquillo. Ma non è nella mia natura, non sono stato abituato così. Per questo dico che gli anni passati in Italia sono stati così importanti. Mi hanno forgiato nell’animo. Apprezzo molto il lavoro che fanno quelli che fanno parte dello staff, tutti, anche quelli che non sono mai citati, ma nelle nostre vittorie c’è anche la loro mano…
Il britannico ai tempi della sua permanenza al Zappi Racing Team, fondamentale per la sua crescita (foto Instagram)Il britannico ai tempi della sua permanenza al Zappi Racing Team, fondamentale per la sua crescita (foto Instagram)
Che cosa ti aspetti dalla prossima stagione, visto che hai ancora un anno di contratto?
Ne parliamo in questo inverno con la squadra, con il mio allenatore, ma io sono contento di imparare, di fare cose nuove. Qualsiasi cosa succeda, sono pronto. Se poi mi chiedessero di andare al Tour de France, sarebbe un sogno, lì c’è la crème de la crème. Sarebbe bello, ma per me sarebbe bello anche tornare al Giro perché mi sento a casa. Forse è meglio fare un’altra volta la corsa rosa. Vedremo comunque che cosa mi porterà il destino, io sono a disposizione.
Ieri Marco Frigo ha conquistato la medaglia d’argento nella cronostaffetta mista. La gamba è ancora quella buona dei mondiali. In una settimana il veneto è passato dall’Africa all’Europa, da un clima tropicale a uno più continentale, da un mondo esotico ad uno noto. «Oggi (ieri, per chi legge, ndr) – dice Frigo – siamo andati forte. Stavamo bene, stavo bene. Ed è stato un bel podio che dà fiducia! La Francia? Deve aver sentito l’odore di casa…». Come a dire che forse gli azzurri temevano di più la Svizzera.
Ma torniamo a questa settimana così particolare. Come si è gestito dunque Marco in questi sette giorni così diversi fra loro? Come si è adattato? Viaggi, stanchezza, voli, gare: è stata una giostra tra recupero e fasi intense…
Marco Frigo (al centro tra Ganna e Milesi) sul podio di ieri della mix relay europea. In basso: da sinistra, Venturelli, Cecchini e GuazziniMarco Frigo (al centro tra Ganna e Milesi) sul podio di ieri della mix relay europea. In basso: da sinistra, Venturelli, Cecchini e Guazzini
Quindi Marco, da un clima tropicale, eravate in Rwanda, a un clima piuttosto fresco. Come ci si adatta? Perché poi praticamente siete volati direttamente in Francia, giusto?
Esatto, io sono passato dal Rwanda alla Francia in poco più di 24 ore. Però questo secondo adattamento è stato più facile. Alla fine si ritorna in Europa, si ritorna in Francia, un ambiente che ben conosco.
Chiaro…
E’ stato molto più semplice, per noi europei è un ambiente naturale. Ci avevano detto che in Italia era freschino e quindi eravamo preparati anche a un po’ più freddo. In realtà in questi giorni qui a Valence si sta bene, a parte il vento che c’è stato ieri e anche oggi. Le temperature sono ottime per pedalare. In Rwanda era più umido, si era un po’ in quota e di certo c’è stato un adattamento molto più complesso.
Il martedì Frigo e compagni hanno dovuto viaggiare, in volo si sono adattati col pasto che passavanoIl martedì Frigo e compagni hanno dovuto viaggiare, in volo si sono adattati col pasto che passavano
Si ritrovano subito certi automatismi, insomma. A livello di alimentazione come vi siete regolati, dal viaggio alla meta finale?
Dopo la prova su strada è stato importante recuperare subito i carboidrati e gli zuccheri per non rimanere troppo a lungo in deficit calorico. La giornata di domenica è stata davvero dispendiosa. Poi invece il lunedì è stato più tranquillo dal punto di vista energetico. Di fatto si è trattato di viaggiare.
E martedì?
A livello di alimentazione abbiamo sempre curato la quota di carboidrati e proteine. Sono giornate di viaggio in cui adattarsi è un po’ difficile. Abbiamo mangiato il pasto che ti servono in aereo: riso col pollo sostanzialmente. Poi, arrivati a Milano, abbiamo fatto una buona colazione che ci ha rimesso in riga. E la sera qui in Francia tutto è tornato a regime vista anche la presenza del cuoco.
Invece a livello di allenamento?
Personalmente è stato importante per me fare una sgambata lunedì dopo la gara per mantenere e “smollare” un po’ la tensione muscolare. Una sgambata che abbiamo effettuato il lunedì mattina in Rwanda. Poi da lunedì pomeriggio fino a martedì sera siamo stati in viaggio. In tutto 27 ore, pertanto martedì non sono uscito.
Due trasferte, due specialità (crono e strada): è servito anche un adattamento muscolare, ma in tal senso Frigo ringrazia i massaggiatoriDue trasferte, due specialità (crono e strada): è servito anche un adattamento muscolare, ma in tal senso Frigo ringrazia i massaggiatori
E siamo a mercoledì…
Ho fatto un classico pre-gara in vista della mixed relay. Ho fatto due ore e mezza con la bici da crono, senza forzare troppo, ma con piccole variazioni d’intensità.
Ieri la gara, con l’argento… E oggi?
La giornata prevede tre ore tranquille, recupero sostanzialmente. Andatura regolare. Alla fine è la prima uscita normale dopo il mondiale, diciamo. Si tratterà solo di ascoltare le sensazioni, di non forzare, perché comunque nella cronostaffetta è stata fatta dell’intensità, pertanto non c’è bisogno di riproporla oggi.
E sabato?
Sabato siamo di nuovo al pre-gara. Si farà un’ora e mezza, due al massimo. Magari inserirò un po’ di attivazione pre-gara per non essere ingolfati poi domenica in corsa.
Cosa intendi per attivazione?
Si fa qualche intervallo al medio o qualche intervallo più breve di maggiore intensità. Quindi un po’ di VO2 Max, ma niente di particolare. Poi sono anche le sensazioni che ti guidano in quei pre-gara, almeno per me è così. L’attivazione viene sempre fatta a sensazione: alcune volte la mente ti dice che non ce n’è bisogno, che stai bene, quindi ti tiri un po’ indietro. Altre volte invece senti proprio il bisogno di sfogarti e quei piccoli lavori li fai con determinazione. Capisci che ti servono.
In queste situazioni la parte di scarico, le famose sgambate, assumono quasi più importanza di quelle di carico (foto Instagram @pipecano)In queste situazioni la parte di scarico, le famose sgambate, assumono quasi più importanza di quelle di carico (foto Instagram @pipecano)
E’ molto curiosa la parte del viaggio, Marco. Martedì, quando siete arrivati in Francia, per esempio hai fatto un po’ di stretching la sera?
Sì, quando sono arrivato grazie ai massaggiatori, davvero disponibili, sono riuscito a farmi fare un massaggio. E’ stata una manna per scaricare la tensione del viaggio, per la muscolatura intorpidita, per mettere in moto di nuovo i liquidi e sistemare eventualmente la ritenzione idrica.
Una nota curiosa: quali sono state le sensazioni personali tra un posto diverso come il Rwanda e uno come la Francia, che è “casa”?
Sul fronte del cibo, come potete immaginare, siamo stati molto attenti, però devo dire che abbiamo gustato del buon caffè. Il caffè lo sanno fare benelaggiù. Poi ovviamente il Rwanda mi ha lasciato bellissimi ricordi: era la mia prima volta in Africa e c’è stata una visione diversa della vita. I problemi lì sono diversi. Sembra di tornare indietro ad un’altra vita. E credo che vedere tutto questo ha rimesso un po’ con i piedi per terra a noi occidentali. E’ stata una prospettiva diversa della trasferta… non solo agonistica. Qui invece siamo di fatto a casa: sono ambienti, strade e clima che riconosci e nei quali ti ritrovi non solo subito, ma automaticamente.
Un’ultima domanda Marco. Ormai siete un bel gruppo, perché da giorni girate e vivete insieme: come stai vivendo questa nazionale?
Quest’anno la maglia della nazionale era un modo per trovare nuovi stimoli, nuove motivazioni dopo la Vuelta. E quindi mi sono messo a disposizione totale di Marco Villa e della maglia azzurra con molta grinta e molta energia. Ora speriamo che quanto fatto in settimana vada bene per domenica.
Ancora alla vigilia del mondiale di Kigali in diversi si erano interrogati su come fosse possibile, su un tracciato così selettivo, con oltre 5.000 metri di dislivello, battere Tadej Pogacar. E in effetti il fenomeno sloveno non ha lasciato spazio ad interpretazioni, facendo la differenza già a 105 chilometri dal traguardo. Cioè ancora prima del 2024, quando era scattato a 101 dall’arrivo, cosa che già pareva oltre il limite dell’immaginabile.
Ma come si disegna il tracciato della corsa più importante dell’anno? Come si trova il giusto equilibrio tra selettività e spettacolo? L’abbiamo chiesto a Davide Cassani che, oltre ad essere stato cittì della Nazionale italiana, è stato anche in prima linea nell’organizzazione (fulminea) del mondiale del 2020.
Davide Cassani, ex cittì della Nazionale, è stato in prima linea nel disegnare il percorso del mondiale di Imola del 2020Davide Cassani, ex cittì della Nazionale, è stato in prima linea nel disegnare il percorso del mondiale di Imola del 2020
Davide, come ti è sembrato il percorso del mondiale in Rwanda? Molti hanno detto che fosse troppo duro.
Mi sembra che fosse sì, certamente duro e impegnativo, ma credo che ogni tanto un percorso duro ci voglia, perché premia i corridori più forti. Anche perché è vero che al traguardo sono arrivati in pochi, ma è anche perché li hanno fermati giro dopo giro.
Quindi duro sì, ma non troppo?
Forse sì e forse no. I mondiali di solito, negli ultimi anni o decenni, si decidevano quasi sempre nell’ultimo giro. E’ da quando sono arrivati questi corridori che esplode prima. L’anno scorso è stato reso durissimo perché i corridori hanno attaccato a 100 dall’arrivo. Per dire che tante volte sono i corridori a rendere duro un percorso. Per fare un esempio, se ci fosse stato un Pogacar ad Imola, forse la gara si sarebbe decisa ad 80 chilometri dall’arrivo, e non all’ultimo giro.
L’attacco decisivo di Alaphilippe nel 2020, in un tracciato selettivo ma equilibratoL’attacco decisivo di Alaphilippe nel 2020, in un tracciato selettivo ma euilibrato
Parliamo appunto del mondiale di Imola 2020. Come avete disegnato il percorso?
Sai, quella era una situazione particolare. Abbiamo dovuto organizzare tutto in meno di un mese. Io avevo in mente il percorso del mondiale del ‘68, poi L’UCI ci ha chiesto di adeguarlo all’altimetria del percorso svizzero già in programma e allora l’abbiamo modificato.
E come avete fatto?
Abbiamo aggiunto due salite, quella di Mazzolano e la Gallisterna. Io sono quello che ha avuto l’idea e l’ho proposta alla Regione, poi sono loro che assieme agli organizzatori l’hanno portata avanti.
Che gli ultimi mondiali siano stati tra i più duri della storia lo conferma il numero degli atleti arrivati al traguardo, soltanto 30 su 165 partentiChe gli ultimi mondiali siano stati tra i più duri della storia lo conferma il numero degli atleti arrivati al traguardo, soltanto 30 su 165 partenti
Un’idea che sembra aver funzionato…
Devo dire che la Regione è stata perfetta. L’asfalto è stato sistemato subito, per esempio, e gli organizzatori sono stati eccezionali, certo anche facilitati dall’arrivo dell’autodromo, che ha reso tutto più semplice. Ma anche quello faceva parte del nostro progetto. Non a caso, credo, dall’UCI poi sono arrivati i complimenti per l’abilità di mettere in piedi un mondiale in così poco tempo.
A proposito di tempo, a parte la vostra esperienza, gli organizzatori quanto prima devono pensare al tracciato? Possono costruirlo già in base ai corridori o si inizia troppo presto?
La mia unica esperienza è quella di Imola, cioè di qualcosa fatta in un mese o anche meno. Secondo me, sia nella mia esperienza da corridore che da cittì, il comitato organizzatore propone e poi l’UCI manda i propri tecnici a vedere se funziona. Anche quando correvo, i mondiali me li trovavo così, di volta in volta, senza una grande programmazione a monte.
Il podio del mondiale del 2023, uno dei più belli degli ultimi anni: corridori da classiche che si sono sfidati con corridori da grandi giriIl podio del mondiale del 2023, uno dei più belli degli ultimi anni: corridori da classiche che si sono sfidati con corridori da grandi giri
Torniamo al presente. Se potessi decidere oggi il tracciato migliore del prossimo mondiale, come lo disegneresti?
Farei un percorso abbastanza impegnativo, ma non troppo. In modo da avere tutti i più grandi campioni a giocarselo. Lo farei un po’ meno duro di quello di quest’anno, per invogliare tutti i corridori più forti del panorama a venire a darsi battaglia per in una gara così importante. Evitando, per esempio, di non avere gente come Van der Poel o Van Aert, come è successo quest’anno.
Il percorso che più ti è rimasto nel cuore, tra quelli vissuti sia da corridore che da cittì?
Bella domanda. Forse, alla fine, quello di Varese. Mi sembra sia stato molto interessante perché era duro, ma non durissimo. Con due salite sì impegnative, ma non impossibili, che hanno lasciato comunque aperta la corsa. Poi certo, lì abbiamo avuto anche un gran bel finale.
Anche Pogacar si era fatto vedere al mondiale di Imola, ma alla fine arrivò 33° dopo 120 km di fugaTutt’altra cosa invece il risultato degli ultimi due anni: due vittorie con azioni da lontanissimoAnche Pogacar si era fatto vedere al mondiale di Imola, ma alla fine arrivò 33° dopo 120 km di fugaTutt’altra cosa invece il risultato degli ultimi due anni: due vittorie con azioni da lontanissimo
Davide, ultima domanda. Come vedi il tracciato dell’anno prossimo, più o meno aperto di quello del 2025?
Se ho capito bene dovrebbe rispecchiare abbastanza il GP di Montreal. Quindi un percorso non durissimo, ma comunque impegnativo, che Pogacar ha già vinto più volte e che quest’anno ha regalato ad un compagno di squadra. Quindi in teoria dovrebbe essere più abbordabile anche per corridori da classiche ed essere più aperto. Ma se Pogacar rimarrà a questo livello batterlo sarà comunque dura, durissima, per chiunque altro.
Davide Cassani ha seguito il Giro da una moto Rai e ha potuto così osservare gli azzurri per Tokyo. Una lista di 8-9 nomi da cui presto uscirà la squadra