Anche la bmx azzurra ai Giochi. Per Lupi non è un caso

11.07.2024
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Manca ancora qualche giorno all’inizio dei Giochi Olimpici di Parigi 2024, ma già qualche record la delegazione italiana lo ha fatto segnare, come quello delle 403 qualificazioni, totale raggiunto a dispetto di soli 4 sport di squadra presenti, oppure per il fatto che tutte le federazioni di sport individuali hanno piazzato propri atleti. Il ciclismo ha trovato un ingresso in extremis anche nella Bmx racing, con una riallocazione, ma su questo punto il cittì Tommaso Lupi ci tiene a chiarire.

Il fatto è che l’Italia ha potuto usufruire della mancata risposta alla quota riservata all’universality place, ossia la nazione presente su invito, per dare impulso alla disciplina in quel dato Paese. Si è così scesi di un posto nel ranking e l’Italia, che era la prima Nazione esclusa, è potuta rientrare.

Il torneo olimpico di Bmx sarà articolato su due giorni, l’1 e il 2 agosto
Il torneo olimpico di Bmx sarà articolato su due giorni, l’1 e il 2 agosto

Qualificazione meritata

Lupi, come detto, ci tiene a sottolineare però che la qualificazione è stata più che meritata: «Siamo rimasti a lottare con la Germania per l’ultimo posto utile – spiega – fino all’ultimo giorno. Da una parte avevamo anche il vantaggio di correre gli europei in casa a Verona, dall’altro però abbiamo avuto anche una serie di infortuni che ci hanno osteggiato per tutto il cammino di qualificazione.

«Io ho spronato i ragazzi perché so che lo sport è imprevedibile, anche se alla Coppa del mondo di Tulsa abbiamo perso terreno dai tedeschi potevamo ancora farcela, ma anche quando il cammino si è concluso sono rimasto ottimista perché studiando il regolamento avevo capito che nessun Paese rispondeva ai canoni per la wild card, quindi potevamo rientrare e così è stato».

L’Italia torna così nel consesso olimpico dopo l’esperienza di Fantoni tre anni fa a Tokyo. Rispetto ad allora che cosa è successo?

E’ successo che siamo cresciuti, avendo puntato con forza sui giovani pur tenendo dentro l’esperienza preziosa di Giacomo e di altri. Abbiamo lavorato sulla programmazione stagionale trovando più o meno collaborazione in base anche ai caratteri dei singoli. Avremmo anche potuto fare di più, un po’ di fortuna ci è mancata, ma la crescita è stata evidente e continua per piccoli step con un occhio puntato verso Los Angeles 2028.

Sciortino e Bertagnoli, rimasti in ballottaggio fino all’ultimo per un posto a Parigi 2024
Martii Sciortino sarà la riserva di Bertagnoli per la trasferta olimpica
Sarà quella la prima Olimpiade dove andare non solo per essere presenti ma anche con ambizioni?

Io ambizioni le nutro anche per Parigi, perché la Bmx è uno sport strano, non puoi mai sapere prima come finirà. Bisogna andare in gara per far bene, con la “cazzimma” giusta e sono sicuro che Pietro Bertagnoli, proprio per i suoi trascorsi ce l’ha.

Perché è stato scelto lui?

Premetto che la scelta di chi portare a Parigi è stata la più difficile di tutta la mia carriera di tecnico. Pietro a 24 anni ha subìto tanti infortuni, ma ha sempre trovato la forza di rialzarsi e questa sua energia innanzitutto psicologica e mentale è stata coinvolgente. Agli italiani dello scorso anno aveva avuto un grave incidente, ma è stato anche molto veloce nella ripresa e agli europei di quest’anno con il suo 5° posto assoluto ha dato un contributo importante alla classifica. Inoltre a questa qualificazione ci credeva, ha addirittura preso parte alla gara in Australia pagandosi il viaggio. So che può fare bene.

Toccherà a Pietro Bertagnoli tenere alto il vessillo azzurro nel torneo olimpico
Toccherà a Pietro Bertagnoli tenere alto il vessillo azzurro nel torneo olimpico
In questi tre anni però sono arrivati anche squilli mai ottenuti prima, come il titolo mondiale junior di Radaelli e il podio di Frizzarin. Perché non si è pensato a loro?

Per questo dico che la decisione è stata difficilissima… Radaelli è ancora under 23 e Frizzarin è parimenti giovanissimo, vincere nelle categorie è importante, ma quando sali fra gli elite è un ulteriore step da scalare. Diversi meritavano la chance, ma io potevo sceglierne uno: è la legge oscura dei Giochi. Pietro mi ha dato risposte nel corso degli anni attraverso costanza di risultati a dispetto delle difficoltà.

Un dato del quale spesso si parla a proposito della bmx è la sua propedeuticità: negli altri Paesi è ritenuta la base assoluta dell’attività su due ruote, qui si comincia a fare breccia nella cultura ciclistica e a vederla in tal senso?

Questo è un tasto importante. La bmx è davvero la base tecnica dalla quale tutto può scaturire e la Francia lo dimostra. Noi pian piano ci stiamo arrivando attraverso molti passaggi, come la collaborazione stretta con il settore della velocità su pista, ma anche come l’attenzione che i media ci riservano e devo dire come www.bici.PRO sia stato il primo a darci spazio. C’è certamente molto da fare, servono più impianti, serve un’attività più capillare, la consapevolezza di avere alle spalle una federazione che sta investendo fortemente sul settore mi fa essere ottimista.

Niek Kimmann, l’oro di Tokyo 2020 messo fuori gioco da un grave infortunio
Niek Kimmann, l’oro di Tokyo 2020 messo fuori gioco da un grave infortunio
A Parigi tutti dicono che la Francia dominerà la scena, non solo per il fatto di correre in casa. La pensi anche tu così?

Detto che le gare di bmx sono sempre imprevedibili, appare davvero difficile che la Francia fallisca ancora. Tre anni fa a Tokyo misero tre atleti in finale, eppure non portarono a casa neanche una medaglia, mi pare arduo che la cosa si ripeta. Hanno un serbatoio di campioni inesauribile e oltretutto il principale avversario, l’olandese Niek Kimmann che era campione uscente e aveva vinto a Tulsa si è infortunato e non ci sarà. Dovranno sapersi gestire, ma credo proprio che li vedremo davanti a tutti.

Red Bull-Bora: la storia delle nuove divise raccontata da Sportful

11.07.2024
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I colori e le immagini del gruppo al Tour de France hanno una nuova sfumatura al loro interno, è quella della Red Bull-Bora-Hansgrohe. Il team di Primoz Roglic ha cambiato pelle proprio in occasione della Grande Boucle. Sulle strade francesi abbiamo visto per la prima volta i due tori, simbolo del famoso marchio di bevande energetiche, appoggiarsi sul petto dello sloveno e dei suoi compagni. La firma, in alto a destra, è sempre la stessa: Sportful. Il marchio veneto ha realizzato le divise e le ha fornite al team in tempo record (in apertura foto JM Red Bull-Bora).

«E’ stato un processo lungo mesi di lavoro – racconta Federico Mele, Head of Global Marketing di Sportful – anche perché Red Bull è entrata in prima persona nel team. Ne sono diventati proprietari, acquistando il 51 per cento delle quote. La notizia del passaggio di proprietà era arrivata già prima della Strade Bianche e il lavoro è stato il solito ma comunque frenetico».

La divisa della Red Bull-Bora è simile a quella usata dal team di Formula 1 (foto JM Red Bull-Bora)
La divisa della Red Bull-Bora è simile a quella usata dal team di Formula 1 (foto JM Red Bull-Bora)

Stesso stampo

Quando un marchio così grande come Red Bull entra in un team, e in uno sport, gli equilibri si spostano, cambiano. Molti hanno notato, infatti, che la divisa della Red Bull-Bora sia molto simile a quella del team di Formula 1. 

«E’ così – continua Mele – non abbiamo avuto molta voce in capitolo nel decidere il design della divisa. Anche perché il blu Red Bull è un marchio di fabbrica, quasi come il Rosso Ferrari. Difficile cambiare qualcosa di così radicato. La parte delicata è stata quella di inserire tutti gli sponsor all’interno della divisa e di far approvare anche a loro il nuovo design. Ma siamo abituati a lavorare con tante realtà importanti, quindi si è trattato di trovare il giusto equilibrio e di decidere le dimensioni del logo».

La parte più difficile del lavoro è stata questa?

Sì, anche se non la definirei difficile. Noi come Sportful abbiamo poi voluto darci una scadenza per realizzare il tutto ed era quella della presentazione ufficiale a Salisburgo. Volevamo arrivare con il materiale pronto: divise, completi invernali, e accessori. Sia per il team che per il merchandising. 

Come ha risposto il pubblico?

Siamo andati soldout dopo poche ore dal lancio. Un effetto così grande non lo abbiamo mai visto. I prodotti sono esauriti in pochissimo tempo sia sul nostro sito che su piattaforme terze come Deporvillage o All4Cycling. 

Avevate fatto delle previsioni di vendita?

Come sempre, ed erano in linea con quanto prodotto e venduto solitamente. L’effetto Red Bull però ha ampliato il tutto, sono stati esauriti 25.000 prodotti in un giorno. Appena capito che sarebbe andato tutto soldout ci siamo messi all’opera per riassortire la collezione.

Pochi giorni dopo, la divisa è stata mostrata al grande pubblico per il via del Tour de France
Pochi giorni dopo, la divisa è stata mostrata al grande pubblico per il via del Tour de France
Per i corridori ci sono stati dettagli particolari?

In realtà no. Non sono stati fatti fitting o altre misurazioni. I tessuti utilizzati sono gli stessi della divisa di inizio anno. Chiaramente non tutti i prodotti realizzati per il team sono andati in vendita. Ad esempio il body corto e quello lungo non sono disponibili. 

Hai detto che avevate l’obiettivo di preparare il tutto per la presentazione ufficiale, com’è andata?

C’è stata una parte importante di organizzazione del lavoro per quanto riguardava le tempistiche e le quantità. Quando entra un marchio come Red Bull vuoi dare il massimo e così abbiamo fatto. Avere tutto in ordine per il lancio, gli shooting fotografici e la presentazione del Tour era importante. E’ stato delicato anche gestire la grande attenzione mediatica. Tutti gli addetti ai lavori e all’informazione erano curiosi e tenere segreta la nuova divisa è stato difficile. 

Quando avete visto la presentazione ufficiale, con tutti i prodotti pronti, cosa avete pensato?

E’ stata una grande emozione. Non capita tutti i giorni di lavorare con un marchio come Red Bull, ti rendi conto che il team e il ciclismo stanno cambiando. Come in ogni sport in cui Red Bull mette piede, tutto aumenta: visibilità, attenzione mediatica e tecnica. Me ne sono reso conto nelle prime tappe del Tour. 

In che senso?

Amici, conoscenti, ma anche noi stessi, continuavamo a cercare i colori della nuova divisa in gruppo. E’ anomalo, Roglic è sempre uguale, ma con la maglia Red Bull sembra avere un cerchio rosso intorno. Passatemi il termine ma “fa figo”, è di moda e tutti cercano quel particolare, quei due tori rossi.

Il capitano e la bici del gregario: dietro c’è un mondo

11.07.2024
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L’altro giorno, verso Troyes, Jonas Vingegaard ha preso la bici di un compagno e con quella ha tirato dritto fino alla fine. Quella è stata la tappa degli sterrati, corsa a tutta velocità… ma la cosa ci ha fatto riflettere. Se oggi tutto è calcolato alla perfezione cosa comporta pedalare per 100 e passa chilometri su un altro mezzo?

E ancora. Si è letto e sentito che le misure di Vingegaard e Jan Tratnik (in apertura la foto di Jonas con quella bici) fossero le stesse e che addirittura un gregario nei grandi team pedali con le misure del leader. Tratnik al contrario ha detto che il suo capitano, pensando proprio ad una situazione simile, in ritiro si era allenato con una bici che riproponeva le sue misure. Tutta questa carne al fuoco ci ha fatto riflettere.

Cornacchione, meccanico della Ineos Grenadiers, ha detto che il leader sa sempre prima di una tappa chi deve cedergli la bici in caso di guasto
Cornacchione, meccanico della Ineos Grenadiers, ha detto che il leader sa sempre prima di una tappa chi deve cedergli la bici in caso di guasto

Parola al meccanico

Per capire meglio come funzioni il cambio di bici, in generale e non riferito al caso Vingegaard-Tratnik, ci siamo rivolti a Matteo Cornacchione, meccanico della Ineos Grenadiers.

Matteo, ma quindi è vera questa cosa che al gregario vengono modificate le proprie misure in favore del capitano?

No, ogni corridore ha la sua bici. O almeno da noi non è così. I direttori sportivi danno però delle indicazioni.

Cioè?

Solitamente si indica al capitano il corridore che ha la misura e l’altezza di sella più vicine sia in basso che in alto. Faccio un esempio, l’altro giorno verso Troyes a Carlos Rodriguez che è il nostro capitano è stato detto che in caso foratura il primo corridore cui fare riferimento era Bernal. Egan infatti ha la sella più bassa di soli 2 centimetri. L’alternativa in alto è De Plus. Quindi comunichiamo sempre l’uomo di riferimento per il cambio bici in corsa.

Nel limite delle possibilità c’è un uomo “più adatto” a seconda delle tappe?

Sì, infatti l’altro giorno un’altra buona alternativa, sempre riprendendo l’esempio di Rodriguez, era Kwiatkowski. Comunque prima di un grande Giro i capitani vengono avvertiti su chi ha misure simili.

Carlos Rodriguez ha avuto il più possibile vicino Bernal durante la tappa dello sterrato. Il colombiano era pronto a cedergli la bici in caso di necessità
Rodriguez ha avuto il più possibile vicino Bernal durante la tappa dello sterrato. Il colombiano era pronto a cedergli la bici
Ovviamente Matteo parliamo di casi limite, quando non è possibile cambiare la bici normalmente…

Certo, anche dopo il passaggio di bici da un gregario ad un leader, l’idea è di cambiare la bici appena possibile. Ma l’altro giorno, con il gruppo esploso in quel modo l’ammiraglia era 3′-4′ dietro. Meglio adottare questa soluzione che attenderne l’arrivo.

Hai parlato di corridori ben consapevoli delle misure: per caso fornite anche la chiavetta per certe corse?

Noi la diamo sempre, i nostri hanno in tasca la brugola. Anche per la sostituzione della ruota. Tra l’altro i ragazzi sono informati sempre di un eventuale extra supporto a bordo strada. Guadano Veloviewer e gli dicono: «Fra un chilometro c’è il cambio ruote». Nella tappa di Troyes avevamo ulteriori 14 extra feed venuti dal Belgio. Ognuno aveva un set di ruote montate con gomme da 32 millimetri e anche una borraccia.

La tecar uno dei trattamenti usati in caso di forte stress post tappa (foto Instagram)
La tecar uno dei trattamenti usati in caso di forte stress post tappa. In foto Cosentino

Parola al massaggiatore

Ma se questo è il punto di vista del meccanico, dal punto di vista fisico e muscolare cosa succede quando un atleta che all’improvviso cambia bici e quindi misure? Un corridore pedala per circa 30.000 chilometri in un anno: va da sé che c’è uno shock. Di questo aspetto parliamo con Emanuele Cosentino, fisioterapista e massaggiatore della VF Group-Bardiani.

Quindi, Emanuele, è un bello shock per le catene cinetiche? Per i muscoli?

Ne risente la postura in primis. Un corridore parte con una bici che ha determinate misure, le sue misure, quindi con degli angoli ben precisi che lo mettono in condizioni di efficienza, muscolare, aerodinamica e biomeccanica massima. Il muscolo lavora bene. Appena cambia bici, le cose si complicano.

E cosa succede?

Se ci si pedala per 10 chilometri, poco o niente. Se invece la durata è superiore, la prima parte che ne risente è la schiena, poi il collo e la pedalata non è più “rotonda”. Inevitabilmente si creano degli scompensi.

Ti è mai capitato di manipolare un corridore dopo aver cambiato una bici in corsa?

Proprio in corsa no, ma è successo che un atleta pedalasse con una bici più bassa di ben 3 centimetri. E le problematiche maggiori non emergono subito, ma il giorno dopo. 

Insomma, Vingegaard è stato fortunato che il giorno dopo ci fosse il riposo?

Direi di sì. Poi c’è anche chi subisce di meno e chi di più questo stress. Ma di fronte a dei dolori simili oltre al massaggio si lavora con la tecar e i trust.

Il ginocchio è tra i punto del corpo che risente maggiormente di un cambio improvviso di bici, specie in caso di sella più bassa
Il ginocchio è tra i punto del corpo che risente maggiormente di un cambio improvviso di bici, specie in caso di sella più bassa
Senza scendere troppo nel dettaglio, cosa succede se il corridore pedala con la sella più bassa?

Ne risentono soprattutto le ginocchia e la zona lombare. Il quadricipite va a sollecitare il ginocchio in modo diverso, più stressante in quanto gli angoli sono più chiusi. Riguardo al collo in invece, molto dipende dalla lunghezza. Ma se la bici è troppo corta ci potrebbe essere un intorpidimento delle mani. E anche dei piedi.

E se la sella è più alta?

Sempre problemi lombari, ma stando più in punta di sella lavorano di più altri muscoli, come per esempio i polpacci e tutta la zona del bacino, che tra l’altro bascula di più. Inoltre la zona del collo, l’elevatore della scapola, le spalle… sono più sollecitati. E molto dipende anche da quanto è più lunga la bici. Davvero è un discorso vastissimo. E per questo rispettare la propria biomecanica al giorno d’oggi è fondamentale.

Di certo, visto come è andato ieri Vingegaard deve aver recuperato bene!

Pogacar sbaglia i tempi e adesso Vingegaard ci crede

10.07.2024
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Da dove iniziare? Dallo scatto di Tadej Pogacar o dal recupero di Jonas Vingegaard? O forse sarebbe meglio partire dalla volata? L’undicesima tappa, quella del Massiccio Centrale, è ancora superba. Ci ha riproposto il duello dei duelli: il danese contro lo sloveno.

Ha vinto Vingegaard e per di più sul terreno di Pogacar: lo sprint in salita. Questa frazione va scomposta, a nostro avviso in quattro grandi “fotografie”, quattro spunti tecnici determinanti sia per questo arrivo di Le Lorian che per il resto del Tour de France.

Analizziamoli passo, passo.

Sul Pas de Peyras forcing violento della UAE Emirates che forse si autoelimina anticipatamente anche Ayuso a Almeida
Sul Pas de Peyras forcing violento della UAE Emirates che forse si autoelimina anticipatamente anche Ayuso a Almeida

Lo scatto di Pogacar

Nelle salite del Pas de Peyrol e del Pertus, le più dure, Tadej Pogacar è davanti. In particolare sulla scalata del Peyrol scatta. Vingegaard in effetti non ci era sembrato super. Un paio di volte si era alzato sui pedali, cosa che fa rarissimamente, e aveva fatto qualche impercettibile smorfia.

Tadej scatta, fa il vuoto ma intelligentemente non è a tutta. Tanto che si soffia il naso come sul Grappa al Giro d’Italia, ma tiene una cartuccia per il falsopiano dopo il Gpm. Lì scava il vero vuoto. Perfetto… sin qui.

Vola via. Guadagna. Sembra fatta. Sul Pertus all’inizio ha un bel rapporto, la gamba è in spinta. Poi inizia ad andare un po’ più agile. Cerca la macchina: non c’è. Gli offrono l’acqua: non la prende. Fruga nelle tasche: nulla. Smette di guadagnare. Ma neanche perde terreno.

Sul Pertus Tadej non è più lo stesso. Lui lo sa e inizia a voltarsi. Dice di aver atteso Vingegaard
Sul Pertus Tadej non è più lo stesso. Lui lo sa e inizia a voltarsi. Dice di aver atteso Vingegaard

Il calo di Tadej

L’ammiraglia Visma-Lease a Bike se ne accorge. Vingegaard traffica con la radiolina e alza il ritmo. Toglie di ruota prima Evenepoel e poi Roglic. Si gasa e recupera molto. 

Jonas nella discesa dal Pas de Peyras aveva mangiato. Lo aveva fatto proprio al termine del falsopiano, mentre Pogacar spingeva come un forsennato. Ricordiamo che questa frazione è stata micidiale. Partenza folle per 80 chilometri. I corridori, sono arrivati in netto anticipo. Hanno bruciato più energie del previsto. A questo si aggiunge un dislivello di 4.300 metri.

Che nel finale si sarebbe arrivati stremati era quindi quasi una certezza. O quantomeno il rischio era altissimo.

Quante volte i nutrizionisti sentiti in questi anni ci hanno detto dell’importanza delle calorie spese nella prima parte di gara quando il fisico è pieno di zuccheri? Alla fine quel dispendio presenta il conto… 

Vingegaard rintuzza Pogacar. Il danese è andato forte, ma il ritmo dei due cala e infatti Remco recupera circa 30″
Vingegaard rintuzza Pogacar. Il danese è andato forte, ma il ritmo dei due cala e infatti Remco recupera circa 30″

Il recupero di Jonas

Sul Pertus, per la prima volta in questo Tour de France, Vingegaard va più veloce di Pogacar. Che sia l’inversione di tendenza tanto temuta dal clan della UAE Emirates? Questo lo scopriremo, ma è chiaro che qualcosa è successo.

E a testimoniare il calo di Tadej, e contestualmente uno stato di adrenalina di Vingegaard, sono i distacchi nei confronti degli altri. Alla fine sono rimasti quelli. E lo stesso Vingegaard non ha avuto la forza di staccare Pogacar.

Ma attenzione, quello del danese resta un numero pazzesco. Ricordiamoci sempre dov’era a partire dal pomeriggio dello scorso 4 aprile… E non è un caso che i suoi occhi di ghiaccio abbiano perso delle lacrime.

«Siamo ormai a metà del percorso – ha detto il manager dei gialloneri, Plugge – e aver aver tagliato questo traguardo così ci dà molta fiducia. Ci aspettavamo l’attacco di Pogacar, lo avremmo fatto anche noi se avessimo avuto un corridore con caratteristiche tanto esplosive. Questa è la nostra prima vittoria di tappa e stiamo anche recuperando secondi. Alla fine conta chi arriverà in giallo a Nizza, ma certo questa è una grande spinta».

Dallo spettacolo del Massiccio Centrale è emersa una frazione corsa a ritmi folli che nel finale ha fiaccato tutti
Dallo spettacolo del Massiccio Centrale è emersa una frazione corsa a ritmi folli che nel finale ha fiaccato tutti

Lo sprint

Uno sprint a due in salita Tadej lo perde solo contro Van der Poel… forse. A Le Lioran sbaglia tutto quel che può sbagliare. Lancia la volata con il 38, quindi con la corona piccola. Chiaramente è troppo agile. Si risiede a passa al 55. Riperde quel metro. Si rilancia alzandosi, ma poi si risiede ancora. Segno di scarsa lucidità. E di fatica.

Più che in classifica questa tappa lascia risvolti nelle teste degli atleti. Il barometro di Vingegaard volge al bello, quello di Pogacar al nuvoloso. Certo, se si appurasse che per lo sloveno si è trattato di una crisi di fame le cose cambierebbero. La botta sarebbe nettamente attutita.

Il danese compie l’impresa: batte Pogacar allo sprint e torna al successo 97 giorni dopo la caduta ai Baschi
Il danese compie l’impresa: batte Pogacar allo sprint e torna al successo 97 giorni dopo la caduta ai Baschi

E ora?

Ora ci godremo la sfida, una sfida totale. Una lotta forse più sul filo di nervi che di gambe, che ovviamente serviranno. E basta riflettere sulle parole dei diretti interessati per capirlo. Uno non ammette la sconfitta e l’altro continua a parlare della sorpresa di sue certe prestazioni. 

«La nostra squadra ha fatto un ottimo lavoro – ha detto Pogacar, che ha anche indossato la maglia a pois – Mi sentivo bene durante la prima dura salita, quindi ho attaccato. Tuttavia, Jonas è tornato forte sulla scalata successiva. Ora possiamo davvero parlare di una lotta alla pari. Jonas è in ottima forma. Mi ha anche battuto nello sprint.

«Mi sentivo bene in discesa, ma poi la mia bici ha sussultato improvvisamente e da lì ho perso un po’ di energia. Non stavo male ma Jonas stava meglio così l’ho aspettato, a quel punto sapevo che sarebbe rientrato. Non penso di aver perso una battaglia mentale. Okay, lui ha vinto lo sprint, ma penso che siamo alla pari. Sarà una battaglia così fino alla fine. Nei Pirenei ci aspettano salite diverse, ma sono più preparato per quelle che non per queste scalate esplosive». E quest’ultima frase è la stessa che Matxin ha detto al microfono Rai di Silvano Ploner.

«Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la mia famiglia – replica Vingegaard – Questa vittoria significa molto per me, dopo tutto quel che ho passato. Sono così felice della vittoria di oggi che non ci avrei mai creduto tre mesi fa».

«Quando è scattato Pogacar non riuscivo a tenere il passo. E’ stato davvero molto potente. Ho lottato e non pensavo di poterlo riprendere. Sono anche un po’ sorpreso di essere riuscito a batterlo nello sprint. Battaglia mentale a me? Non ci ho pensato. Ma ora arrivano le grandi salite», conclude sornione il danese.

Lidl-Trek e ASO, i giubbini del ghiaccio sono customizzati

10.07.2024
5 min
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A Firenze, nel giorno in cui il Tour de France partiva dall’Italia, Stefano Devicenzi di Santini ha richiamato la nostra attenzione davanti al pullman della Lidl-Trek. Voleva mostrarci i giubbini del ghiaccio della squadra americana, realizzati con i colori del team. Qualcosa di nuovo, a ben vedere, dato che spesso i gilet coprono le maglie, togliendo visibilità agli sponsor. Un guizzo all’italiana, che era giusto sottolineare. Poco oltre, anche i corridori della Ineos Grenadiers sfoggiavano un capo simile, ma Andrea Scolastico, referente italiano di Gobik, ci ha spiegato come si sia trattato di un’iniziativa della squadra, che li ha fatti realizzare altrove.

Le grafiche dei team

I gilet del ghiaccio, chiamiamoli così, sono ormai nell’uso comune. Visto l’innalzamento delle temperature, in certi giorni verrebbe la voglia di indossarli anche solo per sedersi al computer. I corridori se ne servono in due occasioni: la mattina per andare alla firma e nel riscaldamento prima delle cronometro. Soprattutto nella prima fase, passano attraverso le schiere dei tifosi e poi salgono sul palco su cui vengono presentati. Quanto è brutto, conoscendo gli sforzi per sistemare al meglio i vari elementi grafici sulle maglie, che i corridori salgano là sopra infagottati dentro quei gilet?

A Firenze, ad esempio, gli atleti della Visma-Lease a Bike a un certo punto se ne sono accorti e hanno aperto la lampo, mostrando le maglie griffate per il Tour che partiva dall’Italia.

Non solo per sollievo

Perché indossare il gilet del ghiaccio? La spiegazione ce la fornì ottimamente il dottor Magni e fu subito chiaro che il sollievo prodotto non è limitato al senso di fresco, ma è strettamente connesso con la prestazione.

«La contrazione muscolare – ha spiegato – è un procedimento complesso e passa attraverso diversi sistemi. Tra questi quello forse più importante è quello enzimatico. Gli enzimi sono sostanze proteiche, in questo caso actina e miosina, che contribuiscono alle reazioni biochimiche le quali danno il meglio quando la temperatura esterna del corpo va da 36 a 37 gradi. Quando questi enzimi lavorano in un ambiente più caldo la contrazione muscolare avviene, ma con un’efficacia ridotta.

«Ed ecco perché lo scopo di un atleta è quello di restare il più fresco possibile. O di tenere la temperatura il più vicino possibile a quella normale. Quando si parla di crono, alcuni ragazzi preferiscono indossarlo già sul bus. Altri lo mettono qualche minuto dopo, anche a riscaldamento iniziato, per sentire lo shock termico che dà piacevoli sensazioni e che risveglia anche un po».

Per Lidl e per ASO

Il gilet del ghiaccio in realtà altro non è che una serie di tasche, più o meno grandi, che contengono dei panetti ghiacciati. Ne esistono vari modelli, che si differenziano prevalentemente per la durata. Quelli standard restano freddi fino a un’ora e mezza. Il funzionamento è semplice. I panetti, liquidi o ripieni di una polvere secca, vengono tenuti nel freezer e da qui si infilano nelle apposite tasche. Hanno temperatura prossima allo zero. E’ importante che venga raffreddata la zona del torace, davanti e dietro in modo da agire sul 40 per cento del corpo.

Il gilet realizzato da Santini per Lidl-Trek è confezionato in lycra e tessuti leggerissimi simil garza (sempre sintetici) per essere il più traspiranti possibile, al pari di tanti altri capi della collezione Lidl-Trek. E’ molto aderente, tanto che da lontano non si ha neppure la percezione dello strato aggiuntivo. I panetti sono liquidi e vanno refrigerati in freezer, prima di essere collocati intorno al torace. Sono forniti da Inuteq, che ha collaborato alla realizzazione del gilet. L’ultima annotazione riguarda le maglie di leader del Tour, prodotte appunto dalla stessa Santini. Anche per loro l’azienda bergamasca ha fornito gli stessi gilet nei colori ufficiali: il giallo, il verde, a pois e il bianco

L’avventura di Justin Williams, messaggero di un nuovo ciclismo

10.07.2024
5 min
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Un giorno Justin Williams disse a suo padre che voleva fare come lui, diventare un corridore. Suo padre gli disse: «Ok, inizierai oggi. Ho in programma 110 km da fare sulla Pacific Coast Highway. Andiamo». Il 13enne Justin resse un bel po’, ma dopo 80 km si fermò per i crampi. Imperturbabile, suo padre lo lasciò indietro. Justin incredulo rimase ai bordi della strada, finché suo zio con il pick up non tornò a prenderlo. A casa chiese spiegazioni e serafico suo padre rispose: «Oggi hai imparato una lezione molto più importante dei chilometri percorsi: il ciclismo è duro e bisogna affrontarlo seriamente. Se hai intenzione di farlo, non ho nulla in contrario».

Justin Williams è nato il 26 maggio 1989. Ha vinto 2 titoli nazionali Usa nel 2018-19 e 2 nel Belize (2021-23)
Justin Williams è nato il 26 maggio 1989. Ha vinto 2 titoli nazionali Usa nel 2018-19 e 2 nel Belize (2021-23)

L’uomo del rilancio a stelle e strisce?

Perché parliamo di Williams? Certamente non è un corridore da prime pagine dei giornali, non frequenta neanche più il ciclismo professionistico, eppure negli Usa è considerato un personaggio, che sta cambiando anche la stessa visione del ciclismo. Provando anche a riportarlo in auge dopo i fasti e le contraddizioni dell’epoca di Armstrong, ma su basi completamente diverse.

Proveniente dal centro-sud di Los Angeles, forgiandosi nella vita di strada dove ogni dollaro era considerato una conquista, Williams inizialmente aveva provato a fare il ciclista attraverso i normali canoni, facendosi anzi notare su pista con alcuni titoli nazionali juniores. Ma la sua passione era su strada e tramite Rahsaan Bahati entrò anche in contatto con Axel Merckx, approdando alla Trek-Livestrong, contribuendo alla vittoria di Phinney nella Parigi-Roubaix U23, conquistando anche qualche kermesse in Belgio.

La conquista del titolo americano nei criterium 2018, bissata l’anno successivo
La conquista del titolo americano nei criterium 2018, bissata l’anno successivo

Da ciclista a imprenditore

Non era però quella la sua dimensione, così nel 2010 decise di non tornare in Europa. Alcuni anni dopo suo fratello Cory, che aveva trovato spazio alla Cylance Pro Cycling lo convinse a riprovarci, ma questa volta Justin prese una strada diversa, partecipando ai criterium nazionali aggiudicandosene 15, che diventarono 14 l’anno dopo, il 2017. Nel 2018 e ’19 vinse il titolo nazionale in questo tipo di competizioni, ma più che le vittorie, Joseph aveva capito che quella poteva essere la sua strada, non solo come corridore.

Nel 2019 Williams iniziò la sua attività come dirigente, abbinata a quella di corridore, fondando la L39ION, team continental di Los Angeles dedito quasi esclusivamente a questo tipo di competizioni. Iniziò con 7 corridori, coinvolgendo suo fratello Cory che prima di lui era stato estromesso dalla Cylance. Fra questi anche Kendall Ryan, selezionato per i Giochi Olimpici del 2021. L’idea di Justin era sviluppare l’attività promuovendola soprattutto negli ambienti neri e ispanici, facendo capire che poteva essere una strada buona per uscire dal ghetto, urbanistico ma anche culturale. Da lì iniziò la sua parabola, avversata dalla federazione nazionale al punto che Williams ha optato per la nazionalità dei suoi genitori, il Belize.

Il californiano ha fondato tre team, partendo dal L39ION di Los Angeles (foto Wilson)
Il californiano ha fondato tre team, partendo dal L39ION di Los Angeles (foto Wilson)

Il ciclismo, uno sport “bianco”…

«Usa Cycling non vuole miglioramenti perché è ancorata a vecchi schemi – ha recentemente affermato a Rouleur in una trasferta in Europa per promuovere un nuovo team con base a Londra – L39ION è nata per promuovere la diversità e la rappresentanza nel mondo dello sport sfidando idee che ormai sono obsolete. Il ciclismo, come tanti altri sport, è principalmente bianco e invece deve aprirsi, diventare multietnico. Ma può farlo solo attraverso vie nuove, ad esempio incrementando l’attività dei criterium che sono molto più spettacolari del ciclismo classico».

Williams, nella sua attività di imprenditore va davvero come un treno. L39IOn è solo la prima delle squadre da lui fondate. La sua idea ricalca molto esempi tipicamente americani mutati dagli sport di squadra: innanzitutto più team con nomi fantasiosi e che colpiscano la gente proprio come avviene nel basket o nel football, ad esempio Miami Blazers, Austin Outlaws. Poi coinvolgendo grandi sponsor assolutamente fuori dal mondo ciclistico: Williams è diventato una sorta di ambasciatore per Red Bull (che ha addirittura realizzato un docufilm per raccontare la sua storia, “Dear 39th Street”), ha coinvolto una grande azienda come Assos, ha spinto una grande compagnia d’investimenti come Wasserman Ventures ad affiancarlo. Il tutto per lanciare la sua nuova organizzazione, Williams Racing Development (WRD) destinata a prendere strade diverse da quelle canoniche.

Williams ha coinvolto grandi aziende nel suo progetto e punta ad allestire un calendario alternativo
Williams ha coinvolto grandi aziende nel suo progetto e punta ad allestire un calendario alternativo

La lotta con la federazione

«Dobbiamo modernizzare e diversificare il nostro sport per coinvolgere un pubblico più giovane. Ma queste idee non sono bene accette e USA Cycling continua la sua guerra contro di me, contro le mie idee perché vanno a minare lo status quo».

L’ultimo atto è una squalifica di due mesi comminatagli per un acceso diverbio con un altro corridore in uno degli ultimi criterium dello scorso anno: «La federazione applica regole diverse a persone diverse, ma non capisce che prendendomi costantemente di mira fa di me un esempio e chi guarda il tutto da fuori viene spinto ad abbracciare il mio credo. Per questo sto spingendo perché ai criterium vengano coinvolti sempre più commissari indipendenti, si esca dalle catene imposte dalla federazione che non fa nulla per far crescere questo sport.

Williams spinge sull’attività dei criterium, più spettacolari e godibili dal pubblico (foto Snowymountain)
Williams spinge sull’attività dei criterium, più spettacolari e godibili dal pubblico (foto Snowymountain)

Un uomo che non si arrende

«Mi criticano perché nelle gare le squadre vengono invitate a partecipare a discrezione dell’organizzatore. Ma nel ciclismo professionistico non avviene lo stesso? E’ questo che intendo quando parlo di regole diverse, è un doppio standard per giustificare l’odio nei miei confronti. Qualsiasi persona normale si sarebbe già arresa, ma io vengo dai bassifondi e so che bisogna sempre andare avanti. Vengo da un’America razzista dove anche gli insegnanti ti trattano come se non fossi nulla. Devi costruirti da solo. Del mio esempio si parla dappertutto, anche nel WorldTour mi conoscono e vogliono saperne di più perché io viaggio verso nuove frontiere ciclistiche delle quali altri beneficeranno».

Con Guarischi nelle ambizioni della SD Worx al Giro d’Italia Women

10.07.2024
4 min
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I volti in casa SD Worx-Protime sono distesi e sereni per questo Giro d’Italia Women. Tra le fila delle atlete al servizio di Lotte Kopecky, campionessa del mondo in carica, c’è anche Barbara Guarischi. L’atleta lombarda, al secondo anno nel team olandese, si presenta al via dopo una bella prova al Lotto Thuringen Ladies Tour. 

«Partiamo dal fatto che sono stata inserita all’ultimo nella squadra del Giro – racconta – avrei dovuto fare solamente il Tour de France. Però Marlen Reusser è stata male nelle settimane passate ed è ancora in fase di guarigione. La squadra ha deciso di preservarla in vista delle Olimpiadi e del Tour de France, quindi eccomi qui. Devo ammettere che sto bene, ho avuto qualche problema di salute a inizio stagione ma mi sto riprendendo bene». 

Per Guarischi due secondi posti al Lotto Thuringen Ladies Tour prima di partire per il Giro
Per Guarischi due secondi posti al Lotto Thuringen Ladies Tour prima di partire per il Giro

Tappe sì, maglia forse

Insieme a Guarischi apriamo le tende in casa SD Worx per capire quali saranno gli obiettivi del team. Lotte Kopecky sarà capitano unico o dividerà i gradi con qualcun’altra? 

«La squadra – spiega Guarischi – è molto forte. Diciamo quasi costruita apposta per andare sulle tappe e questo è l’obiettivo. Punteremo tanto alle singole vittorie anche perché Lotte Kopecky ha curato molto la preparazione alle Olimpiadi, che la vedranno impegnata in pista. E’ un Giro d’Italia Women parecchio impegnativo, ma Lotte è campionessa del mondo e belga, quindi non potremo nasconderci».

Kopecky nella cronometro di Brescia aveva già accumulato 25 secondi di ritardo da Elisa Longo Borghini
Kopecky nella cronometro di Brescia aveva già accumulato 25 secondi di ritardo da Elisa Longo Borghini

Ambizioni? Moderate

Il distacco di 25 secondi accumulato da Lotte Kopecky nella cronometro inaugurale e il secondo posto in volata alle spalle di Chiara Consonni danno credito alle parole di Guarischi. La campionessa del mondo sembra essere arrivata al Giro d’Italia Women con una forma da perfezionare

«Secondo me – spiega Guarischi – il percorso potrebbe risultare troppo impegnativo. Il giorno del Blockhaus non sarà semplice, vista anche la preparazione che Lotte sta facendo per la pista. Vedremo come reagirà il suo fisico. Staremo attente e quasi tutte avremo il nostro spazio con la Fisher Black che può puntare alle tappe in salita e a fare una buona classifica. Il distacco di un minuto e sedici secondi accumulato da Elisa Longo Borghini nella cronometro è da considerare. Penso sarà difficile, ma non impossibile, avvicinarsi a lei o superarla.  

Decide l’Abruzzo

Tutte le voci sentite fino ad ora, come quella di Gaia Realini, confermano che il Giro d’Italia Women si deciderà con le tre tappa in Abruzzo. Tutte diverse ma impegnative e da non sottovalutare, la classifica potrà ribaltarsi completamente. 

«Vero che la cronometro iniziale ha permesso di scavare dei margini – analizza Guarischi – è anche vero, tuttavia, che le ultime tre tappe sono toste. E’ facile, considerando che sono alla fine, prendere minuti su minuti o andare in crisi da un momento all’altro. Mai dire mai, bisognerà arrivare in Abruzzo per avere delle risposte definitive. Ribadisco che la squadra è qui per vivere la corsa tappa dopo tappa e per accumulare più vittorie possibile».

Bettini, i 50 anni e il ritorno all’oro di Atene

10.07.2024
7 min
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ROMA – Ci sono Paolo Bettini e sul tavolo la medaglia d’oro di Atene, con un casco, la maglia e un paio di scarpini. In un angolo alle spalle c’è la sua gravel 3T, pronta per partire anche domani. L’ambasciata di Grecia ha spalancato le porte al campione toscano che ad agosto compirà un viaggio a tappe dentro se stesso e lungo le strade di Grecia che vent’anni fa lo consegnarono alla storia di Olimpia. Fuori Roma è una fornace che ricorda davvero quei giorni magici di Atene 2004, quando lo vedemmo vincere e facemmo festa con lui e il cittì Ballerini.

«Partirò dall’Olimpo – sta dicendo Bettini alla presenza dell’ambasciatrice Eleni Sourani e della Console Onoraria di Grecia a Livorno Elena Konstantos – salirò su quel monte per andare a rendere omaggio agli Dei. E da lì inizierà il mio viaggio. Pertanto ci tengo a ringraziare per questa accoglienza. Abbiamo portato prima di tutto la bicicletta, con una grafica particolare che richiama l’antica Grecia e le antiche Olimpiadi. La maglia è una replica di quella 2004, ma in versione moderna, con i tessuti attuali. Il casco è dedicato e le scarpe saranno perfettamente in linea con tutto il resto. E grazie a Elena, perché da uno scambio di idee è nata questa avventura che mi permetterà di fare un viaggio in Grecia e dentro me stesso».

A destra, l’ambasciatrice Eleni Sourani, a sinistra la Console Onoraria Elena Konstantos
A destra, l’ambasciatrice Eleni Sourani, a sinistra la Console Onoraria Elena Konstantos

Da Katerini ad Atene

Elena Konstantos è Console Onorario, ha l’accento livornese e ci racconterà di essere nata in Toscana da padre greco e madre italiana. Viene dall’atletica leggera e ha la praticità della sportiva e l’idea di usare lo sport come modo per favorire i contatti fra Grecia e Italia ce l’ha da sempre in testa. Bettini gliel’ha presentato Alessandro Fabretti e parlando fra loro della sua intenzione di fare un viaggio, è nata l’idea di organizzarlo in Grecia. Il tour di Bettini inizierà a fine agosto da Katerini, la città di origine della Console e dopo 12 tappe si concluderà ad Atene. Ed è proprio Paolo a guidarci in questa idea romantica in cui verrebbe già voglia di affiancarlo.

«L’ho sempre detto – racconta – sono legato a vari passaggi della mia carriera. Sicuramente la prima Liegi è quella che mi ha mentalizzato in maniera diversa e mi ha fatto capire, a me prima che a tutti voi, che se avevo vinto quella, forse avrei potuto vincere altre grandi corse. E’ partito tutto da lì e sicuramente la Liegi ha un valore. Sappiamo che valore abbiano i mondiali, quanto sia importante quella maglia, ma credo che portare a casa una medaglia olimpica ti tiri un po’ fuori. Lo dico banalmente, ma con tutta sincerità. Oggi siamo qua a parlare di ciclismo perché ho vinto le Olimpiadi, ma se fossi venuto solo con i miei mondiali, magari non avrebbero aperto le porte. La medaglia olimpica ha un valore completamente diverso che ti proietta in qualcosa di più grande».

Con i 50 anni è nata l’idea del viaggio. Come mai?

E’ un’idea che avevo da tempo, già prima di Jovanotti, che ha fatto i suoi viaggi introspettivi prima di me. Avevo l’idea di regalarmi un viaggio: io e la mia bici in qualche parte del mondo. Avevo preso contatti per il Tibet e l’idea era di fare Lhasa-Kathmandu: 1.000 chilometri salendo per tre volte sopra i 5.000 metri, restando costantemente fra 2.800 e 4.000. Poi politicamente in Tibet sono cambiate un po’ di cose e avevo puntato il Sud America. Finché a gennaio ho conosciuto la Console ed è nato il progetto greco.

Viaggerai da solo?

Pedalerò da solo, ma non sarò solo. Ci sarà la mia compagna, che si muoverà con un mezzo e si sposterà lungo i vari punti del percorso. Ma è soprattutto il mio viaggio, sarà un pedalare e ripercorrere la mia vita. Documenterò tutto, perché l’idea è quella di mettere tutto insieme e fare il punto della situazione a 50 anni. Magari confezionando un docufilm che racconti il viaggio e lo scambio tra Italia e Grecia. Loro come turismo hanno attivato tutti i canali. Ho il patrocino del Ministero del turismo greco e mi stanno supportando in tutto. Sarà un mio viaggio di vita, un fare il punto sui primi 50 anni, guardandosi indietro e sfruttando i 20 che mi legano ad Atene e alla Grecia. Per me è una vacanza, dalla quale spero di portare indietro un sacco di belle cose.

Questa la traccia di massima del percorso: alcune tratte vanno ancora suddivise, fino al totale di 12 tappe
Questa la traccia di massima del percorso: alcune tratte vanno ancora suddivise, fino al totale di 12 tappe
Ti sei dovuto e ti dovrai allenare sul serio?

Ma non mi trovate meglio? Vedrete a settembre… Se non sarò finito (sorride, ndr) chiederò spazio a Bennati per fare il mondiale. Allora, devo pedalare. Non è una passeggiata, ci metterò tutta la mia esperienza. Quel quasi milione di chilometri che ho nelle gambe lo userò per cavarmela bene. Non stiamo lasciando niente al caso. Sono tappe giornaliere che non superano i cento chilometri, se non due o tre. La prima, tanto per capirci, che è la più lunga. Per andare sul Monte Olimpo c’è una sola strada e, dopo essere salito, devo tornare giù. Come si dice in Toscana, il problema è andare su, in giù vanno anche barattoli. A parte due o tre giorni più lunghi, non farò più di 85 chilometri per volta.

Perché la gravel?

Perché per me è un viaggio e la gravel vuol dire viaggiare. Gravel non è competizione, gravel sta nel mezzo. Lo dico sempre che le due facce del gravel siamo io e Pozzato. Lui, chapeau, il primo organizzatore di un campionato del mondo gravel senza regolamento. Una gara in cui partono anche con la bici da strada e le scarpe da strada, dice che l’UCI non ha capito molto neanche questa volta. Però lui è stato bravo a cogliere l’attimo. Io invece sono l’altra faccia del gravel: molto più cicloturistico. Non per niente abbiamo portato la bici con le borse.

Il bagaglio però non viaggia con te.

Sapendo che faccio 80 chilometri, avrò bisogno del necessario per essere autonomo. Se foro o si spacca qualcosa, più che avere il bagaglio con l’abbigliamento (e comunque un minimo me lo terrò, perché non si sa mai cosa succede), avrò arnesi e pezzi di ricambio. Avrò materiali da testare, sarà anche il modo per provare qualcosa e farlo a 40 gradi, trattandola anche male, perché non avrò il tempo di pulire la bici e lucidarla tutte le sere. Pertanto diventa anche una cooperazione con le aziende che mi seguono, per provare i tessuti e altri aspetti. Magari tornerò utile ai ciclisti che fra qualche anno viaggeranno in bicicletta.

Ci sarà un passaggio sulla riga d’arrivo delle Olimpiadi?

Devo ammettere che non so cosa mi succederà ad Atene, sta gestendo tutto la Console. Tra le altre cose, mi ha ricordato che sono cittadino onorario di Atene. Tutte le medaglie d’oro di Atene 2004 furono insignite della cittadinanza onoraria. Però sicuramente in piazza Kotzia io ci arriverò, perché è dove ho vinto.

La partenza è fissata per il 26 agosto, l’arrivo previsto per il 6 settembre. Sarà caldo, però mai come in quel 14 agosto del 2004. Se gli chiedi quando capì di aver vinto, non parla del momento di passare la riga o del podio. Ricorda il momento in cui Sergio Paulinho lo anticipa in volata. Lui lo recupera, lo affianca facilmente e capisce quello che sta per succedere. Quel giorno si scrisse la storia: farlo ai piedi del Partenone nella città delle prime Olimpiadi lasciò a tutti il senso di aver vissuto qualcosa di grandioso.

Philipsen di rabbia. Il belga si sblocca e attacca la verde

09.07.2024
5 min
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«Sapevamo di non essere partiti al massimo della forma, ma stiamo tutti crescendo e ci sono ancora belle tappe da vincere», Jasper Philipsen, re dell’ultima Sanremo, di fatto continua il suo urlo anche dopo l’arrivo. In quel suo sprint c’erano rabbia e frustrazione. E chiaramente tanti watt.

Chi avrebbe mai detto, prima di questo Tour de France, che all’inizio della decima tappa il tabellino del corridore della Alpecin-Deceuninck  sarebbe stato ancora a zero dopo il predominio assoluto dell’anno scorso?

Tappa piatta in ogni senso, che ha vissuto in attesa dello sprint e di un maltempo finale che non c’è stato

Piattone francese

La Orléans-Saint Amand Montrond non prevede Gpm e come già accaduto in molte altre frazioni di questa Grande Boucle si è corso “da Giro d’Italia”, con la bagarre che è esplosa solo nel finale. Anche qui al Tour dunque non si fa più la fuga per far vedere la maglia, quando prima la si cercava a tutti i costi? C’è molto meno nervosismo del solito in gruppo, tanto è vero che i ritiri sono stati pochissimi sin qui, appena quattro.

Ma torniamo a Philipsen. Ieri aveva cercato di recuperare il più possibile. La sgambata con i compagni, gli autografi ai fan… ma mancava qualcosa. Secondo posto al campionato nazionale e ancora due piazze d’onore in questo Tour, più una squalifica, altrimenti sarebbero stati tre.

«Tutto sembrava andare contro di me nella prima settimana – ha detto Jasper ai media belgi – posso dirvi che non sono rimasto positivo per tutto il tempo, c’è stata delusione. Ho cercato solo di rimanere concentrato, di mantenere la calma e fare quello che dovevo. Non penso di essere meno forte dell’anno scorso. A volte è solo questione di opportunità».

E questa tappa senza Gpm era l’opportunità perfetta. E lo era anche perché una fuga, che tra l’altro ricordiamo neanche c’è stata, non avrebbe fatto paura. Si sarebbe potuti correre tranquilli, risparmiando energie… Energie quanto mai preziose quando si è in certe condizioni di tensione.

Guardate che dominio: il belga infila Girmay. Nella classifica a punti (maglia verde) ora sono separati da 74 punti
Guardate che dominio: il belga infila Girmay. Nella classifica a punti (maglia verde) ora sono separati da 74 punti

Jasper di rabbia

Neanche il maltempo o il vento, tanto attesi, ci mettono lo zampino. E il duo delle meraviglie può scatenarsi. Sembra di tornare indietro di un anno. Ai 700 metri si mette in moto il “TVP”, Treno Van der Poel”.  Mathieu schiaccia l’acceleratore. Il gruppo si allunga e Philipsen lo segue ad un centimetro (anche questa è una dote a certe velocità).

L’iridato si sposta. Come un gatto Jasper si alza sui pedali e scarica a terra tutta la sua potenza. Il tempismo e l’aerodinamica di questo momento sono perfetti. Un gesto eseguito così bene che alle sue spalle si apre immediatamente un varco. Girmay deve così lottare improvvisamente con più aria: passa dalla terza alla seconda ruota e con Philipsen già sui pedali incassa mezzo metro di distacco. In un attimo si ritrova con un buco di una bici.

«Ho già detto più volte che l’anno scorso quasi ogni sprint è stato un successo – ha ribadito Van der Poel dopo l’arrivo – tutto andava perfettamente, ma non è sempre così. Oggi eravamo tutti estremamente motivati. Ci sono poche opportunità per noi come squadra. E sono felice che ora siamo sulla buona strada. Dubbi su Philipsen? Mai avuti e neanche lui dovrebbe averne».

E dopo l’urlo la liberazione di Philipsen: «Sono molto felice per la squadra che ha continuato a crederci e ha ottenuto una meritata vittoria. Non era facile dopo cinque sprint non vinti».

L’abbraccio con Van der Poel, ancora una volta determinante per Philipsen
L’abbraccio con Van der Poel, ancora una volta determinante per Philipsen

Maglia verde

Questa vittoria di Philipsen riapre i giochi per la maglia verde. E lo fa non tanto per i 20 punti rosicchiati all’eritreo, ma per quel click che è avvenuto nella testa dello sprinter numero uno al mondo.

«Ci sono ancora diverse occasioni per noi velocisti e tanti punti in palio – ha detto Philipsen – Biniam ha tanti punti di vantaggio ma con la squadra in crescita ci proveremo. Oggi i ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro. Jonas Rickaert ha iniziato bene, Robbe Ghys e Mathieu Van der Poel mi hanno poi portato in posizione perfetta sul rettilineo finale».

Tuttavia non sarà facile battere Girmay. Anche oggi ha fatto secondo, è in una fase di sicurezza importante e lo testimonia la sua costanza di rendimento e il fatto che a Troyes sia arrivato con i big.

La lotta per la maglia verde pertanto è più accesa e intensa che mai e sembra un discorso a due. Anche se, visto il percorso del Tour, Girmay ci sembra leggermente favorito. In salita tiene meglio di Jasper. Ma adesso Philipsen è in fiducia.

L’11ª tappa: domani 211 km e ben 4.177 metri di dislivello
L’11ª tappa: domani 211 km e ben 4.177 metri di dislivello

Big o fuga?

Infine uno sguardo a domani. Tappa ideale per le imboscate da fuga ma anche per la classifica. Il Massiccio Centrale è una trappola continua.

Probabilmente i big torneranno alla ribalta verso Le Lioran. Se oggi è stata calma piatta è auspicabile che domani se le daranno di santa ragione, tanto più visto il dislivello complessivo che li attende: oltre 4.000 metri.

Le parole forti delle conferenze stampa del giorno di riposo sembrano un lontano ricordo. Forse proprio perché già si pensava a domani. Gli ultimi 35 chilometri in particolare sono senza respiro. C’è anche un abbuono in palio sul penultimo Gpm (Col de Pertus) e il Col de Font Cère è a soli tremila metri dall’arrivo.