Sangue freddo e informazioni giuste, così la Lidl-Trek ha fatto tris

17.05.2024
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CENTO – Yaroslav Popovych arriva al bus strombazzando con l’ammiraglia della Lidl-Trek. «E sono tre. Sono tre!», ripete dal finestrino quando ancora deve scendere dall’auto. Gli abbracci con gli altri dello staff, con qualche corridore che è già arrivato al bus e si gode il momento.

La vittoria di Jonathan Milan, la terza di questo Giro d’Italia, sembra essere arrivata con grande facilità. E forse è anche così se ci si limita a guardare la volata. Una volata perfetta. Prima però c’era stato il momento dei ventagli. Ma è anche da questi momenti che si vede cha la Lidl-Trek è una squadra arrivata qui con le idee chiare e le energie canalizzate per il friulano.

Yaroslav Popovych è uno dei direttori sportivi della Lidl-Trek
Yaroslav Popovych è uno dei direttori sportivi della Lidl-Trek
Yaroslav, sei arrivato dicendo è la terza, è la terza…

Ed è anche bella. E’ da tanto che non si vedeva un treno così forte. Tutti i ragazzi hanno fatto un lavoro spettacolare. Ognuno sa bene cosa fare.

Continuiamo su questo aspetto del treno. Si vede che ci avete lavorato e si vede anche quello che tempo fa ci disse Simone Consonni: «Per essere perfetti dobbiamo fare e rifare volate in corsa»…

Sono già un po’ di mesi che ipotizzavamo che la situazione potesse essere questa al Giro. I ragazzi migliorano costantemente. Nei primi giorni abbiamo sbagliato qualcosa. Poi abbiamo fatto dei piccoli aggiustamenti, come restare più vicini. Ma quando si è forti, si è forti… Il morale è altissimo. E tutto diventa più facile.

Questo il treno. Ma forse, la tappa l’avete vinta qualche chilometri prima, quando non avete perso la testa in occasione dei ventagli. E’ così?

E’ successo che qualche chilometro prima dei ventagli i ragazzi si erano fermati a fare pipì. Poi quando sono rientrati, sono rimasti un po’ indietro. Pertanto quando il gruppo si è spezzato sono rimasti indietro. Ma tutto sommato noi eravamo abbastanza tranquilli perché sapevamo che poi, più avanti, il vento sarebbe calato. La strada era lunga. E devo dire che i ragazzi hanno gestito bene la situazione.

Jonathan Milan (classe 2000) mentre provava a rientare da solo quando si sono aperti i ventagli
Jonathan Milan (classe 2000) mentre provava a rientare da solo quando si sono aperti i ventagli
Quali sono state le vostre indicazioni dall’ammiraglia? Le tue e quelle di Raast…

Di stare tranquilli, di lavorare, di spingere, che si sarebbe risolta. Informarli soprattutto del vento che era in calo.

C’è stato un momento in cui Milan ha provato a rientrare da solo sul primo gruppo. Come è andata? Lo avete fermato voi?

No, sono stati direttamente i ragazzi a richiamarlo per radio. Gli hanno detto: «Stai tranquillo, ti riportiamo dentro noi». Per questo dico che è un bel gruppo e che hanno lavorato bene. 

Gli staff degli uomini di classifica vanno a visionare le tappe di montagna e le crono, voi siete venuti a vedere questa?

Non proprio. Sono io andato a vedere quella di Lucca, perché vivo lì vicino. Ma per questi altri arrivi abbiamo Adriano Baffi che è un esperto di volate. Lui ci precede di circa 30-40 chilometri e ci spiega per filo e per segno il finale.

Notizie fresche insomma…

Esatto, ci dice anche del vento. Anche perché un arrivo del genere tu puoi anche andarlo a vedere qualche giorno prima, ma con cartelloni, sponsor, transenne la situazione cambia molto (il riferimento è soprattutto alla larghezza della carreggiata, dato fondamentale per impostare un treno, ndr). E così abbiamo informazioni specifiche e aggiornate per ogni sprint.

Piena bagarre, la Lidl-Trek resta dietro: si intravedono i caschi rossi dei compagni di Milan che tirano in lontananza
Piena bagarre, la Lidl-Trek resta dietro: si intravedono i caschi rossi dei compagni di Milan che tirano in lontananza
Conosci Milan da pochi mesi, come sta cambiando?

E’ giovane e molto impulsivo. Ma si vede che è un grande campione. Anche per come si comporta con le gente e con tutta la squadra, non solo i compagni. Deve ancora imparare tanto, ma poi quando la squadra è forte e le gambe sono buone anche questo aspetto diventa facile.

Tre tappe sono un bel po’, di solito i velocisti che ne vincono tante nello stesso grande Giro sono quelli che dominano. Milan se la può giocare con i più grandi?

Eh – ride Yaroslav – si dai… è bello e credo di sì. Ma intanto pensiamo a questo Giro. Abbiamo altre due tappe nel mirino e speriamo che andrà tutto bene.

Ma non è che Milan a forza di fare volate diventi “solo” un velocista?

No, no… Jonathan Milan è un corridore da classiche al 100 per cento. Prenderà anche quella via.

Il nuovo “Juanpe” Lopez si prende il Tour of the Alps

19.04.2024
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LEVICO TERME – Esultano in due allo stesso modo sul traguardo di Viale Vittorio Emanuele. A Levico Terme, l’ultima tappa del Tour of the Alps viene vinta da Aurélien Paret-Paintre, mentre Juan Pedro Lopez (nono) conquista la generale davanti ad O’Connor e Tiberi.

La frazione finale del “TotA” è scoppiettante, meno scontata di quello che si poteva pensare. Lopez non va nel panico quando subisce gli attacchi di quasi tutti i suoi più diretti rivali, dagli uomini della Bahrain-Victorius a quelli della Decathlon-AG2R La Mondiale. Proprio guardando la concorrenza, il trionfo dell’andaluso della Lidl-Trek è tanto inatteso quanto meritato. Se la vittoria della terza frazione a Schwaz poteva apparire come il frutto di una grande giornata, la maglia verde conclusiva è la conferma della rinnovata dimensione in cui è entrato Lopez.

Le prime volte di “Juanpe”

Eravamo rimasti al Lopez conosciuto in vetta all’Etna al Giro d’Italia di due anni fa quando conquistò la maglia rosa che portò per dieci giorni. Poi di lui si erano perse le tracce per un motivo o l’altro. Sulle strade dell’Euregio si voleva mettere alla prova ed il risultato è stato strabiliante, con un pensiero per tutti e su tutto.

«E’ la mia prima vittoria in una classifica generale – racconta in conferenza stampa – pochi giorni dopo la mia prima vittoria da pro’. Sono felicissimo e se ci penso mi emoziono molto, ma non solo per me. Penso alla mia famiglia e ai miei amici. Però penso anche al nostro general manager (Luca Guercilena, ndr) che non sta attraversando un bel momento. Mi sono detto quindi che dovevo cercare di vincere anche per lui.

Il podio del TotA 2024. Lopez in mezzo a O’Connor e Tiberi (secondo nell’ultima frazione)
Il podio del TotA 2024. Lopez in mezzo a O’Connor e Tiberi (secondo nell’ultima frazione)

«Guardando l’altimetria delle tappa – prosegue Lopez – la quarta doveva essere quella più dura, invece forse a conti fatti è risultata quest’ultima. I miei avversari me l’hanno fatta sudare oggi. Sapevamo che sarebbe stata difficile, ma eravamo convinti che avremmo potuto controllare bene sulle salite. Il lavoro fatto da Carlos e Amanuel (rispettivamente Verona e Ghebreigzhabier, ndr) è stato davvero pazzesco. Devo ringraziare tantissimo la mia squadra».

Lopez ritorna a casa con altre convinzioni. «L’ho detto subito quando ho vinto a Schwaz che il territorio di questa gara è veramente fantastico per allenarsi. Forse un po’ troppo freddo per me, ma adesso è diventato perfetto (sorride, ndr). Resterà una gara che porterò per sempre nel cuore perché mi ha permesso di conquistare le mie prime vittorie. Spero di tornare al TotA nel 2025 per difendere questo successo».

Palleggi e rotta sul Giro

Sul tavolo della conferenza stampa ogni giorno c’era un pallone da calcio, simbolo della partnership del Tour of the Alps con l’FC Sudtirol di Serie B. Negli ultimi due post-tappa, Lopez ha mostrato uno scampolo di one-man show palleggiando a lungo prima di concedersi alle domande. Un segnale di un corridore sereno e in fiducia.

«In questi giorni – spiega – ho indossato la maglia verde, che ha piccole striature bianche. Ovvero i colori sociali del Betis Siviglia, la formazione per cui tifo. Ho giocato tanto a calcio da bambino ed è stato uno sport importante per me. Quest’ultima mattina il mio preparatore mi ha incitato con lo slogan del Betis e mi ha caricato tanto.

Lopez controlla la situazione sull’ultima salita. Bardet, O’Connor e Tiberi non riusciranno a staccare lo spagnolo
Lopez controlla la situazione sull’ultima salita. Bardet, O’Connor e Tiberi non riusciranno a staccare lo spagnolo

All’orizzionte c’è la corsa che lo ha lanciato al grande pubblico: «Nel 2022 ho fatto 10 giorni di maglia rosa chiudendo decimo, ma è il 2022. Adesso guardo al prossimo Giro senza pensare a quello di due anni fa. Vado al Giro per puntare a qualche tappa, quello è il mio obiettivo. Se viene la classifica tanto meglio. Dopo questa vittoria non guardo a lungo termine in questa stagione. La prima cosa che farò domani è pensare al recupero e riposare bene. Non voglio vedere troppo in là perché non sai mai cosa può succedere».

Visto da Popovych

Una delle prime mattina, avevamo incontrato Yaroslav Popovych nella zona-bus che ci raccontava del mix della sua Lidl-Trek. Una formazione composta da un paio di giovani del devo team con Cataldo a fare da chioccia e altri atleti esperti in supporto di Juanpe Lopez. Era difficile anche per il diesse ucraino fare previsioni.

Un raggiante Popovych dietro il palco. Non si aspettava un successo del genere al TotA
Un raggiante Popovych dietro il palco. Non si aspettava un successo del genere al TotA

«Sinceramente non mi aspettavo un Tour of the Alps del genere – analizza raggiante dietro il podio delle premiazioni – Siamo venuti qua con l’obiettivo di vincere qualche tappa sapendo che la corsa era molto dura. La è diventata ancora di più con la pioggia e il freddo dopo i primi giorni. Per noi questa vittoria è un sogno. Noi siamo stati sempre lì a lottare, ma Juanpe ci ha fatto vedere qualcosa di spettacolare. A Schwaz nel giorno in cui ha vinto la tappa, nel finale in radio gli gridavo “non sei tornato, sei completamente un Juanpe nuovo!”. Prima lo conoscevamo spaesato, agitato. Invece qui per come ha corso, con intelligenza e lucidità, è un altro corridore.

«Juanpe è gran chiacchierone, è molto simpatico – prosegue Popovych – è amico di tutti, parla con tutti, dal compagno di squadra all’avversario, agli autisti delle auto in gara al motociclista. Nel finale di corsa animava i propri compagni e sollecitava pure i rivali. Le classiche parole che si dicono in quei frangenti. Questa però è la dimostrazione della sua superiorità di testa e di condizione.

Lopez abbraccia Carlos Verona, decisivo nel chiudere sugli attacchi dei diretti rivali
Lopez abbraccia Carlos Verona, decisivo nel chiudere sugli attacchi dei diretti rivali

Anche Popovych è sulla stessa lunghezza d’onda di Lopez sulla condotta di gara. «Avevamo una squadra meno attrezzata rispetto alla concorrenza, ma eravamo ben preparati. Carlos oggi è andato come un treno, riscattando la prestazione di ieri dove si era perso. Stamattina avevo un po’ paura, però quando hai la maglia di leader cambia tutto. Il morale alto aiuta e ti porta almeno un 15 per cento in più di energie e motivazioni. Anche Amanuel ha fatto vedere quanto sia un ragazzo forte.

«Al Giro andremo per le tappe – ci saluta Popovych con l’ultima considerazione – Di base prepariamo la squadra per il treno di Milan per le volate, poi avremo 2-3 corridori per puntare alle tappe. Prima del Tour of the Alps Juanpe mirava alle tappe, adesso l’asticella si alza. Vediamo come andranno i primi giorni per capire cosa potrà fare e se puntare ad una buona classifica generale».

Senza Cicco, Trek a Pedersen. Popovych spiega

07.05.2023
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SILVI MARINA – «Faccio sicuramente meno di un anno fa – dice Popovych con gli occhi che di colpo si intristiscono – perché non è più la stessa cosa. In quei primi mesi di guerra era un caos, mancava tutto. Adesso hanno da vestirsi e da mangiare, gli mancano solo le persone che stanno perdendo. Ho un amico in prima linea. Hanno tutto, tanta gente è tornata a casa anche dall’estero. Non faccio più i viaggi con il furgone, però è sempre difficile. Ho smesso di leggere news da tre settimane perché ci sto male. Ho appena sentito quel mio amico, perché ieri gli sono saltati i nervi. Ha perso due ragazzi con cui stava dall’inizio della guerra e si sta incolpando per averli mandati a prendere una cosa nella trincea in cui sono morti. Ho provato a dargli supporto mentale, quello che possiamo fare è sperare che finisca…».

Silvi Marina si specchia nel mare, in questo dolce avvio di Giro d’Italia. L’hotel della Trek-Segafredo è un gigante sulla spiaggia, in cui assieme alla squadra americana alloggiano Jumbo-Visma e Jayco-AlUla. Popovych ci ha raggiunto nel giardino dopo aver finito di parlare con i corridori, ma con lui il punto sugli amici e la famiglia in patria è un passaggio doloroso e necessario. Sapere da chi c’è dentro è diverso dal sentirlo in tivù.

Popovych guida al Giro la Trek-Segafredo assieme a De Jongh e Baffi. Qui con Andrea Morelli di Mapei Sport
Popovych guida al Giro la Trek-Segafredo assieme a De Jongh e Baffi. Qui con Andrea Morelli di Mapei Sport

Ciccone a casa

A una settimana dal Giro, la squadra ha deciso che Ciccone sarebbe rimasto a casa. L’abruzzese si è negativizzato a cinque giorni dalla partenza, ma ha passato una settimana senza andare in bici e non hanno voluto rischiare, spostando il baricentro dalla parte di Mads Pedersen (foto di apertura).

«Di fatto – spiega Popovych – abbiamo solo sostituito Ciccone con Amanuel Ghebreigzabhier. Pedersen aveva deciso di venire al Giro già da novembre così avevamo impostato la squadra anche su di lui, l’organico è stato sempre questo. Gli uomini che aiutano Mads avrebbero aiutato anche “Cicco”. La sua idea era puntare alle tappe, ma visto che da quest’anno sembra andare più forte, gli avremmo messo accanto uomini come Mollema e Tesfatsion per aiutarlo in salita. Gli altri in pianura sono… macchine (ride, ndr), per cui sarebbe stato al coperto in ogni tappa».

Due eritrei in corsa nella Trek-Segafredo: Tesfatsion e Ghebreigzabhie (s destra)
Due eritrei in corsa nella Trek-Segafredo: Tesfatsion e Ghebreigzabhie (s destra)
Giorni fa Dainese ha detto di temere Pedersen per la sua capacità di andare in fuga.

Lo vedremo giorno per giorno. L’anno scorso Pedersen ha fatto vedere grandi cose su diversi percorsi. Ci giocheremo tutte le carte possibili e inventeremo le cose giorno per giorno. Cercheremo di rendere la corsa dura quando si arriverà in volata, per eliminare i ragazzi più veloci e permettergli di fare le sue volate di 500 metri. Oppure potremo entrare nelle fughe.

Che effetto fa pensare che c’è ancora il Covid a cambiare le cose?

Dispiace, ma in questo periodo te lo devi aspettare. Parlando fra noi siamo consapevoli che fra 3-4 giorni qualcuno potrebbe anche andare a casa per il Covid. Questa la realtà del mondo di adesso. Per Giulio ci è dispiaciuto, ovviamente, il Giro parte da casa sua. Però abbiamo parlato. Gli ho detto: «Si volta come un giornale e si fanno i programmi per prossime corse». Per uno come lui a questo punto è meglio un Tour al top della condizione, che un Giro col rischio di ritirarsi.

Yaro, ti rendi conto che giusto vent’anni fa sul podio del Giro c’eri tu?

Ho pensato che siano passati vent’anni quando mi avete detto di cosa avremmo parlato. Avevo 23 anni, ora ne ho 43. Quel che successe nel 2003 non lo percepivo neanche io. Ho detto spesso che in quei primi anni in Italia, dai 20 ai 22 anni, neppure io capivo che potesse essere un lavoro. Per me è stato sempre un divertimento, un grande divertimento. Da noi in Ucraina la cultura del ciclismo non è mai esistita. In quel periodo mio papà non capiva cosa facessi, finché non venne qua a vedere di persona.

Mollema avrebbe lavorato anche per Ciccone: ora aiuterà Pedersen e cercherà la fuga
Mollema avrebbe lavorato anche per Ciccone: ora aiuterà Pedersen e cercherà la fuga
Tu non gli raccontavi nulla?

Certo, ma i miei genitori pensavano che fossi lontano per divertirmi. Da noi in televisione o sui giornali non facevano vedere le corse. La mia famiglia non sapeva cosa stessi facendo e anche io lo prendevo sempre come un gioco. Solo quando ho cominciato a fare risultati, allora ho cominciato a capire.

Che cosa significò salire sul podio del Giro a 23 anni?

Il Giro d’Italia per me è stato sempre una cosa particolare, una corsa di famiglia. Nel 1999 arrivai in Italia con la nazionale Ucraina. Dal 2000 rimasi con Olivano Locatelli. Vivendo qua, il Giro era la corsa di casa, la corsa della gente, un ambiente particolare. Quando nel 2009 venni al Giro con Armstrong, lui si stupiva di quanta gente mi conoscesse in ogni paese. La gente veniva a chiedere e salutare. E’ sempre stato un piacere.

Terzo al Giro del 2003, dietro Simoni e Garzelli: un Popovych d’annata
Terzo al Giro del 2003, dietro Simoni e Garzelli: un Popovych d’annata
Hai mai pensato che vincendo quel Giro la vita sarebbe cambiata?

Sarebbe cambiata di sicuro, è diverso vincere da essere sul podio. Ma io non ho rimpianti, non passo il tempo a pensare cosa sarebbe successo. Ho fatto e sto facendo la mia vita. Quando ci sono cose che non vanno come devono, volto la pagina e penso a quel che verrà. Sarebbe cambiato qualcosa di certo, ma non ci ho mai pensato.

Popovych ds con più carota che bastone

17.01.2021
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Yaroslav Popovych è stato uno dei dilettanti più forti di sempre. Ha vinto tanto, ha conquistato corse importanti e in quella categoria ha acquisito un carattere tosto che gli ha consentito di fare una lunga carriera anche tra i pro’. Una carriera nella quale è salito anche sul podio del Giro d’Italia, terzo nel 2003.

Popovych in ritiro in Spagna (foto Barbieri)
Popovych in ritiro in Spagna (foto Barbieri)

Uomo dell’Est, ucraino, in tanti anni ha mescolato la sua esperienza con il suo carattere duro ed oggi è un dei direttori sportivi nella Trek-Segafredo più apprezzati dai giovani… e non solo.

Popovych ha gareggiato fino alla primavera del 2016, proprio nella Trek. All’epoca non era più già da un po’ un capitano, ma su di lui si poteva sempre contare. E lo aveva capito bene Fabian Cancellara.

Quando è nata l’idea di fare il direttore sportivo?

L’idea di fare il ds è nata nel 2015 – racconta Popovych – ma già dopo aver superato i 30 anni ho iniziato a pensare a cosa avrei fatto quando avrei smesso. I soldi che avevo guadagnato non mi sarebbero bastati per tutta la vita. Però avevo solo corso e non sapevo fare altro. Il mio obiettivo era di gareggiare fino a 40 anni, ma diventava sempre più difficile. A 35-36 anni dovevi fare sempre più sacrifici per restare al passo e i giovani andavano sempre più forte. Io avrei corso un po’ di più, ma non era possibile.

Yaroslav Popovych e a ruota Fabian Cancellara
Yaroslav Popovych e a ruota Fabian Cancellara
E poi cosa è successo?

Nel 2015 uno dei ds della Trek mi disse: Yaro, perché non pensi di restare con noi come direttore sportivo? Io ci pensai su. Parlai con Guercilena e mi disse che questa possibilità era reale. A quel punto ho pensato che avrei dovuto prendere al volo quel treno. Anche perché una cosa è quando vai a chiedere tu e una cosa è quando te lo chiedono gli altri.

E così sei salito in ammiraglia nel 2016?

Dovevo smettere prima di quella stagione. Ma all’epoca ero ormai sempre con Cancellara, condividevamo spesso la camera e lui mi disse di aiutarlo almeno fino alla Roubaix. E così andò. Ma non fu facile smettere. Sì, la vita del corridore è dura, ma anche bella: giri il mondo, frequenti begli alberghi, conosci tante persone, ho imparato tante lingue. Comunque già durante quell’inverno, quindi fine 2015, presi la licenza Uci e un mese dopo la Roubaix ero in ammiraglia al Giro.

Popovych riprende i suoi ragazzi
Popovych riprende uno dei suoi ragazzi
Scommettiamo che in quei mesi prima della Roubaix eri motivatissimo…

Me li sono goduti, è vero. E mi sembrava di andare anche più forte. Ricordo che in quelle corse prima della Roubaix dopo aver finito il mio lavoro per Fabian mi staccavo. Ma poi pensavo: cavolo, Fabian è solo, devo dargli una mano. E così risalivo il gruppo. Magari riuscivo a tirare solo per un chilometro e poi mi ristaccavo. In una corsa avrò fatto così 5-6 volte. Erano le ultime gare e volevo esserci.

Ormai è un po’ che sei dall’altra parte. Qual è un dogma del Popovych direttore sportivo?

La puntualità. La pretendo da tutti. Io sono sempre in anticipo. Non sono una persona difficile, mi piace confrontarmi con lo staff e con i corridori. Soprattutto all’inizio, il mio lavoro consisteva molto nell’organizzazione del team, nella logistica: chi va su questa o quella macchina, dove disporre le feed zone e per questo spesso chiedevo ai meccanici e ai massaggiatori, che sono coloro che lavorano più di tutti e che hanno una grande esperienza. Mi affidavano i giovani, per esempio ho avuto sin da subito Ciccone, che adesso è un capitano.

Hai parlato di confronto con lo staff: è incluso anche il preparatore?

Fino a quest’anno poco, non avevo tutto questo potere! Adesso invece che seguo molto Ciccone sì. Parlo spesso con Jusu Larrazabal, il preparatore di Cicco, e decidiamo per esempio se è meglio fare questa o quella corsa, se o quando fare l’altura, se modificare l’allenamento in base alle previsioni meteo…

Che rapporto hai con i corridori? Con alcuni hai anche corso e passare dal gruppo all’ammiraglia non è facile…

Vero, con alcuni di loro ho corso, ma sono sempre di meno. Ho passato quella fase in cui ero ancora l’amico. E infatti i primi anni non è stato facile e per questo mi affidavano i giovani come ho detto: loro ti vedevano direttamente come ds e non come ex compagno. Nibali o Mollema non parlano con me come se avessi 50 anni, però devo dire che da parte loro c’è rispetto. Mi ascoltano… sennò mi arrabbio facilmente!

Ti arrabbi! E sei da bastone o da carota?

Dipende dai giorni! No, dai… Cerco sempre di mettermi nei panni di chi lavora tanto e non dei campioni. Loro vanno forte e sono sempre in vista in qualche modo, gli altri invece lavorano e spesso restano dietro le quinte. Penso che la base di tutto sia il lavoro e vorrei lo pensassero anche i ragazzi. Comunque mi arrabbio poco e quando succede mi passa facilmente.