Mattia Predomo

Il bronzo mondiale di Predomo, velocista con idee chiare

19.11.2021
5 min
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Ai mondiali juniores su pista de Il Cairo, un giovanissimo trentino ha regalato alla velocità italiana un altro sprazzo di luce. Il bronzo conquistato da Mattia Predomo è stato davvero qualcosa di imprevisto, erano decenni che un italiano non riusciva ad emergere in una specialità dove una volta eravamo padroni del mondo e dove ora guardiamo da lontano realtà non solo come Olanda o Germania che dominano, ma anche Paesi senza tradizione ciclistica come Malaysia o Hong Kong, ma che in questo settore sono decisamente avanti a noi.

Quello che ha dato a questa medaglia la giusta dimensione è stato lo stesso Predomo, appena diciassettenne ma consapevole che questo è solo un gradino di una scala ancora lunga, se si vuole percorrerla per arrivare fino in cima. Su di lui e su Bianchi si fonda l’attuale futuro della specialità, sperando che il nuovo nucleo tecnico partorisca un progetto sul quale lavorare per riportare l’Italia a essere davvero presente in un mondo che attualmente ci vede solo spettatori.

E’ curioso il fatto che ci si affidi a due ragazzini che sulla base di una comune passione siano uniti da una solida amicizia: «Con Matteo ci conosciamo da sempre e devo dire che è stato lui a trascinarmi dentro questo bellissimo mondo, poi ho avuto la fortuna di trovare un diesse come Alessandro Coden che ha creduto subito in me e con il quale condivido questo cammino fatto di tanto lavoro».

Predomo Cairo 2021
Il podio della velocità ai mondiali junior in Egitto, con da sinistra Lonhard (GER, 2°), Kalachnik (RUS, 1°) e Predomo
Predomo Cairo 2021
Il podio della velocità ai mondiali junior in Egitto, con da sinistra Lonhard (GER, 2°), Kalachnik (RUS, 1°) e Predomo
Sai che l’Italia una volta era padrona di questa specialità, conosci un po’ la storia della velocità su pista?

Sì, mi sono un po’ documentato, ma da quel poco che ho visto era un altro mondo, una velocità molto diversa da quella di oggi. Una volta chi veniva dalla strada poteva competere anche nella velocità su pista, oggi anche il miglior sprinter non avrebbe scampo soprattutto perché un pistard che si dedica a queste discipline ha un fisico molto diverso.

La velocità su pista ha infatti avuto un’evoluzione particolare e i suoi protagonisti hanno tutti fisici molto massicci, con una muscolatura scolpita, il che porta molti a pensare che non sia tutto frutto di lavoro in palestra. Tu che cosa ne pensi al riguardo?

Io non credo che ci siano additivi chimici, ci sono troppi controlli in ogni gara e so per esperienza personale che è proprio dal lavoro in palestra che si cresce fisicamente. Se guardo le mie foto di 3 anni fa non mi riconosco e non solo per la mia crescita naturale, la palestra mi ha fisicamente cambiato molto, è un lavoro duro che però è essenziale per questa disciplina.

Secondo te la velocità è tutta questione di fisico?

No, anzi. A me piace molto guardare le gare e noto che la tecnica sta diventando sempre più importante, sta tornando di moda il surplace, Lavreysen ha fondato le sue vittorie soprattutto sulla furbizia. Il fisico è la base, ma solo con quello non ottieni nulla…

Il settore dello sprint comprende molte discipline come quello dell’endurance: oltre al torneo della velocità ci sono ad esempio keirin e chilometro lanciato, in queste prove come ti trovi?

Il keirin è complicato, per me è una roulette russa dove devi saper prendere le ruote giuste e scegliere il momento adatto per uscire, ma non è facile considerando che ormai sono volate lanciate già a tre giri dalla fine e sono un grande stress per le gambe, molto più del torneo della velocità. Il chilometro non l’ho mai affrontato e sono molto curioso di farlo la prossima stagione.

Come sei arrivato a quel bronzo, te lo aspettavi?

All’inizio no, anche perché ero uscito molto demoralizzato dagli Europei di categoria, non erano andati come volevo. Invece ai mondiali ho capito come potevo correre per emergere e ogni turno che passavo mi sentivo sempre meglio, ma anche dopo aver conquistato la medaglia non ho perso di vista la mia strada, so che c’è tanto lavoro da fare.

Predomo Keirin
Predomo impegnato nel keirin: è stato 6° ai mondiali, ma ancora non lo sente suo
Predomo Keirin
Predomo impegnato nel keirin: è stato 6° ai mondiali, ma ancora non lo sente suo
Corri anche su strada?

Sì, ma l’ultima stagione non mi ha dato le risposte che cercavo, anche se quando corro su strada lo faccio soprattutto pensando alla pista, è più un allenamento. Infatti nel 2022 correrò più su strada nella prima parte di stagione cercando di fare il meglio possibile, poi mi concentrerò sulla pista.

Ti sei posto degli obiettivi?

E’ chiaro che vorrei conquistare un’altra medaglia, soprattutto agli europei per cancellare la delusione di quest’anno, ma non voglio pensare troppo ai risultati, voglio soprattutto concentrarmi sul lavoro e su quanto potrò ancora imparare.

Predomo Coden
Mattia campione italiano junior fra il diesse Alessandro Coden e il meccanico Giovanni Carini
Predomo Coden
Mattia campione italiano junior fra il diesse Alessandro Coden e il meccanico Giovanni Carini
Matteo Bianchi ha la possibilità di andare ad allenarsi nel centro Uci di Aigle. Piacerebbe anche a te?

Molto, sarebbe una grande opportunità, considerando la struttura che hanno a disposizione, ma credo che anche da noi si possa lavorare bene, soprattutto quando torneremo ad avere l’impianto di Montichiari a disposizione. Aigle mi piacerebbe soprattutto per affrontare e conoscere nuove metodologie di lavoro.

E anche per avere più opportunità di confronto. Non pensi che il problema della velocità italiana sia dato anche dalla ridotta quantità di gare?

Sicuramente, io ho potuto affrontare solamente 6 gare nel 2021 e devo dire grazie alla mia società, la Campana Imballaggi che mi consente di affrontare questa disciplina pur avendo poche occasioni per poter far vedere la loro maglia. Servirebbe un calendario maggiormente fornito come anche un numero di impianti superiore, speriamo che col tempo tutto ciò arrivi e anche i miei risultati possano essere uno stimolo.

Un velocista in squadra. Coden e l’esperienza con Bianchi

12.11.2021
4 min
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Qualche giorno fa abbiamo “scoperto” il difficile mondo velocista italiano, grazie all’esperienza di Matteo Bianchi. Ebbene, continuiamo questo viaggio con Alessandro Coden, allenatore e diesse di Matteo alla Campana Imballaggi.

Alessandro è un vero appassionato. Supportare un ragazzo che di fatto non corre mai nella tua squadra non è cosa da poco. 

Coden e Bianchi ai mondiali juniores 2019 in Germania
Coden e Bianchi ai mondiali juniores 2019 in Germania

Quella tirata d’orecchie 

«Matteo – racconta Coden – è con noi da quando era al primo anno juniores. Alla Campana Imballaggi infatti abbiamo sia gli juniores che i dilettanti. Dopo due mesi lo cacciai via perché non era molto dedito al lavoro, diciamo così… Dopo due giorni tornò piangendo. Lo ripresi. Fu una lezione. Ma gli servì.

«Oggi è un atleta molto serio ed è educato. Come del resto tutti i nostri ragazzi. Però lui ascolta e non fa come altri che ti dicono sì, ma poi fanno di testa loro. Matteo si fida di chi ha avuto fiducia in lui».

«E chissà per quale gioco del destino, ne ho un ‘altro di ragazzo, Mattia Predomo, che ha fatto la stessa cosa. Anche lui è della zona di Laives, Bolzano. Anche lui non mostrava molta serietà. E anche lui l’ho mandato via. Dopo una settimana è tornato. E la cosa bella è che anche Mattia ha fatto terzo al mondiale juniores!».

Bianchi impegnato in un test qualche anno fa
Bianchi impegnato in un test qualche anno fa

Fra test e strada

E a proposito di fiducia, Coden è anche colui che segue la preparazione di Bianchi. Una preparazione particolare e macchinosa che richiede una certa organizzazione del lavoro, fra strada, pista (anzi piste, ndr) e palestra.

«Io e il preparatore Antonio Freschi seguiamo Matteo. Antonio fa le tabelle, le fa anche ai nostri stradisti. Insieme le discutiamo e poi io seguo Matteo. Ogni due mesi facciamo dei test. Li facciamo su ciclomulino o su strada.  

«Matteo va in pista una o due volte a settimana: a Montichiari, a Mori o a Bassano del Grappa. Ma non bisogna pensare che un atleta come lui, un velocista, non abbia bisogno del fondo. Altroché… Specie ad inizio stagione fa quello che che fanno gli stradisti. Magari non fa 5-6 ore come loro, si ferma a quattro ore al massimo. Però poi fa anche dietro motore, le volate fuori scia… In una settimana esce tre volte su strada, due su pista e tre, quattro volte va in palestra. A volte esce su strada dopo la palestra proprio per fare trasformazione. 

«Man mano che si avvicinano le gare aumenta il lavoro in pista e diminuisce, fino a sparire, quello su strada. Per me Matteo è un chilometrista vero. Non a caso ai mondiali juniores tre anni fa ha preso un bronzo».

Per Coden Bianchi è un chilometrista, ma l’azzurro è molto bravo anche nel keirin
Per Coden Bianchi è un chilometrista, ma l’azzurro è molto bravo anche nel keirin

Investimento di passione

Fiducia, impegno, lavoro, ma poi la realtà è che di fatto mantenere un velocista è un costo, anzi un costo doppio, per una squadra. Ogni atleta incide sui conti di un team, ma almeno correndo e mostrando al pubblico la maglia in qualche modo “ripaga” l’investimento. Un pistard, tanto più velocista che non ha gare (in Italia), in pratica non lo si vede mai.

«Tutto vero – spiega Coden – però quando fai questa scelta sai a cosa vai incontro. Adesso Matteo è nell’Esercito. Lo si potrebbe vedere con la nostra maglia almeno ai campionati italiani, ma deve utilizzare quella dell’Esercito. Lo supporti con i materiali, lo alleni, lo segui nella preparazione… e sì: è un costo doppio. Però lo fai, perché ci tieni».

«Io sono un ex pistard. Sono stato un velocista. Ho fatto quinto ai mondiali di Mosca del 1989 e nel 1988 ho vinto una tappa della Coppa Europa. Quindi prendo un velocista è perché è un qualcosa che ho dentro. Non solo, ma è un qualcosa che porto avanti già da un po’ e che continuerò a fare proprio per supportare questi ragazzi».

Il centro UCI ad Aigle: oltre al velodromo e alla foresteria ci sono anche una pump track e una pista per Bmx
Il centro UCI ad Aigle: oltre al velodromo e alla foresteria ci sono anche una pump track e una pista per Bmx

Verso Aigle

Una bella storia di sport e di passione quella di Coden. Il diesse si rivede in questi atleti, ma ammette anche che in passato per certi aspetti le cose erano migliori. Forse è per questo che porta avanti questa “missione”.

«Molto è cambiato da allora – dice Coden – sono migliorati i materiali, noi certi tempi con quei rapporti dell’epoca proprio non potevamo farli, ma sono peggiorate altre cose, almeno in Italia. Una volta il settore della velocità era più supportato e seguito.

«Noi stiamo facendo di tutto per poter mandare Bianchi al centro UCI di Aigle. Telefonate su telefonate, email… non dico tutti i giorni ma quasi. E’ un grosso impegno ma sembra che ci siamo riusciti, visto che a gennaio Bianchi dovrebbe andare in Svizzera».

Sangalli: continuità, porte aperte e più trasferte con le junior

10.11.2021
7 min
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Paolo Sangalli raccoglie l’importante eredità di Dino Salvoldi, con il quale ha collaborato negli ultimi 12 anni. Dice convinto che se non fosse stato necessario spostare il milanese al settore degli juniores, avrebbe continuato senza problemi a collaborare con lui.

Sangalli si è tagliato i capelli dopo aver raggiunto lunghezze inaudite. Aveva scommesso che lo avrebbe fatto quando un’azzurra avesse vinto il mondiale e la vittoria di Elisa Balsamo ha fatto scattare le forbici.

Come tutti gli altri tecnici azzurri, anche il bergamasco è reduce dai meeting che si sono svolti a Milano per impostare i programmi e creare le sinergie in vista della prossima stagione. E come tutti i suoi colleghi appare entusiasta del lavoro svolto.

«Sono stati due giorni belli – dice – abbiamo fatto gruppo. Ognuno ha portato i propri programmi, che poi saranno valutati. Il presidente e Amadio hanno le idee chiare. La pandemia ha fatto saltare il banco, ma vogliamo recuperare. Uno dei punti del mio programma sarà quello di fare attività internazionale con le junior, che già due anni fa volevamo fare, ma il Covid lo ha impedito. Quindi cominceremo quasi sicuramente con la Gand-Wevelgem, che fanno anche gli junior maschi e gli under 23. Un bell’appuntamento di una nazionale unita».

Amadio e il presidente Dagnoni hanno spostato Salvoldi agli juniores e Villa è ora il coordinatore di tutta la pista
Amadio e il presidente Dagnoni hanno spostato Salvoldi agli juniores e Villa è ora il coordinatore di tutta la pista
Come ti approcci a questo ruolo? Diciamo che in fondo resti in casa tua… 

Il mio ruolo è la continuazione dell’ottimo lavoro di Dino (Salvoldi, ndr) con cui ho lavorato in questi 12 anni. Quindi resto in casa con responsabilità maggiori, in un ambiente in piena salute perché così lo ha lasciato il lavoro di Salvoldi. L’hanno mandato in un settore che aveva bisogno di un cambiamento e lui, se non è il più bravo, è di certo uno dei migliori della Federazione.

In assoluto c’è aria di continuità. Come gestirai le donne?

Per quanto riguarda le élite, ormai sono professioniste come gli uomini. Hanno il loro programma, i loro preparatori, il mental coach. Questa sarà una figura introdotta anche dalla Federazione nella persona di Elisabetta Borgia (in procinto di essere inserita anche in modo permanente alla Trek-Segafredo, ndr), che già seguiva alcune ragazze e ora fa parte del nostro staff. E’ in gambissima. Davvero si sta facendo un ottimo lavoro, che sarà l’ideale anche per il futuro

Se sono professioniste, dovrai seguirle le loro gare?

Andrò a vedere praticamente tutte le gare WorldTour. In alcune occasioni, quando ci sarà la concomitanza delle prove maschili, mi muoverò assieme a Bennati. Questo è un punto fermo, voglio seguire anche le grandi corse a tappe, anche se durante il Giro d’Italia c’è la concomitanza dei Giochi del Mediterraneo

Europei e mondiali 2022 si annunciano veloci e noi abbiamo atlete che in volata si difendono. Qui una certa Balsamo…
Europei e mondiali 2022 si annunciano veloci e noi abbiamo atlete che in volata si difendono. Qui una certa Balsamo…
Le nazionali di Salvoldi non prescindevano da alcuni punti fermi…

Ci sono delle atlete indiscutibili. Abbiamo la campionessa del mondo, Longo Borghini, Bastianelli. Abbiamo tantissimi nomi. C’è la Cavalli, Bertizzolo se torna ai suoi livelli. Sarà come con Dino, nessuna chiusura. Chi andrà forte, farà parte della nazionale, ovviamente con le caratteristiche giuste per il percorso. Vedremo i percorsi, darò le indicazioni alle interessate e assieme ai loro tecnici stabiliremo il miglior avvicinamento.

Cosa si sa dei percorsi?

Gli europei di Monaco di Baviera hanno qualche strappo nel tratto in linea, poi non sembrano difficili. I mondiali in Australia sembrano per velocisti, almeno da quanto hanno detto. Quindi servirà gente veloce e in Italia atlete con questo profilo non ci mancano. 

E’ uno svantaggio non avere più il controllo del gruppo pista?

E’ uno svantaggio se chi fa strada non ha la percezione dell’importanza della pista, ma io con Marco Velo e con Villa avrò dei contatti non dico giornalieri, ma ogni 2-3 giorni. Vogliamo creare un percorso e quindi non ci sarà nessunissimo problema. Siamo da tanto in Federazione, sappiamo come funziona. Io sono convinto che la pista sia fondamentale. Magari il prossimo anno le ragazze daranno più spazio alle loro società, ma dovranno fare richiami periodici che permettano loro di non perdere il colpo di pedale e tutto il resto. Nessuno si arroccherà in difesa e l’esperienza degli ultimi anni, delle donne e degli uomini, conferma che si va forte in pista e anche su strada.

Elisa Longo Borghini è un altro dei capisaldi della nazionale delle donne elite
Elisa Longo Borghini è un altro dei capisaldi della nazionale delle donne elite
C’è polemica per gli juniores che passano professionisti, in realtà fra le donne è la regola…

La categoria juniores donne è una fase di studio. Devono capire quel che serve per diventare corridori. Quindi bisogna lavorare nel modo giusto, senza l’ossessione del risultato che semmai è la conseguenza indiretta del buon lavoro. Hanno bisogno di tutto, anche di capire come mangiare. Faccio un esempio: prendiamo una ragazza di 17 anni che va a scuola e in famiglia non ha nessuno sportivo. Magari è una banalità, ma se si allena appena uscita da scuola, che cosa dovrà mangiare e quando? Deve essere davvero una scuola, in modo che quando andranno nelle WorldTour, saranno preparate.

Sei a favore della creazione della categoria U23 per le donne?

Sono fermamente convinto che serva, perché c’è dispersione di talento fra le junior e le elite. Il livello è altissimo e nelle WorldTour corrono in sei, quindi è difficile entrare in squadra. Questo alla lunga diventa un problema. Con le U23, hai la gradualità di un livello vicino al tuo.

Ci saranno dei ritiri collegiali?

Per le junior di sicuro, per le grandi solo se ci sarà lo spazio e se qualcuna avrà necessità. Se ad esempio c’è un ritiro invernale del gruppo pista e due o tre stradiste hanno bisogno di lavorare, potranno andare con loro e ci sarò anche io. Non credo che torneremo in altura all’inizio dell’anno. Aveva un senso l’anno scorso con gli europei della pista a marzo, poi rinviati. Casomai si andrà in alto con le junior, sarà per spiegare loro a cosa serva e quali potrebbero essere le reazioni fisiologiche.

E se davvero europei e mondiali saranno così veloci, anche Bastianelli farà di sicuro la sua parte
E se davvero europei e mondiali saranno così veloci, anche Bastianelli farà di sicuro la sua parte
Terrai lo stesso staff tecnico di sempre?

Ci sarà interscambio fra gruppi pista e strada, fra Dino e me e anche con quelli del professionismo. Invece sono contento di avere come collaboratrice la Rossella Callovi, che sarà preziosa anche per la pista.

Quindi, stringendo, sarai selezionatore con le elite, mentre con le junior entrerai anche nella preparazione?

Esatto! Come dicevo prima, faremo formazione nel rispetto delle società. Avrò un rapporto forte con loro, lo stesso già creato con Dino. Sanno come lavoro, non ci saranno problemi. Abbiamo sempre concordato le convocazioni, la linea resta la stessa.

Ma parliamo del commissario tecnico Sangalli. Hai detto di aver fatto 12 anni con Salvoldi e magari, se Di Rocco fosse rimasto presidente, ne avresti fatti altri 12. Hai mai avuto la voglia di uscire in prima persona?

No, perché io ho sempre lavorato bene, tranquillo. Non c’era questa necessità da parte mia. Neanche a livello di ambizione personale, perché ero contento di quella collaborazione. Non si trattava di dire chi fosse primo e chi il secondo. Lavoravamo agli stessi obiettivi, condividendo tutto. Il fatto di diventare tecnico neanche me lo aspettavo. E aggiungo che se non ci fosse stata questa necessità, forse non sarebbe neanche successo.

Quando te lo hanno detto?

Dopo i mondiali di Roubaix e dopo aver parlato con Dino. Prima doveva essere lui ad accettare. De Candido ha fatto tanto, ma la categoria è difficilissima. Per Dino sarà una grande sfida.

Ciabocco e Barale: una resta junior, l’altra diventa elite. Il salto è netto: c’è bisogno di lavorare tanto
Ciabocco e Barale: una resta junior, l’altra diventa elite. Il salto è netto: c’è bisogno di lavorare tanto
Il ciclismo come è entrato nella tua vita?

E’ una passione, non ho mai corso. Mio padre, che è mancato tantissimi anni fa, era ai mondiali di Coppi a Lugano nel 1953. Mio zio ha allenato i giovanissimi della Pagnoncelli e io andavo con lui per divertirmi un po’.

Sembri entusiasta…

Lo sono. Vorrei passasse il messaggio che nessuno è venuto a stravolgere il buon lavoro che si era fatto. Vedo Marco Velo molto competente e coinvolto con le crono, spero che si possa tornare presto ad avere il velodromo. Abbiamo bisogno di Montichiari, per le nazionali e per l’attività di base da cui arriva la nuova linfa. Se dici in giro che la nazionale italiana, dopo tutti i risultati che ha fatto, non ha un velodromo per allenarsi, forse non ci credono neanche. Dovremmo essere senza fino a marzo, ma sono certo che Dagnoni e Amadio non molleranno la presa. C’è davvero tanta voglia di fare bene…

Velocista in Italia, la solitudine e il velodromo che non c’è

10.11.2021
6 min
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Fare il velocista (su pista) in Italia è molto suggestivo, ma in fondo è come vendere frigoriferi agli esquimesi. E d’altra parte le ultime scelte della Federazione fanno capire che l’intenzione di mettere mano al settore sia per ora piuttosto tiepida. Partendo da questo presupposto, sentire la voce di Matteo Bianchi è la cosa giusta da fare per raccontare che cosa significhi aver scelto le specialità veloci in Italia.

Matteo vive a Laives, sud di Bolzano. E proprio lì dove i più sognano i tornanti e le altezze delle Dolomiti, un bel giorno di qualche anno fa lui decise di guardare più in basso e di andare contro il comune modo di vivere il ciclismo.

«Velocisti si nasce o si diventa – sorride – io lo sono diventato. A un certo punto decidi se specializzarti nelle discipline di endurance o quelle veloci. Io ho corso su strada da allievo e fino al primo anno da junior, poi ho scelto. Il passaggio non è facile. In Germania ci sono squadre che fanno solo tornei di velocità, perché hanno un calendario completo. Qui non c’è niente di tutto questo. Le società danno la precedenza alla strada, devi avere la fortuna di trovarne una disposta a farsi carico della spesa in cambio di una visibilità davvero minima. Io per questo devo ringraziare tanto la Uc Trevigiani-Campana Imballaggi, perché ci crede e mi dà una grandissima mano. Essere velocista su pista da under 23 è un’altra cosa. Fai quasi un altro sport».

La voce sicura, vent’anni compiuti il 21 ottobre, il senso di ottimismo e fiducia che permea attraverso le parole. Matteo racconta di essersi diplomato, di essersi preso poi un anno sabbatico e ora di essere iscritto a Economia in una facoltà online che gli permette di conciliare lo studio e lo sport. Ma qua il problema è proprio il suo sport che non si concilia con quello che abbiamo a disposizione nella culla del ciclismo.

Che cosa fa un velocista?

Si allena e in teoria corre. Al velocista serve una parte di fondo, per cui esci con la bici da corsa. Ma siccome su strada i lavori specifici non puoi farli tanto bene, allora fai anche tanta pista e tanta palestra. D’estate mi sono allenato a Dalmine e a Montichiari. La mia ragazza vive a Milano, per cui ho una buona base logistica. Ma adesso Montichiari è chiuso e probabilmente dovrò allenarmi in velodromo all’aperto anche d’inverno, tra Dalmine e Busto Garolfo. Ci sarebbe anche quello di Mori, che è vicino casa mia, ma non c’è nessuno che possa aiutarmi dietro moto e allora non va bene. Di sicuro la stagione comincerà per tutti lo stesso giorno e quello che altri fanno al chiuso, dovrò riuscire a farlo comunque.

Si può parlare di solitudine del velocista?

E’ brutto da dire, ma è così. A volte parlo con amici e rivali olandesi e tedeschi e sentire il racconto di come vivono e si allenano loro fa pensare. In Italia siamo fermi, per colpa di tutti e di nessuno. Per fortuna da gennaio scorso assieme a Miriam Vece siamo entrati nel Gruppo Sportivo dell’Esercito, che ci aiuta con le spese. Ma l’Esercito non può costruire un velodromo per due-tre atleti.

Perché Amadio parlando di te ha fatto riferimento al Centro Uci di Aigle?

Sono un sacco di mesi che spingo per andarci. Il guaio è che non ci sono posti. Hanno un ostello che fa da base per i ragazzi della pista e ora sono pieni (il centro di Aigle nasce per dare supporto agli atleti di Paesi poco sviluppati, difficile reclamare un posto per gli italiani, oltre quello già ottenuto da Miriam Vece, ndr).

Quest’anno Villa lo ha portato in Coppa del mondo a San Pietroburgo
Quest’anno Villa lo ha portato in Coppa del mondo a San Pietroburgo
Sarebbe una soluzione?

La numero uno. Hai la pista, la palestra, un allenatore e talenti di alto livello con cui confrontarti e crescere. Nel 2019 mi invitarono per dieci giorni di stage e mi trovai benissimo. Poi concordo che vivere lassù in certi giorni possa essere duro affettivamente, ma sono cose da sopportare se hai un traguardo da raggiungere.

Essere velocista significa gonfiarsi come Harrie Lavreysen che domina il settore?

Negli ultimi dieci anni la velocità è cambiata. Mi sono confrontato più volte con Roberto Chiappa, che è stato l’ultimo velocista di alto livello dell’Italia, e sono cambiati i rapporti e il modo di fare le volate. Erano dei giganti anche loro, ma correvano in modo molto diverso da oggi.

Con che rapporti si corre?

Sono diversi in qualifica e in finale e per arrivare a quelli dei big, c’è da lavorare tanto. Da junior facevo il lancio con il 53×13, ora uso il 63×13-14. Quelli forti davanti mettono il 70. Ci si arriva per step, adesso non avrei la forza per lanciarlo. Negli anni di Chiappa usavano rapporti più corti e facevano sprint più brevi ad altissima frequenza di pedalata. Ora la volata finale del keirin dura praticamente per tre giri.

Come è fatta la settimana del velocista?

Varia in base ai programmi e alle gare. Di solito comunque fai 3 sedute in palestra, 3 in pista, a volte la doppia sessione e un giorno di recupero. Poi hai il giorno in cui esci su strada, inserendolo magari quando fai palestra, e lì dipende se hai o meno la disponibilità del velodromo.

La volata nel keirin ormai è lunghissima e dura per gli ultimi tre giri
La volata nel keirin ormai è lunghissima e dura per gli ultimi tre giri
Che cosa vuoi dire?

Che se hai la pista, i lavori specifici li fai lì. Ma se come adesso la pista non c’è, allora devi provare a farli su strada. Solo che la bici da strada non è abbastanza performante, non è fatta per certe sollecitazioni e allora ci sarebbe quasi da usare su strada la bici da pista.

Senza freni e col fisso: ti è mai capitato?

Non ancora, ma so che si fa. Devi trovare una strada poco trafficata per fare partenze da fermo, senza arrivare mai al picco massimo di velocità. Altrimenti su strada fai 3-4 ore ed è anche il modo per distrarti un po’, perché quando lavori in pista devi essere molto concentrato.

Hai già un’idea di calendario per il prossimo anno?

Di solito il primo picco stagionale è a luglio con gli europei. Per prepararli si fanno internazionali di classe 1-2 e magari da elite non vai alle gare under 23. Prima del Covid i Paesi più frequentati erano Repubblica Ceca e Germania.

Al momento, in partenza Bianchi usa il 63×13-14. I big spingono anche il 70
Al momento, in partenza Bianchi usa il 63×13-14. I big spingono anche il 70
In Italia cosa c’è?

A proposito di solitudine, in Italia non c’è niente. Dalle Sei Giorni estive il programma veloce è stato cancellato e magari li capisco se si trovano al via solo dieci atleti.

Allora perché un ragazzino dovrebbe appassionarsi a uno sport che non vede neanche in tivù?

Bella domanda (ride, ndr). In tivù riesci a vedere due gare all’anno, perché Eurosport almeno trasmette i mondiali. Ora è nata la Champions League, vediamo come andrà. Io mi appassionai da allievo, dopo aver partecipato ai tricolori. Prima facendo tutte le specialità, poi capendo che continuando nella velocità avrei avuto più risultati e più soddisfazioni.

In questa Italia che non si decide, le Olimpiadi di Parigi sono un obiettivo o un miraggio?

Un obiettivo. Bisogna vedere come evolve la situazione già quest’anno, perché mancano solo tre anni che nella vita di un atleta non sono tanti. Possiamo puntare alla qualifica, se però cambia il metodo di lavoro anche qua. Se potessi, andrei subito fuori. Forse, stando così le cose, è il solo modo per puntarci seriamente.

Dalla BMX all’empireo della velocità: il regno di Harrie Lavreysen

29.10.2021
4 min
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Ricordate quando incontrando gli atleti della Bmx nel velodromo di Montichiari e parlando con il loro tecnico Tommasi Lupi venne fuori che in Olanda da quel tipo di base venivano fuori i velocisti su pista? Bene, la conferma è venuta ai recenti mondiali di Roubaix, dove Harrie Lavreysen si è portato a casa tra medaglie d’oro che si sono aggiunte alle due di Tokyo. Impressionando per la guida, l’esplosività e la struttura fisica.

La rivalità fra Lavreysen e Hoogland è uno stimolo per entrambi
La rivalità fra Lavreysen e Hoogland è uno stimolo per entrambi

Star della Bmx

Prima di indossare il body da pista e il casco aerodinamico, infatti, l’olandese di 24 anni si è fatto un nome proprio nella BMX. Tre volte campione europeo juniores tra il 2011 e il 2013, il ragazzo avrebbe avuto certamente davanti una carriera luminosa, anche se praticando una disciplina soggetta a cadute, la sua condizione oscillava spesso tra alti e bassi, entrate e uscite dall’ospedale. Finché nel 2014, ci ha messo un punto.

«Ero tornato al mio miglior livello – ha raccontato – e stavo andando alla grande, ma mi sono lussato entrambe le spalle».

Pare che siano stati gli stessi medici che lo sistemavano da anni a suggerirgli di cambiare sport. E così Harrie ha scelto di allenarsi sulla pista di Papendal, nel centro del Paese.

«E’ stato molto strano passare da professionista della BMX a dilettante su pista – ha raccontato – non sapevo cosa stavo facendo e mi sentivo ridicolo».

Innesco rapido

Eppure, a conferma del fatto che i due percorsi possono essere complementari, i frutti del cambiamento si sono iniziati a vedere quasi subito. Nel 2015, il ragazzo alto 1,81 e arrivato a 92 chili di peso forma, ha vinto subito il campionato nazionale di velocità a squadre. Il primo oro internazionale è arrivato tre anni dopo e da quel momento ha dato il via a un dominio incontrastato nelle discipline veloci.

Detentore del titolo mondiale di velocità a squadre dal 2018, Harrie si è distinto anche individualmente: nella velocità (2019, 2020, 2021) e nel keirin (2020, 2021). A Tokyo, l’olandese ha sfiorato una nuova tripletta, fallendo nel keirin (bronzo), sorpreso da Jason Kenny.

A Roubaix nella velocità ha battuto il compagno di nazionale Hoogland
A Roubaix nella velocità ha battuto il compagno di nazionale Hoogland

Rivalità da fare invidia

Lavreysen non è da solo. Ogni volta, succede infatti la stessa cosa. I due compagni nella squadra olandese di velocità a squadre, Jeffrey Hoogland e Harrie Lavreysen, diventano avversari all’ultimo respiro quando si tratta di eventi individuali. E se al traguardo uno dei due non è primo, ci sono buone probabilità che l’oro sia al collo dell’altro.

Come a Roubaix, dove Lavreysen, vincitore di keirin e velocità, ha avuto ogni volta dietro di sé il compagno più esperto. Ma questa rivalità non è malsana. I due olandesi condividono sempre la stessa stanza d’albergo prima delle grandi gare, si divertono, guardano film insieme e si tirano su.

«Mi alleno con il migliore al mondo – ha spiegato Hoogland prima delle Olimpadi – penso che ogni corridore sarebbe invidioso».

Un duro lavoratore

Quando Lavreysen non è in bicicletta, è in sala pesi e viceversa. Dedicato ormai totalmente alla pista, il sei volte campione del mondo è alla continua ricerca della forza. Nel 2015, infortunato, ha inviato un messaggio molto evocativo al suo preparatore atletico, Christian Bosse.

«Mi sono operato ieri – gli ha scritto – domani lascerò l’ospedale e al massimo entro due giorni voglio allenarmi. Non posso usare le braccia, puoi farmi ugualmente un programma?».

Oltre alle sessioni fisiche, Harrie Lavreysen trascorre lunghe ore davanti allo schermo, analizzando le sue prestazioni e quelle dei suoi futuri avversari. 

«Mi piace anche conoscere le caratteristiche della pista su cui correrò – ha spiegato – curo tutti i dettagli prima di andare da qualsiasi parte».

Per Ivan Quaranta, che a quanto si dice avrà in carico il settore velocità sotto l’occhio di Marco Villa, il riferimento è impressionante, ma in qualche modo l’iter dalla BMX alla pista potrebbe indicare la strada per arrivare a qualcosa di concreto in attesa che crescano dalla base dei giovani talenti. In Olanda l’hanno capito da anni, qui dobbiamo rimboccarci tutti le maniche.

Il punto con Martinello, sull’endurance e la velocità sparita

09.08.2021
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Ieri si è messo il punto sulle Olimpiadi di Tokyo 2020. E’ stata una spedizione storica per l’Italia con 40 medaglie totali (record assoluto) e vere e proprie imprese sportive in tantissime discipline (19 diverse, record anche questo). Il ciclismo non ha fatto mancare il suo apporto, in particolare quello su pista, e su Facebook abbiamo avuto il piacere e l’onore di commentarlo con un campione olimpico come Silvio Martinello, anche in diretta, nella rubrica #ATokyoConMartinello. Qui ci avvaliamo ancora una volta delle sue opinioni acute, a volte anche coraggiose, per fare a mente fredda un bilancio sulle gesta dei nostri e le nostre pistard, i risultati ottenuti e cosa si poteva fare di più.

Il quartetto azzurro è volato senza esitazioni verso il titolo olimpico e il record del mondo
Il quartetto azzurro è volato senza esitazioni verso il titolo olimpico e il record del mondo

Alla grande, ma si può migliorare

Martinello, tiriamo un po’ le somme, com’è andata per gli azzurri e le azzurre della pista?

Partiamo dal settore dell’endurance maschile. Il bilancio non può che essere positivo con due medaglie e tra queste la perla dell’oro nell’inseguimento a squadre con tanto di record del mondo e impresa storica. C’è un po’ di amaro in bocca per la madison, anche se a dir la verità io da quando seguo Viviani e Consonni ho sempre trovato qualche limite dal punto di vista del gesto tecnico e delle tempistiche dei cambi. E vedendoli in azione mi sembra che miglioramenti non ce ne siano stati.

Sono stati limiti determinanti per la prova?

Questi errori a lungo andare si ripercuotono anche sulla prestazione atletica. La condizione alla vigilia sembrava ottima tra l’oro di Consonni nell’inseguimento e il bronzo di Viviani nell’omnium, poi invece non si è rivelata all’altezza. Ma al di là di questo, le loro lacune principali sono in questi cambi fuori tempo o sbagliati. Difatti Elia ha anche dichiarato che per l’appuntamento di Parigi si prepareranno allenandosi di più insieme. Detto ciò, ribadisco che è stata una trasferta di successo per l’endurance maschile.

Azzurre giovani, brave e… sfortunate

Per quanto riguarda le donne invece?

Anche l’endurance femminile si può considerare positiva. Non sono arrivate medaglie, ma il quartetto ha fatto il record italiano ed è molto giovane. Nella madison tutto è stato condizionato dalla caduta di Elisa Balsamo, involontaria perché tamponata da dietro. Certo sarebbe stato difficile contrastare le britanniche che hanno fatto quello che volevano, ma si poteva obiettivamente pensare di lottare per il podio.

E nell’omnium?

Discorso simile alla madison con la caduta della Balsamo nello scratch che l’ha condizionata pesantemente, quindi ingiudicabile anche qui. A me lei piace moltissimo per come corre, tatticamente e per l’intelligenza superiore alla media. Anche lei giovanissima e con ampi margini di miglioramento. Guardiamo quindi a Parigi 2024 e al futuro con fiducia. E poi…

La velocità sparita

C’è dell’altro?

Direi proprio di sì, il punto è un discorso che feci anche 5 anni fa commentando le Olimpiadi di Rio 2016 in televisione, prendendomi per questa mia critica anche un richiamo ufficiale a Rai Sport dal presidente della Federciclismo Di Rocco.

Qual era questo discorso?

Il discorso era ed è che continuiamo a disinteressarci del settore della velocità, il quale mette in palio sei titoli proprio come il settore endurance. Così come cinque anni fa festeggiai la medaglia storica di Elia e allo stesso tempo nel bilancio della spedizione olimpica in TV sottolineai che ai Giochi ci sono anche sei prove veloci alle quali non partecipammo, così devo farlo anche adesso per Tokyo, visto che è andata uguale. In cinque anni non è stato assolutamente impostato nulla.

Non c’è stato proprio nessun segnale?

Nel femminile c’è un’atleta che si chiama Miriam Vece che ha fatto dei miglioramenti enormi. Il punto però è che anche lei però per diventare una velocista di livello internazionale e per provare a guadagnarsi un posto a Parigi 2024 è dovuta emigrare e andare al World Cycling Center di Aigle, in Svizzera. Un centro che è stato creato per sostenere le federazioni che non riescono a supportare i loro atleti più talentuosi, quindi per quei cosiddetti “Paesi del terzo mondo”. Ma la nostra federazione ed il nostro Paese, almeno a livello ciclistico, non dovrebbe essere considerato tale.

Quindi un esempio positivo, ma che non cambia il discorso?

Esatto, un’eccezione al di là della quale mi trovo comunque costretto a constatare che non abbiamo ancora impostato minimamente il settore della velocità, anzi che di fatto non esiste proprio. Non so se questa nuova dirigenza federale abbia un progetto serio a riguardo. Salvoldi e Villa sono bravissimi, ma non possono occuparsi anche di questo, perché semplicemente non è il loro. Nel frattempo comunque abbiamo scelto di nuovo che quei sei titoli olimpici in palio non ci interessavano. Questa è una scelta, appunto, e come tale la commentiamo e la dobbiamo tenere in considerazione facendo il punto complessivo sulla spedizione.

Miriam Vece Europei 2020

Velocità senza azzurri, ma la Vece guarda già avanti

21.07.2021
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Se è vero che dal 2012 la spedizione italiana su pista (allora ridotta al solo Elia Viviani impegnato nell’Omnium e finito 6°) è andata espandendosi, continua a latitare nel settore velocità: una grande parte delle gare di Tokyo 2020 ci vedranno semplici spettatori ed è così da molto tempo, praticamente da quando Roberto Chiappa ha appeso la bici al chiodo.

Miriam Vece ci ha provato ed è indubbio che in questi 5 anni sia cresciuta a dismisura, fino ad arrivare sul podio mondiale nei 500 metri da fermo. Peccato però che la gara non faccia parte del programma olimpico e che nelle altre prove (velocità e keirin) ci siano ancora dei passi da fare per arrivare nell’elite planetaria. Intanto però la portacolori dell’Esercito continua ad allenarsi e intanto vive la sua attesa olimpica, come ogni altro appassionato sportivo.

Come stai vivendo da spettatrice l’attesa per questi Giochi Olimpici e quant’è il rammarico per non essere potuta entrare nel gruppo delle partecipanti?

Sinceramente la sto vivendo bene, so che mancano pochi giorni ormai e non vedo l’ora di vedere le mie compagne di nazionale e i ragazzi con cui mi alleno correre e far vedere quanto valgano. Certo non posso negare che ho dentro di me un forte disappunto per non esserci anch’io: a volte penso che non accenderò la TV finché le Olimpiadi non saranno finite, altre penso che è andata così e da qui posso solo imparare e migliorare.

Vece Europei 2020
Miriam Vece con il bronzo dei 500 metri da fermo agli Europei 2020, dopo quello vinto ai Mondiali
Vece Europei 2020
Miriam Vece con il bronzo dei 500 metri da fermo agli Europei 2020, dopo quello vinto ai Mondiali
Riguardando indietro, pensi che ci fosse davvero la possibilità di qualificarti o sei conscia che il processo di maturazione è più orientato verso Parigi 2024?

Non so onestamente come sarebbe andata se avessi iniziato ad allenarmi solo da velocista e cosi seriamente magari un anno prima. Nella velocità ci vuole tanta esperienza e tattica, cosa in cui sto migliorando di gara in gara, ma purtroppo con i se e i ma non si va da nessuna parte e la qualifica per Tokyo 2020/1 non è arrivata. Ora sicuramente il mio obiettivo più grande sarà Parigi 2024 e posso assicurare che ci sto già lavorando.

Tu sei giovanissima, ma eri bambina quando l’Italia presentò l’ultimo azzurro nella velocità (Roberto Chiappa nel 2008) mentre al femminile non siamo mai stati presenti: secondo te negli ultimi anni sono stati fatti progressi nel settore o siamo ancora molto indietro?

Sicuramente il nostro livello non è paragonabile al livello delle nazionali Top come Olanda, Gran Bretagna e altre, ma sono convinta che pian piano l’Italia si stia facendo rivedere. Penso che le due medaglie di bronzo vinte da me nel 2020 han fatto vedere che l’Italia si sta dando da fare e spero che questo possa rappresentare solo l’inizio. Allenandomi a Montichiari ho visto un gruppetto di 3 junior allenarsi da velociste, spero non mollino e vadano avanti, anche se essere velocista su pista vuol dire mollare completamente la strada e so che ad alcuni diesse la cosa non va molto giù…

Si parla spesso delle differenze fisiche prima ancora che tecniche tra i nostri specialisti e quelli delle nazioni più in voga (Olanda, Australia, Paesi orientali): è davvero tutta questione di muscoli?

La palestra fa una gran parte del lavoro, ma non tutto. Ci sono velociste come Voinova, la Welte e altre ragazze che hanno muscoli, ma non sono enormi eppure vanno fortissimo. Spingere i rapporti lunghi è la base al giorno d’oggi, che si allena sia in pista che in palestra e la tattica/tecnica fa la sua bella parte in gara, puoi essere veloce e forte quanto vuoi ma se non sai correre non vai lontano, parlo anche per esperienza personale: mi è capitato un paio di volte di essere quella col tempo migliore tra le due in batteria e poi ho perso la gara…

Gros Welte Europei 2018
La francese Gros e la tedesca Welte, due delle pretendenti al podio nella velocità a Tokyo
Gros Welte Europei 2018
La francese Gros e la tedesca Welte, due delle pretendenti al podio nella velocità a Tokyo
Tu che le atlete più forti le hai conosciute ed affrontate, chi vedi favorite per il podio olimpico nelle tre specialità (velocità individuale e a squadre e keirin)?

Ci sono tante ragazze che vanno forte ed è da un po’ che non ci sono gare internazionali e non le vedo correre, quindi non saprei. Ma sul podio della sfida per team sicuro metto Germania, Russia e credo Cina. Anche nella velocità e keirin sul podio vedo le tedesche; Sara Lee da Hong Kong penso sia un’altra delle favorite come può esserlo l’inglese Marchant , già medaglia olimpica a Rio. Nel keirin sul podio penso che ci sarà anche la coreana Lee. Poi in gara tutto può succedere, anche le russe, le olandesi e la francese Gros nelle specialità individuali non sono da sottovalutare.

Quanto inciderà l’assenza di eventi da oltre un anno per alcuni Paesi e pochissimi per altri (gli Europei disputati solo nel 2020 e a ranghi ridotti, annullati nel 2021, Mondiali disputati appena prima dello scoppio della pandemia)?

Il non correre per così tanto inciderà: l’adrenalina, l’ansia e la tensione prima di gare così importanti non si può vivere in allenamento, a differenza magari di un 200 metri lanciato che lo si può provare esattamente come si farebbe in gara.

Secondo te anche le condizioni particolari della rassegna olimpica, con gare senza pubblico, influiranno sugli esiti delle prove?

Se fosse una domanda personale per me ti direi sì. Sentire il pubblico urlare, applaudire e incitare mi dà sempre quella carica in più, poi va da persona a persona ma sono convinta che tanti atleti la pensano come me.

Lavreysen Hoogland 2020
Da sinistra Hoogland e Lavreysen, olandesi, secondo e primo ai Mondiali 2020. Una doppietta che si ripeterà?
Lavreysen Hoogland 2020
Da sinistra Hoogland e Lavreysen, olandesi, secondo e primo ai Mondiali 2020. Una doppietta che si ripeterà?
In campo maschile, considerando sempre le tre prove del settore, quali saranno i corridori e le scuole che si metteranno maggiormente in luce?

In campo maschile sul podio del TS mi aspetto olandesi e inglesi, sarà sicuramente una bellissima battaglia tra di loro come credo anche nella velocità e nel keirin. Gli olandesi sono campioni del mondo da anni e sicuramente faranno di tutto per vincere l’oro. Nelle specialità individuali penso che diranno la loro anche i giapponesi e australiani, poi penso che anche Nico Paul da Trinidad and Tobago che detiene il record nel mondo nei 200 metri possa fare molto bene nella velocità.

Tre soli anni per arrivare a Parigi: secondo te è un tempo ridotto per rimescolare le carte dopo Tokyo e quindi pensare a un contingente italiano più corposo e completo?

Penso che l’Italia, almeno in campo femminile, a Parigi avrà più esperienza e sono quasi certa che per alcune di loro sarà la seconda Olimpiade, sono tutte giovani e c’è ancora margine per migliorare. In campo velocità speriamo che tre anni siano abbastanza per arrivare dove vogliamo.

Che cosa significherebbe per te qualificarti per allora?

Qualificarmi per Parigi sarebbe il sogno di una vita, sarebbe scrivere la storia della velocità femminile in Italia ed è qualcosa che voglio e spero di riuscire a fare.

Ma adesso Villa dice la sua sulla velocità

07.01.2021
5 min
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Villa ha letto le interviste di Chiappa, Guardini e Ceci. Ha mescolato tutto e l’ha lasciato lì. Poi quando la lievitazione è stata completa, essendo il cittì della pista un uomo flemmatico e poco avvezzo alle polemiche, ha sentito il legittimo desiderio di dire la sua. Del resto, se hai la sensazione che ti abbiano sparato contro e non reagisci, questo probabilmente il suo ragionamento, qualcuno potrebbe pensare che i colpi fossero giusti.

In questi giorni, Marco sta completando le prenotazioni per un ritiro alle Canarie con gli inseguitori rimasti orfani della Vuelta San Juan. Ganna gli ha dato l’idea, suggerendogli l’hotel in cui è andato prima di Natale, e in un baleno Villa ha fatto le prenotazioni. Il suo scopo è arrivare a giugno senza differenza abissali di chilometri e corse nelle gambe fra quelli che correranno da professionisti e gli altri che dovranno accontentarsi dell’attività su strada delle continental. Ma adesso si parla della velocità.

«Se avessi due corridori – dice Villa, che nella foto di apertura è a Rio dopo l’oro di Viviani nell’omnium – se avessi due Ganna anche per la velocità, farei il tecnico di specialità 24 ore al giorno. E non c’entra il fatto che io non sia mai stato un velocista. Non sono mai stato neppure un inseguitore, però mi sembra che nell’inseguimento qualcosa l’abbiamo portato a casa. Ceci ha raccontato di aver avuto come tecnico suo zio e poi anche Valoppi. Quando è arrivato in nazionale ha chiesto di lavorare con il suo staff e le sue tabelle. Gli abbiamo dato carta bianca, ma a patto che venissero i risultati. Invece sono 4 anni che non ci qualifichiamo per i mondiali…».

Francesco Ceci, Marco Villa, campionati del mondo Pista 2013 Minsk
Francesco Ceci e Marco Villa ai campionati del mondo del 2013 a Minsk
Francesco Ceci, Marco Villa, campionati del mondo Pista 2013 Minsk
Francesco Ceci e Marco Villa ai mondiali di Minsk 2013
La sensazione è che Ceci lamenti la poca attenzione.

La sensazione non so. Il dato certo è che quando c’erano gli altri in ritiro, lui è sempre venuto. Francesco ha fatto più Coppe del mondo di tutti, nonostante a quelli forti per qualificarsi ne bastino solitamente tre. Lui forse ne ha saltata una su sei, ma i risultati non sono stati sufficienti. E questa è matematica.

Sei tu il tecnico dei velocisti?

Sono il responsabile dell’attività su pista. Ho io in mano il portafogli, ma il dato oggettivo, purtroppo, è che non ci sono velocisti e non c’è un calendario. Li scelgo in base ai risultati della strada e li porto ai mondiali senza gare. Ho visto quel che ha detto Guardini, con Mareczko nella sua stessa situazione. Ma io vi parlo di Peschiera, che forse era il più velocista di tutti. L’hanno voluto portare a fare le volate su strada e dopo due anni ha smesso. Vi parlo di Gasparrini, che era un signor velocista e ha vinto titoli italiani di chilometro, keirin e velocità.

RIno Gasparrini, Gp Mezzana 2011
Rino Gasparrini, marchigiano come Ceci, qui vince il Gp Mezzana del 2011
RIno Gasparrini, Gp Mezzana 2011
Gasparrini vince il Gp Mezzana del 2011
Chiappa ha raccontato di quando i velocisti venivano incentivati con borse di studio e un posto nei Corpi militari.

Le Fiamme Azzurre ci dicono che per entrare ci sono dei corsi da passare e servono titoli di merito che derivano da vittorie di campionati europei, medaglie ai campionati del mondo o in specialità olimpiche. Non è semplice prendere uno junior e mandarlo da loro. Devi fare la gavetta, come su strada. Solo che i ragazzi sono disposti a tirare la cinghia per diventare stradisti, mentre scappano se gliela proponi in pista. Credono alle squadre che li ingaggiano per vincere le volate nei piattoni del martedì e non a noi che gli proponiamo i mondiali e le Olimpiadi. E’ una questione di mentalità. Mi piacerebbe che venisse un giovane velocista a dirmi che ha intenzione di investire su se stesso in queste specialità. Ma non ci sono. E allora l’ideale forse è cercarli in ambienti in cui non ci sia il sogno di fare il Giro d’Italia. Nella Bmx o nel pattinaggio, ad esempio.

Non può essere solo Villa a farlo…

Potrebbe essere l’attività ideale del Centro Studi della Federazione in accordo con quello del Coni. Si può fare reclutamento nelle scuole, andando in giro con una watt bike e facendo dei test a tappeto. Negli ultimi anni siamo andati avanti con Ceci, che l’ultima volta comunque ha chiesto di essere seguito dai tecnici federali e gli è stato assegnato Bragato.

Andrea Guardini, campionati europei juniores keirin, 2007
Andrea Guardini, primo ai campionati europei juniores keirin del 2007
Andrea Guardini, campionati europei juniores keirin, 2007
Guardini, campione europeo juniores 2007 nel keirin
Quanto vale Ceci?

Nel quartetto di adesso poteva essere un Lamon. Ha scelto la velocità, ha vinto tanti titoli, ma forse gli manca la punta per essere al livello dei migliori. In pista si inventa poco, basta guardare i tempi.

Servirebbe un Viviani della velocità…

Il quartetto grazie a lui e a Ganna, ma anche grazie all’attenzione dei media, adesso ha una grande visibilità. Al punto che c’è gente che vorrebbe fare le tattiche e le formazioni. Benvenga. La velocità ha bisogno di più gare. Vedo degli juniores interessanti ora. Napolitano, che sembra mentalizzato. Anche Bianchi. Ma non ci sono gare in cui fare esperienza e andare all’estero si può fare, ma il budget è lo stesso per tutti.

Significa che si spende solo per gli inseguitori?

No, significa che se devo togliere soldi al settore endurance, bisogna che si vada all’estero a fare risultati. Ma ad ora non abbiamo questo livello, per cui prima di andare fuori, sarebbe bene fare esperienza in Italia. Di fatto, per me sarebbe una bella sfida allenare i velocisti, come lo è stato studiare per allenare gli inseguitori. Con loro abbiamo invertito la rotta e ci siamo guadagnati la fiducia dei tecnici dei club. Riuscirci con la velocità sarebbe davvero una bella sfida.

Francesco Ceci, europei Chilometro da fermo, Apeldoorn 2019

La ricetta di Ceci: un tecnico e un metodo di lavoro

04.01.2021
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E’ bastata un’intervista a Roberto Chiappa per rimettere improvvisamente in moto l’attenzione attorno al settore della velocità che, come dice il gigante umbro, fra uomini e donne assegna 18 medaglie olimpiche. Può una Nazione come l’Italia rinunciarvi a cuor leggero?

L’ultimo azzurro che ha sfiorato la qualificazione per Rio 2016 è stato Francesco Ceci, ascolano classe 1989 come Guardini, sulla cui esclusione si è molto dibattuto. In sintesi, il 7 marzo del 2016, il marchigiano era convinto di aver ottenuto la qualificazione tramite ripescaggio dopo l’ultima prova di Coppa del mondo. Ma mentre i festeggiamenti erano al culmine, ci si è accorti che il suo nome non risultava fra quelli indicati dall’Uci. La federazione internazionale infatti aveva interpretato a modo suo una norma del regolamento, ripescando due giapponesi e mettendo Ceci come prima riserva. Secondo Coni e Fci, invece, non sarebbe stato possibile ripescare più di un atleta per Nazione. Si arrivò fino alle porte di un ricorso al Tas, cui però alla fine si rinunciò per i costi elevati e le ridotte possibilità di spuntarla. E indirettamente si venne ricompensati con il ripescaggio del quartetto, data l’esclusione dell’equipaggio russo.

Francesco Ceci, campionati del mondo Pista 2013 Minsk, Keirin
Francesco Ceci nel keirin, ai campionati del mondo 2013 a Minsk
Francesco Ceci, campionati del mondo Pista 2013 Minsk, Keirin
Ceci ai mondiali di Minsk 2013, nel keirin

Grazie alla possibilità di qualificarsi, tuttavia, Ceci ha ottenuto l’assunzione nelle Fiamme Azzurre e nei due anni scorsi ha riprovato a qualificarsi per Tokyo, perdendo ogni chance per una clavicola fratturata, che lo ha tagliato fuori dalle prove decisive.

Che cosa fa oggi Ceci e cosa pensa di quello che hanno detto Chiappa e Guardini?

Ceci ha ripreso ad allenarsi. Ho tolto la placca dalla clavicola e sto aspettando di avere un calendario. Dal 2015 sono nelle Fiamme Azzurre e questo mi permette di continuare a fare attività sportiva, in un settore da cui l’Italia è progressivamente scomparsa. Tirano fuori sempre la scusa che non ci sono ragazzi, ma vedendo che al mondo stanno emergendo Polonia, Lituania e Kazahstan, mi rifiuto di credere che il nostro bacino non sia alla loro altezza. Piuttosto mancano un tecnico di riferimento e investimenti adeguati.

E’ un calendario costoso?

E’ particolare. Nel mio caso, l’unico modo per andare all’estero è con la nazionale. Le Fiamme Azzurre sono un corpo operativo sul suolo italiano, per cui possono sostenere la mia attività soltanto in Italia. Quindi, se non vado con la nazionale, devo pagare da me. Noi andiamo avanti grazie alla squadra, prima Ceci Dream Bike e ora Piceno Bike, ma il calendario è limitato. In Italia nel 2020 ci sono state due sole gare.

Francesco Ceci, Marco Villa, campionati del mondo Pista 2013 Minsk
Sempre ai mondiali di Minsk 2013, con Marco Villa che lo lancia in pista
Francesco Ceci, Marco Villa, campionati del mondo Pista 2013 Minsk
Con Marco Villa, ai mondiali di Minsk 2013
Davanti alla parola “investimenti” qualcuno potrebbe vacillare.

Non sto parlando di cifre proibitive, semplicemente individuare un tecnico preparato e fare la giusta programmazione. Le grandi Nazioni fanno ritiri, si allenano insieme. In Italia non servirebbero 7 mesi di ritiro ogni anno, ma se avvicini un ragazzo, per coinvolgerlo devi proporgli un programma e un metodo di allenamento.

Come funziona l’attività di un velocista?

Ho lasciato le gare su strada al primo anno da U23 ed era già tardi, perché alcuni miei coetanei si sono specializzati su pista sin da juniores. Eravamo un gruppo di una decina, con Federico Paris e Pavel Buran come tecnici e dopo di loro Collinelli e mio zio Vincenzo (Vincenzo Ceci, che partecipò alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1984, ndr). La stagione delle gare era prettamente invernale, con le Coppe del mondo da ottobre a febbraio, quindi gli europei e i mondiali a chiudere. A primavera un po’ recuperavi e poi ricominciavi la preparazione e le prove di qualificazione alla Coppa del mondo in giro per l’Europa. Adesso il calendario è in fase di riforma.

Francesco Ceci, campionati italiani 2018, Vigorelli
Ai campionati italiani del 2018 al Vigorelli, vince il tricolore keirin su suo cugino Luca
Francesco Ceci, campionati italiani 2018, Vigorelli
Tricolore nel keirini al Vigorelli nel 2018
Esisteva un calendario italiano?

Fino al 2010 abbiamo avuto il Giro d’Italia delle Piste, un circuito di 4 prove che non davano punti internazionali, ma servivano per visionare i ragazzi. Si correva prettamente su pista scoperta, anche perché Montichiari è stato inaugurato a maggio del 2009.

Hai letto le parole di Chiappa, che cosa pensi della situazione?

Ho sempre la speranza di uno scatto in avanti. Servirebbe trovare un tecnico con la giusta competenza, senza andare a cercarlo all’estero, come si provò a fare con Morelon, che chiese anche un sacco di soldi e alla fine non venne. La velocità è un mondo a sé, quali sono i tecnici giusti nell’ambiente si sa. Anche all’estero sono tutti ex velocisti, che sono titolari del settore oppure affiancano altri tecnici. La preparazione è molto diversa e sta cambiando.

Diversa da cosa?

Dal settore endurance, ad esempio, anche se pure loro si stanno spostando verso la forza, usando rapporti come il 60×13. Nel 2008, facevo le volate con il 48×13, nel 2019 in Bielorussia per il keirin usai il 58×13 e so che alcuni vanno più duri. C’è stata evoluzione in ogni dettaglio.

Francesco Ceci, europei Glasgow 2018, velocità
Non va bene nella velocità agli europei di Glasgow 2018
Francesco Ceci, europei Glasgow 2018, velocità
Glasgow 2018, campionati europei velocità
Cosa pensi di quello che ha detto Guardini?

Ho letto la sua intervista. Andrea me lo ricordo bene, perché nella fase di transizione dalla pista alla strada, facemmo parecchia attività insieme. Nel 2009 vincemmo insieme, con lui e mio fratello Luca, il campionato italiano della velocità a squadre. Da junior per me era imbattibile, ma già l’anno successivo iniziò a perdere smalto e specializzazione e cominciai ad arrivargli davanti.

Quindi trovi corretto quello che dice sull’incompatibilità tra velocità e volate su strada?

Sono due mondi diversi. Ricordo che fosse parecchio contento di andare di là a guadagnare di più, anche perché per noi velocisti non c’erano grandi prospettive. Ho fatto da poco il corso per tecnico di 3° livello e si è parlato molto di multidisciplina. Ai miei tempi, nessuno mi propose il cross o la mountain bike, ma certo il velocista a un certo punto deve fare una scelta. Da junior ero 71 chili, ora sono a 81, ma sono cambiamenti che fai quando sei certo che ne valga la pena.

Si può tornare a un settore pista che funzioni e richiami i ragazzi?

Alle due condizioni dette prima: un tecnico e un metodo di lavoro. Se fai vedere alle famiglie che i ragazzi non sono abbandonati, le piste tornano a riempirsi. Che poi in questo periodo di paura della strada…