Il test del lattato, come si fa e a cosa serve

04.12.2022
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Il test del lattato e l’analisi delle diverse soglie di lavoro, pensando al training specifico, solo qualche stagione addietro erano una particolarità. Ora sono una sorta di standard per professionisti, giovani e anche per gli amatori più evoluti.

Entriamo nell’ambito dei test di valutazione, in particolare nel test del lattato. Ci aiuta ad approcciare ed argomentare Michele Dalla Piazza, laureato in Scienze Motorie e figlio del conosciutissimo Alfiero, biomeccanico di tanti pro’. Grazie alle sue competenze e alla capacità di analizzare i dati in modo approfondito, Michele cura la preparazione di numerosi atleti professionisti di primissimo livello.

I diversi dati che si ottengono in tempo reale e che vengono analizzati nella fase successiva
I diversi dati che si ottengono in tempo reale e che vengono analizzati nella fase successiva

Chi è Michele Dalla Piazza

«Fin da giovane – racconta – ho assistito mio padre Alfiero nel lavoro del posizionamento in bici. All’età di 24 anni mi sono laureato in Scienze Motorie presso l’Università di Verona, appassionandomi al mondo della fisiologia dell’esercizio. Oggi ho 37 anni, nonostante la decisione di seguire le orme di mio padre, ho sempre curato l’aspetto della misurazione del metabolismo, partendo da semplici test, su cui monitoravo l’ossigeno, la potenza e frequenza cardiaca, fino ad arrivare a fare test più complessi, utilizzando il metodo di calorimetria indiretta e la misurazione del lattato».

Le fasi di preparazione del test sono diverse e specifiche anche per il preparatore
Le fasi di preparazione del test sono diverse e specifiche anche per il preparatore
Cos’è il test del lattato?

Prima di parlare di test del lattato, penso sia utile dire cos’è un test. Il test è una prova, che segue determinati criteri di operazione, di analisi e di valutazione. Nel nostro caso parliamo di un evento in cui analizziamo e valutiamo lo sforzo dell’atleta, utilizzando la misurazione del lattato. Per semplicità, consideriamo il lattato come una sorta intermediario metabolico. Questo ha importanti funzioni, come ad esempio immagazzinare e fornire energia nelle diverse vie metaboliche e tessuti del nostro corpo all’aumentare dell’intensità di esercizio aumenta la sua concentrazione nel sangue.

Il test del lattato eseguito da Michele Dalla Piazza
Il test del lattato eseguito da Michele Dalla Piazza
Esistono vari modi per misurare il lattato nel sangue?

Il concetto di soglia di lattato nel sangue si è sviluppato più di 70 anni fa e, nonostante ciò, in ricerca si presentano più punti di contesa che accordo, che cercano di definire quale sia il miglior approccio per definire e trovare questa soglia nel sangue. Ci sono molte metodologie di test. Si è visto che la misura stessa della concentrazione di lattato nel sangue in risposta a un determinato esercizio fornisce informazioni valide che hanno applicazioni sullo sport. L’importante è documentare in maniera chiara il protocollo di test che si decide di utilizzare e in base alle varie tecniche di calcolo.

I dati che emergono sono sovrapponibili?

Il test del lattato con i suoi valori è confrontabile ed è sovrapponibile solo se fatto nella stessa modalità del test precedente. Il test del lattato nel ciclismo viene eseguito per valutare le caratteristiche dell’atleta dal punto di vista endurance. Lo sforzo al quale è sottoposto l’atleta ci consente di ottenere la famosa curva di lattato. Il risultato è ottenuto grazie ad un semplice piano cartesiano che riporta la concentrazione di lattato del sangue in rapporto all’intensità di esercizio.

Il dispositivo che controlla la presenza di lattato nel sangue
Il dispositivo che controlla la presenza di lattato nel sangue
Punto di vista endurance, cosa significa?

Ci sono dei test del lattato che adottano altri protocolli di analisi e valutazione. Sono usati per definire le caratteristiche anaerobiche dell’atleta.

Perché si esegue un test del lattato incrementale?

E’ un ottimo indicatore per valutare l’adattamento ad un determinato periodo di allenamento. E’ anche un ottimo indicatore del potenziale che può avere un atleta di endurance e il ciclismo è tendenzialmente uno sport di endurance. In più, è un ottimo test per guidare il preparatore atletico a prescrivere le intensità di allenamento.

Il simulatore su cui l’atleta esegue il test sotto sforzo
Il simulatore su cui l’atleta esegue il test sotto sforzo
Come si svolge?

La misurazione del lattato avviene applicando una goccia di sangue dell’atleta a un dispositivo di misurazione. Tale goccia è ottenuta utilizzando un “pungidito” sul lobo dell’orecchio o punta delle dita. E’ indolore. Solitamente il test del lattato viene eseguito in laboratorio su cicloergometro applicando un protocollo incrementale a step tra 3 e 5 minuti. L’incremento di intensità da uno step all’altro e la sua durata di tempo, dipendono dalla scelta dell’operatore in base alle proprie conoscenze ed abitudini di calcolo.

Il dispositivo di valutazione metabolica, collegato alla mascherina
Il dispositivo di valutazione metabolica, collegato alla mascherina
Quali macchinari sono necessari?

Un dispositivo per la valutazione metabolica, che è comprensivo di mascherina. Un misuratore di lattato e ovviamente tutto quello che è legato alla parte informatica di analisi del test.

Cosa rileviamo dal test?

Nel test a protocollo incrementale, un classico metodo di rilevamento, è individuare due soglie: soglia lattato 1 o con l’acronimo LT1, soglia lattato 2 LT2. Come anticipato si presentano vari metodi. Un metodo classico è individuare queste due soglie riferendosi a dei valori fissi di lattato, nel quale si definisce la LT1 a 2 mmol/L e la LT2 a 4 mmol/L.

Il grafico mostra il test eseguito a distanza di 1 anno, con il miglioramento delle soglie lattacide
Il grafico mostra il test eseguito a distanza di 1 anno, con il miglioramento delle soglie lattacide
Con i risultati del test dove si va a lavorare?

Il test del lattato incrementale consente di definire le intensità allenanti, classificandole con le zone di allenamento. Personalmente, quando mi trovo nella situazione di definire le zone di allenamento utilizzando LT1 e LT2, utilizzo la metodologia della Australian Institute of Sport. Entrare nello specifico del metodo australiano sarebbe molto articolato, per semplificare andiamo a considerare le cinque zone di intensità aerobica:

  • intensità aerobica leggera, o meglio “zona 1”, sotto alla LT1
  • intensità aerobica moderata, la “zona 2”, prima metà tra i valori di intensità tra LT1 e LT2
  • intensità a soglia, la “zona 4” un po’ più complessa da definire, sono i valori rilevati da 3 mmol/L a 5 mmol/L
  • infine, intensità aerobica massimale, la “zona 5” sono tutti quei valori rilevati sopra i 5 mmol/L2.

Per il resto in base agli obiettivi dell’atleta e alla disciplina ciclistica, il preparatore atletico definisce il programma di allenamento.

Importante anche il rapporto che si instaura tra atleta e preparatore
Importante anche il rapporto che si instaura tra atleta e preparatore
Tecnicamente, ci sono delle variabili da considerare?

Il test viene utilizzato per documentare, se c’è stato, un miglioramento in un determinato periodo di allenamento. Le condizioni ambientali fanno la loro parte. Molti studi dimostrano che all’aumentare della temperatura ambientale aumentano le concentrazioni di lattato nel sangue, così come con l’esposizione all’altitudine. E altri aspetti da tenere ben presente sono lo stato nutrizionale, l’orario del giorno e il posizionamento in bici. Ma non è tutto, perché influisce anche il ciclo mestruale nel caso delle atlete di sesso femminile ed è buona cosa documentare il periodo dello status di ciclo.

Una delle variabili è anche il fitting sulla bici?

Si è così, la posizione sulla bici influisce sulla performance e tutto quello che gira intorno alla fase di sforzo. L’ideale sarebbe utilizzare la propria bicicletta collegata con un ciclosimulatore. Quando si utilizzano delle cyclette sarebbe importante riportare le proprie misure nel modo più fedele possibile.

A chi si rivolge?

Il test del lattato incrementale è rivolto a qualsiasi persona che voglia praticare ciclismo seguendo un piano di allenamento. E’ ottimo per definire le intensità ideali per avere un effetto allenante e soprattutto è un metodo molto sensibile e sicuro nel documentare gli effetti avuti in seguito ad un determinato periodo di allenamento.

Wilier Rave SLR, il gravel race non è l’unica opzione

02.11.2022
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Il test della Wilier Rave SLR

La Wilier Rave SLR è un progetto pensato e sviluppato molto bene. In fatto d’impatto estetico è molto stradale, richiama l’iconico design Wilier delle piattaforme road ed ha un approccio race che non passa inosservato. Sulle strade sconnesse sorprende, lo fa non poco.

E’ una bicicletta che dà il meglio di sé nel contesto gravel race, considerando anche un allestimento adeguato. La nostra prova si è sviluppata in momenti diversi e include anche il mondiale gravel UCI che si è svolto in Veneto .

A Cittadella, al termine del mondiale, categorie amatoriali ovviamente (foto Sara Carena)
A Cittadella, al termine del mondiale, categorie amatoriali ovviamente (foto Sara Carena)

Rave SLR, test a tutto tondo

Il framekit è quello della Rave SLR, quindi un monoscocca in carbonio che vede l’inserimento di una particolare membrana viscoelastica che prende il nome di Liquid Crystal Polymer. Ovviamente ci sono delle differenze, legate principalmente al posizionamento delle pelli di carbonio, ma il procedimento di costruzione è lo stesso adottato per la produzione delle biciclette Zero e Filante. Da tenere ben presente però, che la Rave SLR è categorizzata come endurance, un suffisso che aiuta a contestualizzare il prodotto ed il suo animo di bicicletta non estremizzata.

L’abbiamo utilizzata con il cockpit Wilier Zero, ovvero il manubrio in carbonio molto road race oriented, con la trasmissione Shimano Ultegra Di2 a 12 rapporti e con il doppio plateau anteriore (50/34 davanti e 11/34 dietro). Il nostro test si è completato con l’impiego di tre differenti tipologie di ruote: le Deda Gera Carbon ( usante anche al mondiale e gommate Challenge, tubeless con sezione da 36), le ruote Wilier SLR42 (con gomme Vittoria da 35) e le Miche Graff Route (gommate Schwalbe, da 40).

La trasmissione stradale

Può essere un vantaggio sotto tanti punti di vista. Deve avere una combinazione di rapporto adeguata, non solo ai vari contesti ambientali, ma anche alla “gamba”, perché spingere il 50 su strada non è come spingerlo in offroad. Il range di utilizzo del cambio è davvero ampio e su una bicicletta del genere è un fattore da considerare, perché si può sfruttare bene su strada (anche con gomme radiali) al pari di una bici votata alle lunghe distanze e molto bene nell’ambito gravel race.

Inoltre, il design compatto e asciutto del deragliatore Ultegra di ultima generazione offre dei vantaggi per il passaggio delle gomme da 40 con tasselli laterali sporgenti, quello che non accadeva con il deragliatore delle vecchi cambi (trasmissioni Di2 ad 11 rapporti). Invece la luce tra la gomma anteriore e la forcella è ampio.

E poi ci sono i numeri che rappresentano le geometrie, valori facilmente accostabili ad una bici road di alto livello, ma che al pari della prestazione non sacrificano una certa comodità, stabilità e piacere di guida. Il carro posteriore è leggermente più lungo, se paragonato ad una bicicletta “solo” da strada, sinonimo di stabilità e trazione. L’angolo dello sterzo si sviluppa tra i 70° e 72°, in base alle taglie, aperto in avanti, ma non troppo e infatti la Wilier Rave si guida bene. Non è lenta nei cambi di direzione, anche sullo sterrato (soprattuto in off-road).

Il passo complessivo della bicicletta è in linea con le bici gravel race di ultimissima generazione, segno che la Rave SLR è stata sviluppata anticipando le tendenze.

Le ruote

Con le ruote Deda, dal profilo ridotto e usate in competizione con i tubeless da 36, la Wilier Rave diventa davvero agile, molto più sull’anteriore. Le Gera Carbon non sono ruote estremamente rigide e offrono un elevato potere ammortizzante anche sui sassi sporgenti. Un altro vantaggio di questa combinazione è un buon comfort dopo tante ore di sella tra asfalto, sterrato e concentrazione.

Con le Wilier SLR42, la Rave SLR assume i contorni di una vera bici road e all-road. Queste ruote diventano il simbolo della configurazione più versatile e veloce, ma anche esigente quando si affronta lo sterrato importante, quello veramente sconnesso. Perché versatile? Perché le ruote Wilier con questo profilo vestono alla perfezione la bicicletta e sono molto gratificanti da usare su strada anche gomme da 30 e 32 millimetri. Se usate fuoristrada, il manto non deve essere eccessivamente smosso, oppure è necessario prevedere ruote con una sezione almeno da 40 millimetri ed avere un po’ di manico.

Con le Graff Route di Miche abbiamo un pacchetto votato al gravel race nel senso stretto della considerazione. A nostro parere è l’abbinamento più corsaiolo e agonistico, che esprime anche una maggiore rigidità proprio nella parte bassa della bici. La scorrevolezza del mezzo è eccellente, lo è alle basse ed alte velocità, lo è nei cambi di ritmo anche sullo sterrato, nonostante una rigidità che non fa fatica ad emergere. E’ fondamentale adeguare gli pneumatici, in base alla natura del percorso e allo stile di guida.

In conclusione

Volendo sfruttare un accostamento motoristico, la Wilier Rave SLR è una sorta di supermotard. Non è “solamente” una bicicletta endurance se la portiamo sull’asfalto, perché ha un boost in più, decisamente superiore alla media della categoria. E’ veloce, agile e stabile, è bella da vedere e non è mai eccessiva e con le gomme larghe non sfigura, è certamente comoda, ma non è una bici da viaggio. Pensarla in ottica bikepacking è sprecata. Oppure, sì al viaggio e alle lunghe cavalcate, ma che prevedono lo spostamento separato dei bagagli per godere di qualche bella accelerata.

E’ una bicicletta gravel da competizione e a gas aperto è gratificante, offre un bel sostegno ovunque ed è divertente da guidare, oltre a configurarsi bene con svariati allestimenti.

L’allestimento con le ruote Wilier e la trasmissione Ultegra è disponibile a catalogo, ha un costo (listino) di 9.000 euro. Non è poco e sconfiniamo in una fascia di biciclette di elite, per la spesa e anche per la qualità complessiva del prodotto. Però è pur vero che si argomenta una bicicletta che non cede il passo, a prescindere dall’ambiente dove è inserita.

Bianchi Specialissima, il nostro test

05.10.2022
6 min
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Il test della Bianchi Specialissima CV disc

Non è una novità in senso assoluto, ma la Bianchi Specialissima CV disc doveva rientrare nel portfolio dei nostri test e così è stato. E’ una bicicletta comoda e unica per come esprime la performance.

Nella configurazione test ha un valore alla bilancia molto contenuto, 6,88 chilogrammi rilevati, peso che può essere ridotto ulteriormente con un upgrade delle ruote. Di seguito i nostri feedback.

Bianchi Specialissima CV disc
Bianchi Specialissima CV disc

C’è il Countervail

Cosa significa? Il Countervail è una sorta di membrana viscoelastica integrata nel carbonio, ma non sostituisce la fibra composita. Aumenta il potere dissipante spalmando le vibrazioni e attutendo gli effetti negativi di queste ultime.

Il risultato è tradotto in un aumento del comfort, della stabilità del mezzo e in un potere elastico a favore della performances tecnica.

Il nodo sella, il tricolore e il marchio di fabbrica: Specialissima CV
Il nodo sella, il tricolore e il marchio di fabbrica: Specialissima CV

L’allestimento

La Bianchi Specialissima del test è una taglia 55. Ha la trasmissione Shimano Dura Ace 12v e le ruote Vision 40SC con predisposizione tubeless. Gli pneumatici sono i Pirelli PZero da 26 in versione copertoncino. La sella è una Fizik Antares R3 standard, ovvero non è una sella corta. Interessante la scelta del gruppo guida e del seat-post, tutto marchiato Reparto Corse Bianchi e prodotti da FSA per la casa di Treviglio, belli, leggeri e con una buona ergonomia. Ovviamente sono full carbon. Il reggisella ha un diametro di 27,2 millimetri. Lo stem e la serie sterzo sono di natura ACR e permettono il passaggio integrale/interno delle guaine, senza limiti sul raggio di sterzata (sempre un’ottima soluzione). Il prezzo di listino è di 11.749 euro.

Impatto estetico e dettagli

A tratti è una bicicletta con un design minimale, ma dipende da quale angolazione la si guarda. E’ sinuosa ed è moderna nelle forme, con il classico celeste che è sempre un bel vedere.

La ricerca delle soluzioni che danno qualcosa in più si nota a partire dal profilato dello sterzo, con una vistosa nervatura centrale, quasi uno spigolo. E’ un particolare che richiama un concetto aerodinamico ripreso dalla piattaforma Oltre e dalla bici da crono Aquila CV. La stessa nervatura caratterizza la sezione inferiore della tubazione obliqua, fino alla scatola del movimento centrale.

La forcella ha gli steli voluminosi ai lati e con una sezione ridotta frontalmente. Hanno un’asimmetria appena accennata nella parte bassa, legata principalmente al supporto della pinza del freno e alle sedi del perno passante.

Il piantone si ferma nel punto di innesto con l’orizzontale, ne guadagnano il comfort e l’elasticità del reggisella. Questo fattore ha dei risvolti apprezzabili quando la strada è sconnessa e anche nel lungo periodo.

Il nodo sella ha un rinforzo importante con un duplice obiettivo. Il primo è contenere il blocco di chiusura del seat-post, con una brugola esterna e semplice da raggiungere. Il secondo è quello di irrobustire una zona dove convergono tante forze, messa costantemente sotto stress.

E poi le tubazioni del carro. Quelle oblique hanno una sezione arrotondata sopra, schiacciata al centro e più squadrata verso il basso, dove c’è anche una sorta di drop-in che aiuta ad accorciare la lunghezza del retrotreno. Gli stays bassi sono piuttosto voluminosi e lunghi 41 centimetri (per le due misure più grandi, 59 e 61, la lunghezza è rispettivamente di 41,2 e 41,3).

Una geometria comoda

La taglia in test prevede una tubazione dello sterzo da 14 centimetri, 55 per l’orizzontale e 50 per il piantone, quindi uno slooping non marcato. Il reach è di 38,9 e lo stack è di 54 centimetri, valori che confermano la volontà di proporre una bicicletta non estremizzata, che però lascia ampio margine di personalizzazione.

Significa che si può limitare l’impiego degli spacers tra stem e battuta dello sterzo. Significa che si sfrutta a pieno anche un reggisella zero off-set, componente quest’ultimo che potrebbe giovare (non poco) agli scalatori e agli amanti delle posizioni avanzate.

Specialissima, una bici per le lunghe distanze (foto Matteo Malaspina)
Specialissima, una bici per le lunghe distanze (foto Matteo Malaspina)

In conclusione

Se pur la colorazione celeste sia un chiaro richiamo alla storia dell’azienda, la Bianchi Specialissima CV Disc non è una signora, ma una ragazzina con un carattere brioso, ma non maleducato.

Il comfort che esprime va di pari passo alla capacità di interfacciarsi bene con delle ruote ad alto profilo (non altissimo) e comunque leggere, piuttosto che delle ruote basse. La Bianchi Specialissima è una bici leggera e gratificante nel corso delle lunghe scalate, mai nervosa. Il fatto di avere un wheelset che permette di sfruttare a pieno le potenzialità della bicicletta, è un fattore non secondario, da tenere ben presente.

Il test in gara della Cipollini Dolomia

10.06.2022
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Pur non essendo una novità dell’ultimo momento, la Cipollini Dolomia è a nostro parere uno dei progetti più interessanti del panorama. L’abbiamo provata durante la Granfondo Alé la Merckx e ci ha trasmesso un feeling immediato. Non è semplice salire su una bicicletta mai vista prima e gettarsi in gara, ulteriore conferma di una bicicletta di valore.

Dolomia con le sue forme “esili”
Dolomia con le sue forme “esili”

Un test breve, ma sostanzioso

Poco più di 4 ore, circa 130 chilometri e 2.500 metri di dislivello positivi: questi sono i numeri della nostra prova, che consideriamo uno “short test”. Quello che più conta però, è il fatto di aver messo in misura la sella e aver trovato fin dai primi minuti un rapporto diretto con la Dolomia, una buona confidenza e un feeling ottimale nei diversi frangenti. Non è un aspetto banale, che può essere tradotto anche nella sincerità della bicicletta, un mezzo “sottile” nelle forme, fuori dagli schemi delle biciclette Cipollini, che è gratificante in salita e molto divertente in discesa.

La versione provata è quella con la trasmissione Sram Red eTap AXS e le ruote Tune. Non ci siamo fermati alla sola prova della Dolomia, abbiamo anche approfondito con Michele Tittonel, ingegnere dell’azienda veneta che ha sviluppato il progetto.

La Dolomia è fatta a mano?

I telai Dolomia sono laminati a mano e si utilizzano dei veri stampi. La Dolomia ha il telaio in un blocco unico. Significa che il triangolo principale e quello posteriore sono una sola anima. Molti telai in commercio e spacciati per monoscocca in realtà sono ottenuti dall’incollaggio delle due parti, non è il caso della Dolomia.

La bicicletta sembra perfetta per gli scalatori di rango. E’ così?

Il progetto Dolomia non nasce solo per gli scalatori, ma viene sviluppata anche nell’ottica di essere una bicicletta divertente, ampiamente sfruttabile anche dall’appassionato che pedala nel fine settimana. Ovviamente il voler gratificare in salita è qualcosa insito nel progetto, in particolare se pensiamo alle lunghe salite, quelle estenuanti. E poi c’è anche il fattore sicurezza, perché vuole essere affidabile anche in discesa.

La salita, il suo ambiente ideale (foto Sara Carena)
La salita, il suo ambiente ideale (foto Sara Carena)
Quale è stato uno degli aspetti principali del suo sviluppo?

Prima di arrivare al prodotto finale, la Cipollini Dolomia ha visto nascere 23 prototipi. Sono poi seguiti i test in laboratorio e le successive prove su strada.

Invece in fatto di aerodinamica?

Non dobbiamo dimenticare che Cipollini ha di fatto inventato il segmento delle biciclette aerodinamiche, con la RB1K The One. Dolomia è differente ed è inserita in una categoria di prodotti in cui l’aerodinamica non influisce in maniera esponenziale ai fini delle performances. L’aerodinamica è importante, ma non è uno dei parametri principali considerati per lo sviluppo della Dolomia.

Il carro posteriore ribassato: ci sono dei vantaggi tangibili?

Concentrandoci sulla Dolomia, in maniera specifica sul carro posteriore e sul design che lo caratterizza, questo ha permesso di abbassare il baricentro della bicicletta. Si, ci sono dei vantaggi. Il primo è una guidabilità invidiabile. C’è una sorta di abbraccio dei foderi obliqui verso il piantone, voluta per raggiungere una rigidezza laterale ottimale, nonostante gli spessori limitati delle tubazioni.

Il piantone con il seat-post specifico
Il piantone con il seat-post specifico

Le nostre sensazioni in salita

La salita è il suo ambiente ideale e non è solo una questione di peso, che è di poco superiore (nella taglia M) ai 7 chilogrammi. La rigidità è distribuita in maniera ottimale tra avantreno e retrotreno. Ha una fluidità tutta da sfruttare, quando in salita si riescono a fare delle buone velocità, magari con il rapportone in canna, oppure quando le pendenze in doppia cifra obbligano a spingere, ma con la lancetta del contachilometri che si abbassa rapidamente.

Da seduti invita a spingere e a caricare sul piantone come solo le purosangue da scalatore sanno fare, in piedi sui pedali si percepisce un importante sostegno che arriva dall’avantreno. Una menzione va fatta nei confronti del manubrio Deda Alanera: un gran bell’integrato tutto da sfruttare.

La Cipollini Dolomia in discesa

Ci si aspetta una bicicletta da scalatore e la Dolomia è di sicuro una bicicletta del genere. Ma non è solo questo, perché in discesa e nei tratti tecnici è davvero divertente e anche facile. Vale la pena ricordare che non l’avevamo mai usata in precedenza. Agile e molto intuitiva, cambia la traiettoria con il minimo spostamento di peso e, nonostante un avantreno rigido, non dà mai la sensazione di “piantarsi” quando è necessario variare la traiettoria in un amen.

Le ruote basse aiutano ad aumentare la stabilità, a mantenere un’elevata confidenza nei tratti tecnici e anche a perdonare qualche errore. Il carro posteriore non si alleggerisce mai, neppure durante le staccate perentorie all’ingresso nei tornanti e la sicurezza ne guadagna.

In conclusione

La Cipollini Dolomia è una bicicletta pronta all’uso, non è nervosa ed eccessivamente briosa: fattori che trovano delle conferme anche grazie ad un pacchetto ruote leggero, scorrevole e per nulla rigido, ruote che, a nostro parere, sono anche il vestito ideale per questa tipologia di bici.

La Dolomia è performante, è corsaiola ed ha una propensione race di alto livello, ma non è estrema, fattore che aiuta (non poco) anche chi non è perfettamente allenato a stare tante ore in sella. La Dolomia non è una bici stancante ed esigente, anzi, talvolta asseconda il comportamento di chi la pedala.

Alé PR.S: i capi tecnici dei pro’ provati in gara

08.06.2022
5 min
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E’ una sorta di evoluzione della linea PR.R, la categoria storica dei capi tecnici del brand veneto e segmento che ha cambiato il modo di vestire il ciclista di tutti i livelli. Alé PR.S, acronimo di Pro Race System è l’abbigliamento fornito ai pro’ ed è ancora più in alto nella scala dei valori, ricco di dettagli funzionali, traspirante ed aerodinamico, con un race fitting di altissimo livello. Lo abbiamo provato durante la Granfondo Alé la Merckx, nella versione customizzata e dedicata all’evento. Trovarsi a proprio agio fin dalle prime pedalate senza mai averlo indossato prima? Sì, ma è l’effetto seconda pelle in una giornata caldissima il valore aggiunto.

Il kit dedicato alla gran fondo veronese (foto Sara Carena)
Il kit dedicato alla gran fondo veronese (foto Sara Carena)

Alé, ricerca e test infiniti

«I capi tecnici Alé – racconta l’Amministratore Delegato Alessia Piccolo – sono il risultato di tanto lavoro, di tante idee messe insieme e delle eccellenze rappresentate anche dalle persone che lavorano all’interno dell’azienda. Stagione dopo stagione abbiamo cambiato i colori delle collezioni, senza mai perdere il DNA che contraddistingue l’abbigliamento tecnico- E questo per noi è un fattore molto importante, perché ha permesso ai nostri clienti di capire che dietro alle nostre livree cromatiche vivaci, ci sono tecnica, studio e ricerca».

Alé Cycling è parte del Gruppo Zecchetto APG Cycling (del quale fanno parte anche le biciclette MCipollini, le scarpe DMT e proprio Alè).

La salopette del 2022

La salopette Alé PR.S del 2022 è caratterizzata da un fitting particolarmente aderente, è molto elastica e ha la gamba allungata sopra il ginocchio. E’ il risultato di un blend di tessuti, tre per la precisione. Ci sono delle pannellature laterali, frontali e posteriori a celle separate, che hanno l’obiettivo di aumentare l’efficienza aerodinamica, senza influire in maniera negativa sulla termoregolazione. Il fondo gamba ha una fascia elastica alta, quasi impercettibile grazie alle cuciture piatte (che sono comuni all’intera salopette) e ad un piccolo inserto dietro la coscia che distribuisce proprio l’azione della fascia elastica.

Le bretelle sono ben strutturate e compatte e non creano frizioni. Hanno un’incrocio semplificato nella sezione posteriore, senza la rete di supporto e ulteriori tessuti in aggiunta, soluzione voluta per limitare l’accumulo di sudore e umidità. Nonostante la loro semplicità, le bretelle sono un esempio di stabilità, anche dopo diverse ore di attività. Il fondello è della famiglia 4H, sviluppato e prodotto interamente da Alé, sempre una garanzia in fatto di comfort e giusto supporto.

Un design molto emulato

Il fitting è sempre quello di una categoria race di eccellenza, aderente e quasi come una seconda pelle. Partendo dal basso c’è il classico inserto stabilizzante S-Stability System, con la banda elastica che nella sezione frontale è rialzata nella parte centrale. La parte posteriore invece scende leggermente sui glutei. Questa combinazione offre dei vantaggi aerodinamici e di stabilità del capo una volta indossato e quando si è sulla bicicletta. L’elastico è forato per ottimizzare la traspirazione.

La shirt è costruita con tre tessuti differenti, ognuno con un’elasticità diversa e con dei fori di ventilazione differenziati tra loro, per posizionamento e dimensioni. Ai lati, ad esempio, è presente una pannellatura a rete, per aumentare in modo esponenziale il circolo dell’aria. La parte posteriore ha dei micro-fori, mentre quella frontale sembra avere delle piccole fessure orizzontali dove l’aria passa continuamente senza che il tessuto sfarfalli una volta esposto al vento.

E poi le tasche: sono tre e sono profonde, mai cedevoli e non tendono a tirare la maglia verso il basso anche quando sono a pieno carico. Il girocollo è basso e la zip è unica e solca la shirt dall’alto verso il basso, con un cursore comodo da raggiungere in qualsiasi situazione di corsa. Le maniche coprono il braccio, poco sopra il gomito, con una banda elastica che ferma la manica e al tempo stesso non crea fastidi.

In conclusione

Alè non ha bisogno di tante presentazioni, è una delle aziende di riferimento a livello mondiale in fatto di abbigliamento personalizzato (e non solo) per il ciclismo. Gli abbinamenti cromatici accesi si sposano con una elevata tecnicità dei capi, espressa principalmente grazie ad un fitting aderente e corsaiolo, tanto apprezzato ed emulato. La collezione Alé PR.S ha nei pesi ridotti, nell’efficienza aerodinamica combinata ad una perfetta stabilità una volta indossati (e mentre si pedala), ma anche al piacere di indossare gli stessi capi le peculiarità principali.

Come scritto in precedenza, la collezione PR.S di Alé è stata sviluppata anche grazie all’apporto dei pro’ ed è dedicata ad un contesto marcatamente agonistico. C’è un valore aggiunto che merita una menzione ed è il fondello. E’ disegnato, sviluppato e prodotto interamente nell’azienda veronese ed è un vanto, capace di offrire performances di altissimo livello e di avere una longevità non trascurabile.

Ale Cycling

Repente Prime 3.0: leggera, funzionale e comoda

06.06.2022
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Grande comfort e un pieno supporto in ogni sua parte, queste sono le caratteristiche fornite nell’immediato dalla sella Repente Prime 3.0, ma non finisce qui. A queste si aggiunge una libertà di movimento che non ha pari e l’efficienza nelle fasi di spinta ringrazia. Il valore aggiunto di questa sella? La sella stessa che non è corta ed ha una lunghezza tradizionale. L’abbiamo provata.

Il profilo laterale della Prime 3.0
Il profilo laterale della Prime 3.0

Repente, concentrato di soluzioni

Il modello Prime 3.0 sotto molti punti di vista è un concentrato di soluzioni tecniche del marchio veneto, perché ci sono i due rail in carbonio unidirezionale T700 e la scocca costruita grazie alla tecnologia LCF. La struttura è resistente ed elastica al tempo stesso, ma in fase di seduta, anche dopo tante ore di sella non dà mai la sensazione di abbassarsi in maniera eccessiva. Inoltre è utile ed efficace anche in fase di smorzamento, ad esempio quando si percorre un tratto di strada sconnesso.

La Repente Prime 3.0 ha la cover sostituibile (tecnologia RLS), che separa la parte superiore dalla scocca. C’è il design Ergo Shape. A prescindere dalla larghezza (quella da noi testata è da 142 millimetri, ma è disponibile anche la versione da 132) il movimento dell’anca, della muscolatura interna alla coscia e di conseguenza tutta l’azione dell’arto inferiore, godono di massima libertà, senza sacrificare il supporto e la stabilità. L’efficacia di spinta e di trazione ne guadagnano.

Non solo una sella col buco

Il canale anatomico c’è ed è evidente, eppure è difficile inserire la Prime 3.0 nella categoria delle selle con il buco. Tutta la parte del naso è “piena”, con una lunghezza di 9,5 centimetri, imbottita il giusto e ben sostenuta grazie ad una EVA di ottima consistenza e con una larghezza di 4,4. Sembra più larga, invece è perfettamente in linea con le misure della categoria.

Lo scafo, vicino al canale anatomico è ben nascosto e protetto dalla cover. In questo punto il supporto è eccellente, grazie alla combinazione di un’imbottitura omogenea e di uno scafo che non tende mai ad abbassarsi in modo eccessivo. E poi c’è il piccolo spoiler che funge anche da giunto, bello da vedere, con la funzione meccanica di stabilizzare la sella. La copertura è in microfibra resistente all’acqua e alle abrasioni, mentre il foam è in EVA superleggera.

Alcuni numeri della Repente Prime 3.0

Ha una lunghezza di 275 millimetri, per una larghezza di 142 (versione test). I due rail in carbonio hanno un diametro di 7×9 millimetri, una misura classica e specifica per le selle in carbonio. Abbiamo rilevato un valore alla bilancia di 159 grammi. Il prezzo di listino è di 179 euro, eccellente se consideriamo l’elevata qualità del prodotto.

Una sella comunque leggera
Una sella comunque leggera

Le nostre impressioni

La Prime 3.0 di Repente è la sella che ti aspetti, perché tutto porta a considerare che una sella così ben fatta, curata e confezionata, non possa che essere comoda e ampiamente sfruttabile, ben oltre le caratteristiche soggettive. Il fattore che emerge in primissima battuta è il grip del rivestimento, che limita tantissimo lo scivolamento, senza creare attriti e fastidi. E poi il supporto, percepibile in ogni parte, anche e soprattutto vicino al canale anatomico. Qui il primo vantaggio che merita una menzione particolare: le selle con il buco e/o il canale di scarico sono un mondo a parte.

Per funzionare a dovere devono essere costruite in modo da non trasmettere quella sensazione di sfondamento, proprio vicino al foro, lasciando libero (per quanto possibile, perché ci sarebbe da considerare anche l’imbottitura della salopette) il pavimento pelvico, che ha comunque bisogno di sostegno. Questa sella Repente, in fatto di supporto, sembra una sella tradizionale di alta caratura, senza il buco.

Il peso si scarica nella zona più larga

Ci sono da considerare le tuberosità ischiatiche (ribadendo che abbiamo testato la Prime 3.0 da 142), ma una sella che invita a sfruttare a pieno la zona larga di appoggio, è una sella “buona”. E poi ci sono quella sorta di “alette” laterali che scendono verso il basso, si piegano quel tanto che basta per adeguarsi al corpo e all’azione della gamba, senza limitare il gesto e la profondità della pedalata.

Si mantiene un contatto ottimale con la sella, in maniera costante, al pari di un prodotto che si adatta nel modo adeguato. Sembra di avere una sella spoilerata nella sezione posteriore, che asseconda anche l’azione dei glutei quando si sta seduti per lunghi periodi (ad esempio durante le salite lunghe). Ci siamo trovati a nostro agio con la sella perfettamente in bolla.

In conclusione

Al di la dell’aspetto tecnico, che vede nella possibilità di cambiare la cover comunque un dettaglio da non trascurare, la Repente Prime 3.0 è il risultato di tanti dettagli ricercati e messi insieme. Questi stessi dettagli permettono di sfruttare un prodotto dalle prestazioni superlative, sicuramente versatile e anche sostanzioso. La sella non dà mai la sensazione di essere un giocattolo, pur avendo un peso ridotto (non estremo) e un’imbottitura in EVA non eccessivamente spessa.

Crediamo che la longevità sia parte del pacchetto, ma è pur vero che andrebbe utilizzata e valutata (sotto questo aspetto) per un periodo molto più lungo. E poi c’è quello scafo, sottile e elastico, che si adegua, ma non cede mai. Il rapporto tra la qualità della sella ed il prezzo di listino? A nostro parere ben al di sopra della media della categoria, perché 179 euro non sono molti, per una sella Made in Italy di questa fattura.

Repente

Test e corridori: Locatelli ha ragione? Risponde Tacchino

19.05.2022
5 min
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«Il messaggio che vorrei far passare ai miei colleghi preparatori – dice Fabrizio Tacchino – è che bisogna rispettare le regole dei vecchi direttori. Poi magari ci costruisci sopra un metodo diverso, prendendone il buono. Forse quello di oggi non è più il loro ciclismo, ma meritano di essere ascoltati. Ho lavorato con Garbelli. E lui ogni due settimane andava a casa dei suoi corridori. Voleva vedere dove si allenassero, che famiglia avessero alle spalle, la fidanzata, se avessero dei fratelli. Perché va bene la parte scientifica, ma esiste anche la dimensione sociale. E un atleta non si può prendere per comparti separati».

Fabrizio Tacchino lavora per la Federazione: qui durante l’incontro di ogni anno con i neopro’
Fabrizio Tacchino lavora per la Federazione: qui durante l’incontro di ogni anno con i neopro’

La svolta di internet

L’intervista con Locatelli di lunedì ha provocato reazioni di vario genere, spingendoci a riprendere il discorso. Fabrizio Tacchino, citato nel discorso dallo stesso Olivano, si è fatto avanti per alcune precisazioni.

«Sono del 1970 e quando ero dilettante – racconta – mi sono trovato a correre contro le sue squadre. Io non ero un granché, ma ricordo bene quanto andassero forte. Una volta per fare la differenza dovevi trovare un tecnico come lui che ti prendesse con sé. Ovviamente i corridori dei Paesi più lontani non vi avevano accesso e restavano indietro. Oggi grazie a internet, basta pagare e puoi avere le tabelle degli allenatori dei grandi campioni. Anche per questo si è sviluppato un ciclismo così globalizzato, in cui tutti possono entrare in contatto con chiunque. Basta pagare, pur rinunciando alla componente del rapporto personale. Quando fui mandato a tenere i primi corsi ai vecchi diesse, Locatelli era in prima fila, ha sempre cercato il confronto. Come pure Roberto Damiani. L’espressione occhiometro risale a quella fase».

Tiberi ha mostrato valori eccellenti sin da junior, abbinati a risultati su strada
Tiberi ha mostrato valori eccellenti sin da junior, abbinati a risultati su strada
Il tema interessante sollevato da Locatelli riguarda la selezione dei talenti…

Il Coni ha lanciato per tutte le federazioni un Progetto Talenti, grazie al quale ogni anno facciamo uno screening. Prendiamo i primi 4-5 classificati di ogni corsa e alla fine eseguiamo 600-700 test in cui prendiamo in considerazione le varie qualità, compreso l’RX dell’età ossea, in cui verifichiamo se l’età anagrafica coincida con lo sviluppo effettivo. I vincenti sono tutti lì e se qualcuno sfugge, non si chiudono le porte. Se un tecnico propone un ragazzo, lo valutiamo sicuramente.

Locatelli invita a non fermarsi ai test.

Ha ragione, ma nella maggior parte dei casi ci sono rispondenze fra i test in laboratorio (in apertura una foto Enervit) e quelli su strada. Faccio l’esempio di Tiberi, che aveva degli ottimi numeri, ma al primo anno da junior fece un test in Liguria in cui andò meglio degli under 23. In ogni caso, il risultato di un test è limitato al momento in cui si svolge, per cui la cosa migliore sarebbe costruirsi una banca dati attraverso cui valutare l’atleta. Con il lavoro iniziato negli anni da Cassani, tanti ragazzi sono arrivati al giro della nazionale. Probabilmente se ci si fosse limitati agli ordini di arrivo, non sarebbe successo.

I test descrivono una parte, ma l’atleta è un mondo ben più complesso: Tacchino in sintonia con Locatelli
I test descrivono una parte, ma l’atleta è un mondo ben più complesso
Infatti spesso si viene valutati per un paio di risultati o per un test…

Ci sono squadre che non si accontentao di un test ben fatto, ma chiedono di caricare su una piattaforma gli allenamenti di tutto l’anno. So per certo che la Ineos fa così. Se vuoi essere valutato, ti chiedono di caricare quotidianamente gli allenamenti di tutto l’anno. Poi ci saranno dei laureati in Scienze Motorie che valutano e capiscono se l’atleta vale davvero la pena.

Se invece l’interlocutore è un procuratore?

Allora le cose cambiano, perché c’è un filtro in partenza. Al procuratore interessa piazzare i corridori che vincono subito, anche se per fortuna ci sono direttori sportivi che parlano fra loro e lavorano sulla fiducia. Faccio l’esempio di Omar El Gouzi, passato alla Bardiani grazie alla buona parola di Mario Chiesa e senza procuratore. Ci sono passaggi sulla fiducia e lui ora è lì a fare fatica sperando di trovare la sua strada.

Avrà il tempo per farlo? Prima hai parlato di Tiberi, che alla Trek è al centro di un progetto: altri non hanno questa fortuna.

Concordo. Se Tiberi fosse passato in una squadra con l’esigenza del risultato immediato, forse lo avrebbero fatto correre molto di più e, se avesse alzato la mano dicendo di essere stanco, gli avrebbero risposto che è un professionista e di tirare dritto. Poi è vero che tanti arrivano al professionismo ancora impreparati…

El Gouzi è passato alla Bardiani-CSF senza avere un procuratore
El Gouzi è passato alla Bardiani-CSF senza avere un procuratore
Come dice spesso anche Amadori.

Qui si corre sabato, domenica e martedì, non si ha il tempo di allenarsi. All’estero hanno altre modalità. I migliori si sfidano sempre fra loro nelle corse a tappe e, fra una e l’altra, prevedono dei bei blocchi di lavoro. Gli stranieri vengono a correre qua perché siamo pieni di corse, ma non è così facile per noi andare a correre all’estero. La situazione italiana è anomala.

Così anomala che a fronte di un quantitativo sempre importante di neoprofessionisti, spicca anche il numero di coloro che ogni anno restano senza squadra. In questo contesto, nel quadro di atleti che si legano a procuratori sin da minorenni, aver tolto il vincolo regionale agli juniores parla sicuramente di libertà, ma amplia il bacino nel quale i procacciatori di talenti possono pescare per offrirli poi alle squadre di riferimento. Manca il senso della costruzione: si ha riguardo per i migliori e si va all’ingrosso con gli altri. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. E come dice Locatelli, il serbatoio resta vuoto.

Test in Sicilia per la nuova LIV Langma Advanced Disc

07.01.2022
4 min
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Una bicicletta da donna, progettata dalle donne. Ecco la LIV Langma Advanced Disc 1, la sorellina minore delle top di gamma con cui nel 2022 correranno le ragazze del team ufficiale – il LIV Racing Xstra in cui militeranno Rachele Barbieri e Katia Ragusa, guidate da Giorgia Bronzini – e quelle del Team BikeExchange-Jayco, passate da Bianchi a Giant. LIV è infatti la proposta al femminile del colosso taiwanese e a fronte delle migliaia di donne che hanno scoperto la bici, non si può dire che non si sia trattato di una mossa azzeccata.

Il test si è svolto sulle strade intorno Palermo: qui la salita di Monte Pellegrino
Il test si è svolto sulle strade intorno Palermo: qui la salita di Monte Pellegrino

Una bici compatta

La Langma Advanced Disc nasce attorno a un telaio ultraleggero in carbonio Advanced-Grade che offre un ottimo rapporto rigidità e peso. La bici che se ne ottiene è pronta alla risposta e adatta alla gara. Il tubo obliquo, che presenta una geometria a ellissi orientate, riduce la resistenza al vento e aumenta l’efficienza in fase di accelerazione. In abbinamento con il piantone, sagomato per avvicinare il centro della ruota posteriore al movimento centrale, compone una bici davvero veloce.

Il telaio da noi provato è una S ed è davvero un giocattolino di leggerezza e stile. Il piantone misura 45 centimetri, l’angolo del piantone è di 74°30’ mentre quello di sterzo da 72° permette di avere il trail da 61,4 millimetri, che permette alla bici di essere guidabile. Il carro posteriore è compatto (lunghezza dei foderi di 40,5 centimetri).

Controllo totale

I freni a disco integrati flat mount offrono la sicurezza necessaria per mantenere la velocità anche in curva e pedalare in condizioni meteorologiche variabili. Langma consente il montaggio di pneumatici fino a 32 millimetri, quindi si può personalizzarne l’assetto in base alla strada che si sceglie di percorrere.

Sul fronte delle ruote, si sono scelte le PR2 che Giant offre come primo montaggio. Sono tubeless ready e pesano 1.800 grammi la coppia. Una soluzione interlocutoria, adatta per strade non proprio perfette, mentre su alcuni modelli viene previsto il sistema Giant SLR 36 Disc che riduce la resistenza aerodinamica.

Il reggisella Variant Composite regolabile offre infine un’elasticità superiore, in modo da ottenere una guida reattiva per affrontare facilmente strade sconnesse.

Ultegra meccanico

Sul fronte dei componenti, la bici che abbiamo provato è montata con lo Shimano Ultegra meccanico, con guarnitura 36-52 e pedivelle da 170, con pacco pignoni 11-32 a 11 velocità.

L’attacco manubrio è il Liv Contact da 38 centimetri di larghezza, con attacco manubrio Giant Contact da 90 millimetri.

E’ made il LIV anche la sella, modello Approach. Mentre tornando per un istante al reggisella, si tratta di un design brevettato che ottimizza l’equilibrio tra leggera e rigidità. Il sistema a expander grazie al quale viene effettuato il bloccaggio si basa su un nottolino in lega leggera, composto da tre parti: quella centrale e le due laterali che si allargano fino a bloccare il reggisella all’interno del piantone, in cambio di una notevole pulizia estetica. La bici così assortita è in vendita a 2.899 euro.

liv-cycling.com

Ruote Bora Ultra WTO Disc Brake, due ali sotto la bici

15.10.2021
5 min
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Velocità, prontezza di risposta, comfort: nelle Campagnolo Bora Ultra WTO Disk Brake ogni sensazione è esaltata al massimo. La casa veneta ha migliorato ancora di più la sua storica ruota aero. E lo ha fatto intervenendo sui particolari, come l’attacco delle niplles e la larghezza del cerchio.

Per la prima volta le abbiamo viste in gara alla Milano-Sanremo. Erano sulla bici di alcuni corridori della UAE. Ma altri pro’ le stavano utilizzando sin dai ritiri invernali, come Matteo Trentin che a quanto pare è uno dei corridori più sensibili. Proprio a lui è stato affidato uno dei primissimi set.

Canale largo

Ma veniamo alle ruote. Queste sono disponibili in tre misure: 33, 45 e 60 millimetri. La sigla WTO è l’acronimo di Wind Tunnel Optimized, vale a dire che sono state studiate partendo dalla galleria del vento, ma ottimizzate per la realtà dove l’impatto con l’aria non è mai perfettamente frontale e stabile. Si tratta di un cerchio in carbonio ad alto modulo unidirezionale. Il canale interno è da 19 millimetri (abbastanza largo) e questo agevola l’utilizzo delle coperture odierne che sono più larghe. Si può montare fino ad un 28 millimetri.

Ma una vera chicca è lo stampo “preforato” per il passaggio dei raggi e l’alloggio delle niplles. Questa soluzione conferisce al cerchio una elevatissima compattezza. In poche parole non è indebolito da un foro fatto in un secondo momento. Si ha la sensazione che la ruota sia un “blocco unico” in tutti i suoi componenti.

 

Mozzi e raggi

Per quanto riguarda il mozzo, questo è il classico e collaudato Cult di Campagnolo: quindi cuscinetti USB ceramici ad alta resistenza all’usura e alla temperatura. Il cuscinetto raggiungendo temperature meno elevate si dilata meno e non fa troppo attrito. La sua struttura è in alluminio, con la la forma a clessidra che, in galleria del vento, si è visto ridurre le turbolenze. Mozzo che, chiaramente, è compatibile con il perno passante, ormai “imposto” dal freno a disco.

E poi ci sono i raggi. Questi sono 24 sia all’anteriore che al posteriore, entrambi con la raggiatura G3, ma la loro disposizione è differente. Davanti sono radiali, dietro due raggi sono incrociati e uno è radiale per ciascun “distretto”. Inoltre, all’anteriore i raggi a sinistra sono il doppio di quelli a destra. E questo garantisce una frenata bilanciata e sicura in ogni condizione.

Ma la vera perla, come accennavamo, è l’innesto delle niplles nel cerchio. Questo avviene tramite la tecnologia Aero Mo-Mag. Il raggio s’innesta nel cerchio con un rinforzo e ne consegue che la ruota è molto pulita, aerodinamica e anche molto rigida.

Accelerazione istantanea

Noi abbiamo provato la versione da 45 millimetri, la più versatile e quella più richiesta dai corridori, visto che la 33 millimetri si usa ormai solo per tappe con salite estremamente dure. E visto che il suo peso è di 1.520 grammi (660 grammi l’anteriore; 765 grammi il posteriore) è piuttosto contenuto se si pensa che si parla di tubeless e freno a disco.

La prima cosa che ci ha colpito è la loro capacità di accelerare: sia quando si parte, che nei rilanci. Non è tanto la famosa reattività ad averci colpito quanto la facilità che si ha di fare velocità. Si ha una sensazione di leggerezza nell’aumentare il ritmo. Tuttavia, quando si è poi lanciati queste Bora non perdono impulso. Se si molla un po’ continuano a scorrere bene. Il prezzo indicato da Campagnolo parte da 2.292 euro la coppia.

Ma per apprezzare a fondo una ruota, contano anche le coperture. Noi avevamo dei tubeless Vittoria Corsa Graphene 2.0 da 25 millimetri. Gonfiati anche abbastanza bene (circa 7,5 bar) considerato il nostro peso (appena sopra ai 60 chili) e la tenuta è sempre stata ottimale. Idem il comfort. Ma in tal senso contano anche il perno passante… e la bici.

Testate su una Basso

Abbiamo testato le Campagnolo Bora WTO Disc Brake su una Basso Diamante Sv, una vera fuoriserie del made in Italy. SV è l’ormai nota sigla del marchio veneto e sta per Super Veloce, ma anche super versatile. Linee pulite, ma al tempo stesso un telaio molto robusto con sezioni relativamente “triangolari” che la rendono molto rigida.

Anche qui l’aerodinamica regna sovrana, sia per il disegno dei tubi stessi che per l’assenza totale di cavi esterni. Inoltre la piccola “carenatura” che sporge dietro al piantone e da cui partono i pendenti del carro, aiuta a scaricare l’aria. 

Curatissimo l’avantreno: la forcella ha un rake molto raccolto e anche questo contribuisce a rendere la Diamante un fulmine. Si potrebbe pensare però ad una difficoltà in discesa, invece il pacchetto ruote, bici e gomme è pressoché perfetto. Noi siamo sgusciati via bene sia nelle curve veloci che in quelle più strette.

Montaggio top level: gruppo Campagnolo Super Record Eps, sella Selle Italia Flite, manubrio, attacco e reggisella made in Basso. Prezzo della Diamante SV così allestita è di 12.388 euro.