Un viaggio nei pensieri di Tiberi: il Giro, la pausa e ora la Vuelta

11.07.2025
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Ripartire, far girare di nuovo le gambe e settare nella testa il prossimo obiettivo. Antonio Tiberi, in cima al Pordoi, insieme ai compagni del Team Bahrain Victorious ha iniziato a mettere nel mirino la Vuelta Espana. La corsa a tappa spagnola che partirà da Torino il 23 agosto sarà il secondo Grande Giro nella stagione del corridore laziale. 

«Staremo sul Pordoi – racconta Tiberi mentre riposa prima della sessione di allenamento in palestra – fino al 24 luglio. Faremo un bel periodo di allenamento in vista della Vuelta. Siamo saliti il 5 luglio e abbiamo già messo insieme una buona dose di bicicletta e di sessioni in palestra».

Dopo il Giro Tiberi si è concesso una vacanza per recuperare le energie fisiche e mentali (foto Instagram)
Dopo il Giro Tiberi si è concesso una vacanza per recuperare le energie fisiche e mentali (foto Instagram)

Ricaricare le batterie

Tiberi è ripartito dopo un periodo di stacco che è servito per metabolizzare la batosta del Giro, nel quale è stato tagliato fuori dalla lotta per la classifica generale nel giorno di Gorizia. Una caduta che ha rovinato i piani iniziali del ciociaro. 

«Al termine del Giro – riprende Tiberi – ho staccato completamente. Mi sono concesso qualche giorno a casa e una breve vacanza di cinque giorni all’Isola d’Elba. Serviva un periodo in cui resettare tutto per poi ripartire in vista della seconda parte di stagione. Sono anche andato a trovare i miei genitori a Roma in occasione del mio compleanno (il 24 giugno, ndr). Al termine di una prima parte di stagione senza mai fermarmi avevo bisogno di un momento così».

Dal 5 luglio è in ritiro con il team sul Pordoi e sta lavorando con la Vuelta nel mirino
Dal 5 luglio è in ritiro con il team sul Pordoi e sta lavorando con la Vuelta nel mirino
E’ stato difficile digerire la batosta morale del Giro?

Queste cose capitano, le cadute sono all’ordine del giorno nel ciclismo. Succede e non è colpa di nessuno. I giorni passati con gli amici, la mia ragazza e la famiglia sono serviti per rilassarmi e ricalibrare le forze a livello mentale. Ora che ho riposato sono pronto per l’altura e per lavorare in vista della Vuelta

Come si reagisce a un brutto momento come quello?

Dà sempre fastidio e fa male al morale perché abbiamo lavorato per tanti mesi e alla fine un imprevisto porta via tutto. Ripeto, sono cose che capitano. Chiaramente nei giorni successivi prevale il dispiacere, poi metabolizzi l’accaduto e vai avanti. Le cose si prendono anche per quel che sono. 

In questi giorni non manca il freddo pungente agli oltre 2.000 metri del Pordoi
In questi giorni non manca il freddo pungente agli oltre 2.000 metri del Pordoi
Tutti prima del Giro dicevano di averti visto con una grande consapevolezza dei tuoi mezzi, anche un episodio negativo fa parte degli step di crescita?

Resettare la mente dopo che sei stato per molti mesi concentrato su un obiettivo che per una caduta non si è riusciti a raggiungere non è semplice. Però sì, sento di aver imparato qualcosa sulla gestione anche nei momenti no. 

Quanto è stato importante arrivare a Roma?

Tanto. Si è trattato comunque di tenere duro e finire un Giro che mi ha chiesto tanto impegno mentale e fisico, soprattutto dopo la caduta. Ci sono stati giorni molto impegnativi nei quali ho lottato solamente per arrivare al traguardo. Finire quei ventuno giorni di corsa vuol dire averli messi nelle gambe e immagazzinati. 

Finire il Giro nonostante la caduta e le difficoltà per Tiberi è stato uno step sia fisico che mentale
Finire il Giro nonostante la caduta e le difficoltà per Tiberi è stato uno step sia fisico che mentale
Arrivi alla Vuelta con le stesse ambizioni che avevi al Giro?

Già lo scorso anno ero andato con l’obiettivo di fare una bella classifica. Fino al giorno del mio ritiro a causa di un colpo di calore ero andato bene. Avevo la maglia bianca ed ero quarto nella generale. Quindi sì, anche quest’anno andrò con in testa la classifica e cercherò di curarla al meglio, non nascondo di puntare al podio. Ora sono concentrato su questo nuovo obiettivo e vedremo come reagiranno il corpo e la mente.

In che senso?

Che comunque preparare due Grandi Giri in una stagione, con l’obiettivo di fare classifica, non è semplice. Il lavoro da fare è tanto e intenso sia a livello fisico che mentale. Un conto poi è affrontare certi carichi quando si arriva dalla pausa invernale e si è freschi. Un altro è farlo dopo una prima parte di stagione comunque esigente. Vero che l’ho già fatto lo scorso anno ma ancora non mi conosco al 100 per cento. Ho un’idea di quello che posso fare ma mi lascio sempre un piccolo margine. 

Ventuno giorni di corsa sono un carico che poi rimane nelle gambe e bisogna trovare il giusto equilibrio tra riposo e gara
Ventuno giorni di corsa sono un carico che poi rimane nelle gambe e bisogna trovare il giusto equilibrio tra riposo e gara
Cambierà qualcosa nella preparazione?

No, direi di no. Vero che il Giro e la Vuelta sono due gare molto diverse per le tipologie di salite che troveremo, però qui sul Pordoi abbiamo tanti scenari differenti e perfetti per prepararci al meglio. Al momento abbiamo ancora il doppio allenamento con al mattino bici e nel pomeriggio palestra, ma senza carichi eccessivi. 

Farai qualche gara prima della Vuelta?

Il Giro di Polonia. Insieme alla squadra abbiamo deciso di fare solo una gara. Mi trovo bene sia nel fare tanta altura sia quando faccio qualche corsa in più prima dell’obiettivo principale. La squadra ha scelto così e ci concentriamo al massimo per farci trovare pronti. 

Rudy Project: la distribuzione in Svizzera diventa diretta

30.04.2025
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Rudy Project, brand italiano specializzato nel settore dell’occhialeria sportiva e dei caschi ad alte prestazioni, ha ufficializzato l’avvio della distribuzione diretta dei propri prodotti in Svizzera. La decisione segna un passo importante nella strategia di internazionalizzazione del marchio nato a Treviso nel 1985 e oggi presente in oltre 60 Paesi.

Con un portfolio di oltre 1.000 codici prodotto, e un’offerta che spazia dagli occhiali da sole sportivi alle soluzioni vista per atleti, Rudy Project ha conquistato nel tempo un ruolo di riferimento per professionisti e appassionati di sport outdoor, ciclismo, triathlon e sci. La Svizzera rappresenta da tempo un mercato strategico per il brand, grazie a una clientela esigente, sensibile al design, alla tecnologia e alla qualità Made in Italy.

L’avvio della distribuzione diretta consente di rafforzare la relazione con i clienti B2B e B2C, offrendo una gamma più completa di prodotti e un “customer service” interno, rapido e multilingue. Il sito ufficiale rudyproject.com è già disponibile in tedesco, francese e italiano, e l’e-commerce è operativo su tutto il territorio nazionale.

Rudy Project fornisce caschi e occhiali agli atleti del Team Bahrain Victorious
Rudy Project fornisce caschi e occhiali agli atleti del Team Bahrain Victorious

Una rete commerciale strutturata 

Rudy Project ha già consolidato una presenza in oltre 150 punti vendita svizzeri, soprattutto nella parte germanofona, con una distribuzione equamente divisa tra ottici specializzati e negozi sportivi. Il nuovo assetto commerciale prevede l’introduzione di quattro area manager dedicati: Simone Pozzi per il Canton Ticino e il Grigioni italiano, Sven Biermann per la Svizzera tedesca, Pierre Bajeaux e Jean Christophe Lebey per la Romandia.

Questa organizzazione garantirà copertura capillare e relazioni dirette con i rivenditori, valorizzando la conoscenza delle esigenze specifiche di ciascun territorio linguistico.

Cristiano Barbazza, CEO Rudy Project
Cristiano Barbazza, CEO Rudy Project

Crescita in Romandia e Ticino

«Con questo cambio di passo – ha dichiarato Cristiano Barbazza, CEO di Rudy Project – vogliamo consolidare la nostra presenza su tutto il territorio elvetico, con particolare attenzione alle aree francofone e italofone, dove vediamo grandi potenzialità di crescita. Ringraziamo Intercycle per la collaborazione ventennale e per i risultati eccellenti ottenuti insieme. Ora inizia una nuova fase, orientata a un contatto più diretto con il mercato e con i nostri partner locali».

Gli investimenti riguardano il rafforzamento della rete vendita, la formazione dei rivenditori, la presenza ad eventi sportivi e le campagne marketing locali. L’obiettivo è chiaro: portare Rudy Project al livello di notorietà già raggiunto nella Svizzera tedesca, anche nelle altre regioni linguistiche.

Rudy Project ha iniziato una politica volta a ridurre l’impatto ambientale
Rudy Project ha iniziato una politica volta a ridurre l’impatto ambientale

Impegno verso la sostenibilità

Il 2024 si è chiuso per Rudy Project con un fatturato globale di 17,5 milioni di euro, segnando una crescita del 15% rispetto all’anno precedente. L’azienda impiega oltre 60 dipendenti e produce interamente in Italia, con la progettazione dei caschi e la produzione degli occhiali nel cuore del Veneto.

Inoltre, con la filosofia RideToZero, Rudy Project si impegna a ridurre l’impatto ambientale in tutte le fasi produttive e organizzative, in linea con i valori dello sport responsabile e sostenibile.

Rudy Project è fornitore ufficiale di caschi e occhiali per atleti di livello mondiale. Durante le Olimpiadi invernali, oltre 40 medagliati hanno gareggiato con i suoi prodotti. Tra i partner figurano: il Team Bahrain Victorious, il fondista Johannes Klæbo, Danielle Lewis nel triathlon, il team American Magic per l’America’s Cup oltre a numerose nazionali di pattinaggio di velocità.

Rudy Project

L’inglese e il Tour, la realtà e i sogni: parliamo con Martinez

20.02.2025
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L’ultima volta lo avevamo incrociato quasi di sfuggita a dicembre mentre assieme a Kreuziger usciva dal garage dell’hotel Cap Negret di Altea, dove si stava svolgendo il ritiro del Team Bahrain Victorious. Ne avevamo approfittato per parlare con tutti i corridori raggiungibili, ma su Lenny Martinez era stato posto un veto irremovibile. Quale che fosse l’accordo o il disaccordo con la Groupama-FDJ, vigeva il divieto assoluto di intervistarlo e fotografarlo fino al nuovo anno. Per cui il saluto era stato fugace e non privo di sguardi.

Lenny Martinez, il figlio di Miguel, ha 21 anni, è alto 1,68 e pesa 52 chili: la quintessenza dello scalatore. E’ entrato nel WorldTour a 19 anni nel 2023 e ha già vinto sei corse, fra cui l’ultimo Trofeo Laigueglia. A distanza di due mesi da quell’incontro fortuito, la stagione del giovane francese è iniziata di buona lena alla Valenciana vinta dal compagno Buitrago (in apertura, eccolo in salita seguito da Piganzoli). E nell’imminenza della Classic Var di domani, stamattina siamo riusciti finalmente a parlarci, prima che uscisse in allenamento.

Lenny ha sempre il suo buon umore coinvolgente, anche se è sensibile l’aumentare delle attese rispetto a quando lo incontrammo per la prima volta in un Giro della Lunigiana che sembra lontano cent’anni, invece era appena quello del 2021.

Il 28 febbraio 2024, ancora a vent’anni, Lenny Martinez vince così il Trofeo Laigueglia
Il 28 febbraio 2024, ancora a vent’anni, Lenny Martinez vince così il Trofeo Laigueglia
Come procede l’integrazione in questo nuovo team in cui si parlano l’inglese e l’italiano, ma quasi per niente il francese?

Sono molto contento. L’integrazione sta andando molto bene. Ora ogni cosa passa per l’inglese, ma sto riuscendo a inserirmi. Ci sono alcuni dello staff che parlano un po’ di francese, come il mio allenatore e un’altra persona: si possono contare su due mani. Ma non credo che parlare inglese sia un problema. Al contrario, è qualcosa che mi arricchisce molto e che mi aiuterà a crescere, anche come uomo. Perché qui non c’è scelta, è così e basta e di certo nei prossimi anni sarò in grado di parlarlo molto bene.

Hai notato altre differenze rispetto a Groupama?

Certo che ci sono, ma sono comunque differenze minime e credo che sarebbe stato così in qualunque squadra fossi andato. Si tratta di piccole percentuali che possono determinare la differenza tra vincere o meno. La Groupama-FDJ è un’ottima squadra e lo è anche il Team Bahrain. Insomma, stiamo facendo più o meno lo stesso lavoro. Direi che per me la differenza principale è che qui sono veramente in un gruppo internazionale, sia in termini di corridori che di staff. La Groupama invece ha un DNA totalmente francese.

Sei in grado di dire a che punto sei della tua crescita?

A 21 anni si può fare un bilancio, ma ho ancora molti anni di professionismo davanti a me e molti anni di progressi da fare, quindi voglio prendermi il mio tempo anche per fare il punto. Serve pazienza, devo continuare a lavorare e progredire.

Martinez ha debuttato nel 2023 nel WorldTour a 19 anni. Ne compirà 22 l’11 luglio
Martinez ha debuttato nel 2023 nel WorldTour a 19 anni. Ne compirà 22 l’11 luglio
A che punto della scorsa stagione ha deciso di cambiare squadra?

Prima che iniziasse. Con la Groupama avevo iniziato a parlare da parecchio, era giusto ovviamente parlare prima con loro. Lo abbiamo fatto a lungo, ma ho preso la mia decisione poco prima della prima gara, diciamo intorno a febbraio (singolare notare che il team francese abbia continuato invece a tenere aperta la possibilità di rinnovo fino all’estate inoltrata, ndr).

Chi è il tuo allenatore ora al Bahrain?

Il mio allenatore è Loic Segart, il fratello di Alec: quello che corre alla Lotto Dstny e va come un treno nelle cronometro, saprete certamente chi sia. La cosa buona è che Loic parla francese ed è stato molto bello scoprire che avrei lavorato con lui perché su certi aspetti molto tecnici è bello poter parlare la mia lingua. In più è un allenatore molto giovane e questo lo trovo positivo. Invece non ho ancora un direttore sportivo di riferimento. Potrei pensare a Roman Kreuziger, perché quando c’è un problema, gli mando un messaggio. E’ presente a quasi tutte le gare, quindi direi che forse è lui.

Come è passato l’inverno?

Molto bene, direi. Siamo stati in ritiro in Spagna come già con la FDJ l’anno scorso. Ho fatto più o meno la stessa preparazione e lo stesso allenamento, forse un po’ diverso per dei dettagli, dato che ogni allenatore ha metodi di allenamento diversi. Nel complesso, ho fatto forse qualche ora in più e abbiamo variato alcuni lavori specifici. Il corpo ha avuto bisogno di un po’ di tempo per adattarsi e ora dobbiamo vedere se tutto questo funziona bene anche su di me, ci vorrà un po’ di tempo.

Lo scorso anno, Martinez ha debuttato al Tour. Nel 2023 aveva corso la Vuelta, vestendo per due giorni la maglia di leader
Lo scorso anno, Martinez ha debuttato al Tour. Nel 2023 aveva corso la Vuelta, vestendo per due giorni la maglia di leader
Nell’intervista fatta ad Altea a dicembre, Rod Ellingworth ci ha parlato di un progetto Tour de France legato a te. Puoi dirci di cosa si tratta?

Credo che per un corridore francese come me, il Tour de France sia importante e penso che nei prossimi anni sarà la corsa più importante del mio calendario. E’ vero, c’è un progetto che coinvolge me, ma anche altri corridori come Santiago Buitrago e Antonio Tiberi, che sono entrambi leader per le classifiche generali. Poi ci sono gli altri corridori. L’obiettivo è migliorare ogni anno e fare in modo che tra qualche anno io sia competitivo al Tour de France.

Come descriveresti oggi il tuo rapporto con Marc Madiot?

Con Marc Madiot vado molto d’accordo, non ho avuto conflitti o altro. Ci siamo scambiati messaggi di auguri per capodanno, quindi non c’è nessun problema. Le nostre strade si sono separate, ma credo che la vita sia così. Però è sempre stato una persona molto buona e lo ringrazio per tutti questi anni.

Che effetto fa pensare che Romain Gregoire sarà di nuovo un rivale come quando eravate juniores?

Non è un problema, è un avversario come ce ne sono tanti altri. Non credo che dovrei concentrarmi su uno solo. Spero che Romain stia bene, è in una buona squadra e farà i suoi risultati. Resta un ottimo amico, ma non voglio passare tutto il tempo a lottare con lui. Ma so che è molto forte e gli auguro di vincere tante corse. Come lo auguro anche a me…

Costruiamo il velocista con Fusaz: potenza, endurance e testa

08.02.2025
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La vittoria allo sprint di Davide Stella al Tour of Sharjah, primo successo azzurro del 2025, è stata una delle prime sorprese positive della stagione. Il velocista del UAE Team Emirates Gen Z è appena passato under 23 e ha già trovato modo di mettersi alle spalle corridori più esperti. Non di certo un parterre di primi della classe ma in pochi, forse nemmeno lo stesso Stella, avrebbe immaginato di iniziare così la sua avventura nel devo team emiratino. 

Parlando con Giacomo Notari, preparatore dei ragazzi alla UAE Gen Z, è emerso che Stella nel ritiro di dicembre già dava del filo da torcere a velocisti del calibro di Molano. Lo stesso coach non si era detto troppo sorpreso, sottolineando però come il processo di crescita fosse ancora lungo. 

Davide Stella e la volata al Tour of Sharjah che gli è valsa la prima vittoria con la UAE Team Emirates Gen Z (foto Tour of Sharjah)
Davide Stella e la volata al Tour of Sharjah che gli è valsa la prima vittoria con la UAE Team Emirates Gen Z (foto Tour of Sharjah)

Resistenza

Abbandonando le gesta sportive dello sprinter e del pistard azzurro ci siamo interrogati più ad ampio raggio. La domanda che ci frullava per la testa era: “come si costruisce un velocista?”. Siamo così andati a parlare con Andrea Fusaz, allenatore della Bahrain Victorious, per allargare il discorso e capire come si lavora per far emergere le qualità di un grande sprinter. 

«Vero – ci dice subito – un ragazzo di 18 anni può competere nello sprint secco contro un velocista più maturo. Se ha raggiunto una maturità fisica e già lavora bene sia in bici che in palestra il picco di potenza ce l’ha. La cosa difficile è farlo arrivare fresco dopo gare da 180, 200 o 250 chilometri. Oppure deve riuscire a fare una volata anche dopo una settimana di gara. Il primo passo è quindi inserire dei lavori di resistenza, che nel tempo però rischiano di far abbassare il picco di potenza massima».

L’endurance si migliora in allenamento e in gara, accumulando ore in bici
L’endurance si migliora in allenamento e in gara, accumulando ore in bici
Bisogna trovare il giusto equilibrio tra potenza e resistenza…

La vera sfida è riuscire a portare quel picco di potenza e di forza che di solito hanno dopo 120 chilometri a quando ne percorrono 250. 

Il picco di potenza quindi anche da giovani può essere importante?

Tendenzialmente sì, vi faccio un esempio: un corridore come Skerl a 20 anni aveva un picco di potenza di 1.800 watt. Il lavoro che si può fare, da questo punto di vista, è quello di metterli nelle condizioni di mantenere quei valori per più tempo, magari 12 secondi invece che 8 secondi. Si tratta di allungare la durata dello sprint e di creare resistenza, ma entra in gioco anche la durability

Ovvero?

La capacità di riuscire a performare, quindi a fare i tuoi numeri migliori, nonostante si siano consumate tante energie prima. Il primo sintomo che tende a farci fermare nel momento in cui andiamo a cercare di aumentare la resistenza di un atleta è il fatto che comincia a perdere potenza. 

La durability invece incrementa con il passare delle stagioni e degli anni
La durability invece incrementa con il passare delle stagioni e degli anni
Come si può compensare questa perdita di potenza?

Con le sedute in bici si va ad allenare la componente aerobica, a quel punto è naturale che si perda leggermente quel picco di forza, che va compensato con la palestra ed esercizi in bici. 

Tutti i ragazzi riescono a fare questo passo, ovvero aumentare la resistenza in maniera importante mantenendo comunque lo spunto veloce?

Ci sono vari esempi: alcuni atleti riescono a mantenere comunque il loro picco nonostante comincino a inserire tanto lavoro aerobico. Altri, invece, migliorano abbastanza sul passo, ma poi non sono più in grado di fare quei numeri che gli permettevano di vincere. E’ un equilibrio abbastanza leggero, si parla di uno sport che comunque è di endurance, quindi se il corridore spende troppo la prima parte non sarà in grado di farti lo sprint dopo.

Cosa intendi con tante ore di endurance?

L’endurance alla fine sono ore in bici, quindi cominci con allenamenti da quattro a cinque ore. Tendenzialmente un velocista non fa 30 ore alla settimana, si ferma a volumi molto minori. Il “problema” è riuscire a fare in modo che l’atleta sia in grado di sostenere un consumo di chilojoule elevato e che poi riesca a sprintare. 

In che modo si riesce a vedere se un atleta sta perdendo il picco di potenza?

Dall’allenamento. In una seduta di solito si mettono degli sprint all’inizio e alla fine. In questo modo si ha un doppio riferimento: da freschi pieni di energie e con tanto zucchero nel sangue e poi alla fine quando il fisico ha consumato 2.000-3.000 kcal. Se analizzando i dati si vede una grande differenza di valori vuol dire che ci si sta concentrando troppo sull’endurance. In quel caso si riducono le ore.

Quanto contano le caratteristiche fisiche? Tu hai parlato di Skerl che pesa 77 chili ed è alto 177 centimetri, ma hai allenato anche Milan che pesa 85 chili ed è alto 193 centimetri…

Milan è un velocista atipico. L’ho allenato da quando era junior e si è sempre visto come fosse in grado di fare numeri ottimi. Per la sua dimensione e la sua stazza forse Greipel faceva meglio. Però Milan arriva alla volata con una forza che nessuno riesce a mantenere. Per fare un altro esempio: Cavendish per i numeri che aveva riusciva a tenere e poi fare una volata alla fine di un Grande Giro e vincerla. Lui è stato veramente un velocista fenomeno con i numeri che aveva. Ma c’è un altro dettaglio che conta.

Quale?

La testa. A mio modo di vedere i velocisti che sono riusciti a primeggiare veramente sono quelli che hanno imparato dalle loro volate. Tutti gli sprinter arrivano all’ultimo chilometro, ma solo uno vince e tutto si gioca in secondi. C’è una componente di lucidità e di serenità che non può essere messa in secondo piano. 

Bruttomesso (sullo sfondo) dopo un anno nel WT si sta avvicinando ai velocisti più forti del gruppo
Bruttomesso (sullo sfondo) dopo un anno nel WT si sta avvicinando ai velocisti più forti del gruppo
Un altro ragazzo giovane con il quale state lavorando è Bruttomesso…

Lui sta crescendo un sacco. Sia lui che Skerl sono giovani di primo o secondo anno e il loro percorso è appena iniziato. Stanno facendo i passi giusti, l’endurance e la durability migliorano invecchiando. Con il passare delle stagioni riesci a percorrere quei 200 chilometri consumando sempre meno. Migliora la resistenza e l’ossidazione lipidica, ma allo stesso tempo rimane alta la capacità di produrre acido lattico e quindi potenza nel breve tempo. 

Quanto è importante far correre gli atleti su percorsi misti, anche da under 23?

Tanto. Tornando al discorso durability di prima: una corsa ondulata porta ad avere 150 variazioni di ritmo e 150 punti in cui si producono otto picchi di potenza per brevi tratti. Il velocista deve riuscire a sprintare dopo tutti questi sforzi, sia a livello metabolico che a livello muscolare e neuro muscolare. Poi se si parla di ciclismo moderno dobbiamo dire che la palestra ha un ruolo cruciale per lo sviluppo della forza esplosiva. Così com’è importante l’alimentazione, quindi la quantità di carboidrati che mangiano durante la gara o l’allenamento.

Caruso si prepara per la campana dell’ultimo giro

17.10.2024
5 min
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A Ragusa il tempo è sempre bello e, quando fa brutto, di solito dura poco. Damiano Caruso è tornato a casa il giorno dopo il Lombardia. Il sabato si è fermato a Milano con i compagni per una pizza e la domenica ha preso un volo verso casa. Per i suoi gusti, dice ridendo, i 27 gradi degli ultimi giorni sono anche troppi, ma è pur vero che laggiù l’inverno non è mai rigido come in qualsiasi altra parte d’Italia. La stagione non è stata indimenticabile, piena più di imprevisti che di soddisfazioni, e questo fa pensare. Quando è a casa, Damiano si riconnette con le sue origini e il periodo senza bici diventa una fase di bilanci necessari.

«Cerchiamo di vivere come una famiglia normale – dice – dedico più tempo ai bambini che mi chiedono se li porterò io a scuola. Vedono gli altri papà che ci sono sempre, mentre io non posso quasi mai. Durante l’anno, se mi chiedono di fare un giro sullo scooter, magari devo dirgli di no perché sono stanco. Non sempre riusciamo a uscire per un gelato. E allora cerco di recuperare. Li accompagno a fare sport il pomeriggio. E dedico del tempo anche a Ornella, mia moglie: un pranzettino, una cena, quello che si può».

Il Lombardia di Caruso è stato una fuga dal chilometro zero, conclusa con il ritiro per i crampi
Il Lombardia di Caruso è stato una fuga dal chilometro zero, conclusa con il ritiro per i crampi

I sacrifici di tutti

Ristabilire il senso di normalità che lo stile di vita del corridore spesso impedisce. Anche perché i sacrifici non sono solo quelli degli atleti, ma investono il resto della famiglia.

«Mia moglie è abituata a stare da sola – ammette – a sbrigarsi le cose. Però i bambini nella loro sincerità, certe volte te lo dicono: “Papà basta, rimani a casa, non partire, rimani con noi”. Insomma, certe volte te ne vai anche con un po’ di male al cuore. Ti dici: “Cavolo, ma ha senso tutto questo?”. Per fortuna poi ricordo che siamo dei privilegiati e quindi vado a fare quello che devo fare, il mio lavoro, con altre motivazioni. In certi casi infatti tutto questo è anche uno stimolo. Nel senso che devi fare tesoro e far fruttare il tempo sottratto alla famiglia. Non sprecarlo bighellonando in giro, dargli un senso facendo bene il tuo lavoro».

Milan e Caruso, il giovane e il più esperto: fino allo scorso anno correvano insieme
Milan e Caruso, il giovane e il più esperto: fino allo scorso anno correvano insieme

Una stagione faticosa

Forse una stagione faticosa come l’ultima rende il distacco più faticoso, anche se a 37 anni sai benissimo cosa ti aspetta. Sai anche e soprattutto che non si può portare indietro il tempo e allora magari vai a cercare le motivazioni in altri angoli della mente.

«In questo momento non è la nostalgia che mi dà fastidio – spiega – quanto piuttosto il fatto che il fisico cominci a non rispondere e a recuperare come prima. Là fuori il livello è altissimo, quindi magari parti da casa sapendo che i tuoi numeri sono buoni, invece arrivi in gara e prendi una batosta. Forse bisogna cominciare a guardare in faccia la realtà. Se poi becchi una stagione come la mia, che è stata abbastanza complicata tra cadute e malanni, allora ti ritrovi tutto il tempo a inseguire. Solo che se inizi a inseguire da inizio stagione, spesso insegui tutto l’anno. A 37 anni, la paghi cara. E’ vero che di testa sei più forte e riesci a superare meglio il momento di difficoltà. Però a un certo punto ti accorgi che non bastano solo l’esperienza e la grinta. Ci vogliono anche le gambe».

Giro d’Italia, si va verso il Mottolino. Zambanini, Caruso e Tiberi nella scia di Pogacar: la Bahrain Victorious c’è
Giro d’Italia, si va verso il Mottolino. Zambanini, Caruso e Tiberi nella scia di Pogacar: la Bahrain Victorious c’è

Gregario di Tiberi

Il suo ruolo nel Team Bahrain Victorious, di cui è uno dei senatori, è stato per tutto il 2024 quello di stare accanto ad Antonio Tiberi, perché potesse fare esperienza con una maniglia importante al fianco.

«Posso dire che il Giro – ricorda Caruso – è stato il momento in cui ero più performante. Solo che per stare vicino al tuo capitano che fa classifica, devi essere forte quasi quanto lui. E comunque per raggiungere quel livello devi lavorare quanto lui e anche di più, perché lui magari è toccato dal talento. Quello che è stato dato a me, l’ho sfruttato al 100 per cento, ho raggiunto il massimo che potevo. Potevo forse svegliarmi prima, ma in quegli anni i giovani dovevano crescere con calma. Era un altro ciclismo, non era permesso bruciare le tappe. L’unica cosa che mi auguro per la prossima stagione è di divertirmi e avere un anno liscio, a prescindere dai risultati».

Anche la Vuelta nel 2024 di Caruso, che qui posa per un selfie con il grande meccanico Ronny Baron
Anche la Vuelta nel 2024 di Caruso, che qui posa per un selfie con il grande meccanico Ronny Baron

Suona la campana

Non sarà un inverno particolare, insomma. Non ci sono motivazioni da recuperare, quelle ci sono. Come lo chiami uno che cade a Burgos e quattro giorni dopo corre a San Sebastian con dieci punti nel ginocchio?

«La motivazione in più – ammette – sarà tutto quello che farò a partire da ora, dopo i 15 giorni di vacanza che mi attendono. Quando ricomincerò, suonerà la campana dell’ultimo giro e ogni cosa sarà per l’ultima volta. Sto cercando di auto-motivarmi, perché non voglio finire l’anno trascinandomi. Sicuramente mi piacerebbe tornare al Giro d’Italia con il massimo della condizione e divertirmi. Certo, il Lombardia mi ha dato da pensare. E’ vero che l’ho corso debilitato dal virus intestinale, ma è stato incredibile. Poche volte abbiamo affrontato una Monumento con l’atteggiamento di corsa da 150 chilometri. Da quando ho attaccato al chilometro zero a quando mi sono staccato per i crampi, non ho mai mollato una pedalata. Io qualche Lombardia l’ho fatto, però non avevo mai visto una roba così».

Rudy Project al Giro con Wingdream: casco per crono da sogno

18.05.2024
4 min
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L’ottima prova di Antonio Tiberi nella prima cronometro di questo Giro (6° al traguardo, tra gli uomini di classifica meglio solo Pogacar ed Arensman) oltre al Team Bahrain Victorious ha fatto certamente molto felici anche i piani alti di Rudy Project. Questo perché il giovane talento italiano ha raggiunto quel risultato indossando il nuovissimo casco Wingdream, l’ultima creazione dell’azienda trevigiana per le prove contro il tempo. Oggi sulle strade da Castiglione delle Stiviere a Desenzano del Garda andrà in scena il secondo test.

La settima tappa del Giro è stata infatti anche il giorno del debutto ufficiale del Wingdream. Sono serviti due anni di sviluppo e test in collaborazione proprio con la squadra bahreinita, che Rudy Project affianca fin dal suo esordio nel circuito WorldTour datato 2016.

A Perugia, Tiberi ha corso un’ottima crono: 6° a 1’21” da Pogacar
A Perugia, Tiberi ha corso un’ottima crono: 6° a 1’21” da Pogacar

Aerodinamica e comfort

Il nuovo casco che abbiamo visto indossare da Tiberi e i suoi compagni colpisce subito per la forma particolare, che lo fa diventare quasi tutt’uno con l’atleta.

Questo design è stato studiato per accompagnare il flusso d’aria verso le spalle del corridore, migliorando la gestione delle turbolenze sulla schiena e il suo coefficiente di penetrazione dell’aria. Nei test eseguiti in galleria del vento, Rudy Project ha riscontrato un risparmio energetico di quasi 10 watt rispetto al modello Wing, il precedente casco da cronometro della casa trevigiana.

Tradotti in termini di tempo si tratta di circa 4 secondi risparmiati, a parità di potenza, ogni 10 chilometri. Più di un minuto sulla distanza Ironman di 180 km: dettaglio fondamentale, considerando che si tratta di un prodotto pensato anche per i triatleti. Comparato sulla stessa distanza con un modello da strada tradizionale, il nuovo Wingdream permette di guadagnare addirittura 306 secondi: più di 5 minuti, un’enormità.

Disponibile da ottobre

Ma non basta il massimo dell’aerodinamica per fare un grande casco. Un’altra cosa che si nota subito guardando il Wingdream, infatti, è la presenza di un foro centrale studiato per aerare la testa degli atleti.

Questo perché la sfida dell’azienda è stata proprio quella di realizzare un casco che consentisse un grande risparmio aerodinamico, ma che allo stesso tempo fosse anche confortevole, questo perché nelle gare contro il tempo la gestione della temperatura è fondamentale.

Come tutti i caschi Rudy Project anche questo nuovo modello è stato certificato da enti terzi internazionali, che ne hanno garantito la sicurezza in ogni aspetto, a partire dai test di impatto fino a quelli rotazionali.

Dopo il fortunato esordio al Giro d’Italia, il casco Wingdream sarà disponibile al pubblico in 2 taglie e 2 colorazioni a partire da ottobre 2024.

Rudy Project

Pedalare in pianura? Non è facile come sembra, parola di Fusaz

16.02.2024
5 min
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Nella nostra recente intervista a Davide De Cassan, sul suo ambientamento nel mondo dei professionisti, è emersa la difficoltà di reggere i loro ritmi in pianura. «Ho avuto modo di vedere quanto vanno forte – ci aveva detto – e questo mi ha impressionato. La differenza tra le due categorie è davvero tanta (under 23 e pro’, ndr). In inverno ci ho lavorato tanto, anche con allenamenti specifici come ripetute lunghe all’inizio e alla fine degli allenamenti. Oppure sprint e partenze da fermo». 

Siamo andati a verificare con Andrea Fusaz, allenatore del team Bahrain Victorious e del CTF Friuli. Lui, che lavora a cavallo tra queste due categorie, ci può fornire una visione d’insieme e aiutarci a comprendere le difficoltà nel riuscire a pedalare a certi ritmi

«In prima cosa – ci dice Fusaz – bisogna dire che il passaggio è più difficile per i corridori leggeri, come De Cassan. Nel mondo dei professionisti, e in particolare nel WorldTour, ci sono dei motori impressionanti. Di categoria in categoria le velocità medie aumentano, ma il vero gradino è tra U23 e pro’».

Un corridore leggero, come De Cassan (61 chili), fatica molto in pianura rispetto a atleti più strutturati
Un corridore leggero, come De Cassan (61 chili), fatica molto in pianura rispetto a atleti più strutturati

Questione di muscoli

Nonostante ci si ostini a far arrivare nel mondo WorldTour, e non solo, corridori sempre più giovani, ci si deve ricordare che spesso si parla di ragazzi di 19/20 anni. La maturazione fisica per alcuni di loro è già arrivata, mentre per altri no. 

«Un atleta professionista navigato – prosegue Fusaz – è molto più strutturato: ha una maggiore potenza e, di conseguenza, maggiore velocità in pianura. In salita i giovani faticano meno a tenere il passo, sono leggeri e meno strutturati. Questo li aiuta. E’ anche una questione di abitudine a certe velocità. Da under 23 in gara fai sforzi più brevi e intermittenti. Quando passi professionista lo sforzo aumenta e diventa una costante».

Nel WT ci sono motori dalle cilindrate elevatissime, come Van Aert, che in pianura fanno la differenza
Nel WT ci sono motori dalle cilindrate elevatissime, come Van Aert, che in pianura fanno la differenza
Perché la differenza maggiore si ha in pianura e non in salita?

Il tipo di pedalata che si fa in salita è tanto diverso rispetto a quello che si fa in pianura. La prima potremmo definirla un carico passivo: ovvero che la pendenza mi obbliga a fare uno sforzo, per questo in salita si fanno più watt. Al contrario, in pianura, lo sforzo è attivo, è l’atleta che deve decidere di aumentare l’andatura. 

Facci un esempio…

Il fondo: Z2 e Z3. Per migliorare in pianura bisogna allenare tanto queste zone e “alzarle”. La grande differenza tra un allenamento di un U23 e di un pro’ è la velocità media. Lo stesso percorso il primo lo fa ai 32 chilometri orari di media, il secondo a 35. Capite che quei 3 chilometri orari di differenza, nell’arco di 4-5 ore di allenamento, sono tanti. 

La salita attiva dei meccanismi diversi di pedalata, la falcata si allunga
La salita attiva dei meccanismi diversi di pedalata, la falcata si allunga
Che tipo di allenamenti si fanno per alzare il ritmo?

Per prima cosa direi che si devono aumentare le ripetute in pianura. Se chiedete agli atleti quando fanno le ripetute, il 90 per cento vi dirà che le fa in salita. Questo è utile se si hanno davanti gare con tanto dislivello, ma se ci si appresta a fare gare “piatte” serve a poco. La dinamica della pedalata tra pianura e salita è tanto diversa. La cosa migliore che un ragazzo può fare è allenarsi con ripetute lunghe in Z2 e Z3.

In che senso?

In salita si fanno pedalate più “lunghe” perché si devono sfruttare anche i momenti morti. In pianura nei punti morti non spingi, quindi la pedalata è più breve. L’atleta si trova a scaricare sulle pedivelle tutta la potenza in un breve periodo. Un’attività che insegna molto da questo punto di vista è la pista, dove una pedalata dura 100 millisecondi. 

La strada per diminuire la differenza di potenza passa dagli esercizi in palestra
La strada per diminuire la differenza di potenza passa dagli esercizi in palestra
Quindi sarebbe utile portare i ragazzi in pista, per fare lavori specifici?

Lo sarebbe, se ci fossero le strutture per farlo, ma in Italia questo non è possibile. Se avessimo qualche velodromo in più, specialmente coperto, vedremmo molti più ragazzi in pista ad allenarsi. E saremmo noi allenatori i primi a portarli. 

Fuori dalla bici, invece?

La palestra è un grande aiuto, sia con i macchinari che a corpo libero. Qui entra anche in gioco il discorso di prima dello sviluppo fisico. Se un ragazzo non ha finito la crescita muscolare certi lavori li assorbirà meno. In determinati esercizi buona parte la gioca il peso dell’atleta, inteso come massa muscolare. Se a livello ormonale un ragazzo non è pronto gli effetti si vedranno di meno. 

La pista tornerebbe molto utile per imparare a ottimizzare la pedalata in pianura
La pista tornerebbe molto utile per imparare a ottimizzare la pedalata in pianura
Che macchinari si usano?

Squat, a corpo libero e con sovraccarichi oppure stacchi da terra. Questi esercizi aiutano ad aumentare la forza e hanno una ricaduta sul fisico. 

Buitrago e il padrino Bernal: una storia nata da lontano

01.01.2024
5 min
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BOGOTA’ (Colombia) – La scena è da film d’azione, ma in realtà la trama di questo “film” parla di buoni sentimenti e di una passione condivisa che si trasforma in una vita speciale, desiderata. Una vita che da sogno impossibile trasmuta in realtà solida e libro aperto ancora appena alle prime pagine, insomma tutto da scrivere. Così quando nel bel mezzo della visita al Museo dell’Oro di Bogotà sullo schermo del telefonino di Santiago Buitrago appare la scritta “Padrino”, sai già che non c’è da preoccuparsi. Non lo si può definire in maniera migliore se non “padrino”: una persona che da piccolo ti supporta, abbraccia e aiuta a crescere sportivamente come fosse un secondo padre.

La figura del “asesor” in Colombia è normale, tipica, ricorrente in tutti gli sport. Un uomo, normalmente benestante, molto probabilmente ex ciclista lui stesso, di sicuro un benefattore, che individua la passione prima, poi il talento di un giovane sportivo con mezzi economici limitati. Da quel momento lo assiste in ogni esigenza, affiancando la famiglia, fin quando questi non diventa adulto e possibilmente campione.

Questa è la storia di Carlos Bernal, medico nefrologo sessantenne titolare di alcune cliniche private in Colombia, ed il piccolo, oramai diventato campione, Santiago Buitrago, corridore del Team Bahrain Victorious.

Il viaggio nell’entroterra di Bogotà è un rituale fra Buitrago e Bernal: quest’anno con due testimoni dall’Italia
Il viaggio nell’entroterra di Bogotà è un rituale fra Buitrago e Bernal: quest’anno con due testimoni dall’Italia

Un bambino di 11 anni

Quando Francisco Rodriguez, terzo nella Vuelta 1985 vinta da Pedro Delgado, avvicinò Carlos, suo vecchio compagno di allenamenti, per raccontargli che aveva visto un bambino speciale in una gara giovanile, a Carlos si drizzarono subito le orecchie. Carlos stesso era stato un ciclista dilettante nella Colombia degli anni ’80, arrivato alle soglie del professionismo, con un sogno mai realizzato in prima persona, ma col desiderio di realizzarlo nella sua seconda parte di vita. Era un medico laureato che poteva darsi da fare per aiutare qualcun altro lì dove lui non era riuscito ad arrivare. Quel bambino aveva appena 11-12 anni e in effetti, racconta oggi Carlos, a prima vista fu quasi un colpo di fulmine sportivo.

Santiago Buitrago in formato mini era sveglio, sapeva correre nelle posizioni avanzate del gruppo, sapeva scattare in salita, sapeva vincere in sprint ristretti. Ma soprattutto aveva occhi vispi che illuminavano un visino tondo color cioccolato contornato da  un caschetto di capelli scuri, come quelli dei cartoni animati. Gambette cicciotte ma potenti, una agilità innata, un colpo di pedale sicuramente speciale. Ma gli mancava tutto il resto: un paio di scarpe adeguate, una bici accettabile al posto del catorcio usato fino a quel momento, una divisa da ciclista vero. Tutto quello che Carlos stava aspettando da tempo di realizzare, al momento giusto, con il campioncino giusto, con la famiglia giusta disposta ad accettare la sua mano tesa.

Carlos Bernal ha tenuto a battesimo Buitrago sin da quando aveva 11 anni
Carlos Bernal ha tenuto a battesimo Buitrago sin da quando aveva 11 anni

L’asesor e il campione

E così nell’estate del 2011 inizia l’amicizia inseparabile tra Carlos e Santiago, l’asesor ed il campione, così come era stato qualche anno prima per Pablo Mazuera con Egan Bernal. Iniziava la storia dei lunghi viaggi in Suv per le montagne colombiane di Carlos Bernal (nessuna parentela con Egan) insieme a Santiago Buitrago. Loro due, una bici, l’acqua, qualche banana per il rifornimento e una borsa sportiva con scarpette, salopette, asciugamano, casco e occhiali e tanti sogni da realizzare.

Un sodalizio così forte da generare qualche gelosia e tensione anche nella famiglia Buitrago, specialmente quando Carlos nel 2019 aveva fatto di tutto per spedire in Europa, in Toscana, tra le braccia di Francesco Ghiarè ed il suo Team Cinelli un giovane ed inesperto under 23 al secondo anno di categoria. Dopo quattro gare aveva collezionato già una top 10, ma anche tre ricoveri in ospedale per tre cadute disastrose.

Al Giro del Friuli 2019 in maglia Cinelli, Buitrago con Quartucci, oggi pro’ alla Corratec (foto Instagram)
Al Giro del Friuli 2019 in maglia Cinelli, Buitrago con Quartucci, oggi pro’ alla Corratec (foto Instagram)

Emergenza in Italia

Don Gustavo Bernal aveva convocato a casa propria Carlos per inchiodarlo difronte alle sue responsabilità, ora che il figlio era in difficoltà. Un volo aereo Bogotà-Roma d’emergenza risultava troppo costoso per le tasche della famiglia di origine. Santiago aveva perduto conoscenza per una notte nel letto d’ospedale e i genitori erano troppo inquieti per lasciarlo solo in Italia in quelle condizioni.

Allora Carlos si era subito messo in moto per partire ed andare a riprenderlo per riportarlo in patria, quando Santiago dall’altra parte della cornetta, dall’altro capo dell’Oceano Atlantico lo aveva scongiurato di non farlo. Voleva provarci una volta ancora, tutto sarebbe andato per il verso giusto, lui le sue chance se le voleva giocare tutte, costasse quel che costasse, anche contro la volontà della famiglia. E Santiago aveva avuto ragione, così tanta ragione che a ricordarlo oggi Santi e Carlos ancora si guardano negli occhi e sorridono, felici di avercela fatta insieme, felici di ripercorrere quei giorni nel viaggio annuale che insieme da allora si regalano ogni dicembre.

Dopo la scalata all’Alto de Letras, un po’ di ristoro in piscina. Carlos Bernal è il primo da sinistra. A destra Esteban Guerrero, corridore di 23 anni
Dopo l’Alto de Letras, un po’ di ristoro in piscina. Carlos Bernal è il primo da sinistra. A destra Esteban Guerrero, corridore di 23 anni

Il viaggio a dicembre

Una tradizione, restando per giorni nelle montagne colombiane in Van e bicicletta, per parlare delle loro vite, per pianificare la stagione successiva, per mangiare, ridere e pedalare lontani dallo stress. Come fossero ancora un medico giovane ed un ragazzino alle prime armi, pieni di entusiasmo e passione condivisa per il ciclismo.

Perché il mondo intorno può cambiare, diventare veloce e stressante, ma il loro mondo sospeso tra Bogotà e l’Alto de Letras rimarrà sempre lo stesso, degno della trama di un film d’azione che si è saputo col tempo trasformare in pellicola. Vi si parla di buoni sentimenti e di una passione condivisa che si trasforma in una vita speciale: quella del ciclista professionista campione.

Segaert divisi: Loic al Bahrain, Alec resta in Belgio

01.12.2023
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Si dividono in modo forse inatteso le strade dei fratelli Segaert (in apertura nell’immagine Photo News/GVA) e la cosa è a suo modo sorprendente. Julien Pinot ad esempio sarebbe stato ben contento, a un certo punto della sua carriera, di cercare stimoli nuovi in una squadra diversa dalla Groupama-FDJ. Invece Thibaut non ha mai voluto lasciare Madiot: il fratello ne ha preso atto ed è rimasto al suo fianco.

La cosa non si è ripetuta invece con Loic e Alec Segaert, i due fratelli nati e cresciuti nella fiamminga Roselare. Il primo, il più grande, è l’allenatore. Il secondo, cinque anni di meno, è una giovane promessa del ciclismo belga, con due anni ancora di contratto alla Lotto-Dstny.

Loic Segaert, ha allenato suo fratello nelle categorie giovanili e lo ha poi seguito alla Lotto-Dstny
Loic Segaert, ha allenato suo fratello nelle categorie giovanili e lo ha poi seguito alla Lotto-Dstny

Una corte serrata

Forse Loic ha pensato che altrove avrà maggior considerazione e possibilità. Perciò a 25 anni, ha accettato l’offerta del Team Bahrain Victorious. La notizia ha colto di sorpresa tutti coloro che pensavano all’inscindibilità della coppia, invece Loic è parso estremamente lucido.

«Forse è stata una sorpresa per il mondo esterno – ha ammesso – ma certamente non per me. Sapevo già da qualche mese che sarebbe successo, i contatti con la nuova squadra risalgono a molto tempo fa. Il team manager Miholjevic mi ha parlato per la prima volta quasi due anni fa. Siamo sempre rimasti in contatto e negli ultimi mesi il loro interesse si è fatto concreto. Anche altre squadre mi hanno contattato, ma il Bahrain si è fatto avanti con una proposta concreta, che ho accettato».

Loic Segaert sarà l’allenatore di Alberto Bruttomesso e di altri due atleti del “devo” team
Loic Segaert sarà l’allenatore di Alberto Bruttomesso e di altri due atleti del “devo” team

Coach di Bruttomesso

Nel team, che lo scorso anno ha perso Paolo Artuso, ma può contare su allenatori come Andrea Fusaz, Michele Bartoli, Tim Kennaugh e Aritz Arberas, il ruolo di Segaert è stato già discusso e definito. Gli sono stati affidati infatti corridori come Kamil Gradek (33 anni), Johan Price-Pjetersen (24), Ahmed Madan (23) e il giovane Alberto Bruttomesso (20).

«Aiuterò anche due corridori del team development – ha spiegato Segaert – in modo che possano integrarsi senza problemi nella WorldTour quando passeranno nel 2025. Sarò quindi il loro allenatore sin da adesso. In questo modo sapremo già cosa aspettarci gli uni dagli altri. Price-Pjetersen è un cronoman, quindi con lui posso continuare quello che stavo già facendo con Alec. Gradek è un gregario, devo prepararlo per le gare in cui dovrà lavorare. Bruttomesso lo allenerò nel modo più graduale possibile, affinché si unisca agevolmente al team WorldTour».

Loic Segaert, classe 1998, ha corso fino agli U23, poi si è laureato ed è diventato allenatore
Loic Segaert, classe 1998, ha corso fino agli U23, poi si è laureato ed è diventato allenatore

Fra poco il ritiro

Finora si è svolto tutto su piattaforme online e al telefono, la parte più… viva del suo lavoro inizierà a partire dal 6 dicembre nel ritiro di Altea, con il primo contatto con la squadra e i suoi atleti.

«Finalmente – ha sorriso Loic Segaert – incontrerò la maggior parte dei corridori per la prima volta. Anche se sto già lavorando duro per conoscere la squadra il più velocemente possibile, le strutture, l’organizzazione… Ho fatto tante telefonate in queste settimane e mi sono anche impegnato ad analizzare i corridori. Cosa potrebbero fare di meglio? Come possiamo migliorare le loro prestazioni nelle prove a cronometro? Quel genere di cose. Come allenatore parlo molto con i miei corridori, per individuare con loro gli obiettivi più realistici. I risultati non sono strettamente collegati a questo lavoro, l’obiettivo è semplicemente aiutarli a sviluppare il loro massimo potenziale».

Voglia di crescere

Fin qui tutto nei binari di una nuova collaborazione, ma come si viene a patti col fatto di aver lasciato suo fratello in Belgio? Loic, che ha corso sino al primo anno da U23 e quindi magari sa che cambiare squadra fa parte del gioco, non se ne cruccia troppo. Anzi, vede nel cambiamento un passo in avanti anche per Alec. I due insieme hanno centrato per due volte l’argento al mondiale crono U23 (l’ultimo lo scorso agosto dietro Milesi), due titoli europei ugualmente contro il tempo e anche due secondi posti agli ultimi campionati nazionali del Belgio: dietro Evenepoel nella prova in linea, dietro Van Aert nella crono.

«Certamente è un peccato che io e Alec non possiamo più lavorare insieme – ha spiegato Loic – ma questa è un’opportunità per entrambi. Proprio come me, Alec ora dovrà fare un passo fuori dalla sua comfort zone, iniziando a lavorare con Sander Cordeel. In questi anni sono stato anche il tramite fra lui e i meccanici per la messa a punto della bici da crono, ora dovrà farlo più spesso da solo, ma questo lo renderà più consapevole degli aspetti tecnici. Neppure per me sarà facile. Passo in una squadra internazionale, dove non si parlerà fiammingo, ma praticamente solo l’inglese. Avevo da tempo voglia di superare i miei limiti e di motivarmi ancora di più. Per questo ho accettato la nuova sfida».

Il ritiro di Altea bussa alle porte. L’Hotel Cap Negret vedrà a breve l’arrivo di atleti e tecnici del Team Bahrain Victorious e fra questi ci sarà Loic Segaert. Di sicuro verrà presto travolto nel vortice delle mille cose da fare, ma chissà che nei ragionamenti di Miholjevic non faccia già capolino la possibilità di riformare la coppia dei fratelli. Nel 2026 anche Alec sarà libero dal contratto con la Lotto e avrà ancora 23 anni.