Test Specialized Aethos II, 2025

Aethos 2, siamo davvero certi che non sia la bici per gli agonisti?

15.10.2025
6 min
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La nuova S-Works Aethos 2 di Specialized, difficilmente la vedremo nel circus dei professionisti. E’ leggera, troppo leggera per essere una bicicletta da WorldTour e renderla utilizzabile tra i pro’ comporterebbe un’artificiale aggiunta di peso del tutto innaturale. Il progetto Aethos non nasce per i professionisti, ma potrebbe essere la bici ideale per i granfondisti amanti dei dislivelli importanti, dei pesi ridotti e delle bici caratterizzate da forme minimali, un mezzo adatto a chi non ricerca l’aerodinamica a tutti i costi.

L’abbiamo messa sotto torchio subito dopo la sua presentazione ufficiale e usata con tre setting differenti di ruote, con tre altezze diverse, proprio per capire quale potesse essere il suo limite. Il nostro test si è concluso con la Granfondo Tre Valli Varesine di domenica 5 ottobre, non tanto con l’ambizione di un risultato, semplicemente perché il contesto gara offre sempre degli spunti interessanti difficili da affrontare durante le normali uscite di prova.

Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Il test della Aethos 2 si è concluso alla Granfondo Tre Valli Varesine (foto Andrea Cogotti)
Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Il test della Aethos 2 si è concluso alla Granfondo Tre Valli Varesine (foto Andrea Cogotti)

S-Works Aethos 2 e la sua geometria

Volendo semplificare (lasciando nel cantone il valore di stack, non masticato in modo ottimale da tutti), e considerando la lunghezza della tubazione dello sterzo, la Aethos 2 è più alta (taglia per taglia) di circa un centimetro rispetto alla SL8. In senso generale, è più alta di un centimetro rispetto alla categoria road performance. Considerando il lato pratico questo valore, la traduzione è una posizione leggermente più rilassata e alta, un migliore e pieno appoggio sulla sella, il diaframma non compresso e schiacciato verso il basso. Tutti fattori che possono contribuire ad una esperienza in bici migliore per chi non fa il ciclista di mestiere. E’ una bicicletta dedicata a chi ma ama fare delle gran belle cavalcate in bici, magari con salite lunghe ed impegnative, magari non considera le gare a circuito, ma gli eventi dove i percorsi ricchi di salita diventano il soggetto principale.

Inoltre, la lunghezza “maggiorata” del profilato dello sterzo (gli sviluppi geometrici sono i medesimi per S-Works, Pro ed Expert) limita l’utilizzo degli spessori tra attacco manubrio e serie sterzo, fattore che rende più armonico l’impatto visivo. Non di rado si osservano bici super top di gamma, sviluppate per i pro’, usate da appassionati e con torrette di spessori (roba poco ortodossa).

Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Bici molto progressiva che mostra una grande adattabilità (foto Specialized)
Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Bici molto progressiva che mostra una grande adattabilità (foto Specialized)

Una Specialized solo per la salita?

A nostro parere no, anche se portarla con il naso all’insù è parte della gratificazione che può arrivare dalla bicicletta, ma è sempre la gamba (e la testa) a ricoprire il ruolo di protagonista. La salita. Aethos 2 va contestualizzata nella salita, perché le erte non sono tutte uguali. Aethos 2 non è una scattista, ma è una bici progressiva che accompagna e asseconda il gesto, la pedalata, il modo in cui ci si muove quando si è sotto sforzo. A tratti sembra sparire, a tratti si pone con comportamenti decisi, quasi perentori e marcati, ma non tende mai a comandare, tanto in salita quanto in discesa. E’ molto diversa dalla SL8, quest’ultima più “violenta” e briosa, in particolar modo sui cambi di ritmo secchi.

Le salite brevi prese di slancio sono il suo ambiente ideale fino ad un certo punto, per via delle sue “risposte più lunghe”. Le salite lunghe e costanti, quando la pendenza va in doppia cifra e ci resta per un po’, questi sono i frangenti dove si apprezzano le reali peculiarità della Specialized Aethos. E’ la bici da cruise-control. Aethos non è la bici del cerino buttato in mezzo al gruppo che fa scoppiare il petardo, ma è quella dei watt alti e costanti.

Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Forme minimali e magre, una delle sue caratteristiche
Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Forme minimali e magre, una delle sue caratteristiche

Il comfort, alla lunga è un vantaggio da sfruttare

Anche il comfort è tutto da contestualizzare, perché una bici che fa segnare il peso record di 6,2 chilogrammi nella taglia 54 (con i pedali, Dura Ace e ruote Roval Alpinist III) pronta per essere pedalata, ha bisogno di essere capita. La comodità arriva principalmente dalla geometria, dalla sua agilità in ogni situazione, dal reggisella e da quel carro posteriore che non pesano mai, neppure quando la velocità cala in modo esponenziale. La sensazione di comfort è reale quando si passano le 5 ore di bici ed il dislivello positivo va oltre i 3.000 metri, la schiena non fa male e le spalle non si incassano nel collo.

La comodità arriva anche dal fatto di poter sfruttare la bici al pieno delle sue potenzialità con tubeless da 30 millimetri di larghezza e ruote medio/alte che semplicemente sono in grado di aumentare la stabilità. Non è poco se consideriamo che l’avantreno non subisce in nessuna maniera la “deportanza” che talvolta si verifica per via dei cerchi medio/alti. Lo sterzo ed il manubrio restano sempre liberi, non si induriscono e non subiscono l’effetto steering.

33, 45 e 55 millimetri, cosa è meglio?

Abbiamo provato la S-Works Aethos 2 con tre configurazioni diverse. Con le “sue” Roval Alpinist è più comoda, in discesa mostra un avantreno brioso, necessita un periodo di presa di confidenza ed è piuttosto lunga nelle risposte. Non è una bici veloce, ma neppure lenta come una tipica bicicletta della categoria endurance. Con i cerchi da 45 e tubeless da 30, a nostro parere il setting più sfruttabile in ottica all-round, si spinge maggiormente verso l’agonismo, guadagna in velocità quando è necessario, ed in discesa è una lama nel burro. Qui emerge anche il suo equilibrio strutturale e una precisione di guida che è davvero godibile. Resta comoda.

Con le ruote da 55, a nostro parere, una parte delle sue peculiarità si perdono e la bici (tecnicamente) va fuori contesto. Non diventa scarsa, ma le ruote troppo alte non sono il suo vestito ideale, si possono montare e sfruttare questo è certo, ma non è il caso di fare la macchietta alla SL8.

Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Può variare leggermente la resa tecnica, ma il suo DNA non cambia (foto Specialized)
Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Può variare leggermente la resa tecnica, ma il suo DNA non cambia (foto Specialized)

In conclusione

Quali potrebbero essere i vantaggi di una Aethos 2? A nostro parere è una bici che non ha età ed epoca, un mezzo dove la geometria fa la differenza (in positivo) per la maggior parte degli amatori, o per chi trae benefici da una guida comoda, non schiacciata sull’anteriore. Gli svantaggi? Talvolta può sembrare una bicicletta fuori dai tempi attuali, dove c’è tanta aerodinamica che detta legge sul design e l’integrazione di ogni componente, anche il più piccolo è uno dei canoni considerati in fase di acquisto.

Il bello di una Aethos è la sincerità di una bici che resta tale a prescindere dai componenti che vengono usati. La resa tecnica può essere in parte modificata, ma di fatto la base resta e resterà quella di un mezzo tanto immediato sull’avantreno (migliorato rispetto alla versione precedente), quanto progressivo e confortevole nel complesso. Più o meno veloce, ma la Aethos 2 non diventerà mai una bici aero e non sarà mai un compromesso.

Specialized

La leggerezza è uno dei tanti plus della nuova Specialized Aethos II

02.10.2025
8 min
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La leggerezza è uno dei tanti plus della nuova Specialized Aethos II. E' la bici più leggera, ma rispetto alla precedente cambia (non poco).

Specialized Aethos era e resta la bici più leggera del mercato. Eppure il valore alla bilancia, pur recitando un ruolo primario, è uno dei tanti soggetti di questa bici fuori dagli schemi moderni. Aethos II (la seconda generazione) è un vero e proprio esercizio di ingegneria applicata al carbonio.

Rispetto alla precedente è più alta sull’anteriore a parità di taglia, perché è stato aumentato il valore di stack e lo sterzo è più aperto in avanti. E’ più lunga per via del passo maggiorato ed ha una scatola centrale più alta da terra, il tutto a favore di un comfort funzionale e della stabilità. C’è molto da raccontare e lo facciamo anche grazie all’ingegner Alessandro Giusto, Simulation Manager di Specialized, un ruolo che pretende grandi responsabilità e abilità per nulla banali.

La leggerezza è uno dei tanti plus della nuova Specialized Aethos II (foto Specialized)
La nuova Aethos II è una bici da scalatore e non solo
La leggerezza è uno dei tanti plus della nuova Specialized Aethos II (foto Specialized)
La nuova Aethos II è una bici da scalatore e non solo

Aethos II, esercizio di tecnologia e ingegneria

«Quando ci è stato chiesto di rinnovare la Aethos – racconta sorridendo Alessandro Giusto – ho pensato: okay, abbiamo un problema, perché la base tecnologica di partenza era davvero importante. Abbiamo raccolto la sfida e abbiamo messo insieme i diversi tasselli. Rispetto alla Specialized Aethos I, abbiamo cambiato nel profondo le geometrie, rendendole più comode, abbiamo cambiato il layout del carbonio, con l’obiettivo di ridurre il peso dove possibile mantenendo quel feeling di immediatezza che ha caratterizzato la prima Aethos. E’ stato eseguito un lavoro certosino nell’eliminazione di punti inutili di rigidità. Ovviamente è stato incrementato lo spazio utile per far alloggiare pneumatici grandi, come vuole la tendenza attuale. Sulla nuova Aethos è possibile montare gomme fino a 35 millimetri di sezione, lasciando la distanza di 6 millimetri dalle tubazioni.

«Meno 6 grammi dalla scatola centrale – prosegue Alessandro Giusto – tolti 2 grammi dagli alloggi per le pinze dei freni. 9 grammi in meno sul morsetto del reggisella, oltre ai 2 grammi risparmiati nella zona del supporto cambio, considerando che è UDH, quindi più ingombrante rispetto alla versione originale. Piccoli dettagli che si aggiungono ai 34 grammi complessivi che sono stati risparmiati grazie alle nuove simulazioni del carbonio, sviluppate direttamente da noi. Mi piace comunque affermare – conclude Giusto – considerando anche il peso estremo che è stato raggiunto con Aethos II, che in Specialized la ricerca è un esercizio che non ha un termine. Dati, analisi e confronti sono costanti, ma l’ultima decisione non è mai delegata all’intelligenza artificiale. Siamo noi a mettere la firma».

La leggerezza è uno dei tanti plus della nuova Specialized Aethos II (foto Specialized)
Alessandro Giusto è il Simulation Manager di Specialized
La leggerezza è uno dei tanti plus della nuova Specialized Aethos II (foto Specialized)
Alessandro Giusto è il Simulation Manager di Specialized

Non nasce per i pro’, tuttavia…

Il progetto Specialized Aethos II segue il filone di una piattaforma e un concetto che non vuole soddisfare gli atleti professionisti, ,a questo non significa non accontentare l’agonista. E’ chiaro che Aethos si discosta in modo importante dalla SL8.

C’è un peso super ridotto per ogni versione, non solo per la top di gamma S-Works: al centro dello sviluppo ci sono il comfort ed una bicicletta ampiamente sfruttabile sulle lunghe (e lunghissime) distanze con tanti metri di dislivello positivo. Anche gli allestimenti sono stati combinati per permettere al telaio ed alle geometrie di funzionare al meglio, mettendo in mostra le caratteristiche appena descritte.

Come si presenta al primo sguardo

Esile e minimale. Specialized Aethos II è quasi fuori contesto se consideriamo buona parte delle tendenze attuali che vedono l’estremizzazione aerodinamica come protagonista e volumi delle tubazioni grandi, talvolta ingombranti. Tutte le tubazioni di Aethos II sono tondeggianti, non ci sono spigoli a vista e nervature che interrompono l’armonia di un telaio magro, sinuoso, armonioso, con uno sloping piuttosto marcato. Davanti non è schiacciata verso il basso, non è una bici ribassata, il lavoro fatto e relativo all’aumento dello stack si vede. La scatola del movimento centrale è fine e le calotte del movimento centrale sono esterne. I pendenti obliqui del carro sono sfinati e sembrano innestarsi senza soluzione di continuità nell’orizzontale, senza interferire con il piantone che supporta il reggisella rotondo da 27,2 millimetri di diametro. Un classico che non passa mai di moda.

C’è il nuovo cockpit integrato Roval che si sposa davvero bene con tutto il resto: dona quel tocco di modernità ed efficienza che non guasta per nulla. Ci sono le ruote basse, perfettamente in linea con il core concept Aethos e siamo convinti che anche con le ruote alte (magari un profilo da 50 o giù di lì) pagherebbe l’occhio, non poco. Aethos II è una di quelle bici senza età e senza tempo.

Le peculiarità tecniche da considerare

Tre livelli di kit telaio: S-Works, Pro ed Expert. Per il primo è stato adottato il blend di fibre Fact 12r, mentre per gli altri due il carbonio Fact 10r. Un telaio Aethos II S-Works nella taglia 56 fa segnare il peso record di 595 grammi.

Le geometrie rinnovate ci mostrano una bici che, taglia per taglia ha lo stack aumentato di 15 millimetri (soluzione che oltre al resto aiuta a ridurre l’impiego di spessori tra stem e tubo sterzo), con un angolo anteriore più aperto di 0,5°.

La leggerezza è uno dei tanti plus della nuova Specialized Aethos II (foto Specialized)
Le prime pedalate nella Brianza, il test si completerà tra un paio di settimane
La leggerezza è uno dei tanti plus della nuova Specialized Aethos II (foto Specialized)
Le prime pedalate nella Brianza, il test si completerà tra un paio di settimane

Allestimenti e prezzi

Partendo dal presupposto che tutte e tre le versioni (S-Works, Pro ed Expert) sono disponibili in sei misure (49, 52 e 54, 56, 58 e 61), gli allestimenti sono cinque in totale. A questi si aggiunge un frame-kit, solo per la versione S-Works. Esso è composto da telaio, forcella e serie sterzo, reggisella e collarino in alluminio, dichiarato ad un peso complessivo di 1,24 chilogrammi nella misura 56. Prezzo di 3.799 euro di listino per la grafica raw carbon, 5.499 per le due livree cromatiche perlate.

Per il pacchetto S-Works ci sono le trasmissioni Shimano Dura Ace (la stessa che abbiamo usato durante la presentazione ufficiale e nelle prime fasi di test, prova che vedrà una pubblicazione dedicata nei prossimi giorni) e Sram Red AXS. La prima porta in dote il power meter 4iiii, mentre la seconda il misuratore Quarq. Per entrambe ci sono le nuove ruote Alpinist CLX III ed il cockpit Roval Alpinist II. Si parla di due modelli con un valore dichiarato alla bilancia di 6,05 e 5,98 chilogrammi nella misura 56. Il prezzo di listino è di 13.499 euro per entrambe.

Molto interessante è il segmento Pro di Specialized Aethos II, sotto diversi aspetti. I due allestimenti proposti di basano sulle trasmissioni Shimano Ultegra e sull’ultima versione di Sram Force E1 con power meter nell’asse della guarnitura. Hanno il nuovo manubrio integrato Roval Alpinist II e le ruote Alpinist CL II con raggi in acciaio. I pesi dichiarati sono di 6,73 e 6,71 chilogrammi, entrambe nelle misure 56. Prezzo di 8.499 euro per entrambe.

Infine il modello Expert con la trasmissione Shimano Ultegra, ruote Roval C38 e manubrio separato stem/piega. Il peso dichiarato di quest’ultima è di 7,12 chilogrammi (sempre misura 56), proposto a 6.299 euro.

Specialized

Roval Alpinist di Specialized, arrivano due componenti leggerissimi

Roval Alpinist di Specialized, arrivano due componenti leggerissimi

30.09.2025
5 min
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Specialized ufficializza un nuovo cockpit integrato, il Roval Alpinist II e rinnova le sue ruote più leggere della gamma, le Alpinist CLX III di terza generazione.

Il manubrio è full carbon, ha un’ergonomia e forme differenti dalla versione Rapide (normalmente in dotazione alla Tarmac SL8) ed èsviluppato in ottica comfort e piena sfruttabilità. Le ruote sono incredibilmente leggere, 1.131 grammi dichiarati con tubeless tape e valvole inserite. Le nuove Alpinist CLX III hanno i raggi in carbonio. Entriamo nel dettaglio.

Ruote Specialized per scalatori e non solo

Famiglia Roval e categoria Alpinist, ovvero le ruote con cerchio medio/basso che puntano ad essere leggere fin dalla prima versione. Suffisso CLX III, ovvero il top di gamma Roval di terza generazione. Le nuove adottano i raggi in carbonio Arris (24 per la ruota posteriore, 21 per l’anteriore e con assemblaggio completamente eseguito a mano), soluzione che ha permesso di ridurre il peso rispetto alla versione più anziana con i raggi in acciaio di ben 103,5 grammi (tantissimo). Il cerchio è full carbon da 33 millimetri di altezza, il canale interno è largo 21 millimetri (non è hookless), perfettamente compatibile con tubeless e camere d’aria. I mozzi Roval sono in alluminio con la meccanica interna DT Swiss 180. Hanno un design minimale con il fusto centrale dalle dimensioni ridotte e flange completamente differenziate tra anteriore e posteriore, tra lato destro e quello sinistro.

Torniamo ai raggi. Sono sicuramente belli da vedere e donano un senso di “maggiore pienezza” alla singola ruota, nonostante il profilo basso del cerchio. Questo grazie al disegno piatto/aero che caratterizza buona parte di ogni singolo profilato, ad eccezione dei terminali (arrotondati) che sono fasciati da veri e propri involucri in titanio. Un dettaglio non secondario, a favore della sicurezza e della stabilità dei raggi che si innestano nelle flange dei mozzi e all’interno del cerchio. Non in ultimo permettono interventi rapidi in caso di manutenzione/intervento. Le Alpinist CLX III si rivolgono agli amanti dei pesi ridotti, a chi ricerca una ruota briosa e comoda al tempo stesso. Un prodotto di alta gamma adatto a chi preferisce una guida molto agile ed immediatezza nell’approccio alle traiettorie, azzerando di fatto qualsiasi “effetto steering” dovuto ai profili maggiorati. Il prezzo di listino è di 3.198 euro.

Il manubrio integrato Roval Alpinist II

Stem e piega sono un blocco unico: è completamente full carbon, ma si discosta in modo importante dal fratello Roval Rapide. Il nuovo cockpit Alpinist II adotta un design più asciutto e magro, non ha un’aerodinamica marcata come il Rapide e non ha la curva protesa in avanti, una delle caratteristiche principali del Rapide. Alpinist II di Specialized mette sul piatto un comfort maggiore ed una piena sfruttabilità (semplifica) per differenti tipologie di utenza. Resta perfettamente compatibile con la SL8 grazie al medesimo design degli spacers tra zona dello sterzo e stem.

In fatto di numeri parliamo di un cockpit integrato con 270 grammi di peso (dichiarati) la cui ergonomia è stata sviluppata anche grazie al database Body Geometry Retul. La piega (destra e sinistra) presenta 4° di flare (svasatura laterale) e una capacità di smorzamento maggiorata del 28,3% rispetto al modello Rapide. E’ disponibile con lunghezze dello stem a partire da 80 millimetri, fino a 130. Quattro le larghezze della piega: 38, 40 e 42, 44 centimetri. Il prezzo di listino di Specialized Roval Alpinist II è di 579 euro.

Specialized

Ermanno Leonardi dopo 36 anni lascia la guida di Specialized Italia

11.09.2025
3 min
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Il settore della Bike Industry italiana si prepara a salutare una delle sue figure più riconosciute e influenti. Dopo ben trentasei anni di grande dedizione, Ermanno Leonardi si ritira dal ruolo di Amministratore Unico di Specialized Italia (in apertura insieme a Peter Sagan dopo la terza vittoria iridata consecutiva da parte dello slovacco). La sua uscita di scena, prevista per il prossimo 1° di ottobre, segna così la fine di una vera e propria era e l’inizio di un nuovo capitolo per il marchio.

Il nome di Ermanno Leonardi è indissolubilmente legato alla storia di Specialized in Italia. Dal 1993, anno di fondazione della filiale, Leonardi ha guidato l’azienda con una visione chiara e una passione inesauribile. Il suo ruolo non si è limitato alla gestione operativa: è stato un vero e proprio architetto del successo del brand. Sotto la sua leadership, Specialized è cresciuta esponenzialmente, affermandosi come un punto di riferimento per ogni ciclista, dal professionista all’amatore.

L’influenza di Leonardi ha toccato ogni singolo aspetto dell’azienda. Ha contribuito alla strategia di marketing internazionale, ha curato le relazioni con gli atleti e ha supportato l’ascesa del marchio nelle competizioni più prestigiose. La sua profonda conoscenza del settore,  e la sua incondizionata dedizione al brand, hanno plasmato l’identità di Specialized in Italia. Grazie a lui, l’azienda non è solo un fornitore di biciclette, ma un vero e proprio partner per l’intera comunità ciclistica.

Ermanno Leonardi dopo 36 anni lascia la guida di Specialized Italia e ricoprirà il ruolo di “Supremo Specialista”
Ermanno Leonardi dopo 36 anni lascia la guida di Specialized Italia e ricoprirà il ruolo di “Supremo Specialista”

Il futuro del marchio

Pur lasciando la guida operativa, Ermanno Leonardi continuerà a far parte della famiglia Specialized. La sua figura non si disperderà, ma evolverà in un ruolo di “Supremo Specialista”, un mentore per la nuova generazione. Il suo compito sarà quello di trasmettere la sua passione e le sue ineguagliabili conoscenze, assicurando che i valori di eccellenza e innovazione su cui il marchio è stato fondato continuino a prosperare. Questo passaggio di testimone rappresenta un omaggio alla sua carriera e un investimento nel futuro del brand.

«Ringraziamo Ermanno per la sua passione, la sua leadership e la sua incrollabile dedizione – ha dichiarato Mike Sinyard, il Presidente e Fondatore di Specialized – la sua eredità continuerà a ispirarci negli anni a venire».

Da sinistra a destra: Miguel Rojo Managing Director EMEA, Ermanno Leonardi, Gerardo Francabandiera, nuovo Market Leader Specialized Italia, e Mike Sinyard fondatore e Chief Rider Advocate di Specialized

Francabandiera nuovo Market Leader

Con l’uscita di scena di Leonardi, l’azienda accoglie il suo successore. Il nuovo Market Leader per l’Italia sarà Gerardo Francabandiera. Con oltre un decennio di esperienza in Specialized, Francabandiera ha dimostrato una crescita notevole e un forte impegno verso il marchio. La sua lunga collaborazione con Ermanno Leonardi lo ha reso il candidato ideale per assumere questo ruolo di grande responsabilità. La sua profonda conoscenza del mercato, e la sua comprovata leadership, lo posizionano al meglio per guidare Specialized Italia verso nuove sfide e successi.

Il ciclismo italiano celebra dunque la carriera di un vero e proprio come Ermanno Leonardi, un uomo che ha saputo costruire una storia di successo. Al contempo, accoglie con fiducia Gerardo Francabandiera, il nuovo leader che avrà il compito di portare avanti questa straordinaria eredità.

Specialized

Da Specialized alla SD Worx, Mondini sale in ammiraglia

22.10.2024
6 min
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Quando ad aprile Specialized gli ha comunicato che a fine anno il suo contratto non sarebbe stato rinnovato, Gian Paolo Mondini si è trovato come chiunque perda il lavoro degli ultimi 14 anni e debba ricostruirsi una vita. Fortunatamente però il romagnolo, che dopo aver smesso di correre si è laureato in psicologia e non ha mai chiuso in modo fragoroso le porte dietro di sé, non ha dovuto aspettare molto per trovare un’altra strada.

«Conoscete qualcuno nel ciclismo – dice con un sorriso – che pensi che i contratti durino a vita? Mi sono sempre guardato in giro, pensando di dover avere un piano B e un piano C. Ultimamente mi ero accorto che cominciavo a fare sempre le stesse cose. Gli spunti che davo non erano più recepiti, quindi effettivamente può darsi che fossi arrivato a un punto di non ritorno e fosse necessario cambiare qualcosa».

L’occasione gliel’ha data Danny Stam, team manager del Team SD Worx-Protime, la squadra della neo campionessa del mondo Lotte Kopecky, della partente Demi Vollering e di Lorena Wiebes, oltre che di Elena Cecchini, Barbara Guarischi e Anna Van der Breggen che torna a correre. La squadra ha bici Specialized, Mondini ha avuto con loro frequentissimi rapporti di lavoro. Saputo che fosse su piazza, Stam non ha perso tempo.

E’ stato Danny Stam, team manager della squadra olandese, a contattare Mondini (foto SD Worx-Protime)
E’ stato Danny Stam, team manager della squadra olandese, a contattare Mondini (foto SD Worx-Protime)
Come è andata?

Ho comunicato subito alle squadre con le quali collaboravo che non avrei più lavorato con Specialized. Danny mi ha chiamato il giorno dopo e ha detto di volermi parlare. Io stavo facendo una piccola… vacanza al Giro di Sardegna cicloturistico e lui mi ha chiesto di raggiungerlo alla Vuelta che stavano vincendo con Demi Vollering. Mi ha preso il biglietto, ci siamo incontrati e il loro entusiasmo mi ha subito conquistato.

E’ un ruolo che ti aspettavi?

Era quello cui pensavo quando smisi di correre e decisi di fare Psicologia all’Università. Un ruolo di supporto ai team, che adesso avrei potuto riprendere, avendo in più 14 anni di esperienza sui materiali e sulla performance. Ho pensato che fosse l’occasione giusta. In questi anni con gli atleti ho avuto un rapporto molto aperto e sincero. Ascoltavo le loro esigenze e le trasmettevo all’azienda, cercando di aiutarli a trovare la giusta combinazione tra i vari materiali. Solo per il discorso scarpe, ho seguito quasi 200 corridori. Più tutti i test che abbiamo fatto sugli pneumatici e quelli in velodromo per l’aerodinamica. E’ stato un lavoro veramente ampio, che mi ha dato una bella mano per guardare avanti.

Ci si poteva aspettare che la prima mossa la facesse la SD Worx?

In realtà mi ha colpito. Danny lo conosco da 10-12 anni. Abbiamo più o meno la stessa età, abbiamo fatto entrambi i corridori. L’ho sempre ammirato perché è riuscito sempre a gestire nella stessa squadra delle ragazze di alto livello, senza che si siano mai visti degli screzi. Quello che è stato detto sui presunti dissidi con Demi Vollering che va via è stato pretestuoso. E’ una lettura che lascia il tempo che trova. Danny è riuscito nuovamente a ottenere risultati impressionanti. Da due anni, quanto a vittorie sono stati secondi solo alla UAE Emirates di Pogacar. Facendo notare che le donne non corrono quanto gli uomini e come organico sono la metà. 

Vollering, Kopecky, Wiebes: per Mondini, la SD Worx-Protime è un modello di collaborazione fra grandi atlete
Vollering, Kopecky, Wiebes: la SD Worx-Protime è un modello di collaborazione fra grandi atlete
Che cosa ti ha detto Stam alla Vuelta?

Che sarei stato la persona giusta. Uno che conosce il mondo delle corse, conosce i materiali e può dare qualcosa in più al team. Io chiaramente ho detto quali sono stati i miei studi e quello che vorrei fare, aggiungendo che sono ancora uno sportivo attivo.

Un valore aggiunto?

Non è una cosa da poco. Quando parli con gli atleti, non puoi spiegare una bici o delle ruote se non conosci esattamente ciò di cui parli. Danny si allena con la squadra in tutti i training camp invernali. E’ il momento migliore per avvicinarsi agli atleti, mentre nelle squadre maschili il fatto che un direttore sportivo esca con i suoi atleti viene visto male. Secondo me è sbagliato, è una cosa che aiuta molto perché l’atleta si apre di più. E tu magari riesci a vedere qualche errore di impostazione in bici, una posizione sbagliata sulla sella, uno scivolamento che magari non avevi notato mentre facevi la biomeccanica.

Poi c’è anche il fatto che in bici si parla meglio che a tavolino, no?

Tutti sanno che in bici viene più facile confidare dei segreti. La pedalata è un elemento che aiuta a tirar fuori emozioni che normalmente tieni dentro. E’ veramente uno sport introspettivo, tanto che molti vanno in bici perché li aiuta a pensare alle loro cose. Non mi metterò a fare sedute individuali: se un atleta ha bisogno di fare un percorso di psicoterapia, serve un ambiente dedicato. In una squadra bisogna individuare degli obiettivi comuni. Parlare tutti la stessa lingua. Fare formazione. Aiutare gli atleti a capire come gestire le emozioni e preparare le corse. E’ qualcosa che abbiamo un po’ perso, perché abbiamo la tendenza a imboccare gli atleti con qualsiasi cosa. Quante calorie devi mangiare, quanto allenamento devi fare, a che ora devi partire, la valigia…

Due settimane fa, Mondini ha partecipato al campionato europeo gravel
Due settimane fa, Mondini ha partecipato al campionato europeo gravel
E non va bene?

Diamogli la possibilità di autogestirsi. Quando sono a casa, come agiscono? Come riescono a organizzare la loro giornata? Molti non lo fanno, non sono capaci. Dobbiamo riuscire a fare un passo indietro e dargli questo tipo di supporto. Dobbiamo insegnargli a gestire gli imprevisti, che invece spesso creano direttamente una situazione di panico e il panico in corsa è molto pericoloso. Puoi creare una caduta o ti fa arrendere perché pensi che una situazione sia irrecuperabile. Sarebbe importante approfondire questi temi e lavorare sul gruppo, comprendendo tutti gli elementi del team.

Anche lo staff?

Il direttore sportivo deve essere motivante. Il meccanico a volte se ne esce con dei commenti non proprio felici, davanti ai quali alcune persone si possono anche offendere o pensare di non essere accolte. Invece è fondamentale che il corridore sia libero di dire le cose, se ha dei dubbi sul materiale. Il meccanico deve essere paziente e accogliere la sua curiosità. 

Sarai anche un direttore sportivo sull’ammiraglia?

Certo, perché Anna van der Breggen torna in bici, quindi si è liberato un posto. Però mi dedicherò anche ai materiali, aiuterò i meccanici nella preparazione della bici e gli atleti nelle scelte. Comunque sempre in accordo con Danny. Lui mi chiede una mano ed è contento che io gestisca questa situazione, perché comunque lui deve seguire anche tutto il resto.

Van der Breggen, qui con il general manager Janssen, tornerà a indossare i panni dell’atleta
Van der Breggen, qui con il general manager Janssen, tornerà a indossare i panni dell’atleta
Al mosaico manca solo l’esame da direttore sportivo all’UCI?

Esatto. Il capitolo ammiraglia per me è completamente nuovo e devo imparare da zero. A parte le volte che ho guidato per aiutare dei direttori in qualche crono, altra esperienza non ho. Negli ultimi 14 anni ho fatto 200 giornate per stagione dietro ai corridori. So cos’è il mondo delle corse, però credo che la gara in ammiraglia abbia delle dinamiche che molti sottovalutano. Devo rimettermi a studiare, ma questo non mi ha mai fatto paura. Perciò adesso che è arrivato l’annuncio ufficiale, si comincia finalmente a lavorare.

L’estate rovente della bicicletta riserva delle sorprese (tecniche)

04.09.2024
6 min
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La tecnica della bicicletta non si ferma neppure in un momento dell’anno dove molte delle novità sono state presentate e viste. Non c’è più stagione e il mondo dei professionisti è un costante banco di test, anche e soprattutto di prodotti che vedremo tra qualche tempo.

Tour de France e Olimpiadi, ma anche Vuelta, Deutschland Tour e curiosità interessanti arrivano anche dal Tour de France Femmes.

Una Lapierre tutta nuova?

L’abbiamo intravista durante il Tour de France Femmes, prima in dotazione ad Evita Muzic, che ha ben figurato all’Alpe d’Huez con il quarto posto, ma utilizzata anche da Grace Brown e compagne. Lapierre non è più nel WorldTour maschile, ma prosegue la sponsorizzazione delle ragazze del Team FDJ-Suez.

La bicicletta mantiene le caratteristiche classiche che hanno reso celebre l’azienda francese, ovvero i foderi obliqui staccati dal piantone e una forma “sottile”. Il nuovo modello mutua la zona dello sterzo dalla versione aero Aircode, quindi più abbondante rispetto alla Xelius tradizionale. Si nota un importante fazzoletto di rinforzo nella zona del nodo sella ed il reggisella non è rotondo. Vedremo nei prossimi mesi se questa novità verrà confermata.

Evenepoel e le sue scarpe

Quelle che hanno attirato maggiormente la nostra attenzione sono state le scarpe utilizzate durante la Grande Boucle, un modello non ancora presente nel listino ufficiale Specialized. Profilo laterale sottile e ribassato, pianta e sezione frontale larga. Un solo rotore Boa laterale che agisce su una fibbia superiore e un velcro nella sezione mediana/frontale che tira su una sorta di bandella sdoppiata.

Alle Olimpiadi invece non sono state utilizzate, perché il corridore belga ha utilizzato le S-Works con le stringhe.

Finalmente si vedono le Vision 37

Sono state utilizzate durante le corse estive più impegnative in fatto di dislivello positivo, viste sulle bici del Team Bahrain-Victorious. Sono le ruote più basse e leggere del lotto SL grazie ai 1.290 grammi dichiarati e sono con cerchio tubeless.

Le ruote Vision usate dagli Astana, se pur simili per estetica, a nostro parere non sono lo stesso modello, sembrerebbe con cerchio predisposto per tubolare e la versione da 40.

Qualcosa dal passato

Di tanto in tanto ci sono ancora atleti che utilizzano la guarnitura 53-39, una combinazione quasi scomparsa dai radar. E’ il caso di Rudiger Seling dell’Astana che usa questi rapporti sulla sua bicicletta.

Abbiamo scovato anche un Jonathan Milan che durante le sue vittorie al Lidl Deutchland Tour ha utilizzato i vecchi shifters Sram e non l’ultima versione del pacchetto Red.

Gomme TT usate da Yates e non solo lui
Gomme TT usate da Yates e non solo lui

Gomme TT per tutti i giorni

Adam Yates è solo un esempio di corridori che utilizzano gli pneumatici in versione time trial anche per le gare in linea, naturalmente sulla bicicletta tradizionale. La realtà dei fatti dice che molti atleti di team differenti adottano questa soluzione, soprattutto quelli con gomme Continental tubeless.

Le motivazioni principali potrebbero essere legate ad una maggiore scorrevolezza e peso leggermente inferiore a parità di sezione. Di sicuro i professionisti non si pongono il problema dei costi e dell’eventuale sostituzione di una gomma che sfiora i 100 euro (o poco meno) al pezzo.

Un paio di Swiss Side con cerchio dal profilo ridotto
Un paio di Swiss Side con cerchio dal profilo ridotto

Swiss Side, nuova ruota per scalatori?

Qualcosa avevamo visto al Tour de France, ma una sorta di conferma arriva dalla Vuelta anche grazie al primato di Ben O’Connor. L’azienda svizzera ha messo a punto una ruota con cerchio dal profilo ridotto (38 millimetri), che non sacrifica i concetti aerodinamici sui quali si basa Swiss Side.

La ruota menzionata farebbe parte della famiglia Hadron2 e volendo fare un accostamento, anche in termini di resa tecnica, non si discosterebbe dalla DT Swiss ARC38. Le due aziende rosso-crociate collaborano attivamente insieme, condividendo tecnologie e fasi di produzione.

La monocorona di Roglic alla Vuelta

E’ stata una delle scelte tecniche che ha permesso a Roglic di vincere il Giro d’Italia 2023. Lo sloveno è amante della monocorona anteriore e di un pacchetto di pignoni ampio (in fatto di dentature e sviluppi metrici) per il posteriore. La scelta per la sua bicicletta viene replicata alla Vuelta, nella tappa con il durissimo arrivo a Caitu Negru. 46 denti per la corona anteriore e la scala 10-44 per i pignoni, scelte che non avremmo mai immaginato qualche stagione addietro. Per le tappe “normali” Roglic è solito utilizzare la doppia corona 52-39 e una scala pignoni 10-33 (Sram).

Dotazione tutta nuova (o quasi) per Bettiol

Dopo le Olimpiadi di Parigi il campione Italiano ha ufficializzato il passaggio dalla EF Education-Easy Post al Team Astana. Il cambio è stato di quelli importanti anche sotto il profilo tecnico. Oltre la metà della stagione, Bettiol è passato da una bicicletta Cannondale ad una Wilier Filante SLR. Le due bici hanno in comune le selle Prologo, le trasmissioni Shimano Dura Ace e le ruote Vision gommate Vittoria.

Sono cambiati anche il casco (da Poc a Limar) e l’abbigliamento (da Rapha a Biemme). Curioso e sicuramente non immediato il passaggio tra i pedali SpeedPlay e gli Shimano.

Evenepoel e quella bici da crono non estrema: una carta vincente

31.07.2024
5 min
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Specialized S-Works Shiv, una taglia xs per Remco Evenepoel, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi 2024. Il modello è il medesimo di sempre, quello utilizzato anche nelle corse a tappe e per il mondiale, ma i dettagli e le variabili fanno la differenza.

Con il contributo di Giampaolo Mondini, uomo di raccordo fra Specialized e i team, cerchiamo di entrare nel dettaglio della bici del giovane campione belga, un mezzo che a tratti sembra minimale ed essenziale, ma in realtà è frutto di una ricerca durata anni.

La bici (vincente) della prima crono al Tour de France
La bici (vincente) della prima crono al Tour de France
La Specialized di Evenepoel è la medesima che ha usato al Tour?

No, o meglio, il modello è sempre S-Works Shiv, ma cambiano alcuni dettagli, su tutti le livree grafiche. Anche al Tour de France ha usato due bici differenti tra la prima e la crono di Nizza. Nella prima ha usato quella con grafica silver/iridata, nella prova contro il tempo dell’ultimo giorno ha usato un telaio più leggero di qualche grammo, verniciatura differente, ma uguale nelle forme.

Copertoncini in tutte le occasioni?

Sempre. Specialized Turbo Cotton TT con sezione da 26 e camere d’aria in lattice, non in butile, non in poliuretano. Anche il gonfiaggio è sempre lo stesso. Siamo intorno alle 6-6,2 atmosfere, range utilizzato anche a Parigi sotto la pioggia.

La Shiv TT della crono finale a Nizza
La Shiv TT della crono finale a Nizza
Rispetto a molte altre, la Shiv dà l’impressione di essere più sfinata, a tratti una bici minimale. Cosa ne pensi?

E’ la prima bici da crono ad essere stata sviluppata in modo specifico per i perni passanti e per i freni a disco, un fattore che condiziona sicuramente alcune scelte di design. Si parla di una bici da crono e quindi le forme sono strettamente funzionali alla ricerca aerodinamica e alla resa del mezzo meccanico.

Quindi nel dettaglio?

Il posteriore è alleggerito, molto di più rispetto ad un ipotetico valore medio della categoria, soluzione ricercata e utile per i percorsi tortuosi, guidabilità e agilità. Il piantone scaricato verso la sezione bassa non è solo una questione estetica. Aggiungo che Evenepoel è solito non adottare profili estremizzati per la ruota anteriore. Questo influisce sull’impatto estetico, che risulta “più magro”, ma anche sulla prontezza della bici.

La bici da crono utilizzata da Evenepoel alle Olimpiadi
La bici da crono utilizzata da Evenepoel alle Olimpiadi
Pensi che una sorta di estremizzazione meno accentuata abbia aiutato Evenepoel anche sulle strade di Parigi? Tutt’altro che un biliardo.

Quando si parla di una bici da crono non è esclusivamente il frame-kit, anche la componentistica fa la differenza. Credo che, oltre ad uno stato di forma fisica eccellente, la Specialized usata a Parigi è l’espressione di un collimare perfetto tra le varie parti in gioco. Anche delle abilità di guida.

Quanto tempo è necessario per saper sfruttare le potenzialità di una bici del genere?

Evenepoel la usa almeno due volte a settimana, anche quando piove. Non è un dettaglio e di sicuro spiega anche questa abilità, una certa naturalezza nello sfruttare a pieno la bici. E poi c’è tutta la fase di test eseguiti nel periodo invernale.

Ci puoi spiegare?

Ogni inverno Evenepoel dedica almeno due giornate piene nella galleria del vento a Morgan Hill. A queste si aggiungono i giorni in velodromo per validare le scelte o per effettuare dei cambiamenti. Nel 2024 abbiamo aggiunto dei giorni di prove al Politecnico di Milano. E’ un percorso lungo e complesso.

Fra il 2023 e il 2024, il cockpit è stato cambiato
Fra il 2023 e il 2024, il cockpit è stato cambiato
Rispetto ai primi test, avete cambiato qualcosa?

La bici è rimasta quella, ma rispetto al 2023 è cambiato il setting del corridore. Pedivelle più corte, le famose 165 e un nuovo cockpit, più leggero ed efficiente. Le nuove soluzioni vanno di pari passo, poco tangibili in termini di watt, rilevanti proprio per quello che concerne l’efficacia.

Il corridore ha un feeling migliore?

La posizione che lui riesce a tenere è funzionale all’aerodinamica e alle sue caratteristiche. E’ più basso sul manubrio e al tempo stesso non influisce in modo negativo sulla respirazione diaframmatica e sul movimento delle gambe.

Nella prova a cinque cerchi, Evenepoel è stato molto abile nella guida
Nella prova a cinque cerchi, Evenepoel è stato molto abile nella guida
Se volessimo quantificare il valore di questa bici?

Il costo di una Specialized Shiv è quello relativo al listino, perché ogni bici usata dai corridori deve essere disponibile per il mercato: è una regola UCI. Altro discorso è il valore del progetto. Le cifre diventano folli, ma sono un investimento sulle tecnologie, sull’immagine su tutto quello che Specialized mette a disposizione. Galleria del vento, componenti e accessori, biciclette ovviamente. Le risorse umane, perché sono tanti gli attori coinvolti. Le analisi Retul con tutto quello che riguarda anche il risolvere le problematiche derivate da infortuni. Dietro l’ipotetica semplicità di una bici, c’è un universo celato. Lo è per le bici “normali”, ancora di più per le crono.

Cronache di Oss, nostro inviato (tanto) speciale alla Unbound

08.06.2024
10 min
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EMPORIA (USA) – Il fatto è che avrei così tante robe da dire… Di solito mi trovo anche ispirato, perché mi piace quando mi emoziono. Però in questo caso, ho talmente tante cose da scrivere che non so da dove partire e come incastrarlo. Perché il gravel è un altro mondo. Mi piacerebbe dire da dove arrivo, ma sarebbe un preambolo che esula dalla gara. E poi sulla gara in sé, sulla Unbound Gravel, rischio di dire cose che magari per me sono scontate e magari non vanno direttamente al punto. E finisce che si sparpagliano in un vomito di parole un po’ confuse…

Nel nord del Kansas si è pedalato su strappi brevi e lunghe pianure (foto UnboundGravel)
Nel nord del Kansas si è pedalato su strappi brevi e lunghe pianure (foto UnboundGravel)

Un pallino americano

Dell’Unbound avevo sempre solo sentito parlare. E’ la più grande gara gravel d’America e forse del mondo. Avevo letto tanti articoli, racconti di ex professionisti che l’avevano provata. Ma anche tanti amici che l’hanno fatta come amatori, soltanto per una challenge, come la chiamano in America.

Una sfida contro se stessi e contro un percorso per nulla scontato. Mettersi alla prova sulla distanza classica di 200 miglia, se non sei allenato e non hai dimestichezza con il ciclismo, è una cosa tanto grande. Ma anche fare solo le 50 o 100 miglia è tanta roba. Ecco, insomma, ne avevo solo sentito parlare.

Perciò, da quando abbiamo voluto il progetto Gravel, nella mia testa l’Unbound è sempre stata un pallino. E’ tutto molto grande, americano: tutto molto «Wow!». Tanti ne decantano la grandezza e la maestosità.

Oss si era spostato negli Usa una decina di giorni prima della Unbound, per prendere il fuso e abituarsi agli orari
Oss si era spostato negli Usa una decina di giorni prima della Unbound, per prendere il fuso e abituarsi agli orari

Un giorno da eroi

Prevale l’eroismo nel fare questa cosa pazzesca. E oltre a questo, ovviamente, gli sponsor come Specialized ne hanno capito il valore e devono assolutamente esserci. Anche se loro vogliono primeggiare, essere davanti, essere presenti e protagonisti nel panorama gravel americano. E con questa Unbound si va dritti al cuore del discorso. Con questa mega gara popolare, magari ancora poco famosa, poco connessa da un punto di vista mediatico. Non c’è una diretta tv, ci sono quelle Instagram, forse su YouTube. Forse degli highlights vanno in televisione, ma su canali secondari.

In Europa, zero. Quasi non se ne sente parlare, se non perché quest’anno ha vinto Lachlan Morton. Ma tolti alcuni media specializzati, è un evento che di qua quasi non esiste. Però, fatto questo preambolo, davanti a un evento così grande che poi è sfociato in una gara, tra i racconti e quello che ho sempre sentito e quello che gli sponsor e la squadra mi chiedevano, un racconto ve l’ho promesso e vorrei farlo. Per cui, eccoci qua…

Nella prima metà di gara il gruppo è rimasto compatto, ma dopo le 140 miglia è iniziato lo sparpaglìo (foto UnboundGravel)
Nella prima metà di gara il gruppo è rimasto compatto, ma dopo le 140 miglia è iniziato lo sparpaglìo (foto UnboundGravel)

Cambio di pelle

Le aspettative erano buone e si sono confermate, non voglio dire il contrario. Ma quello che mi ha stupito molto è il fatto che il livello sia completamente cambiato. Vi faccio un esempio, magari dico cose a caso che in un articolo non vanno bene, ma serve per capire. Un anno fa, quando si parlava di gravel e di UCI Gravel Series piuttosto che altre tipologie di gara, si era capito che il settore fosse in crescita. Però c’era ancora un modo di correre piuttosto blando, per cui si riusciva a fare le gare anche in maniera un po’ goliardica. Si stava insieme, non c’era la necessità di riprendere in mano tutto il mondo degli allenamenti o dei rifornimenti e come farli.

Non era una dimensione troppo seriosa. Era un po’ a tarallucci e vino, tipo nozze coi fichi secchi. E poi alla fine chi stava bene faceva la sua volata o andava in fuga. Però la gara era basata ancora sull’avventura, sul partecipare e concludere un’impresa. Il fatto che ora il movimento sia cresciuto così tanto, rende tutto molto più professionistico. Quindi in questa Unbound mi sono trovato davanti a squadre organizzate, con atleti super allenati ed esperti, tecnicità da tutti i punti di vista. Ho visto anche dei body con un camelback integrato, molto fuori dalla logica gravel. Ho visto tanta aerodinamica, che sta diventando importante anche in questo settore.

Vincitore della Unbound 200 miglia è stato Lachlan Morton. Secondo Chad Haga a un solo secondo (foto UnboundGravel)
Vincitore della Unbound 200 miglia è stato Lachlan Morton. Secondo Chad Haga a un solo secondo (foto UnboundGravel)

La più veloce della storia

Fate conto che quest’anno, l’Unbound 2024 è stata la gara più veloce nella storia… dell’Unbound. Si corre dal 2006 e nei primi anni non c’era così tanta importanza per l’agonismo. I racconti dei miei ex colleghi professionisti erano tutti simili. Cioè ci si allenava 15 ore, si andava all’Unbound di 200 miglia, quindi 320 chilometri. E un atleta medio del WorldTour la faceva… fumandosi una sigaretta. Per dire che era abbastanza semplice. Riuscivi a vincere, riuscivi a farti la volata, aspettavi chi era meno allenato.

Invece quest’anno, le prime ore le abbiamo fatte a 40 e passa di media, tutti in gruppo. E poi un po’ alla volta c’è stata la scrematura. Ma chi ha vinto la gara, alla fine aveva 36 di media. Io ho finito 43° circa, a quasi 40 minuti da Morton e a quasi 33 di media. Quindi è abbastanza folle pensare a quanto tutto sia cresciuto in modo esponenziale da un anno all’altro.

Il percorso era asciutto, non c’erano tratti di fango. Siamo andati verso nord rispetto al solito, quindi era un percorso un po’ più duro. C’erano 3.500 metri di dislivello, pazzesco, è stata durissima. E non è che ci fosse una salita da 1.000 metri di dislivello, erano tutti strappi da un chilometro, 500 metri, 300 metri… Tutto così e quindi difficile per me.

Anche la gara delle donne ha battuto ogni record della Unbound. Vince la danese Rosa Kloser in 10.26’02” (foto UnboundGravel)
Anche la gara delle donne ha battuto ogni record della Unbound. Vince la danese Rosa Kloser in 10.26’02” (foto UnboundGravel)

Sveglia alle 3,30

Per cui, riepilogando, Unbound Gravel: 200 miglia – 326 chilometri – sterrata per il 98 per cento. C’erano solo due/tre piccole connessioni di asfalto, ma veramente irrisorie. Partenza all’alba, alle 5,50 del mattino gli elite e poi nell’arco di 20 minuti partono tutti, quasi attaccati, suddivisi per scaglioni di categoria. Alzarmi alle 3,30 per fare colazione è stata dura, anche se nei giorni di avvicinamento avevo cercato di tenere orari vicini a quello.

Al mattino c’era pochissima luce. Non era tanto freddo, quindi tutti in maniche corte e braghe corte. Tutti attrezzati con camelbak o borracce da litro e in tasca almeno un paio di penne, si chiamano così gli attrezzi per aggiustare i tubeless con i vermicelli. Se hai un buco nel tubeless, ci ficchi dentro questa penna. Tiri indietro e ti resta il vermicello fatto di gomma un po’ appiccicaticcia. Così riesci a tappare il buco e poi a rigonfiare la ruota.

Tranne pochi raccordi in asfalto, il fondo della Unbound è tutto sterrato (foto UnboundGravel)
Tranne pochi raccordi in asfalto, il fondo della Unbound è tutto sterrato (foto UnboundGravel)

Persi nel deserto

C’era da portare l’attrezzatura da sopravvivenza, perché a un certo punto ti trovi veramente nel nulla. Per oltre 50 miglia, dovunque guardi, non c’è niente. Chiaramente è facile raggiungere qualsiasi punto con la macchina, però tu sei in mezzo al niente e quindi se vuoi sopravvivere devi anche arrangiarti. Non è ovviamente il deserto del Sahara, però quasi…

Il regolamento dice che il percorso non deve essere segnato, per cui io avevo la traccia sul Garmin e gli altri sui loro dispositivi. Bisogna portare il telefono, perché in casi di emergenza estrema, bisogna averlo per collegarsi con qualcuno, ammesso che ci sia campo, perché non è scontato che ci sia. E’ capitato di trovarsi in mezzo al niente senza campo, senza rete.

Anche solo finire la Unbound significa aver vinto la sfida con se stessi (foto UnboundGravel)
Anche solo finire la Unbound significa aver vinto la sfida con se stessi (foto UnboundGravel)

Nove ore e 10.000 calorie

Le luci non le aveva nessuno, però bisognava organizzare i rifornimenti. Nessuno può avere un supporto sul percorso, se non in due punti prestabiliti. Infatti dopo 70 e dopo 140 miglia ci sono due rifornimenti. Un parcheggio gigante, spesso in un villaggio, con le tende dei vari sponsor e delle squadre. Ti puoi fermare o prendere al volo la sacca con 2 litri d’acqua e il cibo e le borracce. E davvero c’è stata da valutare anche la parte approvvigionamenti.

Io ho mangiato circa 12 gel. Sei borracce di acqua con 70 grammi di carbo che erano in bustina e ovviamente pieni di sali minerali, potassio, magnesio e tutto il resto. Sui cinque litri d’acqua. E ho contato nel finale circa diecimila calorie consumate. Ho fatto circa 9 ore 47’27” su 325 chilometri. Tanta roba, tantissima.

La maglia iridata non tradisce: al via c’era anche Matej Mohoric, che però si è fermato (foto UnboundGravel)
La maglia iridata non tradisce: al via c’era anche Matej Mohoric, che però si è fermato (foto UnboundGravel)

Più di una Sanremo

Non ho mai fatto una distanza del genere, intesa anche come timing. La Sanremo si avvicina, ma ormai si fa in meno di 6 ore. Quindi una distanza che non era mai stata fatta dalle mie gambette. E’ stata molto veloce all’inizio. Ci sono stati un paio di punti dove era particolarmente roccioso, quindi c’erano delle discese pericolose. Salti, fossi, delle pozzanghere, però con un fango abbastanza neutro, che non si attaccava tanto alla bici. Ci sono state cadute e anche forature.

Poi dalla seconda metà della gara, sui 100-140 km all’arrivo, il gruppo si è proprio spappolato nel tratto dove c’erano parecchie salite. Ognuno ha preso il suo posto ed è diventata una lotta con se stessi. Una lotta contro la fatica, per cercare di andare avanti il più possibile e gestire l’alimentazione. 

Una grande festa

Comunque tutti vogliono finire la corsa, perché quando finisci un’avventura così grande, è comunque molto soddisfacente. Quasi tutti hanno pubblicato che i più leggeri hanno fatto sui 250 watt medi e quelli più pesanti come me, sugli 80 chili, che hanno fatto 300 watt per quasi dieci ore. Il livello è altissimo e fa paura. Alla fine, all’arrivo, c’erano degli stand giganti, era tutto un barbecue, tutto un tacos. Quindi cucina messicana, americana, pasta all’italiana. E dovunque tanti atleti, tutti sfiniti, tutti sfatti, però un bel clima di… yeah!

Ho percepito un clima molto agonistico e un po’ mi dispiace, nel senso che mi sono sempre aspettato un clima più godereccio. Invece mi sono trovato proprio un clima da WorldTour. Da andare a letto presto, mangiare bene, poche distrazioni. Non che si dovesse fare chissà cosa, però mi immaginavo che ci fosse un po’ più una giostra, un ambiente più godereccio. Però è stato tutto molto bello. Lungi da me essere polemico, essere del tutto negativo: anzi, tutt’altro.

Daniel Oss ha concluso la sua prima Unbound Gravel in 43ª posizione, sfinito e felice
Daniel Oss ha concluso la sua prima Unbound Gravel in 43ª posizione, sfinito e felice

Una gara fighissima

E’ stata un’esperienza fantastica sotto tanti punti di vista. La cosa più bella, che forse più mi ha colpito, è il coinvolgimento di tantissima gente che non ha nulla a che fare con la parte racing, ma che è lì per godersi il weekend, la settimana e questa avventura contro se stessi. Mi ricordo in alcuni punti, quando stava per finire la gara, trovavo sul percorso gente che faceva un altro giro e quindi venivano doppiati. E quando li passavo, ci scambiavo qualche battuta.

«Dura, è?». E loro tutti gasati: «Sì, è dura!».  Quindi felici di fare una cosa talmente faticosa e questo mi ha colpito tantissimo. La felicità di trovare le forze per fare una cosa più grande di loro. 

E comunque è un’organizzazione bellissima, gara fighissima. Tante cose belle, anche gli stand, le grigliate, la gente felice. C’era felicità, c’era voglia di far fatica. C’era tutto questo ambiente mega festoso, ma allo stesso tempo sportivo, quindi alla fine della gara ci stava anche la birretta. Però erano tutti galvanizzati, carichi, felici di essere stati parte di questa cosa che era l’Unbound, davvero una gara fighissima.

Roglic e Specialized, il feeling cresce. Specie a crono

12.04.2024
5 min
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Quando si cambiano bici e materiali, serve sempre un po’ di tempo perché ci si adatti alla perfezione, specie nel ciclismo attuale in cui ogni minimo dettaglio può fare la differenza. Primoz Roglic durante l’inverno è passato da Cervélo, la bici che utilizzava all’allora Jumbo-Visma, alla Specialized in Bora-Hansgrohe.

Già qualche tempo fa vi avevamo parlato di questo cambio di materiali, bene: come sta andando? Ne parliamo con Giampaolo Mondini, storico uomo Specialized e referente tecnico tra squadre e appunto il brand che rappresenta.

Innanzitutto però, merita spazio un altro aggiornamento, quello che riguarda le condizioni della maglia rosa uscente. Dopo i fattacci dei Paesi Baschi, in cui prima aveva battuto il dorso e poi il ginocchio nel giorno della maxi caduta, possiamo dire che Roglic sta meglio del previsto. Si era temuto per una rotula fratturata e invece lo sloveno ha riportato “solo” delle forti contusioni. E questa è una bella notizia in vista del Tour de France.

La Specialized S-Works Tarmac SL8 di Primoz Roglic
La Specialized S-Works Tarmac SL8 di Primoz Roglic
Giampaolo, come sta andando questo “matrimonio” tra Roglic e Specialized?

Ho visto Primoz qualche settimana fa. Abbiamo percorso insieme la tappa del Tour, la prima, quella italiana. Posso dire che in discesa andava come una freccia. Ormai questi ragazzi hanno la velocità addosso! C’erano lui e anche Nico Denz. Abbiamo fatto il Barbotto e poi fino a San Marino. Proprio in quel frangente abbiamo parlato del suo adattamento e mi ha detto che si sta trovando benissimo con la bici.

In questo passaggio da Cervélo a Specialized avete riportato fedelmente le sue misure o ci sono stati degli adattamenti?

Le misure sono rimaste esattamente quelle, specialmente sulla bici da strada, mentre qualche piccolo intervento è stato fatto sulla bici da crono (in zona manubrio, ndr)

Partivate da 3-4 posizioni ci avevi detto l’ultima volta, che tipo d’intervento avete apportato?

Abbiamo fatto altri test, anche in galleria del vento, proprio prima di provare la tappa del Tour. Li abbiamo fatti a Milano. Dopo la Parigi-Nizza, Primoz è andato direttamente a Milano, appunto, e quindi è sceso in Romagna dove ha provato la prima tappa del Tour e poi anche la seconda.

Primoz Roglic (classe 1989) su Specialized, il feeling di guida è sembrato buono sin dalle prime uscite. Angoli uguali a quelli del 2023
Primoz Roglic (classe 1989) su Specialized, il feeling di guida è sembrato buono sin dalle prime uscite. Angoli uguali a quelli del 2023
Hai detto che si trova benissimo, cosa gli è piaciuto dunque di questa Specialized SL8?

La reattività della bici. Ci si trova a suo agio, ha avuto subito un buon feeling e la trova veloce. E lo stesso vale per la bici da crono. Anzi, forse su quella va ancora meglio.

Perché?

In termini di guida ci si trova molto bene e infatti proprio ai Paesi Baschi a nostro avviso ha vinto anche perché nelle curve più strette è riuscito guidare molto bene. Era una crono molto tecnica e ha fatto veramente la differenza sugli altri, posto che chiaramente è andato forte anche nei tratti in cui bisognava spingere. Abbiamo i parametri, li abbiamo visti. Però proprio riguardando i vari parziali ha guadagnato nel tratto di discesa.

Discorso gomme. Primoz veniva da un team molto attento alla questione degli pneumatici. Utilizzava tubeless Vittoria che spesso sono stati sviluppati proprio in collaborazione col team giallonero, adesso è passato ai vostri copertoncini. Cosa puoi dirci in merito?

Primoz è un corridore sensibile su queste cose. Cosa posso dire: non ha mai protestato. Ha iniziato ad usarli sin da subito, si è informato però. Gli abbiamo mostrato i nostri numeri, gli abbiamo fatto vedere quali sono le combinazioni migliori ed è andato. Alla fine i nostri clincher in cotone sono quelli che danno la prestazione migliore, pertanto li ha abbracciati subito.

Parliamo della sella. Due modelli differenti: tra la sua vecchia Fizik e la vostra Specialized Phenom qualche aggiustamento, magari piccolo, ci sarà stato…

Il discorso non è tanto alzare o abbassare la sella, il ragionamento che noi facciamo è diverso. Quello che guardiamo è se gli angoli che aveva sono stati riprodotti rispetto alla bici precedente. Poi abbiamo riadattato il tutto con il nostro sistema Retul. Gli abbiamo consegnato un “prodotto” finito: a quel punto è lui che ci dà i feedback. Se poi Roglic, ma questo vale anche per altri atleti e atlete, vuole cambiare qualcosa, ne discutiamo. Cerchiamo però di non lasciare il corridore libero di decidere se cominciare ad alzare o abbassare la sella, arretrarla o spostarla in avanti…

Secondo Mondini, Roglic ha fatto un bel salto di qualità in termini di guida con la bici da crono
Secondo Mondini, Roglic ha fatto un bel salto di qualità in termini di guida con la bici da crono
Come mai?

Perché oggi ogni cosa è ponderata in un certo modo. Si cambia? Bene, ma perché? Cosa comporta questo cambiamento? E non siamo noi ad imporre queste regole, è il team. E in accordo col team, ogni cambiamento è deciso insieme. Nel caso della sella, per esempio, se s’inizia a spostarla va da sé che cambino gli angoli. E se non li ricontrolli poi cambia tutto il resto. Faccio un esempio: Barbara Guarischi, per vari motivi ha dovuto cambiare un paio di selle durante le classiche. Tra una corsa e l’altra non c’è stato tempo, ma adesso deve rifare un controllo Retul per verificare questi cambiamenti e riportare gli angoli nella posizione ottimale. Questi check ormai sono fondamentali.

Insomma va tutto bene con Roglic e da quello che capiamo non è neanche un pignolo che fa impazzire i meccanici…

No, no… ce ne fossero come lui! Il processo di adattamento sta andando avanti regolarmente. Ma in generale ormai certi cambiamenti in corso d’opera si fanno sempre meno. Lavoriamo sodo sulle posizioni nei mesi tra ottobre e dicembre e durante la stagione non abbiamo più grossi problemi. Può capitare che un corridore abbia un’infiammazione, abbia subito un infortunio e allora bisogna rimetterci mano, ma è un’altra motivazione. In quel caso l’intervento prima ancora che biomeccanico è medico. Tornando a Roglic, secondo me, se non ci fosse stata quella caduta, Primoz avrebbe avuto grosse possibilità di vincere il Giro dei Paesi Baschi.