Sgaravato, le speranze di Villa e il ricordo di Sara Piffer

11.02.2025
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Nel parlare con Asia Sgaravato, aleggia sempre un velo di tristezza e non potrebbe essere altrimenti. Asia è del Team Mendelspeck, lo stesso di Sara Piffer, la sfortunata ciclista ennesimo doloroso tributo alla strada. La sua scomparsa ha ferito profondamente il team che fatica a digerire quanto avvenuto, perché Sara, il suo sorriso, la sua fame di successi non potranno mai essere accantonati nella memoria.

Asia però cerca di trovare proprio nell’esempio di Sara la forza per andare avanti: «Stiamo cercando tutte – racconta la diciottenne veronese – di tirarci fuori dal dolore, di affrontare allenamenti e gare con entusiasmo perché sappiamo che lei avrebbe voluto così. E’ stato un duro colpo per tutte. Io avevo imparato a conoscerla come avversaria, lungo le strade d’Italia, eravamo state insieme anche in un ritiro in Trentino. Era una ragazza sempre disponibile, anche se eravamo avversarie, in ogni occasione non mancava mai una parola, un saluto. Ci manca molto».

Asia con Ivan Quaranta e le compagne Beatrice Bertolini e Carola Ratti, bronzo nel team sprint iridato 2023
Asia con Ivan Quaranta e le compagne Beatrice Bertolini e Carola Ratti, bronzo nel team sprint iridato 2023
Quando ti alleni la sua vicenda ti coinvolge anche dal punto di vista emotivo? Hai paura?

Allenarsi è sempre difficile, è sempre un rischio. Io mi alleno principalmente sulle strade della Valpolicella, non è mai semplice e ci metto tutta l’attenzione possibile, ma devo dire che da queste parti il ciclismo ha una tradizione solida, il che si traduce in abitudine degli automobilisti a trovarsi davanti ciclisti e quindi a metterci grande cautela. La paura però c’è, inutile negarlo, anche di più di questi tempi perché al posto di Sara potevo benissimo esserci io o chiunque altra fa questo sport.

Parlavi di attenzione, quali accortezze cerchi di usare?

A parte tutte le segnalazioni possibili anche nell’abbigliamento, anche quando siamo in due ad allenarci andiamo in fila indiana o affiancate ma molto strette, perché sappiamo andare in bici. Ma chi non è del mestiere? Una cosa ad esempio alla quale molti non prestano attenzione è la convivenza tra ciclisti e camion: quando questo sorpassa desta un forte spostamento d’aria se è vicino e è difficile restare in equilibrio, rischi di cadere e farti male. Peggio ancora se ci si allena per la cronometro: come tieni la bici sulle protesi? Chi guida dovrebbe provare la differenza, per capire.

Nella passata stagione la Sgaravato ha colto una vittoria e ben 8 top 10
Nella passata stagione la Sgaravato ha colto una vittoria e ben 8 top 10
Di te si parla molto come un ottimo prospetto soprattutto per la pista, lo stesso Villa ha avuto molti elogi. Come ci sei arrivata?

E’ stato un cammino parallelo a quello su strada, la particolarità però è che inizialmente facevo un po’ di tutto, nel senso che mi dividevo fra endurance e velocità. Anzi, il primo anno junior ero soprattutto nella velocità, ho anche fatto parte del team ai mondiali di Cali, come deputata alla chiusura. Mi allenavo di più però con le ragazze dell’inseguimento, ero quindi un ibrido. Poi dal secondo anno mi sono dedicata solo alle prove endurance. Anche quest’inverno ho lavorato molto su pista, grazie anche al Team Mendelspeck che ha sempre visto di buon occhio la doppia attività.

Tu hai provato i due diversi settori, hai trovato molte differenze?

Sì, sono due concezioni di lavoro diverse. I lavori per la velocità sono più brevi e intensi, quelli per le altre prove più legati alla resistenza. Difficile farli convivere, ma quel che ho fatto ha avuto il suo peso, tanto è vero che nel quartetto sono impiegata al lancio proprio per le qualità di esplosività che mi porto dentro. Partire forte è un po’ la mia specialità.

Le capacità esplosive della veneta l’hanno promossa al lancio del quartetto azzurro juniores
Le capacità esplosive della veneta l’hanno promossa al lancio del quartetto azzurro juniores
E su strada chi è Asia Sgaravato?

Una ragazza che si sta scoprendo pian piano. La cosa principale è che le due attività sono complementari, ognuna serve all’altra e quindi andrò avanti continuando a dividermi. Attualmente sto cercando di lavorare molto per migliorare in salita, anche a costo di perdere qualcosina nel mio spunto veloce perché ormai nel ciclismo moderno il velocista puro non c’è più, non trova spazio. Devo cambiare un po’ le mie caratteristiche.

Riesci a far coincidere le due attività?

E’ un po’ la mia sfida costante, riuscire a tenere in equilibrio strada e pista. Il fisico però si sta abituando, non mi pesa più così tanto. La pista la inserisco a metà settimana così spezza un po’ la routine, in modo da poter caricare prima e dopo. E vedo che i lavori su pista sono molto utili nelle mie attività del fine settimana.

Vittoria in solitudine alla Giornata Rosa-Latterie Inalpi nel 2024 (foto Ossola)
Vittoria in solitudine alla Giornata Rosa-Latterie Inalpi nel 2024 (foto Ossola)
Il team ti supporta in che maniera?

Segue costantemente la mia attività, ad esempio modula anche il mio lavoro su pista per non sovraccaricare le ginocchia. L’attività da velocista mi aveva lasciato questo piccolo “regalo” sotto forma di problemi alle articolazioni che richiedono attenzione nella struttura degli allenamenti. D’altronde la figlia del presidente, Elena Pirrone, faceva anch’essa pista, quindi nel team sono abituati a cicliste che fanno doppia attività, sanno che benefici porta.

Continuerai quindi con la pista?

Sì, sperando che arrivino le convocazioni azzurre desiderate e che sia possibile fare gare all’estero, perché sono quelle che ti aiutano a crescere. Il calendario italiano è troppo ridotto. Quest’anno però la mia preminenza iniziale è la scuola, ho la maturità e quindi fino all’estate dovrò far coincidere sport e studio.

La diciottenne si divide con profitto fra pista e strada e punta a una top 10 all’estero
La diciottenne si divide con profitto fra pista e strada e punta a una top 10 all’estero
Ti sei posta un obiettivo?

Vorrei tanto riuscire a centrare una top 10 all’estero, sarebbe la maniera migliore per farmi vedere. Io comunque darò il massimo in ogni occasione, che sia pista o strada, in Italia o fuori, perché su quest’attività ho investito tutta me stessa.

EDITORIALE / Il silenzio dei media non diventi rassegnazione

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A cosa serve rimestare nel dolore? Certamente accresce il senso di fragilità, fa rivivere il dramma, ma in che modo incide sul fatto che oggi un uomo o una donna si metterà al volante e, leggendo messaggi nel suo smartphone, rischierà di uccidere qualcuno? 

Matteo Trentin ha detto una verità spietata: ci sono morti di serie A e morti di serie B. I morti del ciclismo, per qualche inspiegabile ragione, non scuotono le coscienze. Forse davvero se un dramma del genere toccasse le case della politica, allora si capirebbe la necessità di intervenire. Non accade nulla quando viene ucciso un campione come Scarponi, quando tocca a Rebellin e neppure quando muore una ragazzina di 19 anni. Importa ai loro cari, importa a noi che in qualche modo ne condividiamo la passione e gli ideali, ma per il resto il mondo là fuori sembra anestetizzato.

Il 27 gennaio, Palù di Giovo ha dato l’ultimo saluto a Sara Piffer, uccisa da un automobilista a 19 anni (TGR Trento)
Il 27 gennaio, Palù di Giovo ha dato l’ultimo saluto a Sara Piffer, uccisa da un automobilista a 19 anni (TGR Trento)

L’informazione assente

E’ anestetizzato o imbavagliato anche il mondo dell’informazione (in apertura, immagine depositphotos.com). Si cerca il pezzo scritto bene, che magari faccia piangere. Ma se guardiamo, sono parole e reazioni che restano fra noi, come di commiato al funerale. Si ha la sensazione di quando c’è un formicaio e te ne infischi di cosa accade là sotto quando gli versi sopra il veleno o un secchio d’acqua. Solo che questa volta le formiche siamo noi e stiamo facendo il loro gioco.

Ci sono media di serie A e media di serie B, siamo consapevoli anche di questo. Non per dignità o capacità giornalistiche, quelle siamo pronti a rivendicarle, ma per la potenza di fuoco. Di fronte al dramma, i loro giornalisti si sfogano sui social personali, ma per il resto sono inchiodati a ordini diversi. Possiamo metterci tutto l’ardore che vogliamo, ma giochiamo in una lega minore rispetto ai colossi che hanno alle spalle grandi aziende e interessi superiori a quelli di cui stiamo parlando. Interessi che forse impongono il silenzio: altrimenti perché anche loro non sono qui a pretendere una svolta? Evidentemente ai loro capi bastano Sinner, Hamilton e il calcio per essere felici.

Nessuna protesta, va tutto bene. Perché il ciclismo non si ribella al silenzio della politica davanti al dramma reiterato? (depositphotos.com)
Nessuna protesta, va tutto bene. Perché il ciclismo non si ribella al silenzio della politica davanti al dramma reiterato? (depositphotos.com)

Ma anche le formiche a volte…

Qualche giorno fa abbiamo proposto di mettere in strada una manifestazione che invada pacificamente Roma e rivendichi i diritti degli utenti deboli della strada: deboli, non insignificanti. Abbiamo ricevuto reazioni e adesioni da parte di atleti professionisti e anche da associazioni di primissima grandezza. Non è detto che non sarà una strada da percorrere e ci piacerebbe condividerne l’ideazione anche con altri che abbiano a cuore come noi il problema.

Avevamo in animo di aprire la settimana parlando dei giganti. Di Van der Poel e di Pogacar, in uno sport che vive fasi esaltanti per la presenza di campioni immensi. Avevamo già cominciato a scrivere, eppure qualcosa ci ha impedito di farlo. Con quale cuore si può sperare che un bambino o una bambina segua le loro impronte, se proporglielo significa implicitamente far rischiare loro la vita? Lo capite perché c’è bisogno di una rivoluzione pacifica ma niente affatto morbida? Bisogna bonificare l’Italia. Forse è il tempo di lasciare da parte gli strumenti della cicala e diventare un po’ più spesso concreti come le formiche. Ricordando, come dice il libro, che a volte anche le formiche nel loro piccolo…

Sicurezza: manifestazione a Roma all’indomani del Giro?

29.01.2025
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«Sicuramente bisogna fare qualcosa – dice Salvato – perché tutti quanti stiamo qua solo a lamentarci per la poca sicurezza o a fare il post con il cuoricino spezzato per Sara che è morta, ma alla fine diventa ridicolo, hai capito?».

Abbiamo chiamato il presidente dell’ACCPI perché l’idea di organizzare una manifestazione di ciclisti sta prendendo forma. Dopo la morte di Sara Piffer era solo nella nostra testa , ma quando ne è uscita attraverso l’Editoriale di ieri, ha incontrato il consenso del popolo del ciclismo. Quantomeno della gente comune, ma i corridori? I professionisti sono disposti a scendere in piazza e metterci la faccia per protestare contro una strage che riguarda loro per primi? Chi può essere sicuro di non essere il prossimo?

In questi ultimi 30 anni li abbiamo visti scioperare per non mettere il casco, contro le scorribande della Polizia al Tour del 1998, contro le rotaie e la poca sicurezza sulle strade del Giro, perché c’era troppo vento, perché c’era troppa pioggia e anche per la neve. 

L’uccisione di Sara Piffer ha fatto traboccare il vaso? E’ immaginabile scendere in piazza? (immagine Instagram)
L’uccisione di Sara Piffer ha fatto traboccare il vaso? E’ immaginabile scendere in piazza? (immagine Instagram)
E adesso, presidente, avrebbero voglia di metterci la faccia?

Riavvolgendo un po’ il nastro, sapete da quanto stiamo battagliando su questa cosa, no? Siamo stati i primi a muoverci sul tema della sicurezza e lungo la strada abbiamo conosciuto tanti amici. Marco Cavorso, ad esempio, che è stato uno dei motori e sempre una forza di tutto questo movimento. Poi c’è stato il tira e molla per la legge del metro e mezzo. Ci siamo arrivati vicini tante volte. Siamo stati a Roma con vari ministri, ne ho conosciuti tanti, però alla fine c’è stata la versione di Salvini: non era come la volevamo, però almeno è stata approvata.

Cristian, non basta…

Per questo abbiamo parlato con varie persone e avevamo pensato di muoverci sul fronte della comunicazione. Si pensava di realizzare degli spot sulla sicurezza stradale, ci erano state date parole di collaborazione che poi sono state rimangiate. Tanto che ne abbiamo riparlato nel nostro Consiglio e ci siamo detti di fare anche da soli.

Di cosa si tratterebbe?

Avevamo in mente di coinvolgere qualche personaggio noto, si pensava a Paolo Kessisoglu, che è un grande appassionato di bici. L’idea era di realizzare delle pillole video in cui far parlare corridori, familiari che hanno perduto qualcuno, ma anche personaggi di spicco come Paolo, appunto, ma anche Cannavaro, oppure Jovanotti e magari Mancini…

Cavorso, con Paola Gianotti e Fondriest: una settimana dopo questa foto al Mugello, la morte di Sara Piffer
Cavorso, con Paola Gianotti e Fondriest: una settimana dopo questa foto al Mugello, la morte di Sara Piffer
Non basta. Finora hai parlato di iniziative cui partecipi tu e nessun corridore. Quello che sarebbe bello sapere è se per questo scenderebbero in strada. Altrimenti si fa un funerale e ci si mette buoni ad aspettare il prossimo…

Ognuno è preso dalle sue mille cose. Se li prendi singolarmente, magari De Marchi che è sempre più sensibile, oppure Trentin… E’ difficile coinvolgerli, devi organizzargli le cose, lo sai come sono fatti…

Ma qui si parla della loro vita e il solo modo perché la gente se ne accorga è invadere le città…

Allora proviamo a organizzare qualcosa che potrebbe essere, non so, il giorno dopo il Giro d’Italia? I ragazzi saranno a Roma, gli si può chiedere di fermarsi un giorno in più, sennò come fai a portarne tanti? La carovana è là e magari invece di tornare a casa la mattina dopo, tornano il pomeriggio. Ma una cosa dobbiamo saperla.

Quale?

Puoi mettere in atto tutte le azioni che vuoi, ma c’è poco da fare se ti ritrovi con quel vecchio che andava troppo forte e in Spagna ha investito la nazionale tedesca, a Calpe che sembra il paradiso dei ciclisti. Però sono d’accordo, qualcosa bisogna fare e bisogna anche coinvolgere più gente possibile. Anche io tante volte quando sono in bici, quando torno più che altro, penso che potrebbe toccare anche a me.

EDITORIALE / La morte di Sara merita una risposta decisa

27.01.2025
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Il padre di Sara Piffer ha raccontato al Corriere del Trentino di aver ascoltato la preghiera di suo figlio, coinvolto nello stesso incidente, e di aver perdonato l’uomo che, guidando un’auto, aveva da poco ucciso sua figlia (immagine Instagram in apertura). Forse è il solo modo per assorbire un colpo del genere e forse è possibile solo con una straordinaria fede in Dio. L’uomo ha definito la ragazza un dono e ha ringraziato Dio per avergliela mandata.

E’ già difficile accettare la morte di un figlio per un male oscuro che se lo porta via, ma se di mezzo c’è la mano dell’uomo, allora è diverso. Non so se io ci riuscirei. Forse è possibile solo se nasci e cresci in un posto come Palù di Giovo, che guarda il cielo negli occhi e la valle là in basso sembra infinitamente lontana.

Il funerale di Sara Piffer sarà celebrato oggi alle 15 a Palù di Giovo (immagine Instagram)
Il funerale di Sara Piffer sarà celebrato oggi alle 15 a Palù di Giovo (immagine Instagram)

La fretta e il bullismo

«Papà, noi stiamo sempre attenti – diceva a suo padre – sono gli altri che non stanno attenti a noi». E così è stato. Sara è morta proprio laggiù, dove le persone hanno fretta e dove il Trentino con gli anni è diventato rumoroso e distratto come altre parti d’Italia, in cui le biciclette sono l’anello più piccolo della catena alimentare.

La fretta. Aveva fretta la donna che ha ucciso Silvia Piccini, come pure l’uomo che ha ucciso Michele Scarponi. Aveva fretta il camionista che ha ucciso Davide Rebellin. Dicono sempre che avevano fretta, come chiunque non abbia ben chiaro che i limiti di velocità esistono unicamente per motivi di sicurezza. Ciò che sta diventando insopportabile è l’indulgenza verso i carnefici, che alla lunga si fa sempre largo nell’animo della gente buona del ciclismo.

La bontà sta diventando un limite, perché la gente dimentica. Il bullismo sulle strade, alla pari di quello nelle scuole, ha radici nella morbidezza con cui viene affrontato. Nella debolezza davanti alle frasi deliranti di Vittorio Feltri. Nel tollerare un certo modo di esprimersi sui social che legittimano l’aggressione al ciclista. In questo Giorno della Memoria, paragonare i ciclisti sulle strade a quello che accadeva in quegli anni maledetti appare meno fuori luogo di quel che si potrebbe pensare.

Nel 2023 Sara Piffer aveva partacipato la mondiale juniores di Glasgow, chiudendo al 18° posto
Nel 2023 Sara Piffer aveva partacipato la mondiale juniores di Glasgow, chiudendo al 18° posto

Per colpa di tutti

La fretta è il male di questo secolo popolato di tecnologie che rendono tutto possibile. Avete mai avuto, guidando, l’impulso di riempire il tempo comunicando con qualcuno, cercando un’informazione sul web, mandando un messaggio? Avete mai provato a fare un esercizio di autodisciplina, riservandovi di farlo quando vi sarete fermati? Avete provato la sensazione di frustrazione di quando il telefono non ha campo e vi sentite fuori dal mondo o impossibilitati a ottimizzare il tempo, organizzando il lavoro nel tempo della guida?

Sara e tutti gli altri sono morti per colpa nostra, incapaci di dare un valore alla loro vita. Per colpa di chi usa il telefono durante la guida. Per colpa di chi beve e sa di dover guidare. E per colpa di chi pensa che a lui andrà sempre bene e si ritrova un giorno davanti a una ragazza morta a procurarsi le scuse che a lei non ha concesso. Sara è morta per sempre, mentre lui tornerà presto alla sua vita. Con un peso sul cuore, diamolo per scontato, come quello di Giuda che seppe scegliere per sé l’uscita di scena che meritava.

Prima di Sara, anche Silvia Piccini fu uccisa da una donna che aveva fretta di andare al lavoro e neppure si fermò
Prima di Sara, anche Silvia Piccini fu uccisa da una donna che aveva fretta di andare al lavoro e neppure si fermò

Lo sciopero delle bici

Oggi alle 15 in quel paesino che ha dato i natali ai fratelli Moser e a Gilberto Simoni si celebreranno i funerali di Sara Piffer, 19 anni, uccisa sulla strada da un uomo al volante della sua auto. Finché qualsiasi veicolo non sarà considerato alla stregua di un’arma del delitto – di una pistola o di un coltello – la giustizia avrà una falla.

Gli scioperi dei ferrovieri hanno messo in ginocchio l’Italia da qualche mese a questa parte. Se c’è un invito che ci sentiamo di fare alla Federazione Ciclistica Italiana, all’ACSI, alla FIAB e a tutte le sigle che raccolgono sotto le loro insegne milioni di ciclisti è quello di proclamare per un giorno lo sciopero nazionale delle biciclette. Andiamo tutti a Roma e blocchiamo il centro e i palazzi del Governo. Questo non è un invito alla sedizione, è un grido disperato. Almeno quello, forse, riusciranno a sentirlo.

«Sempre con noi». Il ricordo di Benedetta per la sua amica Sara

25.01.2025
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Non ci abitueremo mai a certe notizie. Non ci abitueremo mai a certe notizie, specialmente quando parlano di tragedie che potevano essere tranquillamente evitate. Morire in bici mentre ti stai allenando, facendo il tuo lavoro, sta diventando una routine nazionalpopolare che mette i brividi. Mentre era fuori in allenamento col fratello Christian, la diciannovenne Sara Piffer ieri è stata travolta e uccisa da un automobilista in sorpasso che arrivava in senso opposto. Basta solo questo per far capire l’assurdità di questa ennesima morte.

Ieri tutto il mondo del ciclismo e non solo – letteralmente visto che la notizia è rimbalzata in ogni sito anche estero – si è stretto attorno alla famiglia di Sara e della Mendelspeck, la sua formazione. Ogni persona che ha conosciuto Sara si è sentita devastata. Ogni persona che ama il ciclismo si è sentita tirata in causa, insicura e impaurita. Per chi come noi scrive di ciclismo o lo vive profondamente in ogni sua declinazione, sta diventando un esercizio assai complicato parlare di fatti simili. Nello specifico, la lista dei ragazzi morti investiti in allenamento si sta allungando in maniera incontrollabile.

Sara Piffer a maggio 2024 vince a Corridonia e dedica la vittoria allo juniores Lorenzi morto in allenamento (foto Ciclomarche)
Sara Piffer a maggio 2024 vince a Corridonia e dedica la vittoria allo juniores Lorenzi morto in allenamento (foto Ciclomarche)

Lo choc di Benedetta

La Mendelspeck di Renato Pirrone è sempre stata una grande famiglia fin da quando era una formazione giovanile prima di diventare un team continental. Non appena è circolata la notizia della morte di Sara Piffer, sono partiti i primi messaggi di commozione e condoglianze. Difficile trovare qualcosa da dire in più. Il giorno dopo ti concede di affrontare la situazione con una parvenza di maggiore lucidità. Benedetta Della Corte, compagna di squadra di Sara, è ancora comprensibilmente scossa.

«Non ho dormito – ci racconta con la voce calma – ho pianto tutta la notte pensando a lei che era la nostra luce. Ieri ero fuori in allenamento quando ho ricevuto la telefonata di mio padre (Antonello è un dirigente della squadra, ndr). Mi sono bloccata sul momento e non riuscivo più a pedalare. E’ stato un choc fortissimo. Mi sono dovuta far venire a prendere perché non sono stata in grado di ripartire in bici.

«Quello che è successo a Sara – prosegue Benedetta – poteva capitare a me o chiunque altro ragazzo. E non è giusto che si continui a morire in bici. Noi occupiamo lo spazio di uno scooter anche se andiamo più piano, bastano davvero pochissimi secondi per superarci. Pochi secondi tra la vita e la morte. Non ho ancora metabolizzato la sua scomparsa perché proprio pochi giorni fa ci eravamo date appuntamento per oggi e domani per fare distanza assieme. E’ incredibile».

Benedetta Della Corte e Sara Piffer (a sinistra) sono diventate grandissime amiche fin dal primo giorno assieme alla Mendespeck
Benedetta Della Corte e Sara Piffer (a sinistra) sono diventate grandissime amiche fin dal primo giorno assieme alla Mendespeck

Correre per Sara

Il sentimento di papà Antonello è quello di ogni padre che ha un figlio o figlia che corre in bici. Sapendo Benedetta fuori in allenamento per 3-4 ore, lui si tranquillizza solo quando gli arriva un messaggio sul cellulare dal suo computerino della sessione finita. Vivere con questa tensione non è giusto, però la spinta arriva proprio da lei.

«Oggi avevo in programma quella famosa distanza con Sara – riprende Benedetta – e non so se la farò. Per fortuna oggi uscirà con me una ragazza di un’altra squadra che però deve fare solo due ore e mezza. Probabilmente farò anch’io così perché al momento ho paura a restare da sola in strada. Tuttavia voglio pedalare nel ricordo di Sara, perché lei avrebbe voluto così. E perché lei aveva fatto così lo scorso maggio quando era morto investito in allenamento Matteo Lorenzi, lo juniores del Montecorona che aveva corso con suo fratello. Pochissimi giorni dopo avevamo corso a Corridonia e lei voleva vincere per dedicargli la vittoria. Ed è stato così, aveva vinto lei. Il primo successo della Mendelspeck. Che gioia quel giorno».

Sara Piffer era nata il 7 ottobre 2005. Da juniores aveva corso il mondiale di Glasgow e altre gare con la nazionale
Sara Piffer era nata il 7 ottobre 2005. Da juniores aveva corso il mondiale di Glasgow e altre gare con la nazionale

Tra paura e futuro

«Sara ed io – chiude Benedetta trattenendo a stento le lacrime – avevamo legato subito fin dal primo giorno di ritiro un anno fa. Eravamo entrambe celiache ed è stato un ulteriore motivo del nostro forte rapporto di amicizia. Ci aiutavamo portando il nostro cibo alle gare. Sara era sempre sorridente e con una grande passione per il ciclismo. Mi spronava sempre. Era forte, motivata, attenta ai dettagli e ho sempre pensato che sarebbe andata in squadre di categoria superiore nel giro di qualche anno.

«In passato ho continuato a pedalare nel ricordo di un amico morto in bici che non faceva questo sport. Da ieri lo farò pensando anche a Sara, sperando di onorarla con buone gare. Adesso noi ragazze della Mendelspeck dobbiamo diventare il riferimento l’una dell’altra, sapendo che Sara è sempre con noi».

Non ci abitueremo mai a queste notizie e a dover sentire parole del genere. Qualcosa deve cambiare in fretta e radicalmente. La morte di Sara e di tanti altri come lei non può e non deve restare vana.