Dice Massimiliano Mori che se Diego Ulissi fosse nato una decina d’anni dopo, sarebbe passato professionista direttamente dagli juniores. Uno che vince due mondiali di fila, tra gli under 23 non ci poggerebbe neppure il cappello.
«Però non sarebbe lo stesso un modo sano di fare – riflette – perché al di là delle conoscenze superiori a disposizione oggi di uno junior, il fisico è sempre quello di un ragazzo di 18 anni. E le fatiche tra i professionisti, se possibile, sono ogni anno superiori».
I tre Mori
Massimiliano Mori, fratello di Manuele (ritirato nel 2019) e figlio di Primo (vincitore di una tappa al Tour 1970), è diventato campione del mondo juniores 1992 della 70 chilometri a squadre (assieme a Martini, Velo e Romio). Poi è stato professionista dal 1995 al 2009 e da circa cinque anni è tornato nel ciclismo come procuratore. Nel 2005, ancora corridore, si era dedicato alla sua azienda gelatiera, al punto che oggi ne produce per una trentina di negozi, rifornisce alcuni punti Conad e ha pure i suoi tre punti vendita.
«Non siamo la Sammontana – sorride – ma ce la caviamo. Un giorno però mi cercò Marco Piccioli, che fa l’agente nel calcio ed è un appassionato di ciclismo. Fra i suoi atleti aveva anche Vieri, per intenderci, ma non conosceva corridori. Così ho accettato di aiutarlo, sono l’ultimo arrivato. Lavoriamo in squadra. Marco si occupa dell’aspetto contrattuale, io individuo i corridori che mi piacciono e gli sto vicino dando qualche consiglio. Non avendo fatto il corso Uci, per firmare i contratti ci avvaliamo dell’avvocato Mari».
Come si fa a prendere un corridore?
Non con le promesse, anche se ci sono alcuni che ne fanno tante. Uno che ti promette lo squadrone, genera aspettative sbagliate. Chi ci casca lo trovi, dipende dal corridore. Oggi le cose sono cambiate.
Sotto quale punto di vista?
Quando correvo io, nelle squadre il procuratore era visto come quello che mangiava sulla pelle dei corridori. Oggi sono i corridori che ti cercano, perché pensano che se non hanno il procuratore giusto, restano esclusi.
Così anche i team manager hanno cambiato opinione?
Direi di sì. Loro sono quelli che firmano i contratti, ma per noi spesso è più semplice parlare con i direttori sportivi, perché hanno una miglior conoscenza degli atleti.
Aver corso è un vantaggio?
Secondo me sì. Marco Piccioli prima di fare qualunque movimento, chiede prima a me. In più considerate che tanti team manager e direttori sportivi sono stati miei compagni o correvano nei miei anni ed è un vantaggio.
Sei di quelli che va a pescare fra gli allievi?
No, sono contrario che si vada tanto a ritroso. E’ un male. C’è tanta competizione, si cerca sempre di anticipare, ma alla fine si fa danno al ragazzo. Gli allievi si lasciano stare, invece ho messo il naso fra gli juniores. Ero contrario, ma anche stufo di arrivare sempre dopo e così mi sono adeguato.
Quanto vi paga uno junior?
Sei matto? Non paga niente neanche da under 23. Il procuratore non va pagato secondo me fino al passaggio al professionismo, ma certo nel momento in cui si rivolgono a noi, si aspettano proprio di passare. Ed è complicato, c’è da valutare i singoli casi. Io sono contrario al passaggio subito, meglio firmare e fare un altro anno da under 23. Alcuni lo capiscono, altri fanno fatica e magari pensano che tu non sia un bravo procuratore.
Benedetti, fresco tricolore U23, l’ha capito…
Lo scorso anno avevo già la squadra per farlo passare, ma il ragazzo preferì rimanere ancora U23 perché non si sentiva pronto e aveva fatto poche gare. Il contrario del pensiero che va per la maggiore.
Perché a volte il corridore manda avanti il procuratore per le sue esigenze in squadra?
E’ una cosa che capita, anche se a mio avviso il rapporto primario deve essere fra corridore e team. Può capitare che serva un’intermediazione, ma sulla bicicletta ci va il corridore e lui non è di proprietà del procuratore. Noi siamo di supporto, altrimenti si torna a quando pensavano male della categoria.
Davvero oggi Ulissi passerebbe subito?
Uno che vince due mondiali da junior avrebbe l’asta. Su di lui ci sono sempre state aspettative immense, pensate che peso sarebbero state se fosse passato subito. La differenza grossa è che oggi uno junior ha accesso alle stesse conoscenze dei professionisti, mentre io ad esempio di Bugno o Chiappucci non sapevo niente. A 18 anni il fisico è sempre quello. Puoi passare, puoi essere precoce, ma quanto duri?
Che rapporto hai con Diego: si parla solo di contratti o anche di vita?
E’ un fratello, quando ci vediamo parliamo di tutto. Di vita, di contratto e di corse. Se posso, un consiglio si dà sempre. Si dice che non vince abbastanza, ma se dovesse centrare una Liegi, allora il suo palmares assumerebbe un’altra dimensione. E’ un ragazzo umile ed educato. Quando quest’inverno ha avuto i problemi di cuore e poi nella ripresa, gli siamo stati vicinissimi.
Facendo cosa?
Lo abbiamo assistito per il discorso delle visite. E poi quando ha ripreso, scherzando durante il Giro gli dicevo che a causa sua si potrebbero rivedere le teorie dell’allenamento. Perché ha saltato l’inverno e non è andato in altura e ugualmente ha chiuso il Giro in crescendo meglio di quelli che lo avevano preparato da novembre.
Chi altri c’è nella tua squadra?
Non è bello fare l’elenco, però ad esempio sono contendo di come stanno andando le cose con Mattia Cattaneo e la Deceunick-Quick Step. Quando vidi che alla Lampre non andava, fui io a proporgli di andare all’Androni. E ora è tornato nello squadrone ed è contentissimo di starci, tanto che a breve rinnoverà per due anni.
Sono sempre rose e fiori?
Sarebbe troppo bello, ma a volte capitano anche i colpi bassi. Te ne fai una ragione e vai avanti, anche se magari sul tale corridore hai investito del tempo, lo hai consigliato e sai di aver sempre fatto il suo interesse. Ma si va avanti, ci mancherebbe. Si va avanti lo stesso.
P.S. Richiesto sul tema, Diego Ulissi ha dimostrato ancora una volta di avere la testa sulle spalle, anche perché forse il peso di passare a 21 anni è stato ugualmente importante.
«Oggi credo che la soluzione migliore per crescere – ha detto dopo aver concluso il Giro dell’Appennino – è fare un paio di anni in squadre continental. Non tante gare, ma iniziare ad assaggiare il professionismo. Io dovevo fare un solo anno tra i dilettanti, poi fu una decisione mia farne due, perché quell’anno mi ammalai. Presi mononucleosi e citomegalovirus e mi concessi un anno in più. Penso che comunque un percorso di crescita graduale sia sempre la soluzione migliore per il bene del ragazzo fisica e mentale».