A volte i social prendono l’idea e te la tirano in faccia. Ed è così che scrollando Instagram senza una precisa destinazione, siamo finiti accanto a Davide Ballerini lungo le rampe di un muro in pavè. Lo inquadrano davanti, di lato e da dietro: l’ha postato il 3 gennaio. C’è del lavoro in quel video – nel pedalare in salita e nel montaggio di chi l’ha realizzato – che alla fine vede il corridore di Como poggiarsi a una cancellata col fiato molto grosso.
Bartoli e San Gennaro
Avendo qualche anno nelle tasche, la memoria è andata a quando certe cose le faceva anche un ragazzino di belle speranze, conosciuto quando era ancora dilettante: un certo Michele Bartoli. Il toscano che poi al Nord ne vinse tante da togliersi la voglia (mai del tutto) aveva un muro del genere vicino casa, dove andava per mettersi alla prova.
«Il mio muro si chiama San Gennaro – ricorda sorridendo – il tratto in pavé è lungo 700-800 metri, poi prosegue, si scollina, fai il giro della collina e puoi riprenderlo quasi subito. Quando mi allenavo per quelle corse, facevo 4-5 giri di filae riuscivo anche a capire la mia condizione. Un’altra cosa mi lega a Ballerini: ho lavorato con lui l’ultimo anno che era all’Androni, ne vinse parecchie. Lui è uno che potenzialmente potrebbe vincere molto di più».
Michele Bartoli e il Giro delle Fiandre, un grande amore. Qui nel 1999, tre anni dopo la vittoria del 1996Michele Bartoli e il Giro delle Fiandre, un grande amore. Qui nel 1999, tre anni dopo la vittoria del 1996
Il muro di Ballerini
Ballerini in questi giorni è in Spagna e vi rimarrà fino al 25 gennaio, quando inizierà la stagione alla Ruta de la Ceramica-Gran Premio Castellon. Poi proseguirà con la Valenciana e da lì andrà ad assaggiare il vero pavé del Nord, quello della Omloop Het Nieuwsblad che nel 2021 lo vide vincere in maglia Deceuninck-Quick Step.
«Uso spesso quel muro – sorride Ballerini – e un altro ce l’ho nella zona di Mendrisio. Non è come un muro del Fiandre, il Nord è un altro mondo, ma registro i tempi su Strava e lo uso di solito per fare lavori specifici. E’ lungo 150 metri più o meno. Di solito ci faccio ripetute da un minuto e mezzo a bassa frequenza di pedalata, esprimendo la massima potenza».
Il pavé è amico di Ballerini. Qui agli europei di Hasselt lo scorso annoIl pavé è amico di Ballerini. Qui agli europei di Hasselt lo scorso anno
Il Teide a febbraio
Fra la Valenciana e il debutto del Nord, come abbiamo già raccontato all’inizio dell’anno, Ballerini salirà sul Teide proprio per preparare al meglio le prime sfide sul pavé.
«Lo scorso anno – spiega non ci andai – perché avevo ancora il problema al ginocchio. La recon sui percorsi di lassù l’abbiamo già fatta a dicembre, soprattutto per capire le pressioni delle gomme per Roubaix, mentre il resto lo vedremo quando saremo su. La nuova bici per ora posso dire che è molto rigida, ma finché non saremo in gara, sarà difficile fare una vera valutazione».
Quelle immagini continuano a scorrere in loop. E’ bello immaginare la stessa azione sul Paterberg all’ultimo giro del Fiandre, avendo grande stima nelle valutazioni di Bartoli e grande fiducia nei mezzi del Ballero. Mostrano la forza e la grinta di un’atleta forte e molto generoso, forse troppo? Un grande leadout per gli uomini veloci, uno che ci piacerà veder correre anche per se stesso.
ALTEA (Spagna) – Quinto al Giro d’Italia e miglior giovane, Antonio Tiberi si muove col passo felpato di chi ha in testa il ritmo giusto per fare le cose. Il mattino è stato dedicato alle visite mediche e ad una sessione fotografica, poi ci sono i giornalisti e le loro domande. La giornata è accecante di sole e mare, il riverbero del marmo a bordo piscina costringe a socchiudere gli occhi.
L’hotel Cap Negret è meno affollato del solito. Ci sono la Bahrain Victorious e la VF Group-Bardiani, come pure la FDJ Suez di Demi Vollering e Vittoria Guazzini. Il parcheggio però è mezzo vuoto, perché quest’anno la geografia dei team si è rimescolata. Ci sono stati anni in cui qui potevi incontrare anche sei squadre contemporaneamente: una sorta di caccia grossa per chi fosse in cerca di interviste.
Tiberi inizia la seconda stagione con la Bahrain Victorious, cui è arrivato a metà del 2023Tiberi inizia la seconda stagione con la Bahrain Victorious, cui è arrivato a metà del 2023
La stessa flemma di Nibali
Per l’Italia che va in cerca di una nuova voce per i Grandi Giri, la carta Tiberi è il ponte più concreto fra il ricordo di Nibali e un futuro da scrivere. Di Vincenzo ha la flemma e per certi versi lo stile: la Trek-Segafredo aveva visto giusto nel metterli uno accanto all’altro, anche se alla fine il piano è caduto nel vuoto. Probabilmente al laziale manca ancora la capacità di inventare azioni vincenti, ma quella verrà quando le gambe saranno in grado di sostenerle. Il quinto posto al primo Giro è senza dubbio un bel trampolino da cui spiccare il volo.
Prima di raggiungerci, Tiberi si è coperto di tutto punto. Non tragga in inganno il sole: a volte si alzano delle folate di vento che suggeriscono prudenza in atleti che sono ancora lontani dal peso forma, ma si riguardano come meglio possono. Quando anche la mantellina è chiusa fino sotto il collo, Antonio si accomoda sullo sgabello di fronte.
«Vengo da un anno più che ottimo – dice – quindi sono qui per lavorare bene, cercare di crescere e fare qualcosa di ancora migliore per l’anno prossimo. Ho passato le vacanze a casa, un po’ a San Marino e un po’ dai miei genitori. Per me la vacanza è stare a casa, tranquillo e senza impegni. Sono sempre in giro a prendere aerei, quindi non ho molta voglia di prenderne altri anche a stagione finita».
Quinto al Giro e miglior giovane: il podio di Roma ha consacrato il primo grande risultato di TiberiQuinto al Giro e miglior giovane: il podio di Roma ha consacrato il primo grande risultato di Tiberi
Cosa si fa in questo primo ritiro?
Ci dedichiamo ai test, alle nuove foto, a provare nuove bici e il nuovo abbigliamento. E soprattutto avviamo la preparazione in vista del ritiro di gennaio, cui spero di arrivare con la gamba pronta per iniziare a lavorare sul serio.
Hai imparato qualcosa di più su Antonio nel 2024?
Ho imparato che facendo le cose con la testa e mettendoci impegno, riesco a ottenere degli obiettivi che prima neanche avrei immaginato. Sicuramente tutto quello che è venuto nella scorsa stagione mi ha dato più sicurezza e la maturità per iniziare la preparazione con maggiore concentrazione. E con la consapevolezza che, se faccio le cose al meglio, riesco ad ottenere comunque dei buoni risultati.
Il fatto di stare in salita con i migliori dipende dalla preparazione oppure in gara si alza anche la soglia del dolore?
E’ anche una questione mentale, giusta osservazione. Il lavoro conta tanto, perché a casa si allenano anche la sopportazione del dolore e della fatica. Il fatto di reggere certe andature è più che altro una questione di tempistiche e varia da persona a persona. Allenarsi tanto è necessario, ma per arrivare a un certo livello quello che fa tanta differenza è la testa. Penso che ogni persona abbia bisogno di arrivare al punto giusto di maturazione per riuscire a fare determinati sforzi e determinate prestazioni. Per metabolizzare bene lo stress e la fatica.
Su cosa devi crescere per essere ancora più incisivo?
Abbiamo fatto un’analisi delle mie prestazioni e quello che manca e che vorremmo migliorare è il cambio di ritmo, quello con cui Pogacar riesce a fare la differenza quando siamo tutti al limite. Ci lavoriamo già, l’idea è di alzare questa soglia, certe azioni non le puoi improvvisare.
Con la maglia bianca nel gruppo di Pogacar verso il Mottolino: il livello di Tiberi è in crescitaCon la maglia bianca nel gruppo di Pogacar verso il Mottolino: il livello di Tiberi è in crescita
Il cambio di ritmo
Il suo preparatore è Michele Bartoli, che lo ha preso in carico a metà 2023, ma ha potuto iniziare a lavorare con lui in maniera completa alla vigilia del 2024. Un anno di osservazione e lavoro ha portato appunto alla conclusione di cui parla lo stesso Tiberi.
«Faremo un programma di allenamenti intervallati – spiega il toscano – che durano secondi fino ad arrivare a pochi minuti. Andando avanti riesci a vedere più cose e guardandolo correre, abbiamo notato questo aspetto in cui possiamo lavorare per migliorare. Lavori che vanno da 30-40-50 secondi fino ad arrivare ai 3-4 minuti. Ma non ci si limita a quello. Si arriva a fare lavori massimali anche di 6-7-8-10 minuti, perché quello che ci serve e che serve ad Antonio è prettamente questo. Lavori con frequenti cambi di ritmo, da pochi secondi fino a pochi minuti.
«Ma non cominceremo subito – prosegue il toscano – perché Antonio ha corso fino a una gara in salita organizzata da Merida a Taiwan, quindi si è dovuto allenare dal Lombardia al 25 di ottobre, come se corresse ancora. Poi ha scaricato quattro settimane e siamo arrivati al 20 di novembre, quando ha ripreso a pedalare. Perciò sono due settimane che si allena e ora deve fare un po’ di base, non può caricare subito al massimo».
Nel tavolo accanto è seduto Colbrelli, con il computer aperto che all’esterno del monitor ha le foto delle sue vittorie più belle. Questi sono i giorni in cui si definiscono i programmi: per i direttori sportivi un vero rompicapo fra i desiderata degli atleti e le esigenze della squadra.
Caruso e Tiberi (di spalle), il fresco diesse Sonny Colbrelli e Stangelj: si parla di corse e programmiCaruso e Tiberi (di spalle) e il fresco diesse Sonny Colbrelli: si parla di corse e programmi
Qual è stato il giorno più bello dell’anno?
Ne dico due. La penultima tappa del Giro, quella di Bassano, quando ho trovato i miei genitori dopo l’arrivo. E poi l’ultima tappa, quella di Roma, che a modo suo resta indimenticabile.
I mondiali potevano esserlo e non lo sono stati?
Diciamo che li ho presi come un’esperienza che sicuramente mi servirà in ottica futura, essendo stato comunque il primo mondiale. Sono andato a Zurigo con le aspettative alte, forse anche troppo per quello che era realmente il percorso. Speravo in qualcosa più adatto agli scalatori, che ci fossero delle salite dure. Invece era più esplosivo, per gente come Van Der Poel. Però il mondiale è sempre una gara particolare. L’ultima volta che lo avevo corso era da junior e bisogna dire che c’è una bella differenza tra juniores e professionisti. Si corre senza radio, è uno stile di gara molto molto diverso da quello cui siamo abituati.
In un ipotetico avvicinamento al Giro, se sarà Giro, rifaresti tutto quello che hai fatto quest’anno oppure si può cambiare qualcosa?
Se fosse Giro, l’avvicinamento sarebbe molto simile. Magari potrebbe cambiare un pochino la prima parte, proprio l’inizio della stagione e forse sarà così. Probabilmente inizierò all’Algarve, ma il resto sarà quasi uguale all’anno scorso, magari facendo qualche ritiro in più con la squadra.
Il quinto posto del Giro ha fatto crescere la tua popolarità?
Leggermente, qualcuno mi riconosce quando sono in giro a casa o anche quando mi alleno. Mi fa piacere, è qualcosa che ti dà più morale, che dà orgoglio e ti stimola a fare ancora meglio.
In vista della tappa con arrivo ad Aprica, siamo stati da Domenico Pozzovivo, ci siamo fatti raccontare la sua bicicletta, le scelte tecniche e come convive con i problemi al braccio
Quando lo rintracciamo, Michele Bartoli sta guidando verso il centro di Lunata con cui collabora. Il toscano sarà al ritiro della Bahrain Victorious a metà dicembre e oggi, dice, andrà a divertirsi con gli allievi che hanno richiesto il suo intervento. «Sono dei test così – mette le mani avanti – niente di serio. Tanto per fargli capire cosa significa fare ciclismo. Io sono uno che con i giovani va volutamente lento».
Lo abbiamo chiamato per riprendere il discorso fatto con Geremia sul dilettantismo italiano com’era e come invece è diventato. E se il tecnico regionale degli juniores veneti ha citato la sua esperienza con corridori come Nibali e Visconti che vincevano contro gli elite nel 2004, a Bartoli chiediamo come andassero le cose fra il 1989 e il 1992, quando il dilettante era lui e otteneva le sue vittorie più belle.
«Quindi Geremia – inizia Bartoli – sostiene che correre con i più grandi sia una cosa positiva? Sono d’accordo anch’io, assolutamente. L’impegno fisico rimane quello. I tuoi 3-5-12 minuti più o meno rimangono gli stessi come picchi di potenza, non è che correre con gli under 23 o gli elite cambi qualcosa. Cambia invece l’impegno mentale, il dover studiare qualcosa per sopperire alla maggior forza degli altri. E quindi impari prima e di più. L’ho sempre detto, sotto questo aspetto chiudere le categorie è stata una retrocessione. Anche perché poi fanno ricorso ai vari escamotage, con gli juniores che passano professionisti a 18 anni. E a quel punto dove finiscono le tutele dagli sforzi eccessivi?».
La nazionale dilettanti di Stoccarda 1991: età fra 20 e 23 anni. Bartoli il primo da destra: 21 anni. La nazionale dilettanti di Stoccarda 1991: età fra 20 e 23 anni. Bartoli il primo da destra: 21 anni.
Saresti per ripristinare una categoria di elite e under 23 in cui salga il tasso tecnico oppure per cancellare anche gli under 23?
Quella dei dilettanti, chiamiamola così, è una categoria che è stata svuotata. Effettivamente si fa molta più esperienza facendo corse a tappe in giro per l’Europa. E’ una categoria molto sottostimata perché gli juniores buoni vanno nei devo team (in apertura Davide Stella della Gottardo Giochi Caneva, iridato della pista juniores, che passa nel team di sviluppo della UAE Emirates. Immagine photors.it, ndr). Altri passano professionisti e negli under 23 rimangono buoni atleti, ma con un interesse inferiore. Qualcosa deve essere fatto, non si può far morire una categoria intera in cui comunque corrono tanti atleti.
Secondo te perché si tende ad evitarla?
Io credo che passino così presto per ambizione, senza neanche calcolare troppo vantaggi e svantaggi. Passo professionista, punto e basta. Poi dietro ci sono sviluppi tecnici e altre considerazioni, però il primo pensiero è quello: passare. Capitano anche a me degli juniores che vorrebbero farlo a tutti i costi. Ma dove vogliono andare? Non è quello l’obiettivo. L’obiettivo è trovare una situazione in cui puoi crescere tranquillo, con gente che ti insegni il mestiere. Se passi tanto per passare, che ne sai dell’ambiente in cui ti ritrovi?
Tu sei passato a 22 anni e da dilettante correvi in mezzo a gente ben più grande: secondo te è un modello riproponibile oggi?
Correvo ad esempio contro Walter Brugna, uno dei primi che era rientrato dai professionisti. Le prime due o tre gare feci secondo dietro Alessandro Manzi, che aveva quasi 10 anni più di me. Era faticoso mentalmente perché ti aspettavi sempre un loro attacco e sapevi che quando andavano, ti lasciavano lì. E allora dovevi studiarti qualcosa per stargli dietro. Mi ricordo una corsa ad Arezzo, in un paese di cui non ricordo il nome perché da quelle parti mi sembrano tutti uguali. C’era proprio Brugna e prima dell’arrivo uno strappo ripido.
Alessandro Pinarello è passato pro’ saltando gli U23. Il 2025 sarà il terzo anno da pro’ (photors.it)Alessandro Pinarello è passato pro’ saltando gli U23. Il 2025 sarà il terzo anno da pro’ (photors.it)
Come andò a finire?
Provai in tutti i modi ad anticiparlo, tanto sapevo che se arrivavo lì con lui, mi staccava. Ero di primo o secondo anno. Le provai tutte, cercai l’accordo con gli altri del gruppetto, per andare via una volta ciascuno. I classici ragionamenti che fai quando ti senti inferiore e che non avrei fatto se avessi corso negli under 23. Perché magari fra i coetanei ero superiore e mi bastava arrivare lì, poi sarei partito e li avrei staccati. E comunque quel giorno Brugna ci fregò lo stesso. Non si riuscì a staccarlo, si prese lo strappo e lui se ne andò e vinse. Sono le dinamiche che sei costretto a mettere in gioco solo quando sei al limite e devi trovare il modo per importi.
Pensi che si debba riorganizzare il ciclismo di quelle età?
La situazione non va bene. Tutti parlano di sforzi troppo grossi e che si è fatto così per salvaguardare i nostri atleti. Ma non sono gli sforzi fisici a danneggiarli, sono gli sforzi mentali. Uno sforzo fisico a 17, 18, 19 anni lo recuperi mangiando e andando a letto: la mattina dopo sei già pronto. Sono le scorie mentali che ti rimangono. Il problema è mandare una squadra di juniores a fare un’ora e mezzo con una salita al massimo un’ora e mezza prima del via della gara.
Poche corse under 23 hanno chilometraggi importanti: Poggiana si ferma a 164,5 (photors.it)Poche corse U23 hanno chilometraggi importanti: Poggiana si ferma a 164,5 (photors.it)
Gli eccessi gratuiti?
E’ il problema del nostro ciclismo e crea talmente tante scorie che ti rimangono nel cervelloe poi pian piano rigetti la fatica. Non ce la fai più, anche involontariamente, soprattutto involontariamente. Non è che lo decidi di non sopportare la fatica, ti succede e la chiudi lì. A meno che non fai certi sforzi da giovanissimo, esordiente o allievo, la fatica non ha mai fatto male a nessuno. Sapete quali sono le componenti dell’allenamento?
Quali?
Le componenti per far crescere gli atleti sono l’allenamento, la vita privata e le gratificazioni. Oggi invece esistono solo gli obiettivi agonistici, tutto il resto non conta più. La vita privata non conta più e le gratificazioni della vita di tutti i giorni sono proibite. Magari inventarono l’under 23 per contrastare altri fenomeni, ma ora che è tutto cambiato fa più danni che vantaggi. Hanno fatto bene anche a liberalizzare l’uso dei rapporti fra gli juniores, ma si deve trovare il modo perché il dilettantismo torni a produrre buoni corridori come un tempo, quando non c’erano alternative.
Quanto servono le corse a tappe per i giovani? Molto. Vi riportiamo l'esperienza di Capecchi con i suoi ragazzi del CR Umbria. Pochi aggiustamenti e le cose già erano cambiate
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
NASCE BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute
La prima presenza al mondiale per Antonio Tiberi ha portato tanta pressione, soprattutto dopo la vittoria al Giro di Lussemburgo, ma anche un’esperienza nuova. Ce lo aveva detto lo stesso corridore della Bahrain Victorious a fine gara.
«Fare corse di un giorno – ha detto alla fine della prova iridata – è sempre una fatica un po’ diversa dal solito. Ci sono degli sforzi che non si fanno abitualmente nelle gare a tappe, poi in un mondiale dove tutto si amplifica è veramente dura. La prima gara di un giorno che ho disputato quest’anno è stata la Liegi. Il mondiale, invece, è stata la seconda».
Al Giro di Lussemburgo Tiberi ha mostrato ottime qualità negli sforzi brevi richiesti dagli strappiAl Giro di Lussemburgo Tiberi ha mostrato ottime qualità negli sforzi brevi richiesti dagli strappi
Piccoli passi
Tiberi ha poi espresso la voglia di migliorare in questo tipo di competizioni, dichiarando la volontà di inserirne altre nel calendario della prossima stagione. Riflessioni giuste e ambiziose di un ragazzo di 23 anni che solo nel 2024 ha mostrato di poter fare i passi giusti per entrare nella cerchia dei corridori di primo livello. Con lui, quando è entrato a far parte della Bahrain Victorious, lavora Michele Bartoli. Il preparatore toscano è la figura giusta da interpellare per analizzare al meglio il mondiale di Tiberi e parlarne apertamente.
«A Zurigo – spiega Bartoli – Tiberi ha corso la seconda gara di un giorno della stagione, era logico potesse soffrire in qualche modo. E’ un tipo di sforzo al quale non è abituato ma, come in tutte le cose, se vorrà dedicarsi anche a questi appuntamenti dovremo prepararli con le giuste modalità. A seconda degli obiettivi si devono poi impostare allenamenti diversi».
La Liegi è stata la prima e unica corsa di un giorno disputata da Antonio prima del mondialeLa Liegi è stata la prima e unica corsa di un giorno disputata da Antonio prima del mondiale
Lo stesso Antonio ha detto di essersi accorto che gli manca l’esplosività per affrontare certi percorsi.
Innanzitutto vorrei dire che di questo mondiale ognuno ha dato la sua interpretazione. Si era partiti con l’affermare che fosse per scalatori, ma se arriva terzo Van Der Poel non mi viene da pensare a un percorso per scalatori. Penso sia stato un mondiale opposto alle sue caratteristiche di base.
Quali sono?
Lui è un atleta da corse a tappe, considerando che nel 2024 ha disputato solo questo genere di appuntamenti è difficile immaginarlo in gare di un giorno. Poi può migliorare. Anzi, sono sicuro che se un domani dovesse correre di nuovo il mondiale, Antonio sarebbe in grado di competere con i più forti. Alla fine è arrivato terzo O’Connor. Però va tutto preso con calma, non dimentichiamoci da dove è partito Tiberi.
Il ciociaro si è reso conto che anche in un grande Giro serve avere tanta potenza per rispondere agli attacchi dei più fortiIl ciociaro si è reso conto che anche in un grande Giro serve avere tanta potenza per rispondere agli attacchi dei più forti
Ovvero?
Nel 2024 ha dimostrato di poter ricoprire il ruolo di leader per un Grande Giro in una formazione WorldTour. Il suo quinto posto al Giro potrebbe entrare di diritto nelle più belle prestazioni dell’anno, se non ci fosse stato un certo Pogacar. Però arrivare in una squadra come la Bahrain e al primo anno dimostrare di poter fare il capitano, a soli 22 anni, non è poco.
Come ha detto lo stesso Tiberi le corse di un giorno possono aiutare nel migliorare anche nelle gare a tappe?
Sicuramente. Anche perché gli sforzi anaerobici, come i lavori sui cinque minuti, alla soglia lattacida, VO2 Max e interval training sono entrati in pianta stabile nelle tabelle di lavoro anche dei corridori da corse a tappe. Chiaro che la differenza arriva a seconda del tempo che dedichi a questi allenamenti. Alla fine credo che si vinca con la prestazione.
Tiberi ha programmato la stagione puntando su due grandi corse a tappeTiberi ha programmato la stagione puntando su due grandi corse a tappe
Spiegaci.
Le gare le vince chi riesce ad avere la miglior prestazione massimale, chi è abituato a soffrire. Anche per staccare gli altri in salita sei costretto a fare sforzi molto intensi e se non sei in grado di replicare alla prima risposta ti fanno fuori. I lavori lattacidi, come i cambi di ritmo, sono quel tipo di allenamento che migliora questo genere di prestazioni. Tiberi ha una caratteristica che lo può rendere un grande corridore.
Cioè?
La gestione del proprio sforzo. Riesce a non andare fuori giri mantenendo una prestazione altissima. Per altri corridori amministrarsi vuol dire abbassare tanto l’intensità dello sforzo. Antonio riesce a fare una prestazione massima senza mai subirla.
Al mondiale le premesse c’erano e secondo Bartoli, il suo preparatore, in futuro Tiberi potrà fare bene in questi appuntamentiAl mondiale le premesse c’erano e secondo Bartoli, il suo preparatore, in futuro Tiberi potrà fare bene in questi appuntamenti
Un po’ come Pogacar, con i dovuti paragoni?
Per me guardare il super campione diventa controproducente. Pogacar può fare tutto, anche sbagliando, e non subire conseguenze. Gli basta un chilometro per recuperare totalmente e poi ripartire. Magari altri corridori un errore lo pagano e devono riposare una notte intera per recuperare pienamente. Tiberi per me è un super atleta e ha delle qualità che per la sua giovane età possono portare a tanto: un gran motore e ascolta bene il proprio fisico.
Quindi si può pensare a un Tiberi protagonista nelle corse di un giorno?
Tanto dipende dal calendario. Se fa come nel 2024 dove ha corso Giro e Vuelta, è più difficile perché la programmazione ti porta a lavorare in un determinato modo. Se dovesse saltare il Giro potrebbe concentrarsi sulle Ardenne e prepararle al meglio. Oppure, se si sceglie di fare la corsa rosa dopo lo stacco di metà stagione, potrebbe lavorare in ottica San Sebastian e Lombardia. Questo lo deciderà lui insieme alla squadra.
L’altra monumento corsa in carriera è stato Il Lombardia, nel 2021 con la Trek e nel 2023 con la Bahrain (qui in foto)L’altra monumento corsa in carriera è stato Il Lombardia, nel 2021 con la Trek e nel 2023 con la Bahrain (qui in foto)
Era comunque la prima esperienza a un mondiale.
Una volta si diceva che per essere competitivi in gare come Fiandre o Liegi servissero due o tre anni. Ora solo perché uno o due corridori fanno bene subito, sembra che non ci debba essere il tempo di adattamento. L’opinione pubblica cambia con l’attualità dei fatti, ma non sempre questa è la regola. Le cose si costruiscono un mattone per volta, Bennati, che di ciclismo ne sa, ha già detto che Tiberi deve vivere certe gare per abituarsi e capirle.
Quella era una corsa vicina agli sforzi che trovi in una gara di un giorno. Sforzi massimali sui 3 minuti e rilanci in cima allo strappo. Ero il primo a essere fiducioso in vista di Zurigo, poi però le giornate difficili capitano. Comunque va considerata l’emozione di vestire la maglia della nazionale e di correre un mondiale. Rimango della mia idea: se domani dovessero correre ancora Antonio lo metterei nuovamente tra quelli che possono fare bene.
OPFIKON (Svizzera) – Sabato mattina. Le donne stanno uscendo per andare alla partenza, i professionisti hanno un rendez vous con i giornalisti presenti e poi dovranno decidere se uscire in bici o far girare le gambe sui rulli. Fuori ci sono 15 gradi e piove forte, non l’ideale per una sgambata. Tiberi ha il solito ritmo da battito calmo, che in tanti colpi d’occhio ricorda i passi lenti di Nibali. Sorride e si vede che sul suo cielo brilli adesso una buona stella. La vittoria al Giro del Lussemburgo gli ha permesso di salire un altro scalino, in una stagione che lo ha visto crescere nelle sicurezze e nella considerazione generale. Difficile capire se ci sia stato un solo motivo a far scattare la scintilla, la sensazione è quella di una crescita coerente globale.
«Per me è stato tutto un seguirsi di cose – spiega – a partire dalla brutta vicenda che mi ha portato a cambiare squadra. Quell’esperienza mi ha fatto crescere e dato tanti insegnamenti. Alla Bahrain Victorious sin da subito hanno puntato tanto su di me, con l’idea di farmi crescere come corridore da corse a tappe. Ho incontrato Michele Bartoli, con cui mi sono trovato veramente subito tanto bene e si è visto subito che ho avuto un bel miglioramento. E poi da cosa nasce cosa. I risultati portano fiducia in se stessi e più consapevolezza dei propri mezzi. E alla fine sono arrivato qui».
Prova percorso, lo spirito è giusto. Ulissi accelera, Tiberi rispondeProva percorso, lo spirito è giusto. Ulissi accelera, Tiberi risponde
Hai visto il percorso, che impressione ti sei fatto?
E’ tanto tanto impegnativo, più che altro per la lunghezza e la quantità di giri che affronteremo sul circuito finale. Secondo me verrà fuori una gara tanto impegnativa. L’unico aspetto positivo è che non dovrebbe piovere. Per il resto, il percorso mi ha ricordato molto le strade che abbiamo affrontato in Lussemburgo. Salite non troppo lunghe, ma comunque abbastanza ripide. Un percorso che richiede tanta potenza e anche abilità di guida, perché è abbastanza tecnico. A parte gli ultimi due chilometri, non c’è un metro di pianura. Sempre sali, scendi, destra, sinistra… E’ veramente un percorso nervoso, dove sarà fondamentale la posizione.
Hai detto in una precedente intervista su bici.PRO di aver vinto il Lussemburgo con un attacco rischiatutto: o la va o la spacca. Questo è un percorso in cui rischiare allo stesso modo?
Questo è esattamente uno di quei percorsi da “adesso o mai più”: ancora più che in Lussemburgo. In primis perché siamo in un mondiale, poi per il livello che c’è. Sicuramente è un circuito dove bisogna essere sempre con il coltello fra i denti e sempre pronti. Bisogna saper leggere la gara e cogliere il momento giusto.
Tiberi ha vinto il Lussemburgo con un attacco improvviso nell’ultima tappa.Tiberi ha vinto il Lussemburgo con un attacco improvviso nell’ultima tappa.
In Lussemburgo c’era Van der Poel ed è finito dietro. Che effetto fa ritrovarsi al mondiale in messo a certi nomi e provare a giocarsela?
Sicuramente un bel effetto, anche se ancora non mi sento al loro livello. Però al Lussemburgo ho capito che, senza aver paura o il timore di provare a fare qualcosa, ho le possibilità e le forze per sorprendere appunto corridori di quel calibro. Questo mi dà tanto morale e tanta fiducia. So che se si presenterà l’occasione e la gamba sarà buona, non avrò paura. Proverò qualche buona azione o qualcosa che comunque sorprenda i diretti avversari.
Qualche scelta tecnica particolare su questo percorso?
Più o meno sempre la stessa configurazione, cercando di replicare le scelte già fatte in Lussemburgo. Magari con qualche dettaglio simile a quelli che usiamo nelle gare a tappe sui percorsi di salita. Quindi la bici più leggera con ruote da 45. Un profilo né troppo alto né troppo basso, perché comunque è un percorso duro, ma anche tanto veloce. E poi i soliti rapporti, 54-40 davanti e 11-33 o 34 dietro.
Un debuttante (Zambanini) e un veterano della gestione Bennati (Rota), riferimento del cittìUn debuttante (Zambanini) e un veterano della gestione Bennati (Rota), riferimento del cittì
Con tante curve, salite e discese, ci sarà abbastanza tempo per mangiare?
Anche quello sarà un aspetto da non sottovalutare e che bisognerà sempre tenere a mente. Su un percorso così lungo e con una temperatura che sicuramente non sarà troppo alta, l’alimentazione sarà fondamentale se non cruciale per arrivare nelle battute finali con energia sufficiente. Non sarà facile alimentarsi su questo percorso perché è tanto tecnico, veloce e duro. Quindi anche questo potrebbe essere un aspetto che darà vantaggio nel finale a chi riuscirà a curarlo meglio.
Invece quello strappo ripido del circuito l’hai provato?
E’ duro, ma sembra duro o durissimo in base alle gambe che uno ha. Lo abbiamo provato in allenamento, va su al 15-17 per cento. Forse per le mie caratteristiche sarà meglio farlo in agilità, viste anche le tante volte che lo faremo. Agili le prime volte e poi con più in potenza nelle fasi finali.
Vigilia del mondiale, il cittì Bennati risponde alle domande di Ettore GiovannelliVigilia del mondiale, il cittì Bennati risponde alle domande di Ettore Giovannelli
Se ti avessimo detto allora che saresti stato il miglior giovane del Giro, che avresti vinto il Lussemburgo e saresti stato una delle punte per i mondiali, che cosa avresti pensato?
Avrei pensato a un bell’augurio, però forse non l’avrei presa troppo sul serio. Sarebbe stata una cosa in cui sperare. Invece essere qui come uno dei leader azzurri al primo mondiale da professionista, dopo aver vinto in Lussemburgo davanti a nomi come Van Der Poel, sicuramente mi dà tanta felicità e consapevolezza dei miei mezzi.
Fuori ancora piove, lasciamo l’hotel in direzione di Uster per la partenza delle donne elite. Le ragazze di Sangalli hanno ottime carte da giocare, per seguire gli azzurri di Bennati dovremo aspettare ancora un giorno.
Oggi si corre la 96ª edizione del Giro di Toscana (ora anche Memorial Alfredo Martini), 182 chilometri da Pontedera a Pontedera che molto probabilmente si decideranno sulla salita del Monte Serra, che i corridori affronteranno due volte nel finale. Abbiamo contattato chi quella salita la conosce non bene, di più, avendola percorsa in carriera un numero imprecisato di volte, nell’ordine di diverse migliaia: Michele Bartoli (immagine Instagram in apertura).
Bartoli è stato tra i più forti corridori da classiche a cavallo degli anni Novanta e Duemila. Vanta un palmares che comprende, tra le altre, due Liegi-Bastogne-Liegi, due Giri di Lombardia, un Giro delle Fiandre, una Freccia Vallone e un’Amstel Gold Race. Una carriera più che ventennale sempre vissuta all’ombra del Monte Serra, di cui conosce ogni metro e ogni segreto.
Il Monte Serra sarà affrontato per due volte oggi al Giro di ToscanaIl Monte Serra sarà affrontato per due volte oggi al Giro di Toscana
Michele, tu il Monte Serra lo conosci molto bene. Quante volte l’hai fatto, centinaia?
Credo molte di più. Tieni conto che è la salita che vedo ogni momento del giorno fin da ragazzo. Quando ero professionista la facevo in media 6-7 volte a settimana. Qualche giorno la saltavo, altri invece capitava di salirla anche tre volte per versanti diversi. Quindi con un calcolo a spanne direi che sicuramente il Serra l’ho fatto diverse migliaia di volte.
Era anche il tuo terreno di test immagino, in cui provavi la forma prima dei grandi appuntamenti.
Esatto. Conoscendolo così bene riuscivo a capire subito la condizione, a cogliere le sfumature delle mie sensazioni. Non ho ricordi di un’occasione particolare in cui lì ho capito che avrei vinto una gara importante, però sicuramente l’ho fatto in preparazione dei due Lombardia che ho vinto. Era un’usanza farlo, assieme ad altre due salite della zona, per cercare appunto le migliori sensazioni. Sai com’è, i corridori a volte hanno bisogno anche di queste conferme.
Fra gli anni Novanta e Duemila, le bici avevano a malapena il 39×25 come rapporto più agileFra gli anni Novanta e Duemila, le bici avevano a malapena il 39×25 come rapporto più agile
Conoscerai benissimo anche il versante che si scalerà oggi, da Calci. Com’è?
Certo, anche se a dire il vero quello lo facevamo poco, perché è molto duro all’inizio e alla fine, ma a metà spiana un po’. Noi facevamo quasi sempre da Colle di Compito o da Buti, da dove scendono domani, perché lì la salita è più regolare e andava bene per fare i diversi lavori in allenamento. Ad ogni modo anche da Calci è dura. I primi due chilometri sono davvero impegnativi, come anche gli ultimi due, due e mezzo, con punte che arrivano anche sopra il 10 per cento. Quindi non c’è dubbio che sarà decisivo, specialmente durante il secondo passaggio.
Immagino come dev’essere stato farlo oltre vent’anni fa. Ti ricordi con che rapporti salivi?
Sì, alla mia epoca ovviamente non c’erano i rapporti di oggi, non esisteva il 28 dietro, ma forse neanche il 25. Il Serra lo facevamo col 41×16 o 41×17 massimo. A volte anche col 53, ma quello solo per i lavori specifici di forza. Comunque sia quei rapporti bastavano e avanzavano per scornarmi su quelle rampe coi miei compagni di allenamento.
Nel 2023, il Giro di Toscana è stato vinto da Pavel SivakovNel 2023, il Giro di Toscana è stato vinto da Pavel Sivakov
Cioè?
Tenete conto che in quegli anni la zona di Lucca e la Versilia erano com’è adesso Calpe in Spagna, moltissime squadre ci venivano in ritiro. Il Serra era la salita più frequentata. Io mi allenavo spessissimo con Scinto e Sciandri, ma anche con Tani e Sorensen. E il Serra era il terreno ideale per fare a gara e farsi del male, come si dice in gergo.
Vincevi sempre tu?
Non credo proprio sempre io, a volte anche gli altri potevano trovare la giornata buona, ma diciamo che essendo della zona ero avvantaggiato, dai…
Con Scinto e Petacchi, ma anche Sorensen e Sciandri. il Serra era la loro palestra (immagine Instagram)Con Scinto e Petacchi, ma anche Sorensen e Sciandri. il Serra era la loro palestra (immagine Instagram)
Loro li senti ancora? Potrebbe essere bello organizzare una reunion tra di voi sul Monte Serra?
Sì, il rapporto è rimasto ottimo, ci siamo divertiti tanto assieme, sono stati anni davvero molto belli. Con alcuni eravamo anche avversari, ma prima di tutto amici. Organizzare una rimpatriata mi piacerebbe tanto, anche se ora tutti hanno i loro impegni, io compreso. Due di loro sono direttori sportivi e poi siamo distanti, Sorensen per esempio abita in Danimarca. Però perché no, potrebbe essere una bella idea, magari potremmo organizzarla con voi di bici.PRO…
La posizione di Colbrelli desta curiosità: visto quanto è corto? Sonny è in volo per la Francia e intanto ne parliamo con Bartoli. Poi arriva la conferma
Uno dei particolari interessanti emersi dalla recente intervista fatta con Edoardo Zambanini è il cambio di preparatore: dal 2024 infatti lavora con Michele Bartoli. La crescita e i risultati ottenuti dal giovane trentino ci hanno spinto, incuriositi, a chiedere allo stesso preparatore toscano quali siano stati i passi fatti. E, ancora prima, che corridore abbiaa trovato. Un viaggio nel motore di Zambanini che silenziosamente si è guadagnato la stima e la considerazione della Bahrain Victorious (in apertura foto Charly Lopez).
«Ho trovato un corridore – racconta Bartoli – di grande qualità con prestazioni in costante crescita. Ha un’ottima capacità di assorbimento dei lavori grazie al suo motore sensibile. Questa qualità però richiede attenzione nei carichi di lavoro: Zambanini risponde bene, ma un errore può pesare tanto. Con lui ho sì un programma settimanale, ma nulla vieta di cambiarlo e di valutare modifiche a seconda dei valori mostrati. Questo approccio ce l’ho anche con tutti gli altri ragazzi che seguo».
La migliore qualità di Zambanini è il recupero, il che permette di fare lavoro più incisivi (foto Charly Lopez)Edoardo Zambanini, Bahrain Victorious (foto Charly Lopez)
Subito recettivo
Zambanini è partito forte nel 2024, con un terzo posto in classifica generale al Tour of Antalya. Non una gara di primo livello, ma in questa stagione la corsa turca ha mostrato il potenziale dei giovani italiani, tra i quali c’è anche Edoardo.
«La sua sensibilità alle modifiche e agli allenamenti – spiega – è un vantaggio perché si può lavorare a pieno regime fin da subito. Altri corridori hanno bisogno di tre o quattro settimane, Zambanini no. La freschezza è un grande vantaggio, sicuramente, ma lo è anche la giovane età. Lui ogni anno cresce e ha una base sempre più solida sulla quale costruire la stagione».
Il Tour of Antalya ci ha mostrato il potenziale dei giovani italiani: da sinistra Pinarello, Piganzoli e ZambaniniIl Tour of Antalya ci ha mostrato il potenziale dei giovani italiani: da sinistra Pinarello, Piganzoli e Zambanini
Qual è la qualità migliore che possiede?
Il recupero, senza dubbio. “Zamba” reagisce bene ai carichi di lavoro e li assorbe in maniera ottima, ciò gli permette di allenarsi con maggiore insistenza e avere quindi un miglioramento maggiore. Ha iniziato la stagione il 31 gennaio ed è andato forte fino al campionato italiano, il 23 giugno. Il tutto senza un periodo importante di recupero, gli bastano pochi giorni.
Atleticamente che ragazzo hai trovato?
Sinceramente penso sia giovane e su ragazzi di questa età se le qualità ci sono arrivano da sole, serve lavorare bene ma arrivano. Penso sia completo può far bene nelle Classiche e nei grandi Giri. Con il passare dei giorni, grazie al grande recupero che ha, diventa sempre più forte. Infatti al Giro è stata una pedina importante per Tiberi in montagna.
Il corridore trentino è stato un valido aiutante per Tiberi al Giro d’ItaliaIl corridore trentino è stato un valido aiutante per Tiberi al Giro d’Italia
Quindi non avere lavorato su determinate caratteristiche.
Con corridori così giovani non capisci mai definitivamente quale possa essere il punto di arrivo. Si devono curare tutte le qualità, poi è il primo anno che lavoriamo insieme e ho spinto su tutti gli aspetti: salita, cronometro e volate.
Però un minimo di idea te la sarai fatta…
Non è un velocista e questo è indubbio. Ma ha uno spunto veloce notevole, ai Paesi Baschi è arrivato secondo dietro Hermans. Sono convinto che avrebbe potuto vincere se si fosse piazzato meglio nel lanciare la volata, era partito troppo dietro.
Quest’anno ha fatto un calendario impegnativo, cosa che può averlo aiutato a crescere, tu con la squadra ne avevi parlato?
Un pochino si concordano le gare, ma sono i team manager a fare i calendari. Poi Zambanini è emerso e ha fatto vedere cose buone. Da lì la squadra lo ha richiesto maggiormente, è un fatto di dinamiche interne. E’ ovvio che quando hai un giovane che cresce tanto e migliora lo porti alle gare.
Ha iniziato a correre presto e le sue prestazioni sono rimaste ottime fino al campionato italianoHa iniziato a correre presto e le sue prestazioni sono rimaste ottime fino al campionato italiano
Dinamiche che arrivano anche correndo da protagonista, cosa che ha chiesto alla squadra.
La Bahrain ha capito che Zambanini è un ragazzo di qualità, lo tengono in considerazione. Non dubito che in questa seconda parte di stagione potrà ritagliarsi più spazio. Tanto dipenderà dal suo rendimento una volta tornato alle corse, ma sta lavorando bene. Da sabato è in ritiro al Pordoi con il team.
Come avete impostato il lavoro per questa seconda parte di stagione?
Partiremo ancora dal basso, un po’ per ricostruire la condizione. Poi vedremo come andare avanti in base alle risposte che arriveranno.
Lo scatto di Tiberi non cambierà la storia del Giro, ma forse inizia a scrivere quella di Antonio. Pogacar vince a Prati di Tivo, dietro qualcosa si muove
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
NASCE BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute
Il grande Giro e poi la corsa a tappe a seguire: va sempre bene? Si dice che dopo le tre settimane si abbia una grande gamba e allora perché non sfruttarla?
In questi giorni abbiamo visto diversi corridori che dopo il Giro d’Italia hanno preso parte al Delfinato o al Giro di Svizzera o stanno per partire allo Slovenia: Tiberi, Fortunato, Piganzoli, Quintana, Caruso, Conci (questi ultimi due si notano nella foto di apertura)…
Cosa comporta questa scelta di calendario? E cosa accade nel fisico? C’è una frase di qualche giorno fa di Lorenzo Fortunato che torna con prepotenza: «Adesso si fa più lavoro al training camp in altura che al Giro. E quindi quando vai in corsa, vai a raccogliere i frutti del lavoro. Non si usano più i Grandi Giri per allenarsi. A me è capitato di fare il Giro d’Italia e poi andavo allo Slovenia oppure alla Adriatica Ionica Race, dove il livello era un pochino più basso e mi salvavo. Ma per come si va adesso, il Grande Giro deve essere l’ultimo atto di un cammino iniziato prima proprio per questo».
Michele Bartoli (classe 1970) è oggi un preparatore affermato. E ancora un ottimo ciclista! (foto X)Michele Bartoli (classe 1970) è oggi un preparatore affermato. E ancora un ottimo ciclista! (foto X)
Michele, il grande Giro, il Giro d’Italia ovviamente in questo caso, e poi una corsa a tappe: si può sfruttare la condizione che lasciano le tre settimane?
Io cambio un po’ le vecchie teorie, per me non è più così. Oggi si è talmente al limite sia mentalmente che fisicamente che qualcosa salta. Se dopo il grande Giro c’è la concentrazione e la voglia di mangiare ancora bene, di riposare il giusto… allora bene, ma è molto, molto complicato. Prima era vero il contrario: era complicato andare piano!
Perché? Cosa è cambiato adesso?
Il modo di correre, si pesano i grammi del cibo, si deve assumere un tot preciso di carboidrati, lo stress in gara e soprattutto ci si arriva già al top col peso senza quel chiletto in più, la condizione è subito alta dopo il grande lavoro a monte (la teoria di Fortunato, ndr). Si deve pensare davvero a tante cose e quando arrivi al termine del tuo Giro ti viene voglia di mollare. Ed è normale, è comprensibile.
Lo scorso anno al Tour VdP si è gestito alla perfezione, facendo la “fatica giusta”. Ma ha potuto farlo perché non mirava alla classificaLo scorso anno al Tour VdP si è gestito alla perfezione, facendo la “fatica giusta”. Ma ha potuto farlo perché non mirava alla classifica
Diversi corridori del Giro sono andati al Delfinato e altri allo Svizzera: passano 6 giorni tra Giro e Delfinato, 13 fra Giro e Svizzera e 16 fra Giro e Slovenia. Incide questa differenza?
Sì e secondo me peggiora con passare dei giorni. Se ci si deve togliere il dente, meglio farlo subito. Poi chiaramente, dipende sempre dalla mentalità dell’atleta. Ma non è facile dopo il Giro mantenere la concentrazione. Tenere duro altri sei giorni magari ancora è fattibile, ma per lo Svizzera diventa più dura. Sì, si ha un po’ più di recupero. Puoi rifare qualche piccolo allenamento, ma ormai l’obiettivo grande è passato.
Abbiamo capito che la componente mentale è centrale, ma da un punto di vista prettamente fisiologico, muscolare?
Difficile scindere le due cose. Quando poi assaggi il riposo, la tranquillità, dopo che sei stanco il gioco si fa duro. Meglio fermarsi, mettere un punto e poi riprendere dopo aver recuperato. Chiaramente parlo per Delfinato e Svizzera e di chi deve andare lì per fare bene. Ma se vieni dal Giro e sai che poi staccherai queste corse non ti danno nulla o ti danno poco. Poi, attenzione, non dico che il grande Giro non ti lasci la buona condizione, però oggi mentalmente pesa di più. Oggi non è fattibile o è molto più difficile.
E se fosse per una corsa di un giorno?
Cambia tutto. Il Tour per l’Olimpiade (o la Vuelta per il mondiale) sono il top. Lì la concentrazione è massima e se ne trae il massimo beneficio. Il Giro è l’unico dei grandi Giri che poi non ha questo tipo di obiettivi a seguire.
Nonostante la grande fatica, alla fine Lorenzo Fortunato si è portato a casa la maglia dei Gpm dal DelfinatoNonostante la grande fatica, alla fine Lorenzo Fortunato si è portato a casa la maglia dei Gpm dal Delfinato
Che poi, a meno che non si è Pogacar, se non si punta decisi alla classifica, un grande Giro lo puoi gestire in vista della gara di un giorno. Pensiamo a Van der Poel l’anno scorso con il Tour…
Esatto, quella è la preparazione migliore. Non hai lo stress della classifica, puoi mollare di tanto in tanto, puoi gestire gli sforzi, mangi bene, fai ritmo, fai i massaggi tutti i giorni.
E invece, tornando alla corsa a tappe che segue il grande Giro: c’è differenza se lo fa un giovane o un esperto? Per esempio abbiamo visto Tiberi al Delfinato e Caruso allo Svizzera…
Per me è peggio per il giovane, anche perché oltre ad una situazione di recupero, a cui magari è più abituato l’esperto, ritorna il discorso delle motivazioni. Ad un atleta come Caruso cosa può dare un piazzamento al Delfinato o allo Svizzera della situazione? Per Tiberi già è un discorso diverso è giovane e nonostante non sia andato bene non condanno la sua scelta di provarci.
Chiaro…
Penso a Fortunato per esempio. Ha fatto un buon Giro, ma al Delfinato nonostante sia stato bravo a mettersi in mostra che fatica ha fatto? Si staccava da 20-25 corridori mentre al Giro era tra i migliori. Però per lui un Delfinato ha più senso che per un Caruso. Per lui un quinto posto diventa importante anche ai fini di un contratto, di visibilità, d’importanza.
Scialpinista e skyrunner di riferimento mondiale, Palzer è passato al ciclismo. Ha zittito gli scettici tanto da finire la Vuelta. Ma come è cambiato il suo fisico?
PRATI DI TIVO – La sala stampa l’hanno messa a 24 chilometri dall’arrivo, per cui ci ritroviamo in un bar rumoroso in mezzo a decine di tifosi. Sul palco alle nostre spalle, Pogacar riceve la terza salva di applausi cui brindiamo con un altro sorso di birra, mentre ci accingiamo a scrivere di Tiberi. Quello scatto si somma all’ottima crono di ieri e diventa una prova di coraggio che parla di futuro. La gente intorno rumoreggia, il Gran Sasso giganteggia prepotente come la maglia rosa.
Neppure un mese fa eravamo quassù ad applaudire e raccontare la vittoria di Alexey Lutsenko al Giro d’Abruzzo. Oggi il kazako è arrivato a 2’21” da Pogacar. La condizione magari non sarà più la stessa, ma neppure il gruppo somiglia a quello assai fragile di allora.
Un bar accanto al palco, una birra, due computer e via al lavoroUn bar accanto al palco, una birra, due computer e via al lavoro
La corsa del padrone
La corsa del UAE Team Emirates è stata perentoria. Nonostante nella fuga di giornata fossero rappresentate dodici squadre e nessuno fosse realmente pericoloso, i bianconeri guidati da Hauptman e Baldato li hanno tenuti nel mirino. A un certo punto, quando il vantaggio ha preso a scemare, anche quelli davanti devono aver pensato che tanta fatica non sarebbe servita a niente. Ma questa è la legge della jungla: facciamo tutti parte di una catena alimentare e al momento Pogacar è il re. Così la scena si è consumata quasi tutta negli ultimi tre chilometri della salita, quando Tiberi ha cominciato a guardarsi intorno.
«Non mi aspettavo affatto di vincere oggi – dirà Pogacar – ma non appena abbiamo superato la prima salita di giornata, i miei compagni di squadra volevano che andassi a vincere la tappa. Antonio Tiberi ci ha provato un paio di volte, ma avevo più o meno tutto sotto controllo…».
Altri giovani in passato hanno sfidato l’imperatore del momento: alcuni sono diventati grandi, altri sono spariti. Ma quello di cui avevamo e abbiamo bisogno è un italiano che getti via i timori reverenziali e scopra le carte. In questo senso, il Giro con Pogacar mattatore può diventare la vetrina ideale per mettersi alla prova. Lo abbiamo già scritto e lo ripetiamo. Prima o poi tutti i campioni trovano un avversario più forte, ma se nessuno ci prova…
Pogacar ha vinto in volata anche la tappa di Prati di Tivo: avrebbe potuto attaccare ben primaPogacar ha vinto in volata anche la tappa di Prati di Tivo: avrebbe potuto attaccare ben prima
Il primo attacco
Diciamolo subito: nel computo globale della giornata e della classifica, l’allungo di Tiberi non lascerà traccia. Nel racconto della sua storia potrebbe essere tuttavia il primo passo di cui un giorno racconteremo, vantandoci sommessamente di esserci stati. Sia quel che sia, mentre la maglia rosa squadrava i rivali come a dire «vinco quando voglio», Tiberi ha messo le mani sopra e lo ha attaccato.
«Oggi le gambe erano buone – dice dopo l’arrivo – in finale stavo aspettando che attaccasse Pogacar, dato che stavano facendo il ritmo già da un po’. Però, quando ho visto che nessuno si muoveva, ho provato a fare anche io qualche allungo. Alla fine siamo arrivati in volata e ha vinto lui, ma non si poteva andare avanti senza provarci».
L’attacco di Tiberi è arrivato a 2 chilometri dall’arrivo: una prima presa di coscienza e una prova di coraggioL’attacco di Tiberi è arrivato a 2 chilometri dall’arrivo: una prima presa di coscienza e una prova di coraggio
Crono e salita
Il problema è che il furgone con i massaggiatori della Bahrain Victorious al traguardo non c’è arrivato. Come loro anche altri. Tiberi ha continuato a chiamarli via radio, ma non si capiva dove fossero. I mezzi in arrivo si sono incrociati con la carovana pubblicitaria che andava via. Il risultato è stato un colossale ingorgo in cima al monte, su cui non sono saliti neppure i pullman delle squadre, fermati come i giornalisti a 24 chilometri dall’arrivo. In cima a Prati di Tivo ci sarebbe stato posto a sufficienza, ma il carrozzone del Giro è così ingombrante che alla fine invece di avere riguardo per i corridori, si è scelto di tenere su i mezzi del Giro-E.
«In proporzione mi sono sentito meglio oggi di ieri nella crono – dice Tiberi – e mi chiedo perché Pogacar non abbia attaccato. E’ anche vero che ormai ha un bel distacco, quindi non ha bisogno di sforzarsi più di tanto. Che fosse stanco per la crono? Tutto è possibile, di certo è stata parecchio impegnativa. Bisognava gestire lo sforzo, perché dopo tanta pianura gli ultimi 6 chilometri fino a Perugia erano molto impegnativi. Era un percorso che avevo provato e riprovato, come pure questo di oggi. Le sensazioni vanno in crescendo, per fortuna la capacità di migliorare alla distanza mi è rimasta…».
La UAE Emirates ha lavorato tutto il giorno per non far decollare la fugaLa UAE Emirates ha lavorato tutto il giorno per non far decollare la fuga
I calcoli di Bartoli
Ieri alla partenza della crono, Michele Bartoli se lo guardava e confermava che Antonio è arrivato al Giro come speravano e adesso lo conferma. Secondo l’ex professionista toscano che di Tiberi è il preparatore da quest’anno, la tappa di montagna vale quanto la crono.
«Mentre non ho dubbi sul suo carattere – dice – lui è qua perché vuole lasciare il segno. Detto questo, ha solo 22 anni, non ci facciamo ingannare da questi talenti precoci. Stiamo facendo un primo esperimento di classifica e alla fine valuteremo come sarà andata. Lavoro con lui solo da quest’anno, ma noi che gli siamo vicini sappiamo che sta facendo quel che ci aspettavamo. Antonio non è uno di quei ragazzi un po’ troppo educati che ha paura di dichiarare le sue ambizioni: vuole arrivare in cima. Ed ha accanto uno come Damiano Caruso da cui prendere spunto».
Alla Bahrain Victorious si sono resi conto presto che questo ragazzo prelevato dalla Trek vale oro e lo hanno fatto firmare per altri tre anni, fino al 2027. In un certo senso, il suo cammino fra i grandi sta cominciando proprio ora, sulla porta dei 23 anni.
Quarto a 2″ dalla maglia rosa, Tiberi è ora sesto in classificaQuarto a 2″ dalla maglia rosa, Tiberi è ora sesto in classifica
L’ultima settimana
Lo guardiamo fissi e la spariamo grossa: un po’ per l’entusiasmo del momento e un po’ per vedere come reagisce. La notizia di oggi non è la vittoria di Pogacar, gli diciamo, ma il fatto che hai avuto il coraggio di attaccarlo.
«Dici? Lo ripeto: alla fine ho visto che stavo bene – sorride – e nessuno si muoveva. Così mi sono detto: “Cavolo, non è possibile che a tutti quanti va bene di fargli vincere un’altra tappa così facilmente?”. Allora ho provato io in primis a fare qualche attacco. Man mano che passano i giorni e si va avanti, mi sento sempre meglio, più reattivo e che il fisico riesce a recuperare meglio dalla fatica. Senza quel piccolo problema a Oropa, magari potevo essere messo un po’ meglio. Ma il mio obiettivo è entrare fra i primi cinque. Mi aspettavo di andare bene dopo la crono, ma non così. Perciò speriamo che continui e, se sarà così, l’ultima settimana ci sarà da divertirsi».
Rafal Majka ha salutato la Bora per diventare gregario di lusso di Pogacar. Il Tour si vince nella 1ª e nella 3ª settimana. E Tadej gli ricorda Contador