La Sanremo, Sagan, il dente del giudizio: il ciclismo di Bling

18.12.2024
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ALTEA (Spagna) – Guardi Matthews, lo ascolti. E mentre parla, ti rendi conto che se “Bling” non avesse trovato sulla sua strada Sagan (poi Van Aert, Van der Poel e Pogacar), a quest’ora avrebbe un palmares spaziale. E’ quello che ci diciamo fra colleghi ogni volta che si parla di lui. Eppure Michael tiene duro e ogni anno si presenta in corsa con la stessa solidità di sempre. “Bling” risale ai suoi anni a Canberra, quando era frizzante e vivace e quel nomignolo che significa “sgargiante” parve il più azzeccato.

«A Monaco – sorride – ho passato un paio di pomeriggi con Peter. Un giorno stavamo parlando delle nostre carriere, in lotta l’uno contro l’altro, e gli ho chiesto se avesse seguito la Sanremo. E lui ha risposto che gli fa male pensare che sia la sola gara che manca dal suo palmares. E così abbiamo iniziato questa conversazione. E’ stato molto bello scoprire che almeno su questo punto siamo uguali. Non siamo mai andati troppo d’accordo, perché siamo stati sempre rivali. Sagan ha avuto una carriera straordinaria. Sono davvero felice per quello che ha ottenuto. Ed è stato davvero bello sedersi e fare quattro chiacchiere sui vecchi tempi».

Michael Matthews, classe 1990 come Sagan, è professionista dal 2011. Nel 2010 vinse il mondiale U23
Michael Matthews, classe 1990 come Sagan, è professionista dal 2011. Nel 2010 vinse il mondiale U23
La differenza è che tu puoi ancora vincere la Sanremo, no? Non sei qui per questo?

Sono qui anche per questo. La Spagna è come una seconda casa, ma mi piace come la prima volta. Venire qui e incontrare tutti i nuovi corridori, essere di nuovo con la squadra. Penso che sia sempre bello quando hai nuovi sponsor, nuovi obiettivi, ma prima di partire ti guardi indietro, riflettendo sulla stagione che abbiamo appena avuto. Quest’anno avremo nove nuovi corridori, quindi un grande cambiamento che sarà interessante.

Ci sono nuovi corridori, ma se ne è andato Simon Yates, che effetto fa?

Simon ha giocato un ruolo importante nella storia del Team Jayco-AlUla. E’ stato qui fin dall’inizio, quindi penso che abbia vissuto un viaggio fantastico che ora è giunto al capolinea. Sarà interessante vedere cosa sarà in grado di ottenere in un’altra squadra. Sarà interessante vedere se la Visma-Lease a Bike potrà aiutarlo a realizzare i suoi sogni.

Al suo posto è arrivato Ben O’Connor.

Io e Ben abbiamo vinto il mondiale del Team Mixed Relay. Abbiamo fatto le Olimpiadi insieme, quindi abbiamo avuto modo di conoscerci abbastanza bene. Quello che ha ottenuto quest’anno è stato davvero fantastico e penso che portare quella fiducia nella nostra squadra sia una motivazione enorme. Dopo aver perso Simon, sarà un booster per tutti noi. In più è un volto fresco ed è australiano. Penso che sarà fantastico.

L’Australia a Zurigo ha conquistato il Team Mixed Relay. Fra gli uomini, Vine, Matthews e O’Connor
L’Australia a Zurigo ha conquistato il Team Mixed Relay. Fra gli uomini, Vine, Matthews e O’Connor
Cosa puoi dire del 2024?

Penso che sia andato davvero bene. Sono arrivato a un paio di centimetri dalla vittoria della Sanremo, sarebbe stata la prima Monumento della mia carriera, è stato difficile da digerire. Stessa storia al Fiandre. Mi hanno squalificato, ma non vale più la pena soffermarsi su questo episodio. Penso però che la mia prestazione complessivamente sia stata davvero buona e ne sono contento. Poi abbiamo avuto un po’ di montagne russe, ma verso la fine dell’anno siamo stati in grado di riprenderci. La vittoria in Quebec è stata un bel modo per mettere il giusto clima verso il finale della stagione.

Peccato per il ritiro dal mondiale…

E’ andato come è andato. Penso che avrei dovuto farmi togliere prima il dente del giudizio. Ci combattevo da prima del Tour de France, dal ritiro di Livigno. Ne parlammo con i medici e ora penso che non togliendolo abbiamo preso la decisione sbagliata. Penso che mi abbia influenzato per il resto dell’anno. Un momento volavo, quello dopo dopo non riuscivo a pedalare. Una volta che l’ho tolto a fine della stagione, mi sono sentito un uomo nuovo.

Problema risolto.

Se lo avessi tolto subito, sarei andato al Tour soffrendo nei primi tre giorni e poi mi sarei ripreso verso la fine. Ma ormai non posso cambiare le cose. So imparare dai miei errori, per cui se avrò di nuovo un problema come questo, lo risolverò subito, piuttosto che perdere tempo. Non vedo l’ora che arrivi il nuovo anno per recuperare.

Volata di Sanremo, Matthews lascia aperta la porta, Philipsen si infila e lo beffa
Volata di Sanremo, Matthews lascia aperta la porta, Philipsen si infila e lo beffa
E’ stato davvero così difficile digerire il secondo posto della Sanremo?

La Sanremo per me non è solo una gara ciclistica, è praticamente la mia gara di casa. Sono già salito due volte sul podio, sono stato vicino a vincerla. Probabilmente è la Monumento che mi si addice di più. Stava andando tutto molto bene fino agli ultimi 25 metri, quando i miei occhiali sono volati via. Sono finiti nella ruota anteriore e stavamo per volare tutti in aria. Non avevo mai visto una cosa del genere. C’è voluto molto tempo, penso che sia andata avanti fino al mattino del Fiandre. Nelle gare subito dopo, non riuscivo a concentrarmi. Non volevo neanche correre.

Pensi di aver commesso un errore facendo passare Philipsen?

Ero davanti e ho sentito un piccolo contatto sull’anca, forse questo un po’ mi ha disturbato. Non sono il tipo di corridore che spingerebbe un avversario alla transenna, per vincere una gara. Penso se lo avessi fatto, lui avrebbe protestato e io sarei stato squalificato. Tornando indietro, non farei nulla di diverso. Forse non un errore, ma resta un po’ di rimpianto.

Non è troppo prendersela così per una gara?

E’ una questione personale, un boccone che ha richiesto più tempo del normale per essere ingoiato. Passa il tempo e saranno sempre meno le opportunità di vincerla.

Abu Dhabi Tour, ottobre 2015: Sagan ha da poco vinto il mondiale di Richmond, battendo proprio Matthews
Abu Dhabi Tour, ottobre 2015: Sagan ha da poco vinto il mondiale di Richmond, battendo proprio Matthews
Andare in bicicletta ti piace più di 15 anni fa?

Credo di sì. Quindici anni fa, ero un ragazzino. Per me era tutto nuovo, mentre ora capisco molto di più il ciclismo, perché sono passato professionista dopo soli quattro anni che andavo in bici. Lo facevo per divertimento, ero molto più rilassato. Ora invece investo molto più tempo in questo mestiere e continuare a lottare contro questi ragazzi mi rende orgoglioso e lo trovo anche divertente.

Quali sono a livello personale le principali differenze tra oggi e 15 anni fa?

Il modo di correre in bicicletta è più aggressivo. Quando sono passato professionista, il copione era sempre lo stesso. Si partiva piano, ci avvicinavamo lentamente al finale e poi si giocava la vittoria. Oggi a ogni corsa battiamo tutti i record. Proprio nella Sanremo non c’è stato neanche il tempo per fermarsi a fare la pipì. La UAE Emirates stava già facendo un ritmo duro, penso fosse quello che si adattasse meglio a Pogacar. Ma noi che siamo abituati al vecchio stile della Sanremo, dobbiamo adattarci o siamo fuori. Con Sagan ho parlato anche di questo e dell’allenamento.

E lui?

MI ha chiesto come faccia a continuare. E io gli ho risposto che se avessi i suoi risultati, forse continuare sarebbe più difficile. Ma io sto ancora lottando per i miei sogni e non vedo l’ora di realizzarli: non ho intenzione di ritirarmi finché non li avrò esauditi. Questo è ciò che mi motiva ad andare avanti. Amo lo sport, stare con i miei compagni e lottare per le vittorie che mi fanno sognare.

L’occasione mancata: Piva e la Sanremo 2024 di Matthews

26.11.2024
4 min
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Sedici marzo del 2024, il giorno in cui Valerio Piva si è mangiato le mani per la Sanremo sfumata. Più rivedi quel finale, più ti accorgi delle sfumature che hanno impedito a Michael Matthews di conquistare il traguardo di via Roma. E si fatica a capire se nel tono di voce del tecnico del Team Jayco-AlUla prevalga la delusione o la stizza. Prosegue la nostra galleria delle incompiute (raccontate dai direttori sportivi) e questa volta in palio c’è la prima Monumento della scorsa stagione.

«Si poteva vincere – dice Piva – ma Matthews da un certo punto di vista è stato corretto, perché non ha insistito nel tenere Philipsen alla corda. Era nel suo diritto perché era davanti, invece gli ha aperto la porta e chiaramente l’altro è passato. Invece poi al Fiandre lo hanno squalificato dal terzo posto per un leggero movimento, ma questa è un’altra storia».

Pidcock viene ripreso all’inizio della volata. Prima Stuyven e poi Matthews in prima persona risucchiano il gruppo in un’accelerazione violentissima. L’australiano sogna da sempre di vincere la Sanremo: si sposta sulla sinistra del rettilineo, ma anziché tenere la linea si scosta. Anche perché sul più bello, tenendo lo sguardo verso il basso, gli scivolano via gli occhiali. La minima esitazione permette a Philipsen di infilarsi, risalire e poi batterlo al colpo di reni.

Dalla partenza, la Jayco-AlUla sapeva che Matthews avrebbe lottato per la vittoria della Sanremo
Dalla partenza, la Jayco-AlUla sapeva che Matthews avrebbe lottato per la vittoria della Sanremo
Si poteva vincere?

Era un’opzione, chiaramente Michael era uno dei papabili. Però sul momento il secondo posto ti va bene, perché in partenza non sai mai se potrai vincere. Poi vedendo com’è andato il finale, è chiaro che perdere la Sanremo a quel modo brucia parecchio. Io la vinsi alla stessa maniera con Cavendish nel 2009, quando batté Haussler. E immagino che nell’entourage di quest’ultimo ci fosse qualcuno che in quel momento si sentì come me. Non è bello perdere a quel modo una corsa di questo livello e questa importanza.

Ci sono margini di manovra per l’ammiraglia una volta che la corsa torna sull’Aurelia dopo la discesa del Poggio?

Neanche un po’. Dalla macchina vedi immagini televisive che già sono ritardate, in più si vede a scatti. Allora senti la radio, ma in quei momenti non danno tante informazioni. Per cui anche noi si sta zitti oppure si incitano e si danno le ultime raccomandazioni. Però non è che puoi guidare il corridore o dirgli esattamente cosa deve fare, da lì in poi sono loro che decidono. In più la televisione non l’ho vista e non ho neanche visto quello che è successo in volata. Ho sentito poi l’ordine d’arrivo e ho scoperto che era arrivato secondo. Ma poi vedendo il filmato, ha iniziato a bruciare anche di più.

Matthews lascia aperta la porta in traiettoria e Philipsen da dietro risale a doppia e vince la Sanremo
Matthews lascia aperta la porta in traiettoria e Philipsen da dietro risale a doppia e vince la Sanremo
Diresti che Matthews in volata è un bandito oppure è molto corretto?

Da come l’ho conosciuto quest’anno, a volte mi sembra forse un po’ tenero. Da fuori ho sempre pensato che fosse veramente un mastino, un cagnaccio, uno di quelli duri. Quando io avevo Van Avermaet, si batteva con lui e con Sagan. Ho sempre pensato che fosse veramente duro invece, imparando a conoscerlo e sentendo quello che dicono in squadra, viene fuori che è sempre un po’ dubbioso. E’ un corridore con tanta classe e per questo ottiene i suoi risultati: gli si può dire tutto tranne che sia scorretto. Anzi, purtroppo è il contrario…

Sul pullman avete rivisto il finale? Ne avete riparlato?

Di solito dopo la corsa si fa un debriefing, che alla Sanremo è abbastanza veloce, perché parti, hai già all’aereo e vai a casa. Di solito il nostro sistema, per esempio nelle corse a tappe, è confrontarsi sul bus una quindicina di minuti prima di raggiungere l’albergo. Serve per far parlare i corridori. Gli si ricorda quale fosse la tattica e si chiede perché non sia stata attuata. E se qualcuno ha commesso un errore, a quel punto deve dichiararlo. Solitamente è una discussione molto produttiva, perché permette di chiudere lì uno screzio o un’incomprensione. Quel giorno Matthews era dispiaciuto e ha raccontato il finale dal suo punto di vista. Ha fatto notare come gli fossero caduti gli occhiali e che in quel momento di esitazione, l’altro l’ha bruciato. Finire secondo per tanti sarebbe un bel risultato, però quando hai la possibilità di vincere è chiaro che la reazione è differente.

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Una bella scossa alla Jayco-AlUla che non morde come prima

31.07.2024
8 min
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Quando arrivò alla Jayco-AlUla alla fine dello scorso anno, Valerio Piva disse una frase che da allora adottammo come specchio della giusta mentalità per fare il direttore sportivo. «Mi sono sempre trovato bene con questa mentalità, con il fatto che ti lascino lavorare tranquillamente. A volte però il “good job” non mi piace tanto. Secondo me va detto se davvero hai fatto un buon lavoro o quando si vince, non quando arrivi staccato a minuti. Va bene motivare la gente e aiutarla, ma quando si sbaglia o non si lavora per come si è detto, bisogna ugualmente dirlo: con educazione, ma in modo chiaro».

La squadra australiana ha vinto venti corse e fra queste la tappa di Dijon al Tour con Groenewegen, però scorrendo l’elenco si ha la sensazione che – tolta la sfortuna – ci sia stato finora poco pepe. Quasi che la positività di fronte alle cose della vita abbia portato a una forma di strano appagamento. Magari è un’impressione sbagliata e proprio per questo ne abbiamo parlato nuovamente con il tecnico mantovano, che a breve partirà per la Spagna, sulla rotta della Vuelta. 

Valerio Piva, sulla destra, assieme a Geoffrey Pizzorni dell’ufficio stampa del Team Jayco-AlUla
Valerio Piva, sulla destra, assieme a Geoffrey Pizzorni dell’ufficio stampa del Team Jayco-AlUla
Che tipo di bilancio fai, dal tuo punto di vista? 

Non è un fatto legato al numero di vittorie, però la qualità non è quella che ci aspettavamo. Siamo andati vicini alla Sanremo, con il secondo posto di Matthews, che poi hanno squalificato e ha perso il terzo al Fiandre. In una squadra come la nostra ti aspetteresti vittorie più pesanti. L’anno scorso Simon Yates ha fatto quarto al Tour, quest’anno è stato dodicesimo. Abbiamo vinto una tappa e ci sono squadre più importanti di noi che non ci sono riuscite, però secondo me finora non è una stagione da incorniciare. Abbiamo avuto tanti problemi. Salute, incidenti e altri guai che però non devono suonare come scuse. Ci aspettiamo di vincere qualche bella corsa di qualità e chissà che non venga alla Vuelta o nelle corse di un giorno che stanno per arrivare.

Aver vinto una tappa al Tour salva in parte la situazione?

Sapete meglio di me quanto conti l’esposizione mediatica di una vittoria al Tour. Anche perché tolti Groenewegen e Cavendish, tutte le volate se le sono divise Girmay e Philipsen. Perciò la vittoria di Groenewegen è un bel risultato per tutto quello che ci abbiamo investito in preparazione e quello che si è fatto per portarlo al Tour. Avevamo pensato che Matthews potesse essere competitivo nelle prime tappe, ma non è andata così. Poi chiaramente Simon Yates ha preso il Covid, è rimasto al Tour e ha ricominciato ad andare bene solo alla fine. E infatti ha portato a casa un secondo posto (in apertura, a Superdevoluy, ndr) e un terzo, quindi non è andato tanto male. Però chiaramente con squadre di questo livello secondo me in ogni grande corsa a tappe devi portare a casa una tappa ed essere competitivo nella classifica. Al Giro invece non abbiamo portato a casa niente, né tappe né classifica.

La vittoria di Groenewegen nella tappa di Dijon al Tour è il successo 2024 più importante della Jayco-AlUla
La vittoria di Groenewegen nella tappa di Dijon al Tour è il successo 2024 più importante della Jayco-AlUla
Come mai?

Purtroppo Zana è uscito dai 10, avendo cominciato a fare classifica quando dopo due giorni si è ritirato Dunbar. Da lì abbiamo dovuto ridimensionare tutta la strategia, mettendo Filippo come leader. Questo gli è costata tanta energia. Non lo aveva mai fatto ed è saltato proprio l’ultimo giorno a Bassano. Sono fasi di crescita pensando al futuro. All’inizio dell’anno mi aspettavo che questa squadra, con questo livello di corridori e questo budget, fosse più in alto nelle varie classifiche. Chiaramente i corridori, i nomi che abbiamo cominciano anche ad avere il loro tempo…

Servirebbero forze nuove?

La squadra deve ringiovanirsi, andare in questa direzione ed è compito del manager e dei direttori cercare di individuare i corridori per il futuro. In questo momento non è semplice, con quelle corazzate che hanno dei budget stellari: competere contro di loro a livello finanziario è difficile. 

Zana ha fatto classifica al Giro dopo il ritiro di Dunbar: è uscito dai primi 10 nella tappa di Bassano
Zana ha fatto classifica al Giro dopo il ritiro di Dunbar: è uscito dai primi 10 nella tappa di Bassano
Può essere che alcuni dei nomi più importanti abbiano perso un po’ di cattiveria?

La mentalità anglosassone a volte non aiuta, mentre io sono di quelli che devono tenermi tranquillo. A volte me lo dico da solo: «Valerio, tranquillo: è solo una corsa in bicicletta». Chiaramente guardando le gare a volte non capisco questa capacità di farsi andare bene tutto. Io la vedo diversamente. Forse perché ero così anche da corridore, ma a me sono sempre piaciuti quelli che vanno in gara con cattiveria, aggressivi, motivati. Che hanno un piano già in testa, mentre qui a volte devi spingerli e sembra che vadano in corsa perché sono corridori e devono farlo. Essere in corsa a volte è diverso che avere il numero sulla schiena, insomma devi avere degli obiettivi già dentro di te. Anche se ti danno un ruolo, devi avere un angolino in cui vuoi dimostrare quanto vali.

Si può cambiare qualcosa?

Quest’anno ho fatto poche gare come primo direttore, ero in appoggio anche per la mia esperienza per spingere i tecnici più giovani. Alla Vuelta però sarò il primo direttore e voglio un po’ smuovere questo andazzo, che fa sembrare la squadra un po’ apatica. Con quel dire: «E’ andata male oggi, andrà meglio la prossima volta!». Tutte le volte si cerca sempre di trovare una spiegazione, invece bisognerebbe dire le cose con maggiore schiettezza. E‘ una squadra eccezionale da un punto di vista organizzativo, non manca niente. E forse quello a volte diventa il pretesto per adagiarsi.

Matthews e Durbridge, classe 1990 e 1991, hanno perso il fuoco di un tempo?
Matthews e Durbridge, classe 1990 e 1991, hanno perso il fuoco di un tempo?
In che modo alla Vuelta puoi smuovere le acque?

I corridori ci sono, bisogna che siano entusiasti e aggressivi come gli spagnoli e gli italiani, non posati come gli anglosassoni. Quando ero alla BMC o alla High Road e dovevamo a volte competere contro questa squadra, che allora aveva un altro nome, erano aggressivi e saltavano fuori da tutte le parti. Forse perché erano giovani, ma di fatto tanti sono ancora qua. Durbridge, Hepburn, Matthews, Simon Yates… Sono tutti corridori cui forse con l’andare del tempo è venuta meno la voglia di dimostrare chi siano.  E allora forse sarebbe utile un ricambio generazionale, cercando di inserire ragazzi che quella voglia ce l’abbiano e vogliano arrivare al top. 

Ci sarebbero anche: De Pretto, Plapp, Schmid…

Davide è partito molto bene e come ci aspettavamo ha fatto un bell’inizio stagione fino alle Ardenne. Poi ha preso un periodo di recupero, è andato a preparare in altura dove si è ammalato. Al rientro è riuscito a vincere in Austria, quindi è una bella soddisfazione. E’ un corridore che secondo me vedremo ancora in futuro. Adesso andrà alla Arctic Race e chiaramente non fa la Vuelta. Ma l’anno prossimo cercheremo di inserirlo in un Grande Giro. Plapp invece è caduto nella crono delle Olimpiadi. Ha investito tanto tempo per prepararsi. Non avrebbe vinto l’oro, però avrebbe continuato facendo il Polonia, invece adesso è stato operato. Dunbar è caduto al secondo giorno di Giro. Durbridge è stato investito in allenamento… Diciamo che anche la sfortuna fa bene il suo!

Davide De Pretto ha 22 anni. Al pari di Luke Plapp è uno dei giovani più promettenti della Jayco-AlUla
Davide De Pretto ha 22 anni. Al pari di Luke Plapp è uno dei giovani più promettenti della Jayco-AlUla
Cambiando per un attimo discorso, ti aspettavi la vittoria di Cavendish al Tour, tu che l’hai avuto da neoprofessionista?

Tanto di cappello, se lo merita per la sua carriera. Poteva andarci vicino l’anno scorso, invece andò a casa con la caduta. L’avevo visto al Giro di Svizzera, era magro e andava forte già lì. In salita non l’avevo mai visto andare così forte, non era mai il primo a staccarsi. Per cui gliel’ho detto: «Guarda che al Tour sicuramente quest’anno ci sarai e lascerai il segno». Ero convinto che potesse vincerne una e mi ha fatto piacere. Un altro che mi ha stupito è stato Girmay, ho avuto anche lui. Ha fatto una cosa straordinaria, fuori dal normale. L’anno scorso ha avuto una stagione davvero sfortunata. So che vale, ma quello che ha fatto è stato enorme.

E sempre a proposito di uomini esperti, che cosa diresti a De Marchi se ti chiedesse un consiglio su continuare o fermarsi?

Dipende da lui, in questo momento è un corridore importante nella squadra, che ha vinto e potrebbe rifarlo ancora. Quello che fa all’interno del gruppo e in corsa è importante, ci vogliono questi corridori. Dipende da lui se riesce a fare i sacrifici, stare via di casa per i training camp. Quello dipende da lui, però intanto sono contento di averlo con me alla Vuelta. Poi potrà diventare un buon direttore, gli ho detto che non vado avanti ancora tanti anni, quindi poi potrei passargli il testimone. Credo che un altro anno lo farebbe volentieri, ma lui non ha certo problemi di motivazioni che mancano. Mi viene in mente un aneddoto…

Il ruolo di De Marchi in squadra è prezioso: per Piva sarebbe anche un ottimo tecnico
Il ruolo di De Marchi in squadra è prezioso: per Piva sarebbe anche un ottimo tecnico
Dicci pure.

Ai tempi dell’Ariostea, quando alla fine delle riunioni prendevo la parola io, Ferretti diceva sempre che a noi vecchi si allungava la lingua e si accorciavano le gambe. Forse è così. Quando un corridore comincia a trovarsi in un gruppo da tanto tempo pensa di sapere tutto e di gestire le situazioni con l’esperienza. Certo l’esperienza è importante, ma contro le generazioni nuove e questi ragazzi che scattano, sulle salite ci vogliono le gambe. Ma voglio essere ottimista, la stagione è ancora lunga. Penso che possiamo fare molto di più e lo faremo.

Fotofinish a Caorle: vince Dainese. Che ora racconta

24.05.2023
5 min
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CAORLE – «Abbiamo preso la testa ai due chilometri e mezzo. Sto cercando di ricordare bene dove fossero i cartelloni – dice Dainese – diciamo che abbiamo cominciato prima della curva a sinistra dopo il rettilineo sul lungomare. Mayrhofer ha fatto un lavoro immenso. Era cruciale prendere quella curva davanti per non dover rilanciare dalla quinta, decima posizione. Poi è passato davanti Niklas Markl. Era prestissimo, ma forse è andata meglio così, perché ho preso l’ultima curva in seconda ruota e non ho dovuto neanche rilanciare. Solo che quando lui si è spostato, la Jayco mi ha passato al doppio della velocità sulla sinistra e prendere Matthews non è stato facile. La mia volata l’ho fatta più per colmare il gap che avevo con “Bling”, che per vincere. E’ stata parecchio lunga, ma. Andata bene…».

Vittoria al fotofinish, davvero per un soffio sul ritorno di Milan. Terzo è arrivato Matthews
Vittoria al fotofinish, davvero per un soffio sul ritorno di Milan. Terzo è arrivato Matthews

Un anno a digiuno

I velocisti hanno la capacità straordinaria di farti rivivere le volate al rallentatore, come se portassero una telecamera sul casco. E Dainese, che ha appena vinto la tappa di Caorle, non fa eccezione. L’ultima sua vittoria risaliva proprio al Giro d’Italia, tappa di Reggio Emilia del 2022, ma oggi lo sprint con cui ha infilato Matthews e resistito al ritorno di Milan è servito a fare pace col destino e togliersi qualche sassolino dalle scarpe.

Per essere un corridore al secondo anno nel WorldTour, il suo 2022 è stato a dir poco singolare. Il Giro con una tappa vinta, il Giro del Belgio e poi il primo Tour de France, con il terzo posto alla 19ª tappa. Forse troppo per un corridore di 24 anni, al punto che quando Bennati se lo è ritrovato in azzurro agli europei di Monaco, stentava a riconoscerlo.

Oggi si riparte da un gradino più alto, dopo l’infortunio di settembre, le tensioni (non ancora risolte) legate al rinnovo del contratto, la convocazione in extremis e il virus intestinale che l’ha colpito sabato a Cassano Magnago e che domenica a Bergamo lo ha portato a un passo dal ritiro. E con lui allora cominciamo da lì, dal giorno in cui la vittoria di oggi era forse la prospettiva più remota.

Nella tappa di Bergamo, Dainese ha rischiato di andare alla deriva, ma ha tenuto duro
Nella tappa di Bergamo, Dainese ha rischiato di andare alla deriva, ma ha tenuto duro
Che cosa ti ha convinto a non ritirarti nella tappa di Bergamo?

Il Giro bisogna onorarlo e nonostante tu sia ammalato, devi continuare. Magari dopo qualche giorno guarisci ed io ho avuto la fortuna di ammalarmi due giorni prima del riposo. Sono riuscito a recuperare abbastanza bene. Ieri è stata comunque parecchio tosta arrivare sul Bondone. Però stanotte sono riuscito a dormire e a stare un po’ meglio di stomaco. Non è stato facile…

Quest’anno sono più le volate che hai tirato di quelle che hai fatto…

Ma ho avuto tre occasioni e ci sono andato vicino a partire dalla Tirreno. Nella prima volata del Giro, mi hanno squalificato (sul traguardo di Salerno, ndr) e oggi è andata un po’ meglio.

L’ultima vittoria di Dainese risaliva al Giro 2022, per questo sul podio il padovano era commosso
L’ultima vittoria di Dainese risaliva al Giro 2022, per questo sul podio il padovano era commosso
Diciamo che ti sei preso la rivincita?

E’ stato un anno difficile. C’erano tante aspettative dopo la vittoria al Giro e da parte di tante persone e anche da me stesso. Per vari motivi, non ho avuto la continuità e la consistenza necessarie, per cui ho avuto spesso il ruolo di ultimo uomo. Però è vero che un velocista vuole fare le volate. Quindi sì, può essere anche una rivincita, perché ho dimostrato sia a me che agli altri, che sono in grado di vincere. Fino a ieri, non ci credevo neanch’io, pensavo che l’anno scorso fosse stata tutta fortuna.

Fortuna o no, fare terzo di tappa a fine Tour non è da buttar via…

E’ stato un piazzamento abbastanza di fortuna, perché ho preso tutte le curve davanti e poi Laporte e Philipsen mi hanno sverniciato, quindi non è andata proprio benissimo. Un velocista deve vincere e azzeccare due volate in due anni forse è un è poco. Ovviamente sono due tappe al Giro, ma i velocisti di riferimento vincono 15 corse all’anno, quindi sicuramente il percorso per essere consistente è ancora lungo.

Milan è arrivato secondo davanti ai suoi tifosi. Il friulano era contrariato, ma ha consolidato la maglia ciclamino
Milan è arrivato secondo davanti ai suoi tifosi. Il friulano era contrariato, ma ha consolidato la maglia ciclamino
C’è più gusto a vincere le volate in modo netto oppure al fotofinish?

Non mi era mai successo di aver vinto per così poco. Semmai mi era successo di perdere per pochissimo, alzando le mani da junior, ma per il resto è stata la prima volta. Ero molto teso, pensavo di aver fatto secondo e sarebbe stato parecchio terribile, però qualcuno da lassù mi ha graziato.

Impossibile nascondere che tu sia emozionato, mentre i velocisti di solito sono esuberanti. E’ difficile essere uno sprinter ed essere anche persone sensibili?

Quando sono passato professionista, ho sofferto parecchio questa cosa. Ritagliarsi un ruolo da velocista in una squadra WorldTour estera non è facile, soprattutto se sei un po’ timido e dovresti battere di più i pugni sul tavolo.

Dopo la vittoria, Dainese si è raccontato ed era ancora molto emozionato
Dopo la vittoria, Dainese si è raccontato ed era ancora molto emozionato
E’ stato difficile ambientarsi?

Ho sempre cercato di dimostrare di avere un buon livello, lasciando che gli altri se ne accorgano e mi diano spazio. Però siamo tutti diversi, ci sono anche altri velocisti che preferiscono la tensione.

Pensi di continuare a fare il velocista o allargherai l’offerta?

E’ già così difficile vincere le volate, che per ora le classiche non sono alla mia portata. Mi piace fare il velocista.

Adesso andrai a fare il tuffo in mare che avevi promesso in caso di vittoria?

Purtroppo abbiamo l’hotel a Treviso. Magari per questa volta farò un tuffo in piscina…

Con Zana, lampo tricolore nella vittoria di Matthews

08.05.2023
4 min
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Secondo sprint a ranghi ristretti (per salita questa volta, non per caduta) e vittoria di Michael Matthews che davvero questa volta la vittoria è proprio andato a cercarsela. Se diversa è la dinamica del finale, identica è l’intensità degli abbracci, anche se il contesto non è quello assolato ed effervescente di ieri a San Salvo, ma quello più duro e bagnato di Melfi.

Zana ha lavorato sodo in salita, come il resto della squadra, per la vittoria di Matthews
Zana ha lavorato sodo in salita, come il resto della squadra, per la vittoria di Matthews

Un po’ di tricolore

Quando Matthews si ritrova davanti Filippo Zana, l’abbraccio col tricolore veneto è ad altissima intensità. Il lavoro dell’altro “Pippo nazionale” sulla salita è stato encomiabile. E anche quando il campione italiano non ce l’ha più fatta, prima di mollare ha stretto ancora i denti, risultando decisivo per il compagno australiano.

«Siamo partiti per fare esattamente quello che avete visto – ha detto – e tutto è filato per il meglio. Sono contentissimo che abbia vinto Michael, anche per il grande lavoro di squadra che abbiamo fatto ed è stato ripagato. Prendere così tanto vento se poi si vince è davvero bellissimo».

E in queste ultime parole c’è la differenza fra correre il Giro in una WorldTour con uomini capaci di finalizzare e in altre squadre in cui il risultato devi portarlo tu, contro avversari che sembrano sempre più grandi di te.

Il vento poteva essere un’insidia, ma non lo è statt. La corsa si è accesa negli ultimi 50 chilometri
Il vento poteva essere un’insidia, ma non lo è statt. La corsa si è accesa negli ultimi 50 chilometri

Maledetta primavera

Matthews ha vissuto una primavera maledetta. Il suo primo obiettivo sarebbe dovuto essere la Milano-Sanremo, ma il ritiro dalla Parigi-Nizza per positività al Covid ha portato con sé la rinuncia alla Classicissima. Tornato in condizioni precarie per il Giro delle Fiandre, la caduta nella corsa dei muri fiamminghi ha compromesso la partecipazione alle classiche delle Ardenne e ha determinato un avvicinamento scombinato al Giro d’Italia.

«Sono senza parole – commenta mentre rivede le immagini – dopo tutto quello che ho passato in questi mesi per aver trovato con una vittoria con la squadra. Nelle ultime settimane non sono andato bene come speravo a causa dell’infortunio. Abbiamo lavorato tutto il giorno e i compagni si sono impegnati a fondo con me per farmi vincere la tappa. Non ho parole, la stagione è stata un ottovolante e la vittoria è arrivata già al terzo giorno, più di quanto potessi sognare».

L’uovo di Remco

Intanto passa accanto un sorridente Remco Evenepoel, che domani dovrebbe lasciar andare la maglia rosa. Tuttavia, visto il lavoro della sua squadra sulla salita, il pensiero che gli convenga e preferisca correre davanti un po’ ti assale.

«Eravamo a dieci chilometri dal traguardo – spiega – e volevamo fare la discesa davanti perché la pioggia rendeva la strada bagnata e insidiosa. Ho visto che andando verso il traguardo volante, Roglic era dietro di noi. Non ci è costato molta fatica stare lì davanti e prendere qualche secondo fa sempre piacere. E’ stata una buona giornata, soprattutto dopo una giornata abbastanza tranquilla e un finale frenetico».

Poi Remco si è soffermato per commentare con una risata l’episodio dell’uovo che alla partenza gli ha regalato Velasco. «Non ho idea di cosa significasse – ha scherzato il campione del mondo – forse è umorismo italiano? Ora mi pento di non aver testato sul suo casco se fosse un uovo sodo o crudo».

Con quella di Melfi, il bottino di Matthews al Giro sale a tre tappe, dopo quelle del 2014 e del 2015
Con quella di Melfi, il bottino di Matthews al Giro sale a tre tappe, dopo quelle del 2014 e del 2015

Volata su Pedersen

Ancora due risate e poi Matthews ha completato il racconto della sua giornata, svelando che malgrado il ritmo dei primi chilometri non sia stato esaltante, la sua intenzione è sempre stata quella di vincere una tappa, avendone cerchiate otto a suo vantaggio nel percorso del Giro.

«Ho sentito che Pedersen si era staccato in salita – dice – quindi ho immaginato che sarebbe stato un po’ stanco allo sprint. Sapevo comunque che avrei dovuto anticiparlo, facendo la volata su di loro e ha funzionato. Sono venuto qui da questo Giro solo per divertirmi, per andare in bici su strade molto belle e stare con i miei compagni di squadra. Oggi abbiamo fatto un tale sforzo di squadra che la vittoria è tutta per loro».

Riecco le “canadesi” del WorldTour: le presenta Ulissi

26.08.2022
5 min
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Tre anni sono un periodo lungo di stop per una manifestazione sportiva. Il ciclismo mondiale ritrova a inizio settembre un classico della sua programmazione, la trasferta canadese per le due prove del WorldTour, il GP del Quebec e il GP di Montreal, in programma a distanza di 48 ore. Due prove che hanno sempre avuto una partecipazione a livello di ogni altra classica del massimo circuito, innanzitutto perché il mercato d’oltreoceano interessa a molte multinazionali, non solo ciclistiche, presenti nel WorldTour, poi perché vincere da quelle parti ha un sapore particolare per un europeo e questo vale per tutti gli sport.

Lo sa bene Diego Ulissi, che nella terra della foglia d’acero ricordano per la vittoria del 2017 a Montreal dopo essere stato 11° due giorni prima a Quebec City. Raccontando quel che il programma proporrà il 9 e 11 settembre prossimi, il corridore della Uae Team Emirates evidenzia subito un fattore.

«Non sono gare come le nostre perché si gareggia in circuito – fa notare – diciamo che sono più simili a un europeo o un mondiale, solo che si compete per squadre di club. Sono vere e proprie kermesse e vanno interpretate quindi con qualche piccola differenza rispetto alle normali gare in linea».

Ulissi Montreal 2017
Lo sprint vincente di Ulissi a Montreal nel 2017, battuti Herrada (ESP), Slagter (NED) e Bakelants (BEL)
Ulissi Montreal 2017
Lo sprint vincente di Ulissi a Montreal nel 2017, battuti Herrada (ESP), Slagter (NED) e Bakelants (BEL)
Che differenze ci sono fra loro?

Molti pensano che siano uguali, ma non è così. La prima è più adatta a passisti veloci e può favorire anche i velocisti se sanno interpretarla, ossia non essere ancorati essenzialmente alla soluzione allo sprint di gruppo. La seconda è più per passisti scalatori, ci sono salite più lunghe che favoriscono attacchi e infatti si chiudono spesso con volate ristrette. Anche gli scenari sono diversi, ma in generale sono molto belle, qualcosa di insolito rispetto a quel che vediamo normalmente.

Che attenzione c’è intorno alle gare?

Enorme. Sulle strade c’è sempre tanta gente, proprio perché si gareggia in circuito, ma si vede che il ciclismo da quelle parti è seguito quando arrivano i corridori dall’Europa. Poi sono città sempre piene di turisti, c’è molto seguito (in apertura un passaggio a Quebec City, foto di Jacques Boissinot, ndr).

Gareggiare in circuito cambia un po’ l’aspetto tattico in seno alle vostre squadre?

Un po’ sì, perché correndo in circuito bene o male il percorso lo impari a memoria, quindi sai come affrontare ogni curva, come prendere posizione. Per il resto le gare si svolgono in maniera abbastanza canonizzata, con fughe che vanno via da lontano e gruppo che si accende nella seconda parte. A Montreal però il tracciato invita agli attacchi.

Che cosa ricordi della tua vittoria nel 2017?

Scattai con un gruppo ristretto a due giri dalla fine, volevano anticipare Sagan e Van Avermaet che su quel percorso erano i principali candidati alla vittoria. L’arrivo era leggermente in salita e questo cambia molto nella sua impostazione, perché dislivello e chilometraggio si fanno sentire, bisogna impostare la volata sulla potenza. Alla fine ci giocammo la vittoria in quattro e io precedetti Herrada e Slagter.

Gerrans 2014
Doppietta per Simon Gerrans nel 2014. In Quebec batté Dumoulin, a Montreal Rui Costa
Gerrans 2014
Doppietta per Simon Gerrans nel 2014. In Quebec batté Dumoulin, a Montreal Rui Costa
Lo consideri un momento importante nella tua carriera?

Per molti versi sì perché è una gara che ha un grosso peso specifico e soprattutto va saputa interpretare. Ogni attimo può essere quello decisivo, devi avere sempre le antenne diritte perché l’azione che conta può partire nel finale ma anche a una certa distanza dal traguardo come accadde a me. Mentalmente non sono gare semplici, soprattutto la seconda.

Come venne accolta la tua vittoria nella comunità italiana del posto?

Che bei ricordi… C’era tantissima gente, furono in tanti ad avvicinarsi a me e farmi i complimenti. Gente che mancava dall’Italia da tanti anni e si sentiva orgogliosa, persone che erano anche nate lì ma che si sentivano italiane nel profondo. Poi ho notato, girando un pochino per le città, quanti locali italiani ci sono, con i nomi delle nostre città. Mi è rimasto impresso, mi fa sempre piacere tornare a correre da quelle parti.

Matthews Montreal 2019
Matthews ha fatto doppietta nel 2018 e l’anno dopo ha rivinto a Montreal, ora vuole il tris
Matthews Montreal 2019
Matthews ha fatto doppietta nel 2018 e l’anno dopo ha rivinto a Montreal, ora vuole il tris
Dicevi che sono due gare diverse, quindi chi riesce a fare doppietta compie una vera impresa…

Negli anni recenti ci sono riusciti Gerrans nel 2014 e Matthews nel 2018. Come si vede si parla di corridori estremamente veloci ma non sprinter puri, sono capaci di resistere a gare dure, di reggere agli strappi e poi fare la differenza in volata. Si possono concludere con sprint di una trentina di corridori, ma non sono gare dai classici “treni”, bisogna saper resistere e inventare. Poi molto dipende anche dalle condizioni atmosferiche. Sono prove esigenti, che premiano sempre un corridore che è davvero in forma.

Tu in che condizioni sei attualmente?

Sono in un periodo buono, al Tour de Limousin ho ritrovato finalmente la vittoria finendo secondo nella generale, ma anche al Giro di Polonia mi ero sentito abbastanza bene. Ora mi attendono il Bretagne Classic di domenica a Plouay, gara che storicamente non mi è mai andata molto a genio essendo adatta a ruote molto veloci e poi la trasferta canadese. E chissà che con questa gamba non ci si possa togliere qualche altra bella soddisfazione, per me e per la gente di lì…

Cadex 50 Ultra Disc, velocità e stabilità da prime della classe

18.08.2022
4 min
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Cadex lancia sul mercato le nuove 50 Ultra Disc, le ruote progettate per la massima efficienza aerodinamica che affiancano stabilità e controllo alla prestazione. Il carbonio le fa da padrone con un utilizzo ponderato e improntato al massimo rendimento sbaragliando ogni concorrenza. 

A rendere questa coppia di ruote un vero e proprio gioiello c’è il mozzo posteriore aero R3-C40, che va a completare un sistema completo che si è dimostrato il più veloce nella sua categoria attraverso test approfonditi in galleria del vento. Caratteristiche e rendimenti apprezzati anche da professionisti come Michael Matthews e Simon Yates. L’inglese proprio sulle Cadex 50 Ultra Disc ha conquistato la vittoria nella tappa 14 del Giro d’Italia di quest’anno.

Queste ruote sono in dotazione al Team BikeExchange Jayco, nel video Michael Matthews

Parola a Cadex 

«Ciò che rende una ruota da strada veloce – ha affermato Jeff Schneider, Global Head of Product di Cadex – è l’essere in grado di gestire al meglio le varie forze della guida in continua evoluzione. In qualsiasi allenamento o corsa su strada, i ciclisti incontrano salite e discese, piani veloci, curve difficili, dinamiche di gruppo e mosse da solista. Le Cadex 50 Ultra Disc sono progettate per tenere conto di tutti questi fattori, in particolare la resistenza alle alte velocità».

Un vero e proprio asso nella manica della gamma Cadex che quest’anno ha già portato alla vittoria gli atleti della BikeExchange

I raggi ultraleggeri Super Aero riducono al minimo la flessione laterale, sono ideali per gli sprint
I raggi ultraleggeri Super Aero riducono al minimo la flessione laterale, sono ideali per gli sprint

Peso piuma

Con 1.349 grammi, sono tra le ruote più leggere della loro categoria. Attraverso le innovazioni tecnologiche come i raggi aerodinamici direzionali, il nuovo mozzo posteriore R3-C40 con innesto a 40 punti e i cuscinetti in ceramica Cadex sono state ridotte significativamente le perdite di potenza in ogni situazione. Durante i test, sono state provate con il pneumatico Cadex Aero, con un risultato sorprendente di una differenza di ben 5,5 watt sulla concorrenza principale.

Un peso leader del settore che aiuta a migliorare il rapporto rigidità/peso fino al 41,4% rispetto alle ruote della concorrenza. Anche grazie a una nuovissima ruota libera a basso attrito con cuscinetti in ceramica che riduce ulteriormente la perdita di potenza fino al 30%.

La larghezza interna del cerchio di 22,4 mm offre ampio spazio per gli pneumatici, creando un WheelSystem con rigidità laterale rinforzata e capacità di supportare pressioni degli pneumatici inferiori per una migliore maneggevolezza e feeling con la strada.

Il profilo del cerchio da 50 mm e il bilanciamento dei raggi permettono un controllo totale
Il profilo del cerchio da 50 mm e il bilanciamento dei raggi permettono un controllo totale

Raggi Super Aero

I raggi ultraleggeri in carbonio Cadex ad alta resistenza riducono al minimo la flessione laterale per un’accelerazione senza eguali. Si presentano con una forma aerodinamica appositamente progettata per offrire caratteristiche aerodinamiche leader del settore e massima stabilità con vento laterale. I raggi Super Aero riducono al minimo la flessione laterale per accelerazioni e sprint al top.

Un altro aspetto che crea una sinergia perfetta con le altre caratteristiche sono i cuscinetti in ceramica. In grado di aumentare ulteriormente l’efficienza di rotolamento del mozzo con una minore resistenza allo stesso e un’azione 1,5 volte più fluida rispetto ai cuscinetti in acciaio, con conseguente miglioramento dell’azione e minima perdita di potenza.

Simon Yates ha trionfato al Giro d’Italia proprio con questa coppia di ruote
Simon Yates ha trionfato al Giro d’Italia proprio con questa coppia di ruote

Super stabilità

L’efficienza aerodinamica e il peso ultraleggero sono importanti, ma una ruota da strada veramente completa deve anche ispirare fiducia mentre si scende, si curva o si combatte contro forti venti trasversali.

Il profilo del cerchio aerodinamico da 50 mm e il bilanciamento dei raggi Super Aero permettono un controllo totale in tutte le condizioni. Inoltre, l’ampia larghezza interna del cerchio offre una maggiore adattabilità agli pneumatici di sezione superiore, migliorando così la stabilità e la scorrevolezza. La compatibilità consigliata va dai 700x25c ai 700x32c. 

Il prezzo delle 50 Ultra Disc va dai 1.399 euro per la ruota anteriore fino ai 1.799 per la posteriore.

Cadex

Copeland si tiene Matthews e Yates. E c’è Zana in arrivo

30.07.2022
6 min
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La vittoria di Matthews a Mende su Bettiol, le ultime di Yates in Spagna e il prolungamento della sponsorizzazione per altri tre anni hanno portato al Team Bike Exchange-Jayco una folata di buon umore. Brent Copeland, che guida la squadra da due anni, ragiona e spiega, al termine di un Tour positivo e in vista del rush finale. La sola nota dolente al momento è quel 18° posto nel ranking UCI che un po’ preoccupa e un po’ è di stimolo.

«E’ stato un Tour molto positivo – dice il manager sudafricano – con vittorie da parte di uomini in cui crediamo molto. Su Matthews abbiamo investito molto due anni fa, quando lo aiutammo a pagare la clausola rescissoria con la Sunweb. Non ha portato tantissime vittorie, ma tanti piazzamenti importanti. La sua sfortuna è di avere caratteristiche simili prima a Sagan e ora a Van der Poel e Van Aert, per cui sembra che debba correre per il secondo posto, ma non è davvero così».

Brent Copeland è diventato team manager del team australiano a fine 2020
Brent Copeland è diventato team manager del team australiano a fine 2020
Siete passati dall’avere uno sponsor pronto a sfilarsi, al rilancio per altre tre stagioni…

C’entra sempre Matthews. Gerry Ryan (titolare delle aziende che supportano il team, ndr) ha preso la decisione di prolungare per altri tre anni perché Michael possa concludere con noi la sua carriera. E poi adesso in Australia c’è la… febbre per i mondiali. Quelli di Wollongong non saranno una corsa per velocisti, ma gli si adattano davvero bene. Nella tappa che ha vinto al Tour, c’era tanta salita. Ci saranno anche altri favoriti, ma confidiamo che Matthews sarà il leader della nazionale. E poi ogni tanto ci penso che l’ultima volta che si è fatto un mondiale laggiù (Geelong 2010, ndr), lui ha vinto fra gli under 23.

Uno sponsor così sembra innanzitutto un appassionato.

C’è stata la fase in cui ha capito che ci fosse la possibilità di mollare, ma proprio in quel momento ha capito quanto fosse innamorato di questa squadra. Gli è tornata voglia alla grande. E’ venuto al Giro per 10 giorni. E’ stato a Copenhagen per la partenza del Tour e a Parigi avevamo 60 ospiti. Si vede che gode il momento della squadra. Il Covid è stato pesante, non poter uscire dall’Australia non è stato semplice. La vittoria di Yates nella crono di Budapest è stata una grande gioia. E quella sera ha detto che resta per i corridori e per il personale, perché è bello vedere un gruppo lavorare così. Non capita spesso di sentire certe cose da un capo.

Groenewegen ha vinto a Sonderborg ed è stato secondo a Parigi
Groenewegen ha vinto a Sonderborg ed è stato secondo a Parigi
Magari se a Parigi, Groenewegen avesse vinto…

Magari, davvero! Però Gerry è un uomo di sport, conosce le storie degli atleti. Possiede la più forte squadra di rugby, investe in altre realtà. E ha capito perfettamente, vedendo l’ordine di arrivo, quanto sacrificio e quanto impegno siano serviti per fare quel secondo posto. Per questo alla fine era contento lo stesso.

E’ vero che per lui il team femminile vale quanto quello maschile?

Direi di più, ma non mi azzardo (sorride, ndr). La storia di Gerry nel ciclismo inizia grazie alle donne. Nel 1992, c’era Kathy Watts che doveva andare alle Olimpiadi di Barcellona, ma non aveva fondi. Così chiese a Jayco, l’azienda di caravan e camper di cui Gerry è titolare. Lui la supportò e lei tornò con l’oro nella prova su strada e un argento in pista: un investimento ben fatto. Così è entrato nel ciclismo femminile. Poi ha supportato la Federazione australiana spingendo sulle donne e con Shayne Bannan fece partire il team. Presero Annemiek Van Vleuten, che vinse tutto. E’ importante il team femminile, non perché serva averlo, ma perché ci crediamo tanto.

Gerry Ryan è nel ciclismo dal 1992. Ha rilanciato con altri 3 anni di sponsorizzazione
Gerry Ryan è nel ciclismo dal 1992. Ha rilanciato con altri 3 anni di sponsorizzazione
E poi è arrivata Giant, come vanno le cose?

Lunedì a Parigi, dopo la fine del Tour, abbiamo fatto una riunione con il responsabile dell’azienda e abbiamo avuto indicazioni molto positive. Loro sono pazzeschi, i corridori sono contenti. Si può lavorare molto bene.

Secondo anno della tua gestione: la squadra ti somiglia?

Ho cercato di cambiare il modo di lavorare e le cose stanno funzionando. Me lo ha chiesto il capo quando sono stato contattato. L’anno scorso siamo stati ancora frenati dal Covid e dal fatto che i ragazzi non siano potuti tornare a casa. I risultati di quest’anno sono il vero risultato del nostro lavoro.

La rincorsa di Yates alla Vuelta è iniziata a Ordizia. Anche per lui rinnovo di contratto
La rincorsa di Yates alla Vuelta è iniziata a Ordizia. Anche per lui rinnovo di contratto
Il rinnovo di Yates fa pensare che per i grandi Giri continuerete a puntare su di lui?

Non ci sono tantissimi corridori di qualità sul mercato, quelli buoni hanno tutti contratti molto lunghi, almeno 4-6 anni. Per questo la nostra regola è investire su quello che abbiamo e correre come possiamo. Fare classifica al Tour non era proponibile e allora abbiamo corso puntando alle tappe. E comunque abbiamo ancora tanta fiducia in Simon, che farà una bellissima Vuelta ed è già stato sul podio del Giro. Vedremo che programma farà l’anno prossimo.

Fra gli arrivi, c’è anche il campione italiano, preso ben prima che lo diventasse…

Zana è un corridore che seguivamo da un po’. Cercavamo uno scalatore da far crescere con noi per dare prima supporto ai leader e poi per concedergli il suo spazio. Pinotti lo ha sempre apprezzato molto e certo adesso che ha vinto il campionato italiano avrà anche qualche opportunità in più. Ha fatto il Giro, meno bene di come ci si potesse aspettare, ma lo ha concluso. Poi ha vinto la Adriatica Ionica Race e ha tenuto la condizione fino all’italiano. Vuol dire che il motore è importante.

Sul podio di Alberobello, Zana ha brindato alla maglia tricolore
Sul podio di Alberobello, Zana ha brindato alla maglia tricolore
Hai parlato di Pinotti, che idea ti sei fatto di Marco?

E’ un assett importantissimo della nostra squadra. E’ un piacere lavorare con lui. E’ un uomo sincero, dice le cose come le pensa ed è molto preparato. Con lui Sobrero ha fatto un bel salto di qualità. Matteo ha dei margini importanti e può crescere. Speravamo potesse fare classifica alla Tirreno e corse simili, non certo al Giro. Adesso va al Polonia, sono curioso di vederlo all’opera. Non serve mettergli pressione, ma ha dei numeri importanti e in altura ha lavorato bene.

Insomma, momento positivo, con il solo neo del ranking?

E’ un peccato. Veniamo da anni difficili e il ranking fa la media delle ultime tre stagioni, per cui paghiamo il 2020 del Covid e il ritiro di Yates dal Giro. Ma non è la nostra posizione, stiamo lavorando bene e sono certo che il Tour si rivelerà un punto di partenza. Un po’ di preoccupazione c’è stata all’inizio, soprattutto da parte dei direttori sportivi. Ma gli ho detto di non cambiare modo di correre per fare punti. Continuiamo a puntare ai nostri obiettivi e i risultati certamente verranno.

Bettiol, un grande sogno durato troppo poco

16.07.2022
6 min
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Si gioca tutto in pochi secondi ed è paradossale, a capo di una tappa di 192 chilometri e di una fuga partita da lontano. La salita dell’aeroporto di Mende è il teatro perfetto perché Bettiol torni alla vittoria. Matthews ha il destino segnato.

La grande illusione

C’è andato in qualche modo vicino a Megeve e adesso Alberto ha la bici che gli scappa di sotto. La gente ai lati è folle, accaldata, colorata e rumorosa. I corridori ne percepiscono la presenza attraverso i suoni e gli odori. La strada è un budello, la loro presenza in qualche modo li opprime. E ora finalmente Alberto aggancia Matthews. Povero australiano, dovrà nuovamente accontentarsi del secondo posto, come già a Longwy e Losanna.

Bettiol ha tirato tutto il giorno e in finale ha corso per sé: abbiamo davvero creduto che stesse vincendo
Bettiol ha tirato tutto il giorno e in finale ha corso per sé: abbiamo davvero creduto che stesse vincendo

Il tempo perché prenda fiato, adesso lo lascia lì. Tre. Due. Uno. Bettiol si alza sui pedali e scatta col rapporto più lungo. Come l’anno scorso a Stradella, come al Fiandre, come il gatto che mangia il topo. Neanche si volta, copione già scritto. E Matthews si siede. Bettiol vincitore a Mende sul traguardo di Jalabert, finalmente un italiano al Tour dopo Nibali nel 2019.

«Si era messo tutto male come l’anno scorso a Stradella – racconta – credevo che arrivassero i quattro che si erano avvantaggiati. Poi mi sono sbloccato, in questa fase di Tour con le sensazioni che vanno e vengono. Un continuo up and down. E così sono scattato secco, anche per dargli una botta morale…».

Matthews non molla

Ma la botta non arriva. Si gioca tutto in pochi secondi ed è paradossale, a capo di una tappa di 192 chilometri e il rodimento interiore per l’occasione sfumata ieri a Saint Etienne, quando la sua sola Bike Exchange-Jayco si è messa a tirare, quasi per espiare l’erroraccio di aver lasciato andar via la fuga.

La salita di Mende con lui non c’entra niente, pensa Matthews mentre la addenta, dopo essere stato il primo a evadere dalla grande fuga. La fatica si fa sentire, ma il baccano della gente copre anche il mal di gambe e questo tutto sommato è un bene. Fanno così tanto rumore che quasi non ha sentito arrivare Bettiol. E quando l’italiano gli è dietro, Matthews ha giusto il tempo di guardarlo in faccia e intuirne la fame. Ma sarà profonda quanto la sua? Bettiol attacca. Le gambe sono dure e quel senso di crampo rende Matthews fragile. Però amico, pensa stringendo i denti, oggi non vai da nessuna parte…

«Questa tappa è la storia della mia carriera – racconta – ho avuto così tante montagne russe, su e giù. Mia moglie e mia figlia hanno sempre creduto in me. Ma ogni volta sono stato buttato giù. Ogni volta la stessa storia. E mi hanno detto: alzati. E anche io questa volta mi sono detto: alzati!».

All’ultimo round

Si gioca tutto in pochi secondi, che durano una vita e tutto sommato la raccontano. Bettiol è davanti, come Trentin al mondiale del 2019, serbando in cuore quel senso di vittoria tanto a lungo rincorsa che invece ti tradisce, perché in qualche modo ti fa abbassare la guardia. Oppure per staccarlo ha fatto un fuori giri di troppo, mentre Matthews non è mai affondato del tutto. Si è gestito e appena la strada si fa meno cattiva, cambia ritmo e si fa nuovamente sotto.

Sfinito al traguardo, Matthews ha dimostrato di non essere un velocista e ha dedicato parole toccanti alla famiglia
Matthews ha dimostrato di non essere un velocista e ha dedicato parole toccanti alla famiglia

E poi, come Evenepoel che se ne è andato col rapporto nella parte più morbida della Redoute, Matthews passa al contrattacco. E questa volta la botta morale si abbatte sul toscano. La gente intorno è quella ai piedi del ring, che percepisce il riscatto del pugile che finora le ha solo prese e tifa perché lo spettacolo duri a lungo. Non tengono per uno in particolare, vorrebbero solo che non finisse mai.

«In pianura – ammette Bettiol – ha avuto uno scatto in più che a me è mancato. Ho avuto via libera dai compagni e mi dispiace non aver ripagato la loro fiducia. Avevo una grande gamba, ma quando non si vince girano le scatole. Sto bene. Ho la fiducia dei compagni e dei direttori di questa squadra meravigliosa. E spero nei prossimi giorni di ripagarli».

Per le sue donne

Matthews si volta, Bettiol è sparito. Le mani sul casco. Sugli occhi. Le braccia larghe ad abbracciare il pubblico e riempirsi il petto di ogni scheggia dispersa di emozione. Difficile dire dove abbia pescato la forza per non andare a fondo, forse semplicemente ha avuto il coraggio di farsi più male di quanto gliene stesse facendo il suo avversario.

Così Matthews sul traguardo, assorbendo la luce di questo sole torrido e stupendo
Così Matthews sul traguardo, assorbendo la luce di questo sole torrido e stupendo

«Questo è per mia figlia – dice e trattiene le lacrime – ha quattro anni e volevo solo mostrarle che tutto il tempo in cui sono via e ogni cosa la faccio per lei. E oggi era quel giorno e sono riuscito a dimostraglielo. Ieri è stata una grande occasione persa. La squadra ha tirato per portare allo sprint me o Dylan (Groenewegen, ndr), ma ci siamo svegliati troppo tardi. Era davvero una tappa buona per me in questo blocco di tre giorni cui il nostro team mirava nella seconda settimana. Dovevo fare qualcosa.

«Per me erano finite le occasioni. Allora ho deciso di mostrare a tutti che non sono solo un velocista. Posso anche correre come ho fatto oggi. E l’ho fatto pensando a mia figlia su quell’ultima salita fino al traguardo. A mia moglie e a quanti sacrifici faccia per realizzare i miei sogni. Spero che questa volta ho mostrato loro il motivo per cui abbiamo rinunciato a così tante cose».

Pogacar ha attaccato poi ha fatto la volata, ma alle sue spalle Vingegaard è stato una presenza molto lucida
Pogacar ha attaccato poi ha fatto la volata, ma alle sue spalle Vingegaard è stato una presenza molto lucida

Cercasi dèja vu

Alle loro spalle sostanzialmente il nulla. Un paio di attacchi di Pogacar su una salita per lui breve e la difesa d’ufficio di Vingegaard, con il finale allo sprint già visto anche negli ultimi giorni. Gli altri sbriciolati o quasi, a dimostrare che il Tour è una partita a due. Ci saranno occasioni migliori, forse già domani verso Carcassonne o più probabilmente nei tre giorni sui Pirenei.

Se anche non riuscirà a riprendersi la maglia gialla in salita, l’obiettivo per Pogacar potrebbe essere arrivare alla crono con meno di un minuto di ritardo, per ripetere se possibile il miracolo del 2020. Quando vestiva la maglia bianca. E aveva davanti di 57 secondi un corridore della Jumbo Visma ugualmente vestito di giallo.