ESCLUSIVO / Una giornata nella nuova galleria del vento di MET

29.04.2025
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TALAMONA – Pensare che in questa piccola frazione circondata dalle montagne della Valtellina, dove la natura è ancora padrona e il verde incanta gli occhi, sia presente uno degli strumenti più all’avanguardia e unici nel mondo del ciclismo fa quasi specie. Tuttavia MET Helmets ci ha abituato, nel corso degli anni, a questa sua caratteristica: guardare avanti.

L’azienda produttrice di caschi ha avuto come obiettivo quello di innovare e rinnovare. Lo ha fatto anche questa volta, con la costruzione di una galleria del vento interna alla propria struttura. Aprendo una semplice porta si viene proiettati in un capannone enorme, al centro una scaletta che porta a uno spazio rialzato con tutti i dispositivi di controllo. C’è una scrivania doppia, dove i tecnici possono monitorare i lavori e plasmare i setting possibili della galleria del vento (in apertura foto Ulysse Daessle). 

Appositamente studiata

Alziamo gli occhi ed eccola davanti a noi: The Tube. Questo è il nome scelto da MET per identificare uno dei suoi macchinari più innovativi e costosi. Un investimento enorme, che ha portato a una riqualificazione dell’area e diversi lavori

«La scelta del nome è di facile intuizione – dice Matteo Tenni, Project Manager – la vetrata ci mostra la camera di prova interna. Davanti è posizionata una turbina a spinta con una potenza di 110 kilowatt, in grado di far fuoriuscire l’aria fino a 100 chilometri orari. Si è deciso di alzare tale dato per lasciare un po’ di margine rispetto alle velocità che normalmente si vanno a praticare in bici.

«The Tube è nata apposta per la bici, ci siamo affidati a un’agenzia esterna specializzata in questi sistemi. Noi come MET abbiamo fornito dei target in termini di obiettivi, un periodo lungo ma fruttuoso che ha portato a delle ottimizzazioni importanti. Una grande influenza ce l’hanno le condizioni ambientali, su una giornata di test ci sono parametri che cambiano, come la densità dell’aria e la variazione di temperatura interna alla camera di prova». 

Maggiore profondità di sviluppo

Riuscire a internalizzare un processo di sviluppo come quello della galleria del vento è un passaggio fondamentale per garantire un miglioramento costante e continuo dei prodotti MET Helmets. Tutta la parte di studio e progettazione è interna, la galleria del vento è l’ultimo step in questa direzione. Ora ogni prototipo può essere testato, migliorato e stampato all’interno dello stabilimento di Talamona. 

«In precedenza – racconta ancora Matteo Tenni – ci appoggiavamo ad altri laboratori, ce ne sono di molto buoni in tutta Europa. Però le cose non sono sempre comode: bisogna prenotare delle giornate e non è facile averne tante di fila, inoltre i costi non erano da sottovalutare. A livello pratico si va una volta e si fanno i test necessari, ma se c’è qualcosa da ottimizzare si deve tornare a casa e fare le modifiche al design. Una volta sistemato il tutto si deve prenotare un altro slot e ripetere i test. Cosa succedeva? Che spesso al secondo giro di test ci si fermava, sia per una questione di tempo che di investimenti».

L’aria fuoriesce a una velocità massima di 100 chilometri orari, ma i test si effettuano tra i 50 e i 60 chilometri orari (foto Ulysse Daessle)
L’aria fuoriesce a una velocità massima di 100 chilometri orari, ma i test si effettuano tra i 50 e i 60 chilometri orari (foto Ulysse Daessle)

Come un riassunto, ma fatto su misura

«Questa galleria del vento – prosegue Tenni – ha voluto essere un riassunto di quello che si trova in altre strutture esterne: test con bici, atleta e casco, oppure con una falsa testa per fare degli studi sull’aerodinamica o la dissipazione del calore. La nostra galleria del vento, The Tube, è in grado di fare tutto questo. A nostro modo di vedere il vantaggio è netto, fondamentalmente abbiamo libero accesso a tutto. Nel momento in cui un prodotto non è stato ancora prodotto su larga scala vale tutto, si possono fare tutti gli esperimenti possibili. Questo comporta la possibilità di andare a indagare su strade che se dovessimo riferirci all’esterno sarebbero impossibili per tempi e costi».

I test

Grazie alla disponibilità degli ingegneri di MET abbiamo potuto assistere a una giornata di test. I protagonisti sono stati i caschi utilizzati dal UAE Team Emirates – XRG. Abbiamo visto in prima persona i dati sul nuovo modello da cronometro: il Drone II. La testa, ma anche il corpo e le gambe, sono quelle di Alessandro Covi. Il corridore lombardo ha effettuato diverse prove al fine di fornire dati precisi che possano dare consistenza al lavoro di sviluppo e di progettazione di questi nuovi prodotti. 

«Abbiamo sottoposto Covi – conclude Matteo Tenni – a due test durante i quali ha indossato i due modelli dedicati alla cronometro. Il primo con il casco Drone e il secondo con il Drone II. La turbina ha soffiato aria a 50 chilometri orari e i risultati hanno evidenziato un risparmio di cinque watt passando dal Drone al Drone II. In questi termini l’utilizzo di una galleria del vento interna ci permette di avere maggior contatto con gli atleti e di poterli coinvolgere ancora di più nei processi di sviluppo».

Dalla matita alla strada, come nasce (e cresce) un casco MET

17.01.2024
8 min
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TALAMONA – Il casco di Pogacar nasce dietro quel cancello. Fuori non ci sono insegne, ma basta varcarlo per riconoscere il marchio MET sulla porta di cristallo. La Valtellina delle grandi montagne comincia più in alto, ma l’aria frizzante e le vette imbiancate danno il senso di un altro mondo rispetto alle pianure milanesi. La sigla che dà il nome al prodotto è composta dalle ultime tre lettere della parola helmet: casco.

L’azienda fu fondata nel 1987 dalla famiglia Gaiatto che ancora adesso la conduce. All’interno, da quando undici anni fa la produzione si trasferì in Cina, si trovano i reparti di progettazione, sviluppo e test. Ed è attraverso questi uffici che ci muoviamo con Ulysse Daessle che per MET Helmets segue i media e le pubbliche relazioni. Lui è francese e si è arrampicato quassù dal sud della Francia perché aveva bisogno di montagne: guardandosi intorno, c’è da capirlo.

Nostra guida in questa immersione del mondo di MET è Ulysse Daessle, francese, da 7 anni in Valtellina
Nostra guida in questa immersione del mondo di MET è Ulysse Daessle, francese, da 7 anni in Valtellina

Disegno a mano libera

Come nasce il casco? Non c’è distinzione fra il tipo di modello, ci dicono mentre ci muoviamo fra prototipi da non fotografare, il punto di partenza è per tutti il briefing fra ingegneri e disegnatori, che lavorano in simbiosi, perché il casco deve essere sicuro, ma anche bello.

«Ogni progetto è completamente nuovo – spiega Stefano Galbiati, disegnatore – non si fa mai il… copia e incolla da uno precedente. Si definisce l’obiettivo, poi abbiamo carta bianca».

Sulla parete si riconoscono bozzetti e schizzi di ogni genere (foto di apertura), che dopo la fase creativa passano al CAD (il software che consente il disegno tecnico in 2D e 3D) che permette di fare anche i primi calcoli su peso, aerodinamica e risposta agli impatti.

Disegno al CAD

«La simulazione 3D – spiega Matteo Tenni, ingegnere e Project Manager – simula gli impatti per avere dati molto precisi che poi confrontiamo con quelli di laboratorio. Prima di queste tecnologie, si faceva uno stampo pilota su cui eseguire i test, ma era una verifica a posteriori e se non andava bene, bisognava costruirne un altro. Ora con il calcolo strutturale e la simulazione virtuale, si fa un lavoro di ottimizzazione.

«Il casco non è un capo di abbigliamento, ma un dispositivo individuale di protezione. Quelli ad alte prestazioni devono unire sicurezza, leggerezza e aerodinamica e non si possono fare certi calcoli su un oggetto già finito. L’ultima verifica è quella della galleria del vento. Per il casco da crono, abbiamo previsto un cablaggio in cui dei sensori di pressione rilevano l’azione del vento. Abbiamo aperto al virtuale nel 2001 e dal 2004 abbiamo la stampa interna».

La stampa in 3D

Definite le forme, si passa alla stampa in 3D. La prima è quella a gesso: dura una notte e al mattino si ha in mano un oggetto piuttosto pesante che tuttavia riproduce fedelmente l’aspetto del casco. Verificato che la forma sia quella voluta oppure apportate le necessarie modifiche, si passa alla seconda stampa: ugualmente in 3D però a filo. Essa produce un casco certamente più leggero, diviso in due gusci da assemblare, all’interno del quale è possibile montare le imbottiture e i vari accessori.

La stanza delle stampanti dispone anche di un forno per la verniciatura e di una stampante 3D più piccola, per realizzare le rotelline di regolazione del casco. Anche questi accessori si progettano internamente.

Il primo casco

In un angolo, si riconoscono le macchine di quando la produzione si svolgeva qui. Ci sono sacchetti che contengono i granelli del polimero di varia densità e ci sono gli stampi con i compressori. In una griglia accanto, ecco il primo casco prodotto nel 1992.

Dal 2012 si fa tutto in Cina: la conseguenza di continuare a produrre qui sarebbe stata probabilmente la chiusura dell’azienda. Inizialmente, i tecnici MET viaggiavano periodicamente verso Oriente. Ora il processo è più agile, con figure di riferimento sul posto in grado di verificare che le lavorazioni siano eseguite secondo gli standard e i protocolli inviati dall’Italia. Lo stabilimento non lavora in esclusiva, ma è palese che l’esclusiva riguardi i prodotti.

Un immenso database

Ricevuto dalla fabbrica il necessario numero di campioni, si passa ai test. Il laboratorio MET fa parte di un pool di realtà impegnate nella definizione degli standard internazionali e nello sviluppo dei test di impatto. I test non sono obbligatori, potrebbero bastare quelli del laboratorio deputato alla certificazione. MET li esegue per immagazzinare dati e garantire i propri caschi a un livello superiore.

«Abbiamo un database – spiega Cesare Della Mariana, deputato ai test – nel quale si tiene conto di tutte le valutazioni fatte sul primo round di campioni. La prima fase, che si svolge al computer, serve per definire i punti di impatto. A ciascuno di essi sono associati dei valori che permetteranno di costruire le curve di distribuzione dell’urto. In questo modo possiamo verificare che il risultato del test corrisponda a quello che avevamo approvato in fase di progettazione».

Il casco e l’incudine

Prima di arrivare ai test d’impatto, il casco deve sostenere una serie di stress ambientali che lo indeboliscono al pari di quanto accade pedalando al caldo oppure al freddo.

Il protocollo europeo CE prevede prima un passaggio al caldo e poi al freddo, perché a -20°C le plastiche diventano dure e fragili. Quindi viene la fase dell’invecchiamento, in un forno girevole in cui i caschi sono sottoposti per 72 ore ai raggi UV, che indeboliscono i legami chimici degli atomi degli strati superficiali (il riferimento di temperatura è quello del sole del deserto dell’Arizona). Infine il casco viene esposto all’azione dell’acqua a temperatura ambiente. Gli standard USA e australiani (CPSC e AU/NZ) prevedono che dopo il caldo e il freddo, il casco vada immerso in acqua.

A questo punto si procede al test di caduta libera che porta a un impatto a velocità di 6,5 metri al secondo (23,4 chilometri orari). Il laboratorio è pieno di caschi da testare altri già… provati. Laddove si intravedano microfratture nella calotta interna, si ha la conferma che il casco ha retto l’impatto e ha ceduto, salvaguardando la vita del ciclista.

«Per questo – riprende Cesare Della Marianna – dopo l’impatto violento il casco va cambiato, anche se non si vedono segni. Se ha assorbito un urto violento, da qualche parte ha ceduto. Altrimenti significa che il colpo è arrivato diretto alla testa del ciclista».

Ogni mese dalla UAE arriva a MET una scatola di caschi caduti, utili per analisi e osservazioni approfondite
Ogni mese dalla UAE arriva a MET una scatola di caschi caduti, utili per analisi e osservazioni approfondite

I caschi della UAE

Per lo stesso motivo, MET ritira tutti i caschi di ritorno dai due team UAE Emirates (ne arriva una scatola ogni mese), per verificare e studiarli dopo eventuali cadute.

L’impatto della testa sull’incudine provoca ogni volta un brivido. Il rumore è secco, fa pensare parecchio. Qui si lavora per salvare vite, comprendiamo lo scrupolo di ogni passaggio: che si tratti di Tadej Pogacar o di un bambino sul seggiolino della bici di sua madre.

Fino al 2027, MET al fianco di Pogacar

29.07.2023
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Il Tour de France non è solo l’evento ciclistico più importante del mondo, capace per tre settimane di catalizzare l’attenzione di tutti gli appassionati di ciclismo. E’ anche l’occasione per team e sponsor tecnici di stringere nuovi accordi oppure di prolungare quelli già esistenti. E’ questo il caso dell’accordo fra MET Helmets e UAE Team Emirates. In occasione del secondo giorno di riposo, mentre il Tour entrava nella sua settimana decisiva, quella del trionfo di Vingegaard, MET Helmets ha annunciato il prolungamento fino al 2027 della propria partnership tecnica con il team che ha in Pogacar la sua punta di diamante (nella foto di apertura lo sloveno con Majka dopo la vittoria a Le Markstein).

Da sempre insieme

MET Helmets ha accompagnato fin dalla sua nascita il UAE Team Emirates. E’ infatti dal 2017 che gli atleti della formazione emiratina possono contare sulla qualità dei caschi MET. In tutti questi anni sono arrivati successi prestigiosi come i due Tour de France conquistati grazie a Tadej Pogacar e tante altre corse, anche classiche monumento, sempre firmate da Pogacar.

La collaborazione con il UAE Team Emirates ha portato all’azienda di Talamona, in provincia di Sondrio, non solo trofei, ma anche feedback importanti da parte degli atleti. Tutto ciò ha permesso di aggiungere ulteriore qualità a prodotti già altamente tecnici. A confermarlo è Achille Montanelli, Marketing Manager MET Helmets. 

«Siamo molto orgogliosi ed entusiasti per questo rinnovo», ha dichiarato. «Creare un’alchimia così forte tra uno sponsor e un team non è comune, ma con UAE Team Emirates tutto è avvenuto in modo molto naturale. Siamo con loro sin dal primo giorno e la collaborazione si evolve e progredisce continuamente. Questo rappresenta l’impegno che tutti coloro che stanno dietro al nostro marchio mettono per consentire ai nostri prodotti di migliorare sempre. Sicuramente ne seguiranno altri!».

Durante il periodo delle classiche era arrivato il successo al Fiandre, ad opera di Pogacar
Durante il periodo delle classiche era arrivato il successo al Fiandre, ad opera di Pogacar

La gioia del team

Da parte sua lo staff della UAE Team Emirates non ha mancato di manifestare la propria soddisfazione per il prolungamento dell’accordo con MET Helmets. A confermarlo è lo stesso Mauro Gianetti, CEO e Team Principal UAE.

«Siamo felici di andare avanti con MET – racconta – è stato un partner fedele in questi anni e siamo cresciuti insieme. MET ha saputo investire il successo ottenuto insieme in prodotti e strutture all’avanguardia, che saranno davvero utili anche per il team. Sento che avremo nuovi importanti traguardi da raggiungere insieme».

Alle parole di Gianetti hanno fatto eco quelle di Andrea Agostini, Chief Operating Officer UAE Team Emirates: «Le operazioni con MET sono sempre facili e questo ci ha permesso di costruire negli anni un forte rapporto. MET ha un posizionamento del marchio di alto livello, in linea con la nostra visione e la strategia degli sponsor, senza dimenticare che i loro prodotti sono tra i migliori al mondo in termini di prestazioni e sicurezza».

MET

Sanne Cant, il fango, le cadute e il materiale del cross

14.11.2022
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Sembra un paradosso, ma si rischia di farsi male cadendo piano, piuttosto che ad alta velocità. E’ quello che è venuto fuori da uno scambio di battute con Sanne Cant, atleta belga di 32 anni, che corre con la Plantur-Pura, team femminile della Alpecin, che ha come direttori sportivi Heidi Van de Vijver e due ex pro’ come Michel Cornelisse e Gianni Meersman.

Avendola vista scivolare pericolosamente in un traversone dei campionati europei di Namur (foto di apertura), ci era venuta la curiosità di chiederle quale parte si cerchi di riparare quando si scivola nel cross. Ne è nata un’interessante conversazione sulle sue abitudini tecniche.

«Gli incidenti che fanno più male – spiega – sono quelli a velocità inferiore, perché l’impatto è maggiore. La cosa positiva è che non ti schianti sull’asfalto e questo significa che nel ciclocross cadi in modo più morbido».

Nel 2022, Sanne Cant ha aperto la stagione su strada alla Strade Bianche: un debutto non morbido
Nel 2022, Sanne Cant ha aperto la stagione su strada alla Strade Bianche: un debutto non morbido

Tre giorni fra strada e cross

Pur non risultando fra le specialiste tesserate nel team belga (qualifica che spetta ad Ceylin del Carmen Alvarado, Puck Pieterse, Aniek Van Alphen e Annemarie Worst che corrono su strada solo in preparazione al cross), Sanne Cant ha disputato una stagione più nutrita. Per lei 35 giorni di corsa e il passaggio davvero rapido al cross.

«Non mi sono presa un periodo di riposo – dice – abbiamo tolto un po’ di carico nell’ultimo periodo e inserito 3 giorni di riposo completi. Durante la stagione su strada non ho mai usato la bici da cross. Mi semplifica tutto il fatto che i due telai hanno le stesse misure (la squadra usa bici Stevens, ndr) e che anche in fatto di ruote non ci siano grandi differenze. Chiaramente scegliere le gomme è più semplice su strada, mentre quando si parla di Roubaix siamo in una via di mezzo».

Le stesse misure sulla Stevens da strada e quella da cross: uno standard che non tutti riescono ad avere. Qui a Namur 2021
Le stesse misure sulla Stevens da strada e quella da cross: uno standard che non tutti riescono ad avere. Qui a Namur 2021
A volte si ha l’impressione che nel cross uno dei problemi sia la visibilità, soprattutto quando c’è fango e gli occhiali si sporcano…

Infatti inizio sempre le gare con gli occhiali. Nel peggiore dei casi, se il tempo è così brutto, li butto via dopo un po’ nella zona dei box. E’ un tema su cui stare attenti. Di certo però quando passo ai box non chiedo di cambiare occhiali. Servirebbe troppo tempo e non sempre riesci a infilarli pedalando.

Quindi ai box si cambia solo la bici?

Esatto, soprattutto perché è sporca e la possibilità di avere problemi meccanici è troppo grande. Inoltre con il fango le bici diventano sempre più pesanti, anche se magari questo da fuori non si riesce a valutare.

Da qualche anno nelle gare su strada si sta molto attenti al protocollo sulla commozione cerebrale, anche nel cross c’è il rischio?

C’è sempre un rischio, anche per quel discorso delle velocità ridotte di cui parlavamo prima.

Alla luce di questo, nel cross usi un casco diverso?

Non ho ancora subìto brutte cadute, fortunatamente. Ma non c’è davvero una differenza tra la strada e il cross, per quanto riguarda il casco. Quando lo metti dovrebbe essere sempre ben serrato e in tutta onestà, mi sento davvero a mio agio ed estremamente al sicuro con il casco MET che usa la nostra squadra. E’ di ottima qualità.

Nei cross più fangosi, vesti allo stesso modo che su strada?

Abbiamo materiale diverso, che però ci aiuta a coprire ogni tipo di situazione. Corriamo su strada con Vermarc Clothes e nel ciclocross con Kalas. Entrambi hanno le loro qualità e noi abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno.

Casco Intercity Mips: la città non è mai stata così sicura

15.10.2022
3 min
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La bici è bella perché è alla portata di tutti, da chi la usa per pedalare la domenica e da chi la usa per muoversi nel traffico urbano. Andare al lavoro in bici è ormai una bella realtà in tante città d’Italia. Aumenta, però, di pari passo, il tema della sicurezza. Così le aziende che lavorano nel campo dell’accessoristica vanno a creare prodotti sempre migliori. Met presenta il casco Intercity Mips.

Sicurezza al top

In città, dove gli ostacoli sono dietro ogni angolo la sicurezza diventa un fattore ancora più fondamentale. Il casco Intercity Mips aggiunge alla protezione del Met Urbex anche la comodità di una visiera ampia e regolabile. Un upgrade non indifferente se si conta che in città è difficile pensare di usare i canonici occhiali. Questo casco è stato certificato con il brevetto NTA 8776. Si tratta del primo standard di sicurezza al mondo sviluppato specificamente per i ciclisti di eBike. Il che rende il casco in grado di dissipare una quantità maggiore di energia in caso di urto o di impatto con il terreno.

L’Intercity Mips, come si deduce facilmente anche dal nome, è dotato del sistema di protezione Mips C2. Si tratta di un sistema che è in grado di scivolare in caso di impatto al suolo, andando a proteggere le aree più delicate della testa e indirizzando i movimenti rotazionali dannosi. Il sistema Mips è fissato all’interno del casco, tra l’imbottitura comfort e l’EPS.

Visibilità

Il casco Intercity Mips è dotato anche di una comoda e funzionale luce led posta nella parte posteriore del casco. Questo particolare offre un alto livello di visibilità in tutte le condizioni, ad esempio quando tornate a casa la sera dall’ufficio. Si attacca al casco con un sistema magnetico che si posiziona sulla calotta del casco, in più è di facile estrazione, per essere ricaricato tramite una porta USB-C.

Si tratta di una luce resistente all’acqua e dotata di ben quattro funzioni. Luce rossa fissa, rossa lampeggiante, luci rosse stroboscopiche e la modalità notturna, contraddistinta da un led blu fisso. La batteria dura fino a 8 ore e la ricarica completa richiede un’ora. Un’altra caratteristica che rende unico l’Intercity Mips è il sistema di calzata Met Safe-T Heta. Offre una regolazione completa ed una vestibilità adatta ad ogni tipologia di testa. Le cinghie sono ben posizionate e personalizzabili grazie al divisorio regolabile, per garantire facilità d’uso e affidabilità. Il sistema di chiusura magnetico Fidlock rende semplice il fissaggio del casco, mentre la mentoniera imbottita assicura un tocco morbido sulla pelle.

Met

Manta Mips, il casco di Met dedicato alla velocità

16.09.2021
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Met presenta il suo casco, il Manta Mips, pensato per l’utilizzo su strada, triathlon e per l’inverno. L’azienda, ormai da anni insieme al UAE TEAM Emirates e guidata dai consigli dei suoi atleti, ha prodotto un modello adatto a tutti i ciclisti. Le aree di interesse sono molteplici: aerodinamica, sicurezza, vestibilità ed ultimo, ma non meno importante, lo stile.

Dettaglio del casco Manta nella versione nera con sfumature rosse, le aperture posteriori sono studiate per evitare l’effetto drag
Dettaglio del casco Manta nella versione nera con sfumature rosse, le aperture posteriori sono studiate per evitare l’effetto drag

Sicurezza maggiore

Il casco è il primo accessorio a cui si pensa quando si nomina la parola sicurezza e Met lo sa bene. Infatti, il Manta Mips è dotato dei migliori sistemi di protezione per il ciclista. La Mips-C2 è una tecnologia che permette al casco di scivolare in caso di caduta reindirizzando la forza di rotazione, principale causa dei traumi cranici. Infatti, l’atleta non rotolerà, esponendo la parte della testa non protetta dal casco, ma scivolerà via sull’asfalto.

Solamente due aperture anteriori per avere il miglior coefficiente di penetrazione alare possibile.
Solamente due aperture anteriori per avere il miglior coefficiente di penetrazione alare possibile.

Aerodinamica all’avanguardia

Il Manta Mips è un casco molto più estremo dei predecessori in quanto è studiato per avere un taglio molto aerodinamico. Ha pochissime prese d’aria ma estremamente funzionali, soprattutto quelle frontali che sono chiamate a fendere l’aria. Infatti se ne contano solamente due frontali e una superiore che serve per mantenere stabile la temperatura interna del casco.

Il disegno del casco è molto lineare poiché delle geometrie troppo aggressive aumenterebbero l’effetto drag: un disturbo aerodinamico derivante dalle correnti d’aria che, se tagliate in maniera troppo netta, creano dei vortici producendo così un maggiore attrito.

Pratico e comodo

Il casco di Met ha una chiusura migliorata con un cinturino a 360 gradi che toglie punti di pressione dal cranio prolungando l’indossabilità. Inoltre, dispone di una fibbia metallica per facilitare l’allacciatura e due fori per facilitare il posizionamento degli occhiali.

La colorazione di lancio è un rosso metallizzato ispirato alla livrea del UAE Team Emirates. Disponibile in altre cinque colorazioni: nero con inserti rosso lucido, nero con inserti gialli e nero con inserti blu, bianco con inserti neri e total black.

met-helmets.com

Valtellina Ebike Festival, pronto il programma

21.08.2021
3 min
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Manca circa un mese alla seconda edizione del Valtellina Ebike Festival, importante evento dedicato alla mountain bike elettrica, in programma dal 18 al 19 settembre a Morbegno, in Valtellina. Gli organizzatori potranno contare sul supporto di MET Helmets che proprio a Morbegno ha la sua sede e che ricoprirà il ruolo di main sponsor della manifestazione.

https://www.youtube.com/watch?v=yuHsep3IDyo

Al sabato un tour all-mountain

L’iniziativa regina sarà il Festival Ride by Trek di sabato 19 settembre: un grande tour all-mountain che attraverserà vigneti, antichi borghi contadini, castelli e splendidi panorami che abbracciano la vallata fino al Lago di Como. Per rendere l’iniziativa fruibile dal maggior numero di persone sono stati pensati due percorsi che andranno fra loro a incrociarsi in più punti. Il primo, più facile, sarà principalmente su strade asfaltate o sterrate. Il secondo più impegnativo, prevederà il passaggio su sentieri di montagna, comunque mai estremi. Una soluzione volta a garantire un’esperienza divertente al professionista come all’appassionato di Mtb, oppure a chi vuole semplicemente vivere una bella giornata pedalando in compagnia dei propri amici. 

I sapori tipici… non potevano restare fuori dai giochi!
I sapori tipici… non potevano restare fuori dai giochi!

Anche un tour enogastronomico

La Valtellina è famosa, oltre che per le sue bellezze paesaggistiche, anche per il buon cibo. Proprio per questo motivo è stato previsto un self-guided tour su un percorso di 20 chilometri semplice e con poco dislivello. La bicicletta diventerà un semplice mezzo di trasporto tra quattro tappe enogastronomiche dove assaggiare i prodotti tipici del luogo. 

Per chi ama invece vivere emozioni forti sono invece in programma le attività E-Day Race, una gara all-mountain su un percorso di 40 chilometri, e la Trail Experience, un’escursione sui migliori sentieri enduro delle Alpi Orobie accompagnata delle guide locali di 360 Valtellina Bike.

Non solo alte quote, si potrà andare anche alla scoperta dei borghi
Non solo alte quote, si potrà andare anche alla scoperta dei borghi

Scoprire la Valtellina nascosta

Gli organizzatori del Valtellina Ebike Festival hanno previsto diverse opportunità per far scoprire angoli meno noti del loro territorio. Utilizzando le navette con partenza da Morbegno, si potranno visitare alcune valli laterali scegliendo le escursioni guidate by Schwalbe Val Gerola e Bitto, un tour che porta in alpeggio alla scoperta dei segreti della produzione di un formaggio dalla lavorazione antichissima, oppure Val Masino e Foresta Incantata, dove ci si inoltra in uno dei paradisi naturalistici più belli d’Italia e nel suo bosco secolare che ricorda i paesaggi delle fiabe.

Al Valtellina Ebike Festival, ogni tipologia di percorso… anche i più belli e panoramici
Al Valtellina Ebike Festival, ogni tipologia di percorso… anche i più belli e panoramici

L’eBike Village, cuore dell’evento

Punto di ritrovo per tutte le attività è l’eBike Village allestito nella grande piazza a ridosso del centro storico medievale di Morbegno. Qui si potranno noleggiare le e-mtb necessarie alle attività ma soprattutto visitare gli stand delle aziende espositrici, tra cui naturalmente MET Helmets, main sponsor dell’evento.

La manifestazione è sostenuta dalle più importanti istituzioni del territorio: Regione Lombardia, la Provincia di Sondrio, la Comunità Montana e il Comune di Morbegno, il BIM dell’Adda e da altri enti e fondazioni territoriali. Partner nella tracciatura dei percorsi è invece l’applicazione komoot.

Tutte le informazioni relative alle attività, al programma e alle modalità di iscrizione sono disponibili sul sito www.valtellinaebikefestival.com

Trenta 3K Carbon, leggero e sicuro. Garantisce Pogacar

09.04.2021
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Il casco Trenta 3k Carbon con cui corrono gli atleti del Uae Team Emirates nasce da uno studio metodico e approfondito sin nei minimi dettagli da parte del reparto Research & Development di Met, azienda italiana produttrice di caschi da ciclismo da più di 30 anni, con l’obiettivo di rispettare i più alti standard di qualità e le più rigide procedure di sicurezza.

Leggero e sicuro

Un casco leggero dal peso di 229 grammi che presenta ben 19 prese d’aria. Il sistema di sicurezza è garantito dalla protezione Mips-C2 che riesce a disperdere le forze rotazionali causate dall’impatto dovuto ad un eventuale caduta. Grazie alla tecnologia 3K Carbon i tecnici Met hanno rilevato che il modulo elastico del carbonio permette di ridurre la densità della schiuma di EPS (polistirene espanso) di circa il 20%, mantenendo un’ottima stabilità nella resistenza agli urti. Il risultato ottenuto è una calotta più leggera e performante.

«Il casco – dice Pogacar – è una parte cruciale della nostra attrezzatura. Come ciclisti lo indossiamo tutti i giorni. Se non è comodo e leggero, allora è un problema. Fortunatamente MET ci offre i migliori caschi possibili».

Come nasce

La notevole riduzione del peso è dovuta anche al materiale con cui è stato realizzato il casco, che abbina fibre composite e Polistirene Espanso Sinterizzato: un materiale organico sintetico. Si tratta di un prodotto di origine naturale che viene trattato con processi di produzione di tipo artificiale, con struttura cellulare. L’EPS è costituito per il 98% da aria, la restante parte da carbonio ed idrogeno. Al termine del processo di formazione si ottiene un prodotto rigido e di peso ridotto.

Aerazione e aerodinamica

L’aerazione del casco è garantita da un sistema complesso che presenta 19 prese d’aria. Lo scopo è quello di non trattenere l’aria all’interno e di mantenere la testa fresca. Il sistema di ventilazione è stato studiato in collaborazione con l’organizzazione statunitense NACA (National Advisory Comittee for Aeronautics). La finalità di questa collaborazione è quella di massimizzare il flusso d’aria costante senza sfavorire le prestazioni aerodinamiche del Met Trenta 3K Carbon.

La presa d’aria nella parte anteriore del casco sfrutta la potenza dell’effetto Venturi e spinge fuori l’aria calda dall’interno del casco, attraverso scarichi appositamente posizionati nella parte posteriore. Ciò garantisce un flusso d’aria costante attraverso il casco, senza creare resistenza aerodinamica.

Le impressioni di Trentin

Per approfondire abbiamo deciso di sentire anche Matteo Trentin, corridore di punta della formazione UAE Emirates.

«E’ un casco veramente comodo – dice – che canalizza l’aria al suo interno come pochi altri. La parte posteriore è stata progettata appositamente per favorire il deflusso dell’aria. Fin da subito mi sono reso conto che il ricambio è efficace e garantisce la giusta freschezza. E poi mi piace anche perché è aerodinamico e io a questo fattore attribuisco molta importanza. Ho avuto una buona impressione dalla prima volta che l’ho indossato. Resta fermo ben allineato con la testa. Inoltre posso dire che non ti accorgi nemmeno di averlo. E’ così leggero che ti permette di pedalare con un comfort veramente elevato».

Chiuso e aperto

A corollario di quanto detto, arriva la distinzione fra due modelli di casco in uso al team.

«Abbiamo 2 tipologie di caschi – prosegue Trentin – uno chiuso, il Manta Mips, da usare preferibilmente con la pioggia o per le volate e uno classico per il bel tempo, il Trenta 3K Carbon. In linea di massima è preferibile usare il casco chiuso in condizioni di maltempo. Ma devo dire che il Trenta 3K Carbon con la pioggia va bene anche in versione classica. In fondo è un discorso più individuale, dipende dalle preferenze. Io ad esempio utilizzo il casco chiuso per le corse in cui c’è freddo o anche pioggia. Mentre utilizzo invece il casco aperto per le corse in cui c’è il sole o comunque la temperatura è gradevole».