Universo crono, customizzazione ed efficienza sono il segreto

30.06.2025
6 min
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CREMA – Le crono sono un mondo a parte. La disciplina delle prove contro il tempo e tutto quello che ruota attorno ai componenti, in termini di consensi del grande pubblico, non sono al pari del mondo road vero e proprio. Eppure questo universo è una fucina di idee.

Dopo le tante customizzazioni viste al Giro d’Italia, solo per citare l’ultima grande corsa a tappe, ci siamo posti dei quesiti e abbiamo voluto abbozzare una sorta di confronto. Le domande: comfort del corridore e posizione in sella relativa alle protesi, cosa conta davvero? Si possono guadagnare, o perdere secondi considerando le sole estensioni? Cosa si può dedurre valutando i feedback dell’atleta? I componenti: 4 estensioni di casa Deda e due giovani atleti che si sono impegnati in questo test (nulla di troppo scentifico). Mattia Agostinacchio (Ciclistica Trevigliese ancora per questo 2025) e lo junior Lorenzo Ghelfi (Pedale Casalese Armofer).

Agostinacchio e Ghelfi durante le fasi di riscaldamento e presa confidenza con la pista
Agostinacchio e Ghelfi durante le fasi di riscaldamento e presa confidenza con la pista

Il contesto ambientale e la prova

L’ambiente è quello del Velodromo Pierino Baffi di Crema, impianto all’aperto con pista in cemento. L’anello è lungo 329,25 metri. La prova si è svolta in una calda giornata (alla mattina) intorno a metà giugno. I test sono terminati poco dopo le ore 12, cercando di non mettere eccessivamente sotto stress i ragazzi per quanto concerne il calore. Da sottolineare che, a ridosso delle ore 12, durante l’ultima fase di test, Agostinacchio ha superato i 39° di temperatura corporea (dato rilevato grazie al sensore Core).

1,01 chilometri percorsi per ogni singola fase della prova, quindi con ogni set di protesi e la distanza è stata percorsa all’interno del terzo segmento del velodromo, quello compreso tra la riga nera e quella rossa. Lorenzo Ghelfi ha utilizzato una bici standard (Drali Ametista), prima con le Deda Parabolica PRO in alluminio e in seconda battuta con le Fast PRO in carbonio, estensioni che appartengono alla medesima famiglia. Il wattaggio di riferimento di Ghelfi è stato di 320 watt per le due prove. Agostinacchio ha utilizzato la bici da crono Colnago (senza freni a disco, ma con ruota lenticolare posteriore), prima con le protesi Deda Jet, per passare alle Jet Hydro personalizzabili nella seconda fase. 350 i suoi watt di riferimento. Per entrambi i giovani atleti si è cercato di mantenere la medesima altezza delle estensioni, in modo da non cambiare la penetrazione aerodinamica della sezione frontale (testa, spalle, busto e schiena).

Maurizio Canzi e Davide Guntri di Deda
Maurizio Canzi e Davide Guntri di Deda

Qualche dettaglio sulle protesi da crono

Possiamo categorizzare la famiglia PRO, composta da Parabolica in alluminio e Fast PRO in carbonio, come una sorta di standard per chi vuole usare le estensioni da crono e poterle montare anche sui manubri integrati in dotazione alle bici per le attività in linea. Sono perfettamente adattabili anche grazie ad una serie di componenti disegnati appositamente per questo. L’alluminio è semplice sotto il profilo ergonomico, una sorta di tubo. Fast PRO in carbonio mostrano una ricerca non banale in fatto di design e proprio di ergonomia. Entrambi non sono personalizzabili, se non nella larghezza quando montate sulle piastre e tramite le torrette di supporto (c’è sempre da considerare il rispetto delle proporzioni imposte dall’UCI). Da notare che Lorenzo Ghelfi ha già utilizzato le Parabolica in alluminio, ma a Crema è stata una prima con quelle in carbonio.

La famiglia Jet di Deda è molto più ricercata e, prima della strenua ricerca della personalizzazione, proprio le Jet sono state prese ad esempio ai livelli più alti. Sono le protesi alari, tra le primissime a proporre le ali di contenimento delle braccia, dei gomiti e di tenuta della posizione. Mattia Agostinacchio utilizza normalmente le Deda Jet sulla sua bici da crono, per lui a Crema la novità è stata la versione Hydro. Hydro ha il fusto principale in alluminio ed il terminale in polimero stampato 3D, quest’ultimo è customizzabile da parte di Deda in base alle richieste del corridore, tenendo conto di alcune caratteristiche fisiche dell’utilizzatore.

I risultati del test

Ghelfi con le protesi in alluminio, 122″330, alla media oraria di 44,600. Con le Fast PRO in carbonio, 1’21″770 alla media oraria di 44,900. Più veloce con le protesi in carbonio e anche il feeling del corridore ha il peso.

«Con le Deda in carbonio mi sono trovato subito meglio – ha detto – più comodo soprattutto verso il polso. Un feeling generico migliore, soprattutto grazie all’appoggio complessivo vicino al gomito e proprio del polso con una chiusura ottimale. Altra sensazione positiva è legata ad un minore impatto del vento».

Agostinacchio con le Jet standard, 118″490 ad una media oraria di 46,800. Con le Jet Hydro, 1’17730 a 47 chilometri orari di media, ma come citato in precedenza c’è da considerare anche “l’effetto caldo” nella seconda fase di test con Agostinacchio. Non solo, il terminale delle Hydro non è stato plasmato sulle caratteristiche fisiche del giovane corridore, un dettaglio che può fare tantissima differenza.

«Anche se non è stata fatta una personalizzazione certosina – ha detto il valdostano – mi sono trovato meglio con le Hydro, grazie ad una maggiore stabilità percepita, tanto appoggio e presa della mano. Mi sono sentito anche più comodo, quasi disteso, nonostante non abbia mai usato in precedenza queste protesi da crono».

In conclusione

Oltre ai numeri emerge il fattore comfort del corridore. Un atleta messo a proprio agio riesce a sfruttare e fare suo un feeling migliore, traducendolo in una performance migliore. Questo si verifica nelle prove più brevi, come nel nostro caso, ma i numeri assumono connotazioni ampie nel caso di competizioni più lunghe e dure (prendiamo ad esempio le crono dei Grandi Giri). Ecco perché la customizzazione dei componenti da crono è entrata in modo così prepotente e non si tratta di dettagli marginali. Ovviamente è necessario considerare tutto quello che ruota intorno alle tecnologie dei materiali che oggi sono disponibili, che non esistevano solo poche stagioni addietro.

Se è vero che la variabile maggiore è sempre il corridore, con le sue “imperfezioni”, i suoi movimenti quando pedala e lo stesso modo di stare sulla bici che può essere soggetto a variazioni (se pur minime e talvolta involontarie), l’obiettivo delle aziende è quello di fornire materiali efficienti in grado di costruire una base solida sulla quale lavorare, esente da variabili, capace di mettere l’atleta nelle condizioni migliori. La sensazione è che in questa categoria di “strumenti per la competizione massima” si è solo agli inizi.

Anche su strada ora sanno chi è Agostinacchio…

08.06.2025
5 min
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Appena 11 giorni di gara, eppure Mattia Agostinacchio il suo marchio sulla stagione lo ha già messo: due vittorie nelle classiche nazionali, una presenza corposa alla Corsa della Pace con una piazza d’onore nella prima tappa e un comportamento sempre da uomo squadra, infine una prestazione sontuosa al Trophée Centre Morbihan, la classica corsa francese in due giorni dove ha vinto la seconda tappa (foto di apertura di Pascal Granger) finendo in classifica alle spalle solo del britannico Max Hinds.

E’ un Agostinacchio diverso da quello dello scorso anno e l’aostano lo sa bene: «La prima causa è sicuramente quella fisica: ho solo 17 anni, sono nel pieno della maturazione fisica e il mio corpo si è evoluto. Sono cresciuto in altezza, in peso, in misure sulla bici. Questo permette di cambiare completamente il motore, i wattaggi che riesco a esprimere. Ma non è solo una questione fisica».

Il corridore della Ciclistica Trevigliese festeggiato sul podio di Locminé (foto organizzatori)
Il corridore della Ciclistica Trevigliese festeggiato sul podio di Locminé (foto organizzatori)
Quanto influisce nella tua serie di risultati anche quanto è successo questo inverno, culminato con la conquista della maglia di campione del mondo di ciclocross?

Tantissimo, è evidente. Sono un altro corridore soprattutto mentalmente. Ora so perfettamente chi sono e chi voglio essere in bicicletta. Mi riesce tutto in maniera più facile perché ho raggiunto una nuova consapevolezza.

Quale reputi finora la tua gara più bella su strada?

Non saprei proprio scegliere perché ognuna mi ha dato qualcosa. La vittoria al Liberazione di Massa, ad esempio, ma anche la prova di Cantù dove ho rivinto dopo lo scorso anno, le gare alla Corsa della Pace con la maglia azzurra toccando vertici internazionali di altissimo profilo, ma anche in Francia dove ho vinto. Io però fra queste ci metto anche una gara sfortunata ma che per me ha sempre un valore speciale: l’Eroica, dove spero tanto un domani, in altro ambito, di farmi valere.

Agostinacchio e Magagnotti, alla Corsa della Pace hanno mostrato segni di ottima coesistenza (foto organizzatori)
Agostinacchio e Magagnotti, alla Corsa della Pace hanno mostrato segni di ottima coesistenza (foto organizzatori)
Parlavi della Corsa della Pace dove sei riuscito anche a trovare una coesistenza con Magagnotti

Non è stato per nulla difficile: nella prima tappa eravamo entrambi liberi di fare la nostra corsa, nella seconda invece gli ho tirato la volata. Mi dispiace solo che successivamente non abbiamo più avuto modo di collaborare. Quel suo successo mi ha dato molta soddisfazione, è stato gratificante poter contribuire alla vittoria della nazionale anche se non sono stato io ad alzare le braccia al cielo.

In Francia però ci sei riuscito…

Era una corsa più impegnativa, con molti strappi, alcuni anche abbastanza duri e su uno di questi ho cercato la soluzione di forza. Avevamo Fedrizzi pronto per la volata, io potevo giocarmi le mie carte e sono riuscito a fare la differenza, ma non sono riuscito a colmare tutto il ritardo da Hinds. Devo dire comunque che è andata bene anche perché in quell’occasione ho dimostrato che non sono solo uno sprinter, ma che ho varie frecce al mio arco. Io penso di essere un corridore tuttofare, che può emergere un po’ dappertutto quando sono nella giusta condizione.

Il podio del GP Liberazione di Massa, con Agostinacchio fra Manion (AUS) e Doghetti (foto Fruzzetti)
Il podio del GP Liberazione di Massa, con Agostinacchio fra Manion (AUS) e Doghetti (foto Fruzzetti)
Ancora non hai annunciato quale sarà la squadra che ti accoglierà il prossimo anno ma si sa che hai già fatto la tua scelta. Con i responsabili sei in contatto, ti stanno seguendo?

Assolutamente sì, è un percorso già iniziato anche se faccio tranquillamente la mia attività alla Ciclistica Trevigliese. Mi seguono con assiduità, anche per poter programmare bene il mio prosieguo. Il passaggio non lo aspetto con timore, anzi sono molto curioso di vedere che cosa mi riserverà il futuro. Ma non so ancora se la mia stagione si chiuderà in anticipo per cominciare a preparare il ciclocross, questo lo decideremo più avanti in base al corso dell’annata.

Continueremo a vederti comunque in gara anche d’inverno?

Certo, almeno per i prossimi anni ho intenzione di continuare, all’estero la doppia attività è quasi la normalità. Se poi dovrò fare una scelta affronterò il discorso a tempo debito, per un po’ di stagioni continueremo su questa splendida convivenza anche perché vedo che sono controllato con un occhio diverso dopo la vittoria iridata.

Mattia e la sua maglia di campione europeo. Un paio di corse a fine stagione, poi via su strada
Mattia e la sua maglia di campione europeo. Un paio di corse a fine stagione, poi via su strada
Quali altri appuntamenti ti attendono?

Il 15 correrò l’internazionale di Solighetto, poi la prova tricolore a cui vorrei aggiungere anche quella a cronometro e poi ci sarà a luglio un’altra importante prova a tappe in Francia, l’Ain Bugey Valromey Tour con la Trevigliese.

A proposito di cronometro, è diventato un tuo obiettivo?

Voglio migliorare perché i risultati che ho ottenuto finora non sono frutto di allenamenti specifici. Da martedì sarò libero dagli impegni scolastici (l’anno della maturità è il prossimo, ndr) e sarò più libero anche per allenarmi sulla bici da crono, mi ci potrò dedicare di più e abituarmi soprattutto alla posizione.

Magagnotti e Capello tornano rigenerati dalla Boemia

17.05.2025
6 min
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Grazie alle prestazioni ottenute alla Course de la Paix, soprattutto da Agostinacchio, Capello e Magagnotti, l’Italia è al comando della Nations Cup juniores maschile. E’ un risultato che per molti versi sorprende, considerando che lo stesso cittì Salvoldi, nel commentare le ottime prestazioni italiane in terra boema non ha mancato di ricordare come la tradizione italiana nel ciclismo giovanile voglia che in primavera ci sia un normale gap con le altre nazioni, dettato soprattutto dagli impegni scolastici. Eravamo abituati a vedere un’altra Italia da luglio in poi, ma anche le tradizioni più radicate sono destinate ad aggiornarsi, a quanto pare.

Il podio della prima tappa dove l’olandese Schonvelde ha vanificato il lavoro degli azzurri
Il podio della prima tappa dove l’olandese Schonvelde ha vanificato il lavoro degli azzurri

Due azzurri, due obiettivi

Alla Corsa della Pace tutti gli azzurri sono stati protagonisti, ma, dopo aver sottolineato i risultati e soprattutto la presenza come uomo-squadra dell’iridato di ciclocross Mattia Agostinacchio, l’accento va posto su due corridori, Alessio Magagnotti e Roberto Capello. Perché hanno avuto un rendimento elevatissimo dedicandosi a due obiettivi ben diversi: il primo ha puntato ai successi di tappa e alla conseguente classifica a punti, Capello da parte sua si è ritrovato a battagliare per la classifica generale, portando a casa un podio che vale oro e che ha inorgoglito anche il suo team, la Grenke Auto Eder che aveva creduto in lui sorprendendo con il suo ingaggio molti addetti ai lavori.

Partiamo da Magagnotti, che con i risultati portati a casa mette pace in una prima parte di stagione iniziata con qualche patema: «La prima parte di stagione era andata maluccio, troppa sfortuna e appuntamenti mancati con la vittoria. Avevo perso un po’ di autostima, non capivo perché non riuscissi a tradurre in risultati la mia condizione, le mie aspettative. Poi è arrivata la prima vittoria al Memorial Vangi, ma il cambio di rotta l’ho vissuto al Trofeo Emozione, dove sono riuscito a vincere pur avendo bei problemi con l’allergia. Lì è cambiato un po’ tutto».

La vittoria di Magagnotti nella semitappa del secondo giorno, favorita da Agostinacchio (3°)
La vittoria di Magagnotti nella semitappa del secondo giorno, favorita da Agostinacchio (3°)
Quella in terra boema era la tua prima uscita all’estero in questa stagione, ti aspettavi un bottino così ricco?

Diciamo che non sapevo quale poteva essere il mio reale valore, ma in ogni tappa sono partito con l’obiettivo della vittoria. Il podio nella prima tappa è servito molto, nella semitappa del secondo giorno mi sono accorto che qualcosa era cambiato dal punto di vista mentale, mi sentivo abbastanza sicuro, ma al di là dei risultati, quel che mi porto dietro dalla Boemia è il fatto che sono riuscito a rimanere sempre con i migliori, anche nella tappa più dura.

Un aspetto dei risultati che merita un approfondimento è il fatto che in tutte le volate sei arrivato tra i primi come anche Agostinacchio: facevate sprint diversi?

Il primo giorno sì, avevamo avuto disposizione di fare io la volata con la squadra a farmi da treno e Mattia a fare lo sprint isolato. Purtroppo ci è sfuggito l’olandese Schoonvelde così abbiamo chiuso secondo lui e terzo io. Ma si vedeva che andavamo forte. Il secondo giorno invece Mattia mi ha tirato lo sprint fino ai 600 metri ed è stato importante per poter poi lanciare la volata, la vittoria è anche merito suo. Nella tappa più dura siamo rimasti insieme, l’ultimo giorno lui ha vinto la volata del gruppo, io ero con quelli in fuga, ma ero davvero in debito di energie, ho fatto lo sprint ma non ne avevo per vincere e ho chiuso secondo.

Il trentino in maglia bianca. Magagnotti ha già trovato un accordo con un devo team per il 2026
Il trentino in maglia bianca. Magagnotti ha già trovato un accordo con un devo team per il 2026
In attesa di poter ufficializzare la squadra per il prossimo anno si sa già che è un devo team del WorldTour. Avere la strada già spianata in questo periodo della stagione è un aiuto dal punto di vista psicologico?

Fino a un certo punto. So che avrò un futuro in un grande team, ma ci penserò al momento opportuno, per ora conta il fatto che corro per l’Autozai Contri e voglio onorare questa maglia fino all’ultimo giorno ottenendo quante più vittorie possibile. La mia fame di vittorie non si è minimamente placata dopo l’accordo per il 2026, vado avanti giorno per giorno.

Un po’ ti penalizza il fatto che i percorsi delle gare titolate sono per scalatori puri, ti senti tagliato fuori?

L’europeo so che non si adatta a me, per il mondiale però un pensierino lo faccio ancora, voglio vedere bene com’è il percorso per capire se e cosa posso fare. Poi c’è sempre la pista, sulla quale ora voglio concentrarmi anche perché mi piacerebbe essere chiamato ancora a far parte del quartetto. Insomma, di carne al fuoco ce n’è tanta…

Il podio finale della Course de la Paix, vinta da Jackowiak (POL) con 2″ su Herzog (ER) e 10″ su Capello
Il podio finale della Course de la Paix, vinta da Jackowiak (POL) con 2″ su Herzog (ER) e 10″ su Capello

Un podio arrivato a sorpresa

Mentre Magagnotti e Agostinacchio lottavano per le tappe, c’era però Roberto Capello che guardava alla classifica e il suo podio è forse l’esito più sorprendente della corsa a tappe in terra ceka: «Sinceramente il podio non me l’aspettavo, anche se precedentemente, al GP West Bohemia avevo chiuso al 6° posto, ma era una corsa diversa e soprattutto con una partecipazione di livello molto differente. La cosa che mi ha stupito è stato il mio rendimento a cronometro: non ne avevo mai fatte eppure ho chiuso in Top 10. Nella tappa regina mi sono difeso attaccando, ho provato un paio di volte ad andar via e alla fine ho chiuso 6°. Alla fine il terzo posto è un grande traguardo».

Scaturito anche senza cercarlo troppo…

La squadra era giustamente più improntata sulla caccia alle tappe, ma io ho visto che tenevo e la classifica si metteva sempre meglio. Così man mano il team mi ha aiutato, soprattutto nella penultima tappa e in quella finale avevamo anche pensato a cercare il colpo a sensazione, ma non ci siamo riusciti.

Capello con il team Grenke Auto Eder. L’esperienza internazionale sta già portando i suoi frutti
Capello con il team Grenke Auto Eder. L’esperienza internazionale sta già portando i suoi frutti
Con i compagni di squadra ti conoscevi?

Sì, tranne Agostinacchio. Con gli altri ci troviamo spesso alle gare, succedeva così sin da quand’eravamo allievi quindi anche militando in squadre diverse ci si ritrovava spesso a parlare. Si è formato un bel gruppo, io credo che sia stato il primo ingrediente per i risultati che abbiamo portato a casa perché eravamo molto amalgamati.

Quanto influisce il militare nel team inserito nella filiera Red Bull, quanto ti ha cambiato finora?

E’ un aspetto fondamentale perché si lavora tantissimo sulla fiducia reciproca. Sai che se un giorno lavori per far vincere un compagno, poi verrà il momento che ricambierà e correrà per farti vincere. Questo clima si è ricreato in nazionale, con corridori con i quali normalmente si è in competizione e questo credo sia molto importante. Nel team internazionale sono già cresciuto molto, sia a livello tecnico che tattico, ma i bilanci si fanno a fine stagione. Io ora aspetto la prima vittoria, sto lavorando per quello.

Per Capello (numero 60) ora sono in programma prove italiane da affrontare senza il supporto del team
Per Capello (numero 60) ora sono in programma prove italiane da affrontare senza il supporto del team
Che cosa stai imparando in particolare?

C’è una mentalità diversa, per la quale si corre sempre per vincere, non importa come sia il percorso e chi ci sia come avversario. Questo mi fa capire come sia stata la scelta giusta. Ora mi aspettano un po’ di gare in Italia dove sarò solo, ma questo non mi pesa, perché è qualcosa che ho già fatto in passato e so come muovermi, come sfruttare il lavoro degli altri team. E’ chiaro però che quando ci sono i miei compagni di squadra, è molto meglio…

Tra pista e juniores, la doppia veste di Salvoldi

14.05.2025
5 min
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E mentre il suo collaboratore di sempre Sangalli si accinge al debutto al Giro, Dino Salvoldi è reduce da un’importante trasferta, quella per la Corsa della Pace. Ennesimo capitolo di una stagione nella quale non c’è sosta, visto il suo doppio incarico federale di responsabile della categoria (in toto, cioè fra pista e strada com’era prima) e di cittì della pista maschile nel suo insieme. Tenere dietro a tutto non è facile, ma come aveva fatto tre anni fa quando gli fu affidato il settore giovanile, il tecnico si è messo al lavoro per ambientarsi il più possibile.

Ecco quindi che ogni intervista, ogni contatto lo investe da due sponde, per tastare con mano la situazione da una parte e dall’altra. Lui però sembra avere già trovato la quadra per la coesistenza fra le due anime. La chiacchierata non può che prendere avvio proprio da quanto avvenuto in terra boema.

La squadra azzurra in Boemia: da sinistra Magagnotti, Mengarelli, Agostinacchio, Capello e Bertoncelli
Parte della squadra azzurra in Boemia: da sinistra Agostinacchio, Capello e Bertoncelli

«Essere stati protagonisti in una gara così prestigiosa è un bellissimo segnale. Abbiamo vinto la classifica a squadre e fatto doppietta in quella a punti con Magagnotti e Agostinacchio, siamo saliti sul podio generale con Capello, poi una vittoria di tappa sempre con Magagnotti e altri tre podi grazie anche ad Agostinacchio, credo che i numeri dicano tutto. Quel che non dicono è che torniamo a casa anche con qualche rimpianto in valigia, perché nella tappa principale abbiamo provato a ribaltare la classifica e solo un pizzico di sfortuna e qualche imprecisione ce lo hanno impedito».

Come ti stai trovando con i ragazzi?

Diciamo che questo è la prosecuzione del lavoro degli anni precedenti, anche perché questi ragazzi sono al secondo anno e sono molto più avvezzi, si vede la loro crescita anche personale. Siamo arrivati all’evento con meno raduni per il ridotto budget a disposizione, abbiamo pagato a caro prezzo l’annullamento dell’Eroica che ci sarebbe servita tantissimo, ma il primo test internazionale ci ha dato risposte anche superiori alle aspettative.

Il cittì con i ragazzi prima del via di una tappa. La scelta delle strategie è stata fondamentale per loro
Il cittì con i ragazzi prima del via di una tappa. La scelta delle strategie è stata fondamentale per loro
D’altro canto sulla categoria c’è molta attenzione dopo l’exploit di Finn agli ultimi mondiali. Si sente la sua mancanza ora che è passato di categoria?

Quella è stata una bellissima pagina, ma noi dobbiamo andare avanti. Io noto che il livello medio del nostro movimento si è molto alzato. In alcune gare che tre anni fa mostravano una grande selezione, oggi vedo arrivi di gruppi abbastanza corposi, questo significa che il livello generale è salito, lo dicono anche le medie orarie. Per me questo test aveva molto valore, anche se è presto per trarne indicazioni per le prove titolate.

Dicevi però che questo era un punto di svolta. E ora?

Ora inizieremo a differenziare i gruppi, mettendo da una parte chi è immediatamente competitivo e dall’altra quei ragazzi di primo anno sui quali lavorare con costrutto per il 2026. Teniamo anche conto di un fatto: tradizionalmente il nostro movimento nella prima parte dell’anno è meno brillante perché c’è la variabile scuola che influisce molto di più che negli altri Paesi, penso che andando avanti nella stagione il nostro livello crescerà ancora.

Salvoldi è spesso presente alle gare junior italiane per valutare il livello dei ragazzi
Salvoldi è spesso presente alle gare junior italiane per valutare il livello dei ragazzi
Veniamo alla pista, come ti stai gestendo?

Con gli under 23 il mio lavoro è iniziato praticamente da un mese – risponde Salvoldi – ma per la categoria sono già settimane importanti perché ci sono gli europei da preparare. Ho formato un primo gruppo di riferimento, d’altronde i ragazzi degli anni 2004-06 sono quelli che ho seguito nelle passate stagioni, quindi il lavoro è abbastanza agevole, ci si conosce già. Devo dire che sono particolarmente soddisfatto delle loro continue presenze a Montichiari, del lavoro che stiamo svolgendo. Non era così scontato considerando che il 90 per cento di loro è in team internazionali alle prese con un calendario intenso. Ho trovato, anche da parte di questi, disponibilità totale.

E per quanto riguarda gli elite? Ammetterai che è una stagione strana, senza eventi importanti fino a ottobre…

Per certi versi può anche essere un vantaggio in questa fase di passaggio. Noi intanto stiamo continuando gli allenamenti e ho detto ai ragazzi di pensare a lavorare, quando vengono, senza guardare il cronometro. Io credo che in questo momento bisogna fare una distinzione, guardare soprattutto ai nuovi, agli under 23 per trovare quegli elementi che dal 2027 saranno fondamentali per raggiungere la qualificazione olimpica e il livello che ci compete.

Insieme al gruppo degli under 23 Salvoldi ha già lavorato, portandoli ai vertici mondiali juniores
Insieme al gruppo degli under 23 Salvoldi ha già lavorato, portandoli ai vertici mondiali juniores
Con gli altri sei in contatto?

Sicuramente, ci siamo già incontrati e ci sentiamo, siamo d’accordo che fino al Tour de France, al quale la maggior parte di loro parteciperà, saranno concentrati sulla strada, poi ci risentiremo e vedremo chi potrà investire parte del tempo sui mondiali di quest’anno.

Ha stupito un po’ il fatto che alla recente riunione di Gand ad accompagnare i ragazzi è stato Villa. Con lui c’è interscambio?

C’è e ci sarà sempre, succedeva così anche lo scorso anno. Lui poi segue le ragazze della pista, è chiaro che in questo mondo ha il suo cuore ed è una risorsa in più alla quale attingo volentieri. Noi siamo colleghi, ma prima di tutto amici: questa rotazione di ruoli fa parte del nostro programma, la ritengo qualcosa di molto utile.

Il tecnico azzurro sta prestando particolare attenzione agli under 23 per preparare gli europei (foto Uec)
Il tecnico azzurro sta prestando particolare attenzione agli under 23 per preparare gli europei (foto Uec)
Accennavi prima che questa stagione “soft” può essere un aiuto per te…

Sì, ma non dimentichiamo che non c’è tempo da perdere perché sappiamo già che il sistema di qualificazione olimpica sarà ancora più duro e restrittivo rispetto a Parigi e dovremo farci trovare pronti. Quindi bisogna alzare il livello subito, per questo la stagione che stiamo vivendo non è certo di riposo, le gare degli under 23 saranno importantissime.

“Filo” Agostinacchio, un anno senza paura puntando al massimo

29.04.2025
5 min
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Negli stessi giorni in cui il fratello Mattia annunciava l’approdo dal 2026 alla EF Education-EasyPost, Filippo Agostinacchio infilava una serie di ottimi piazzamenti nelle più impegnative classiche di aprile. Così se il piccolo si è guadagnato il professionismo grazie al titolo mondiale juniores di ciclocross dello scorso gennaio a Lievin, per il più grande della nidiata valdostana (22 anni compiuti il 26 aprile) quel traguardo dovrà essere per forza la conseguenza dei risultati su strada.

Il suo approccio con gli anni che passano non tradisce alcun tipo di nervosismo. La base di tutto sono il lavoro e la convinzione nei propri mezzi, del finale si parlerà quando sarà stato scritto. Lo spunto per questa chiacchierata sono proprio i piazzamenti ottenuti a San Vendemiano, al Recioto e al Belvedere, battuto dai corridori dei devo team, ma senza il senso di inferiorità che in anni passati ha reso il confronto improponibile. C’è un ristretto numero di squadre continental in Italia che lavora nel modo giusto e gli effetti alla fine si ripercuotono sugli ordini di arrivo. La Biesse-Carrera è una di queste.

Si può dire che, lavorando bene, le differenze non sono poi così incolmabili?

Alla fine, se lavori bene, è così. Poi ovvio che io sono un quarto anno, quindi ho anche più anni di loro alle spalle. Però è vero anche che non ho l’esperienza e le opportunità che loro hanno già avuto, quindi sono cresciuto in maniera diversa.

Dodicesimo al Belvedere poi quinto al Recioto, qual è stato il più difficile da centrare?

Tra le due giornate, sicuramente quella in cui stavo peggio è stata il Belvedere, quindi ho fatto decisamente più fatica lì che al Recioto, dove stavo decisamente meglio.

Il quarto anno da U23 sarà decisivo per il seguito della carriera?

Diciamo che dopo il quarto anno under 23, forse ne rimane un altro da elite, ma solo se sei uno che è sbocciato tardi. Quindi se questo non è l’anno decisivo, è comunque il penultimo. Però io lo sento come l’anno giusto, ma senza pressione. Prendo quello che viene e mi godo il processo.

La stagione di cross di Filippo Agostinacchio si è conclusa il 30 dicembre. A novembre è stato oro nel team relay degli europei
La stagione di cross di Filippo Agostinacchio si è conclusa il 30 dicembre. A novembre è stato oro nel team relay degli europei
Con questa consapevolezza, l’ultimo inverno è stato diverso dai precedenti?

A livello di impegno, è rimasto lo stesso di sempre, anzi probabilmente quest’anno è stato inferiore. Non come impegno fisico e di ore, ma come pressione mentale che mi metto addosso da solo. Sono più tranquillo. Mi sono detto: «Se va bene, va bene. Se va male, comunque avrò dato il massimo».

Hai fatto meno cross per restare più concentrato sulla strada?

Sono stato costretto a ridurlo perché ho avuto un infortunio alla schiena. Ho smesso a fine dicembre, ma ormai ho superato l’infortunio e adesso va tutto bene. Sto recuperando. Ancora non posso andare in palestra, che è un po’ limitante, soprattutto nelle gare esplosive, però sto compensando bene.

Ci siamo detti che sono poche le continental italiane che lavorano al livello dei devo team. Perché alla Biesse-Carrera si lavora bene?

Perché siamo come una famiglia. Siamo molto uniti e abbastanza maturi dal dire che quando uno sta meglio, si corre e si lavora per lui. Senza che ci sia bisogno di puntare i piedi, si fa spontaneamente. Dario e Marco (Nicoletti e Milesi, i due diesse del team, ndr) sanno riconoscere lo spazio che meritiamo e noi ragazzi siamo in grado di capire le situazioni. E’ chiaro che ognuno voglia spazio per sé, però bene o male ci diamo tutti una mano.

Sesto al Memorial Polese, seconda corsa di stagione. Agostinacchio ha appena compiuto 22 anni (photors.it)
Sesto al Memorial Polese, seconda corsa di stagione. Agostinacchio ha appena compiuto 22 anni (photors.it)
A parte Laigueglia, non sei mai uscito dai primi 10. Senti di essere al tuo meglio?

Sento di stare bene e che adesso manca soltanto il guizzo per vincere, la vera cosa che conta. Penso di aver già mostrato qualcosa di buono nelle gare di aprile, ma questa primavera non è ancora finita, anche se non credo che correrò ancora tra i professionisti. E poi comunque si tratterà di andare in altura a Livigno per preparare il Giro Next Gen, dove spero di tirar fuori qualcosa di buono.

Perché ti sei fermato al Giro d’Abruzzo?

Sono stato male per tre giorni. Nel primo, ho patito il viaggio. Poi sono un po’ stato meglio, mentre il terzo ho dormito di nuovo male. E la terza tappa non sono riuscito a terminarla, anche perché il meteo non mi ha dato una mano (Agostinacchio si è fermato nel giorno di Roccaraso, quando pioveva forte e quasi ha nevicato, ndr).

Ti capita ancora di allenarti con tuo fratello?

Quando ci vediamo, sì. Quando abbiamo la fortuna di stare insieme, ci alleniamo. Sono stato 20 giorni lontano da casa, quindi di recente non l’ho proprio visto.

Lo scorso anno in maglia Beltrami, Agostinacchio ha centrato il 3° posto alla Freccia dei Vini e a Collecchio
Lo scorso anno in maglia Beltrami, Agostinacchio ha centrato il 3° posto alla Freccia dei Vini e a Collecchio
Il fatto che lui abbia già annunciato il passaggio è una motivazione per te?

Non risento della disparità e non la vivo come tale. L’ho visto crescere e da un anno e mezzo lo alleno io, sotto supervisione di mio padre. Quindi non posso che essere contento. Dite che mi sono trovato un lavoro per quando sarò grande? Non lo so, adesso non ci penso. Mi piacerebbe conoscere le tappe del Giro e cominciare a prepararmi, ma ancora nessuno ne sa niente. Ci sarà da aspettare ancora…

Gli 11 iridati di casa Guerciotti: ognuno diverso dall’altro

13.02.2025
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Vedere la rimonta di Mattia Agostinacchio, assaporare la conquista della maglia iridata rappresenta sempre qualcosa di speciale, anche per Alessandro Guerciotti che nel corso della sua vita, queste gioie le ha vissute spesso. Sono infatti ben 11 con lo stesso valdostano coloro che hanno vestito la maglia arcobaleno militando nel team. Di alcuni Alessandro ha ricordi legati alla sua infanzia, ma poi la sequenza di successi ha accompagnato tutta la sua crescita, personale e professionale (nella foto di apertura la festa dei 60 anni Guerciotti, con Djernis, Kluge e Liboton)

Parlarne significa fare un tuffo nella piscina dei ricordi e il primo è particolarmente toccante quanto recente: «Il nostro primo campione è stato proprio Vito Di Tano e averlo perso proprio poco dopo la conquista del titolo ha allargato la ferita. Vito è stato un precursore anche in questo, ci è sempre stato vicino, era davvero uno di famiglia. Io lo ricordo gigantesco quand’ero bambino, questo campione che parlava con mio padre, che vestiva quella maglia meravigliosa. Poi abbiamo avuto modo di lavorare insieme per tanto tempo e condividere tantissimo delle nostre vite».

Di Tano e Liboton, campioni nelle due principali categorie. Due fisici all’opposto
Di Tano e Liboton, campioni nelle due principali categorie. Due fisici all’opposto
Chi ha però caratterizzato molto anche l’evoluzione del vostro team è stato Roland Liboton…

E’ vero. Un’operazione come quella oggi è praticamente impossibile, ma il ciclocross di allora era completamente diverso. Aveva una diffusione diversa e anche il giro di denaro non era lontanamente paragonabile. Noi avevamo un florido mercato in Belgio e contrattualizzare Liboton era la maniera migliore per promuovere i nostri prodotti. Noi lo prendemmo l’anno prima della sua vittoria iridata a un prezzo ridicolo se paragonato a quelli che girano oggigiorno. Nel contratto era previsto tutto, ossia anche il meccanico, il massaggiatore, il motorhome che lo seguiva. In pratica aveva uno staff a aua completa disposizione. Dopo il suo successo però volevano venire tutti da noi…

Qual era la sua forza?

Molti dicono che sia stato uno dei più grandi ciclocrossisti di sempre, sicuramente lo era nella sua epoca, ma la sua vera forza era il suo essere personaggio fuori dagli schemi. E’ stato il primo vero cannibale del ciclocross con 5 titoli mondiali vinti. Un anno ci siamo ritrovati ad avere lui iridato fra i professionisti e Vito tra i dilettanti, eravamo al centro del mondo… Roland era però uno che “bucava” lo schermo, era di bell’aspetto, attirava sponsor anche al di fuori del mondo ciclistico tanto che persino la Coca Cola lo sponsorizzava. Era uno molto estroverso, in un mondo di gente riservata.

Paolo Guerciotti con Mike Kluge. Il tedesco vinse 2 titoli mondiali dilettanti e quello professionistico nel 1992
Paolo Guerciotti con Mike Kluge. Il tedesco vinse 2 titoli mondiali dilettanti e quello professionistico nel 1992
Poi è venuto Kluge, considerato da molti un maestro di eleganza…

Era completamente diverso da Liboton, uno che aveva fatto anche il modello e il suo portamento traspariva in tutto, anche quando era in bici. Con il tedesco avevo più affinità, più che altro perché stavo crescendo. Anche lui era un personaggio, anzi il suo modo di esserlo calamitava attenzione anche da parte di chi normalmente non seguiva il ciclocross. Potrei dire che è stato un po’ il Valentino Rossi dei prati. Era molto showman, diciamo che amava anche la bella vita. Oggi sarebbe stato una star dei social…

Che cosa ricordi del periodo dei campioni boemi, come Glajza e Simunek?

Glajza venne prima, fu un acquisto last minute proprio legato a un campionato del mondo, arrivò da noi e vinse l’iride. Simunek è stato con noi di più. Diciamo che la loro appartenenza è stata più frutto di contingenze, non avevamo particolari interessi economici nel loro Paese. Loro vennero che avevamo già Liboton, il meglio del ciclocross mondiale era da noi. La nostra squadra era il riferimento planetario. Erano diversi dagli altri, molto riservati, molto professionali, ma il rapporto si concentrava tutto sull’aspetto agonistico.

Un altro molto riservato era Henrik Djernis…

Era uno dei più forti nella mountain bike, dove aveva già vinto il titolo mondiale nel 1992, venne da noi e nel 1993 accoppiò anche quello di ciclocross. Era un professionista, ma non lo ritengo un vero e proprio specialista: ci aveva chiesto ospitalità per fare attività d’inverno, ma per lui il ciclocross era un riempitivo, serviva come preparazione per la mountain bike. Eppure nelle sue poche apparizioni in gara faceva la differenza.

Erano i tempi di Pontoni…

Daniele ha attraversato tutta la nostra esistenza. Un campione vero, che tra l’altro ha insegnato a tanti che cosa significa svolgere questa attività in maniera professionale, andando a correre nella patria del ciclocross. La sua attività era prevalentemente all’estero. E’ sempre stato estremamente pignolo dal punto di vista tecnico perché da quello nascevano i risultati, quindi avevamo con lui un legame strettissimo. Coinvolse con i suoi risultati anche sponsor grossi, come Selle Italia e Brescialat. Questo sport iniziava a cambiare faccia, giravano più soldi ma anche il suo baricentro si spostava sempre più verso il Centro Europa: Belgio e Olanda in particolare.

Anche Daniele Pontoni è passato nelle file della Guerciotti. La sua attività era prevalentemente estera
Anche Daniele Pontoni è passato nelle file della Guerciotti. La sua attività era prevalentemente estera
Era molto diverso dal Pontoni di oggi, cittì della nazionale?

Molti dicono che al tempo era una testa calda, ma io devo dire che aveva le stesse caratteristiche che oggi stanno aiutando l’evoluzione del nostro sport. Il puntiglio, l’attenzione per i particolari. Una cosa che va detta è che al tempo lui faceva davvero tutta la stagione, tra Coppa del Mondo e Superprestige. Oggi sarebbe praticamente impossibile seguire tutte le challenge. Da questo punto di vista era un vero belga e io glielo dicevo sempre…

Ora c’è Agostinacchio…

Mi dispiace che non abbia la possibilità di utilizzare la maglia, cambiando di categoria. Ma è chiaro che un titolo juniores non è la stessa cosa, anche se ha sempre un grandissimo valore. Oggi sinceramente avere un iridato nelle nostre fila, un campione elite non sarebbe semplice, troppi interessi intorno. Basti pensare che ogni corridore di vertice ha 6 bici, un camper a disposizione, uno staff composito.

Mattia Agostinacchio, l’ultimo gioiello del team. Passando U23 non potrà mostrare la sua maglia in gara
Mattia Agostinacchio, l’ultimo gioiello del team. Passando U23 non potrà mostrare la sua maglia in gara
Mattia com’è?

Un ragazzo che sta crescendo innanzitutto come uomo prima che come corridore. Molto riservato, meno personaggio, ma questo dipende anche molto dall’età. Ancora non si è reso conto di quel che ha fatto non solo a Lievin ma nel corso di tutta la sua stagione. E’ un ragazzo molto concentrato su quel che vuole, senza fronzoli. Viezzi che nell’albo d’oro iridato lo precede è la stessa cosa. Per questo sono due ragazzi che, da tifoso italiano, mi danno fiducia.

Quale futuro per Agostinacchio? Il WorldTour lo aspetta

11.02.2025
4 min
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Lo scorso anno, parlando con Stefano Viezzi al via della Coppa del mondo di Benidorm, capimmo che la sua squadra dei sogni fosse la Alpecin-Deceuninck per fare come il suo idolo Van der Poel. Per cui il friulano vinse il mondiale juniores di cross e firmò proprio per il devo team della squadra belga con cui ha corso le ultime gare di cross nel 2025 e con cui inizierà la prima stagione under 23 su strada. Allo stesso modo, ci siamo chiesti quale sarà il futuro di Mattia Agostinacchio dopo l’identica vittoria nel cross.

Il valdostano ci ha raccontato che le prime persone che ha sentito dopo il successo iridato sono stati suo padre, presente a Lievin, la mamma e il fratello Filippo rimasti a casa e il suo procuratore. Stava parlando di Omar Piscina, collaboratore di Giuseppe Acquadro. E proprio con quest’ultimo abbiamo scambiato qualche parola per capire che cosa ci sia nel futuro prossimo di Agostinacchio.

Giuseppe Acquadro, piemontese di Biella, è l’agente di Agostinacchio (foto ciclismo.com)
Giuseppe Acquadro, piemontese di Biella, è l’agente di Agostinacchio (foto ciclismo.com)
Qual è l’interesse delle squadre WorldTour per un corridore che vince il mondiale juniores di cross?

E’ abbastanza elevato, soprattutto se vedono che va forte nelle gare più veloci di cross, quelle che somigliano più alla strada. Le squadre sono molto interessate ai giovani che fanno la multidisciplina.

E’ cambiato qualcosa nella valutazione di Agostinacchio prima e dopo il mondiale?

E’ normale che l’attenzione sia aumentata, però Mattia era nel mirino già da prima. C’erano tre squadre, erano anche di più però ho deciso di lavorare con queste tre, interessate a lui.

Squadre interessate a mantenere la multidisciplina o che alla prima occasione lo sposteranno soltanto su strada?

Per adesso sì, manterranno il cross. Poi, dopo 3-5 anni, si vede com’è il corridore e come si sviluppa. Penso che Mattia sia un corridore adatto alle classiche. Bisogna capire quale tipo, se le Ardenne, quelle del pavé oppure entrambe.

Agostinacchio correrà da junior nella Trevigliese: dobbiamo aspettarci che cambi squadra durante la stagione?

No, no, deve fare i due anni da junior, ma non escludo che magari durante l’estate potrebbe fare un training camp con la squadra per la quale deciderà di firmare. In questo modo, inizieranno a conoscerlo meglio.

Mattina Agostinacchio ha trionfato nel mondiale juniores di cross non avendo ancora 8 anni
Mattina Agostinacchio ha trionfato nel mondiale juniores di cross non avendo ancora 8 anni
La prospettiva secondo te è un devo team oppure subito il professionismo?

Penso sia sicuro che andrà subito nel WorldTour, con un contratto lungo per permettergli di avere un programma di gare molto leggero per i primi due anni e poi, man mano, crescere.

Nella trattativa si potrebbe inserire anche suo fratello Filippo?

Ecco, magari il fratello potrebbe andare nel vivaio della squadra dove firma Mattia per vedere come cresce anche lui.

In che modo sei entrato in contatto con lui?

L’ho visto l’anno scorso in due o tre corse su strada, le poche che aveva fatto su strada. L’ho osservato nei video, l’ho visto dal vivo e a quel punto ci siamo detti con Omar Piscina, che lavora per me come scouting in Italia e un po’ anche all’estero nell’Europa del Nord, di provare ad avvicinarlo. Omar ha avuto il primo contatto con i suoi genitori già l’anno scorso, prima che esplodesse. Perché quando sono minori, devi passare attraverso i genitori.

Quali sono le due o tre squadre in ballo per prenderlo?

Per adesso non lo dico, ma se ci risentiamo tra un mese, vi dico tutto. Non sarà una firma vera e propria, ma un impegno con i suoi genitori e poi, appena sarà maggiorenne, sarà lui a firmare.

Hai parlato di un contratto lungo: parliamo di tre, quattro o cinque anni?

Al momento con i più giovani pensiamo a tre o quattro anni, forse tre sono il numero migliore. Poi bisogna vedere come si inserirà, l’ambientamento nella categoria, perché può andare subito alla grande o avere bisogno di un periodo cuscinetto.

Uran era uno dei corridori di Acquadro. Si è appena ritirato ma resta molto popolare in Colombia
Uran era uno dei corridori di Acquadro. Si è appena ritirato ma resta molto popolare in Colombia
Durante questo anno con la Trevigliese i vostri rapporti con Mattia quali saranno?

La Trevigliese è una delle migliori squadre d’Italia. Lavora molto bene ma, come dicevo, penso che Mattia farà un training camp per la squadra WorldTour in cui correrà. E loro magari cominceranno ad affiancargli il preparatore in modo da conoscersi e impostare il lavoro assieme.

Cambiamo discorso: come farai senza Uran? Ed è vera questa sua voglia di darsi al calcio di serie A?

Dopo il suo ritiro, ho preso altri corridori, vediamo se fra loro ci sarà il nuovo Rigo (ride, ndr). Era forte e matto, ovviamente in senso buono. Quanto al calcio, ha detto che gli basterebbe giocare cinque minuti in serie A. Non credo che immagini una carriera da calciatore. Estroso sì, ma con i piedi per terra.

Riecco gli Agostinacchio brothers: non nascondeteci nulla

09.02.2025
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Uno, Mattia, ha dominato la stagione junior portando a casa titolo mondiale ed europeo e sfiorando anche la Coppa del mondo. L’altro, Filippo, ha sorpreso tutti pilotando il Team Relay al titolo continentale e sfiorando quello under 23. Poi ha pagato dazio al mal di schiena stoppando anzitempo la sua annata nel ciclocross, ma ora è pronto per ripartire su strada. Gli “Agostinacchio brothers” non hanno minimamente intenzione di fermarsi. E mentre uno si gode i suoi momenti top, l’altro è in Spagna per preparare la stagione su strada dalla quale si attende molto.

Noi li abbiamo messi a confronto, attraverso un’intervista doppia, sottoponendoli a un fuoco di fila di domande, partendo innanzitutto da come hanno vissuto, nelle rispettive vesti, quel magico mattino di domenica scorsa.

Mattia e Filippo sul podio europeo del Team Relay. Una vittoria condivisa, prologo di una stagione super
Mattia e Filippo sul podio europeo del Team Relay. Una vittoria condivisa, prologo di una stagione super
Come hai vissuto il mattino del mondiale di Lievin?

MATTIA: «Io non ci credevo e ancora non ci credo a quel che ho fatto. Ho anche pianto per quella maglia, che ora tengo gelosamente in casa. La stagione dovrebbe essere finita, ma sarebbe bello avere un paio d’occasioni per indossarla visto che il prossimo anno, cambiando di categoria non potrò».

FILIPPO: «Io ero già in ritiro in Spagna, ma ho chiesto di fare un lavoro diverso, più leggero rispetto agli altri proprio per guardare in tv la gara di Mattia con meccanico e massaggiatore. Fino all’ultimo giro ero teso, quando poi ho visto che stava rimontando ero sicuro che lo avrebbe ripreso (il francese Bruyere Joumard, ndr) perché so che nel finale è un… cagnaccio».

Quanto è importante l’esperienza di tuo fratello nelle tue stesse specialità?

MATTIA: «Moltissimo per me, perché l’ho seguito sempre e cerco di apprendere da quello che fa, non fare i suoi errori in tutti i sensi. Penso di essere abbastanza bravo di mio, ma Filippo mi dà sempre consigli utili. In quanto alla tecnica ormai faccio quasi da solo, ma ci confrontiamo spesso».

FILIPPO: «Per me conta parecchio perché Mattia non è un ragazzo della sua età, ha già incamerato tanto ed è più maturo dei 17 anni che ha. Quando si tratta di cose tecniche ci confrontiamo spesso, alla pari e i suoi consigli sono molto preziosi per me».

Mattia Agostinacchio trionfatore a Lievin, un successo che ancora non ha metabolizzato
Mattia Agostinacchio trionfatore a Lievin, un successo che ancora non ha metabolizzato
Che cosa invidi a tuo fratello e che cosa apprezzi di lui?

MATTIA: «Invidia non saprei, potrei dire la caparbietà nel perseguire i suoi obiettivi, è un esempio da questo punto di vista. Apprezzo soprattutto il suo lato umano, essere sempre presente, ascoltare quando c’è qualche problema, qualcosa di cui voglio parlare».

FILIPPO: «Come persona non gli invidio nulla, lo sento pari a me. Sono solo un po’ geloso delle opportunità che ha avuto da junior: io alla sua età ero nel periodo del Covid che mi ha privato di una bella fetta di attività e ha influito sulla mia crescita come su quella della mia generazione. Mi ha tarpato le ali. Apprezzo molto invece la sua schiettezza: non si nasconde di fronte agli errori e mi parla sempre con sincerità».

C’è mai competizione fra voi?

MATTIA: «Quando ci alleniamo, viene naturale, nessuno vuole cedere all’altro. Se ci alleniamo insieme nasce sempre la gara. Dopo aver fatto i nostri lavori, però…».

FILIPPO: «Sempre, in allenamento, quando usciamo insieme finisce sempre che ci sfidiamo. A dir la verità è più lui a provocare…».

Filippo Agostinacchio all’ultimo Giro della Val d’Aosta. Ora punta a una grande primavera su strada (foto DirectVelo)
Filippo Agostinacchio all’ultimo Giro della Val d’Aosta. Ora punta a una grande primavera su strada (foto DirectVelo)
Ami più il ciclocross o la strada e perché?

MATTIA: «Non posso fare una differenza, mi piacciono ambedue, anche ora che sono campione del mondo non saprei scegliere. Alla strada tengo davvero tanto, il futuro è lì».

FILIPPO: «Entrambe per me, perché ognuna a suo modo ha fascino, quel che conta è adattarsi. A livello di atmosfera che si vive in gara, però, il ciclocross non ha eguali».

Ti piacerebbe in futuro militare nella sua stessa squadra anche su strada?

MATTIA: «Sicuramente, non sarebbe male poter condividere le nostre esperienze anche al massimo livello. Penso che sarebbe un grande aiuto per entrambi, per continuare a crescere».

FILIPPO: «Sarebbe bello, capita abbastanza spesso nel ciclismo che i fratelli si ritrovino nello stesso team. Qui però devo sottolineare un aspetto: sta a me arrivare dov’è lui, perché so che Mattia ha un livello prestativo altissimo e questo si tradurrà in grande interesse dei team pro’. Io devo essere abbastanza bravo da solleticare la stessa attenzione».

Anche su strada Mattia si è fatto vedere, qui è 2° alla prima tappa del GP Ruebliland (foto organizzatori)
Anche su strada Mattia si è fatto vedere, qui è 2° alla prima tappa del GP Ruebliland (foto organizzatori)
Un’esperienza all’estero la fareste insieme o da soli?

MATTIA: «Corriamo spesso all’estero, con la Guerciotti abbiamo fatto già esperienze fuori dai confini, ma militare in una squadra di un altro Paese è un’altra cosa. Sarebbe interessante, sicuramente sarebbe meglio per potersi abituare con più calma a un ambiente diverso, con una lingua differente».

FILIPPO: «Non ci sarebbero problemi nel farla insieme e sarebbe un’esperienza molto importante, soprattutto come crescita personale prima ancora che sportiva. Ripeto, sta a me guadagnarmi questa chance».

Per Filippo il podio alla Freccia dei Vini 2024, 3° nella gara vinta dall’inglese Woods (foto Newspower)
Per Filippo il podio alla Freccia dei Vini 2024, 3° nella gara vinta dall’inglese Woods (foto Newspower)
Che cosa ti aspetti ora da questa stagione?

MATTIA: «Io non mi aspetto nulla di particolare, voglio solo continuare a crescere divertendomi. Credo di essere ancora in una fase nella quale posso farlo, anche se so che essere al secondo anno junior è importante per guadagnarsi un futuro. Ma credo che mi sto già facendo conoscere».

FILIPPO: «Io molto, non lo nascondo. Voglio partire forte, già nelle gare di marzo e aprile perché questa è una stagione cruciale per potermi guadagnare un contratto da professionista».

La vittoria del mondiale juniores di Leivin è (finora) per il piccolo Agostinacchio il ricordo più bello della carriera
La vittoria del mondiale juniores di Leivin è (finora) per il piccolo Agostinacchio il ricordo più bello della carriera
Qual è il primo momento bello in bici che ti viene in mente?

MATTIA: «Beh, non potrei dire altro che il mondiale, quel momento magico quando ho capito che la maglia sarebbe stata mia…».

FILIPPO: «Sicuramente la giornata dell’europeo e non lo dico solo per la mia medaglia d’argento, quasi inaspettata, ma perché coincise con il suo oro junior. Poter condividere le nostre gioie è stato il massimo».

Il bronzo di Grigolini, travolto dalla festa di Mattia

08.02.2025
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C’era anche lui, sul podio di Lievin. Certo, forse tanti guardavano al centro, a Mattia Agostinacchio con la sua sgargiante maglia arcobaleno, ma al suo fianco faceva bella mostra di sé anche la medaglia di bronzo di Filippo Grigolini. In un’altra edizione quell’impresa avrebbe forse avuto ben altra eco, in quegli anni di vacche magre per il ciclocross italiano. Ma forse proprio quel bronzo arrivato in quella che è stata un’autentica festa azzurra assume un significato ancora maggiore.

Il podio mondiale con il friulano al fianco dell’amico-rivale Agostinacchio e del francese Bruyere Joumard
Il podio mondiale con il friulano al fianco dell’amico-rivale Agostinacchio e del francese Bruyere Joumard

A distanza di qualche giorno, quel che si nota parlando con Filippo è come un cambiamento in atto, la consapevolezza di quel che davvero vale e può fare. D’altronde, alla vigilia del mondiale anche lui ambiva a un posto sul podio e averlo centrato è sinonimo di grande qualità.

«Io sapevo che poteva essere nelle mie corde, sono partito con quell’ambizione. E non mi sono scoraggiato neanche quando al secondo giro sono caduto. Ero 12°, stavo risalendo, ho dovuto ricominciare tutto da capo. Ma non mi sono lasciato andare, mi sono detto che potevo ancora rimettere a posto i pezzi del puzzle, c’era tempo».

Per Filippo il finale di mondiale è stato molto duro, ma a dispetto della stanchezza ha vinto il duello con Noval
Per Filippo il finale di mondiale è stato molto duro, ma a dispetto della stanchezza ha vinto il duello con Noval
Una medaglia vinta quindi innanzitutto di testa…

Io penso di sì, la concentrazione è stata l’elemento in più. Dopo la caduta non ho più commesso errori tecnici, perché una caduta è sempre figlia di un errore di guida. Sono andato avanti sapendo che la corsa era ancora lunga e si poteva arrivare dove volevo.

Che gara è stata, diversa dalle altre che hai effettuato all’estero in questa stagione?

Non direi, gli avversari ormai impari a conoscerli dopo le varie prove di Coppa del Mondo e aver seguito la challenge è stata secondo me fondamentale per i nostri risultati. Sai che si parte sempre a tutta, che molto si gioca già all’inizio e non devi perdere il treno dei più forti. E soprattutto che devi stare lì con la testa prima di tutto.

A Benidorm (ESP), nella prova di Coppa prima del mondiale Grigolini aveva chiuso 6°, ma in grande crescita
A Benidorm (ESP), nella prova di Coppa prima del mondiale Grigolini aveva chiuso 6°, ma in grande crescita
Tu sei stato anche davanti, a vedere da vicino la leadership. Ci hai sperato?

Per un attimo, quando il francese è caduto. Io ero dietro con Mattia e lo spagnolo, a quel punto ero secondo, lo vedevo poco davanti. Ma poi sentivo che ero affaticato, che la stanchezza si faceva sentire e dovevo sapermi gestire. Quando Mattia è partito non avevo le gambe per tenerlo, ho pensato che dovevo badare all’iberico per giocarmi il podio e così è stato.

Mattia primo, tu terzo, Patrick Pezzo Rosola che senza la caduta sarebbe stato anche lui a lottare per le prime piazze. Quanto ha contato essere abituati a confrontarvi fra voi?

Io credo che sia stato decisivo, perché ogni gara nazionale era tirata. Lo abbiamo capito dopo che Mattia ha vinto l’europeo, se io finivo secondo vicino a lui significa che anche fra gli stranieri erano pochi a quel livello. Mattia è stato uno stimolo continuo, credo di essere cresciuto molto insieme a lui.

Grigolini si era già messo in luce al Giro delle Regioni, ha vinto il Guerciotti ed è salito sul podio tricolore
Grigolini si era già messo in luce al Giro delle Regioni, ha vinto il Guerciotti ed è salito sul podio tricolore
Sui social hai raccontato l’emozione vissuta il giorno prima, allenandoti con Mathieu Van der Poel…

Sì, è stato qualcosa di magico essere al suo fianco, vederlo da vicino io che ero abituato ad ammirarlo in Tv. Dal vivo fa ancora più impressione, lo vedi imponente, che trasuda potenza. Ti dà la sensazione dell’invincibilità. Siamo stati vicini un giro, tenergli la ruota è stata una sensazione enorme.

Ora la stagione è finita e ti attende la strada, che per te è un po’ una novità visto il tuo passato, anche tricolore nella mountain bike.

Nel 2024 ho fatto una decina di gare, ma mi sono divertito più lì che nelle prove offroad. Voglio provarci per quello, mi attira di più, voglio vedere dove posso arrivare anche sull’onda di questa nuova consapevolezza. Entro in un team di primo livello come il Borgo Molino, io parto per divertirmi innanzitutto, poi vedremo che cosa uscirà fuori.

Su strada il friulano nel 2024 ha corso da allievo, centrando quasi sempre la Top 10 con il 3° posto alla Julium Classic
Su strada il friulano nel 2024 ha corso da allievo, centrando quasi sempre la Top 10 con il 3° posto alla Julium Classic
E’ chiaro però che ora le aspettative su di te sono aumentate…

Lo so, ma devo intanto capire che corridore sono e posso essere. Io credo di avere caratteristiche da passista-scalatore, ma le salite mi piacciono tanto e voglio scoprire soprattutto lì quali possono essere i miei limiti considerando anche la mia leggerezza fisica, ideale per quel tipo di percorsi.

Ti hanno fatto feste a casa?

I miei genitori erano lì, quando sono arrivato li ho visti ed erano anche più emozionati ed entusiasti di me. Loro mi hanno sempre favorito e appoggiato su tutto, mi hanno sempre incoraggiato a fare quello che volevo. Questa medaglia è anche un po’ loro, non potrò mai ringraziarli abbastanza. So che non è facile sapere che tuo figlio si allena su strada, soprattutto al giorno d’oggi, ma io sono sempre molto attento. Pedalo prevalentemente sulle strade che da Udine portano verso Gemona e Buja, uso sempre le luci, faccio grande attenzione. Ma è la mia vita e loro questo lo rispettano.