Ciclismo e gravidanza: risponde il dottor Besnati

19.01.2023
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La gravidanza delle atlete (in apertura Elinor Barker in una foto Instagram), approfondita con l’esperienza vissuta da Marta Bastianelli, ci ha dato alcuni spunti. La velocista 35enne della UAE Team ADQ ha spiegato il suo percorso a cavallo della maternità e l’argomento stavolta lo abbiamo voluto girare a Massimo Besnati, medico di base al servizio del ciclismo professionistico per più di trent’anni.

Per il dottore di Busto Arsizio – che ora segue le nazionali femminili e maschili della pista junior e U23 – l’aspetto soggettivo influisce in ogni gravidanza tra le donne agoniste e non, ma tuttavia ci sono delle buone regole che andrebbero osservate per non compromettere il periodo della gestazione ed il successivo ritorno alle proprie attività sportive.

L’ecografia è un valido strumento per dare indicazione alla futura mamma-atleta (foto mydbook.it)
L’ecografia è un valido strumento per dare indicazione alla futura mamma-atleta (foto mydbook.it)
Dottor Besnati è cambiata la concezione della gravidanza nel ciclismo?

Tantissimo, per fortuna. Partendo da un discorso più generale, una volta le donne associavano la maternità quasi ad una malattia quando si chiedeva la loro anamnesi. Invece è un evento piacevole che, ritornando nel caso specifico del ciclismo, non compromette la carriera. Certo, bisogna mostrare molta attenzione durante le progressione dei nove mesi.

Lizzie Deignan dopo la prima figlia ha vinto, tra le tante, gare importanti come Liegi e Roubaix, così come fece Bastianelli. C’è un motivo “scientifico”?

Anche in questo caso facciamo un ragionamento più ampio. Le atlete migliorano col passare del tempo, indipendentemente dalla maternità. E’ una regola che vale per tutte. Qualche anno fa la Artsana (azienda che distribuisce prodotti sanitari e per l’infanzia, ndr) aveva condotto uno studio per vedere se lo sport durante la gravidanza facesse bene o meno alle donne. La risposta fu positiva. Anzi, le atlete testate in quel periodo registrarono dei miglioramenti delle performance rispetto a prima. E torniamo a quello che dicevo prima. L’attività sportiva non incide negativamente sulla gravidanza come si pensava prima. O meglio, fino ad un certo punto.

Deignan esulta a Roubaix 2021. Sta per rientrare dopo la seconda gravidanza avuta lo scorso settembre
Deignan esulta a Roubaix 2021. Sta per rientrare dopo la seconda gravidanza avuta lo scorso settembre
Bastianelli ci ha detto che aveva smesso di pedalare mentre Deignan e Blaak hanno pedalato durante i primi mesi di gravidanza o fatto esercizi in palestra. C’è il rischio di qualche contro-indicazione?

Dipende da donna a donna e da sport a sport. Ad esempio corse, salti o attività che possano dare contraccolpi vanno evitati all’inizio della gestazione. Si sconsigliano certi movimenti per la loro meccanica. Pedalare non è sbagliato però col passare del tempo può diventare pericoloso per la formazione del feto. La posizione sulla sella provoca una compressione e di conseguenza potrebbe aumentare la contrattilità uterina. Personalmente farei attenzione anche agli squat fatti con un bilanciere scarico. Ripeto, tutto è soggettivo, anche se parlando di atlete di alto livello so che sono seguite da figure specifiche. Non so se esista già, ma credo che in futuro troveremo sempre più preparatori atletici specializzati nella gravidanza.

Come si possono dividere quei nove mesi?

Non ci sono differenze da una donna non agonista, ma sostanzialmente direi in tre fasi. La prima è quella dei tre mesi iniziali ed è la più delicata per i motivi che dicevo prima. La seconda potremmo definirla di mantenimento. Dal quarto mese in avanti il feto è al sicuro e volendo non ci sarebbero limitazioni, se non per l’ingombro della pancia. La terza fase è quella del pre-parto. Anche in quel caso bisognerebbe evitare ulteriori sforzi e attendere gli ultimi giorni con serenità. A margine di tutto ciò, converrebbe non lasciarsi andare troppo. Troppi chili, oltre ad un affaticamento fisico, sarebbero difficili da smaltire per chi vuole tornare a correre subito.

Massimo Besnati ora segue le nazionali femminili e maschili della pista junior e U23
Massimo Besnati ora segue le nazionali femminili e maschili della pista junior e U23
Recentemente Omer Shapira (campionessa israeliana della EF Education, ndr) ha dichiarato di non aver preso subito bene la notizia della gravidanza perché vedeva il suo corpo cambiare e non si piaceva più. Come si valuta dal punto di vista psicologico?

Come in tutte le gravidanze ci sono sbalzi d’umore o ormonali. Tant’è che la depressione post-parto è una vera e propria patologia per cui proseguono gli studi. La ciclista non è diversa da una donna normale. Conta tanto l’ambiente che si ha attorno. Il sostegno psicologico è fondamentale. Sapendo già che sforzi andrà a fare quando tornerà, possiamo dire che per la ciclista quella può essere una grande motivazione per mantenere un buon morale. Anche perché le cicliste partono tutte da una buona dose di grinta e attributi facendo quello sport. Poi ha ragione Bastianelli quando dice che il nostro fisico ha memoria. Anche quello aiuta moralmente a tornare in forma più in fretta e stare meglio.

Omer Shapira diventerà mamma ad agosto. Ha dichiarato che inizialmente non ha vissuto bene la propria gravidanza
Omer Shapira diventerà mamma ad agosto. Ha dichiarato che inizialmente non ha vissuto bene la propria gravidanza
Consiglierebbe pertanto ad una ciclista di affrontare la gravidanza nel pieno della sua attività?

Certamente. Ribadisco tuttavia che è soggettivo visto che è un momento delicato per la donna, quindi non bisogna forzare i tempi. Va fatta quando una se la sente. Però mi sento di dire che una ciclista, considerando che può avere in media 10/15 anni di carriera ad alto livello, può permettersi a metà una o addirittura due gravidanze come è successo a Deignan.

Asgreen e la sindrome da fatica cronica: cosa dice il dottore?

19.08.2022
5 min
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«Dopo una prima parte di stagione movimentata che lo ha visto affrontare l’intera campagna delle classiche – recita il comunicato della Quick Step-Alpha Vinyl del 15 agosto – Kasper Asgreen è stato coinvolto in un brutto incidente al Tour de Suisse, che ha messo in dubbio la sua partecipazione al Tour de France. Lo stress della caduta e i successivi tentativi di prepararsi per il Tour hanno purtroppo portato Kasper a sviluppare una sindrome da stanchezza, il che significa che il suo corpo non si sta più riprendendo da sforzi anche di bassa intensità. E’ stato quindi deciso che smetterà di correre per il resto di questa stagione e si prenderà un periodo di recupero, prima di concentrarsi sulla preparazione per il 2023».

Nel 2014 a Ponferrada, Besnati divenne medico della nazionale di Cassani
Nel 2014 a Ponferrada, Besnati divenne medico della nazionale di Cassani

Una sindrome contro corrente

Notizie che danno da pensare. Come è possibile, ci siamo chiesti, che in questa epoca di preparazioni personalizzate e infallibili, un atleta di vertice di una squadra di vertice cada nella sindrome da stanchezza? Di cosa si tratta? Ha a che fare con l’overtraining? Asgreen ha sfidato i migliori alle classiche, poi è andato al Tour, ma si è fermato dopo l’ottava tappa.

Serve un dottore, la parola sindrome non lascia spazio a dubbi. E il dottore è Massimo Besnati, medico di lungo corso fra club e maglia azzurra, che quest’anno segue le nazionali giovanili. E’ stato agli europei di Anadia ed è in partenza per i mondiali juniores su pista a Tel Aviv. Il momento storico non è dei migliori per volare laggiù, ma il ciclismo non si ferma.

Dottore, cominciamo dall’inizio: cos’è questa sindrome?

Esiste in letteratura, si chiama sindrome da fatica cronica e viene studiata e descritta con maggior attenzione da un paio d’anni. Compare con sintomi ben precisi, anche senza grosse cause scatenanti. Non è un overtraining, che di questi tempi è cosa rara, vista la precisione degli allenamenti e preparatori che difficilmente sbagliano

Al Tour Asgreen ha provato la fuga, ma si è fermato sfinito dopo l’ottava tappa
Al Tour Asgreen ha provato la fuga, ma si è fermato sfinito dopo l’ottava tappa
Ci ha anticipato: le avremmo chiesto proprio questo. Come si fa a caderci vista la precisione delle preparazioni?

Parto dal presupposto che questi scienziati conoscano bene il loro lavoro. Tuttavia vanno su tabelle, cui ognuno risponde diversamente. A norma vengono considerate le abitudini di vita e i carichi di lavoro, ma siamo certi che accada sempre? Quello che vedo è che l’UCI aumenta i giorni di gara, le squadre portano i corridori a farne un numero spesso molto elevato e alla fine ti presti al… gioco di sindromi come questa. Serve più tempo per recuperare e per allenarsi. Servirebbe fare meno corse. La cura per la sindrome da fatica cronica è il riposo, non ci sono alternative. Se Asgreen ci ha corso sopra, capisco bene che lo abbiano fermato.

L’incidente in Svizzera, la rincorsa della forma e poi il crac…

Inseguire la forma in poco tempo è uno dei fattori scatenanti. Semplicemente perché il fisico non regge certi ritmi. I fattori ambientali possono incidere, il caldo ad esempio. In teoria hai tutto quello che serve per integrare, ma se il caldo perdura e non hai saldato il conto con il tuo fisico, non vai più avanti.

Mark Cavendish, BinckBank Tour 2020
La fretta di riprendere è la peggior consigliera: a causa sua, Cavendish si trascinò la mononucleosi per più di un anno
Mark Cavendish, BinckBank Tour 2020
La fretta di riprendere è la peggior consigliera: a causa sua, Cavendish si trascinò la mononucleosi per più di un anno
Saldato il conto?

Non esiste una gradazione di questa malattia, perché è molto soggettiva. Evidentemente il caso di Asgreen è piuttosto serio. Si arriva a determinarne la gravità proponendo una serie di domande su sonno e alimentazione, ad esempio. I parametri bioumorali sono molto variabili. Però è chiaro che se sei in debito di condizione e non hai una grande salute, è dannoso lavorare come se non ci fossero problemi. Il corpo non è in equilibrio e si peggiorano le cose.

Come si arriva alla diagnosi di questa sindrome?

Fai una serie di esami del sangue e magari viene fuori che i valori sono nella norma. Solo che l’atleta ha dolori muscolari, crampi, dorme male e allora ti viene il dubbio. Così verifichi che in bici i battiti non salgono e dopo un quarto dell’allenamento sei stanco come se l’avessi finito. L’errore di tanti è correre dietro al recupero e al rientro in tempo brevi, perché sono ancora in debito.

A fine Tour, accoglienza da re per Vingegaard in Danimarca. Fra gli invitati c’erano anche Asgreen e tutti i pro’ danesi
A fine Tour, accoglienza da re per Vingegaard in Danimarca. Fra gli invitati c’erano anche Asgreen e tutti i pro’ danesi
Par di capire che fermarsi subito permetta di rientrare prima.

Esatto. Se ti fermi dopo i primi segni e recuperi, allora è tutto più rapido. Come la mononucleosi, che di per sé sarebbe poca cosa. Sapete invece quanti atleti se la portano dietro per mesi? Cavendish è l’emblema, lui si è trascinato per un anno e mezzo. Ripartono. I valori sono ancora sballati. E non capiscono che devono fermarsi, altrimenti non recuperano.

Fermarsi è tuttavia un verbo impopolare, visto il numero delle gare e la necessità di fare punti…

Ma è necessario. Si dovrebbe dare una regolata al calendario, in modo da permettere ai corridori di recuperare. Le corse sono belle lo stesso, anzi forse lo sono di più. Adesso ci sono in giro 4-5 corridori hors categorie, che sembrano non doversi fermare mai. Può darsi che la specie si stia evolvendo, può darsi che siano davvero superuomini. Però starei attento, spesso in certi problemi si cade dando per scontato di essere invincibili.

Mononucleosi, infezione e recupero: Besnati spiega…

10.05.2022
5 min
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Cavendish un paio di anni fa, il caso più eclatante. Masnada e Paternoster negli ultimi tempi. Sono solo tre dei tanti nomi che sono andati incontro alla mononucleosi e che hanno visto i loro programmi stagionali stracciati e accantonati per colpa di questa malattia. Nel caso di Cannonball il virus Epstein Barr lo ha tenuto fuori dalle corse per più di un anno. Fausto Masnada ha dovuto dare forfait al Giro d’Italia a pochi giorni dalla partenza dopo aver avuto anche il Covid a inizio stagione. Per lui la stagione era iniziata bene con l’ottima prestazione, con vittoria di tappa e secondo posto in generale, al Tour of Oman (foto in apertura). Letizia Paternoster dopo la maglia iridata a Roubaix e un buon avvio di stagione, si è fermata per lo stesso motivo.

Situazioni differenti, tutte conseguenti alla stessa malattia infettiva che, seppur non grave, porta ad uno stop obbligato non sempre facile da interpretare. Nel caso di Fausto i primi sintomi li ha riscontrati sul Teide quando la stanchezza era anormale e la sensazione di fiacchezza ricorrente. La comunicazione della malattia è avvenuta a metà aprile e pochi giorni fa ha rivelato buone sensazioni relative ad allenamenti da cinque ore. Letizia ha comunicato sui social l’infezione da mononucleosi il 30 aprile e ieri ha pubblicato una storia in sella, durante un allenamento. 

E’ normale chiedersi quali siano i tempi di recupero standard per poter ritornare in bici e se il caso di Cavendish sia isolato o al contrario un monito per chi non aspetta abbastanza per iniziare ad allenarsi. Domande e supposizioni che abbiamo posto al dottor Massimo Besnati, medico della nazionale italiana. 

Letizia Paternoster ha comunicato di aver contratto la mononucleosi con un post sui social
Letizia Paternoster ha comunicato di aver contratto la mononucleosi con un post sui social
Come si riconosce l’infezione da mononucleosi?

La sindrome causata dal virus dura circa tre settimane, in cui può verificarsi con differenti sintomi come ingrossamento di ghiandole, della milza, stanchezza e linfonodi del collo che si gonfiano. Quando è passata questa fase, c’è quella dell’affaticamento cronico, dovuta al virus che lavora ancora nella milza e nel fegato e che può dare questo disturbo. 

La stanchezza è uno dei sintomi più riconoscibili negli sportivi?

Si. L’evenienza purtroppo più frequente è la sindrome dell’affaticamento cronico. Purtroppo per questi due atleti (Masnada e Paternoster, ndr) come per altri che la contraggono, può essere una complicazione. Il problema è che gli atleti pensano che sia tutto a posto e riprendono a fare i loro normali allenamenti e gare. Il virus però è ancora presente. Anche se gli esami del sangue sembrano non sempre alterati. 

Come si capisce quando è il momento giusto per riprendere gli allenamenti?

Per controllare gli andamenti della malattia si fanno ricerche virali. E’ un segno ovviamente. Quando i valori tornano nella normalità bisogna riprendere molto gradualmente ad allenarsi. 

Questo virus ha penalizzato le stagioni 2017 e 2018 di Cavendish
Questo virus ha penalizzato le stagioni 2017 e 2018 di Cavendish
Quali sono le incognite di un ritorno in sella anticipato?

Il grosso, grossissimo problema è proprio questo. Si innesta questa sindrome da affaticamento cronico e si rimanda per un tempo indeterminato. Bisogna stare fermi. C’è un’evenienza nella popolazione normale. Ma le persone normali fanno un lavoro normale, si sentono stanche e riescono ad avere una ripresa diciamo naturale dal virus. L’atleta no, se riprende troppo presto, sta male, si ferma ancora. Si rischia di andare avanti mesi. É meglio perdere due o tre mesi subito che un intero anno. 

Qualche settimana di stop totale riduce danni esponenziali nei mesi successivi…

Prima ci si accorge, prima ci si ferma. Non ci sono medicinali efficaci da prendere. Se non l’attenzione nell’alimentazione. Non sovraccaricare fegato e altri organi. Non esiste una vera e propria terapia. Bisogna assolutamente fermarsi. E’ difficile farlo capire agli sportivi. 

Ci sono effetti invalidanti per l’atleta?

Invalidanti direi di no. Il virus c’è sempre, non è esclusa una ricaduta, magari anche a distanza di anni. Anche nella popolazione questa ricaduta ci può essere. Una cosa che può incidere è la riduzione della massa grassa. Negli atleti è molto importante. La riduzione della massa grassa richiede la riduzione delle calorie degli zuccheri e di determinati microelelemti. Questi non favoriscono un recupero ideale della forma. 

Masnada ha dovuto rinunciare alla partecipazione al Giro d’Italia a causa della mononucleosi
Masnada ha dovuto rinunciare alla partecipazione al Giro d’Italia a causa della mononucleosi
L’alimentazione diventa determinante quindi…

La maggior parte dei nostri ormoni viene prodotta a partire dal colesterolo, quindi a partire dai grassi. Se riduciamo tantissimo la massa grassa, diminuiscono il colesterolo e quindi gli ormoni. C’è quindi un’ulteriore fatica nella ripresa. La massa grassa va bene controllarla, ma entro certi limiti. Soprattutto in fase di convalescenza non bisogna trascurarla. Non vuol dire che bisogna mettere su cinque chili di peso. Bensì creare una sorta di riserva, di cuscino, per combattere il virus sì. 

Ci sono medicinali o terapie per questa infezione?

Gli antivirali non vengono usati. Si è aperta una nuova frontiera di terapie, ma per il momento non vengono usate su larga scala. Non è una malattia messa tra le categorie in primo piano. Negli sportivi può essere penalizzante per molto tempo in quanto sono soggetti a rischio. Cavendish ne è un esempio. 

L’aspetto psicologico è importante?

Conta tantissimo. Uno pensa di stare bene, riprende gli allenamenti, dopo una settimana è di nuovo a terra. Psicologicamente può essere devastante. Sta nel merito del medico, allenatore, preparatore, dire che bisogna fermarsi e avere pazienza. Se non si aspetta è una malattia che non lascia in pace. Fermarsi non vuol dire scendere dalla bici e andare a correre. Vuol dire stop! 

Cambiano tempi e potenze, ma la fatica?

07.12.2021
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Alcuni giorni fa pubblicammo un editoriale ispirato al secondo libro di Guillaume Martin. Il corridore/filosofo francese sostiene che l’intensità dello sforzo dei professionisti contemporanei è ben superiore a quello dei pionieri di questo sport. La frase continuava a ronzarci per la mente, con qualche dubbio. Si va veloci: le bici sono super, le metodiche di allenamento avanzatissime e l’alimentazione è mirata al tipo di sforzo da affrontare. Però com’era quando le bici pesavano 12 chili, la preparazione era empirica, si mangiava seguendo abitudini e miti più che principi scientifici e le strade erano di terra? Le velocità erano innegabilmente inferiori, ma l’intensità dello sforzo? E la fatica?

Pantani stabilì il record di scalata dell’Alpe d’Huez nel 1997, scalandola in 37’35” (Vam 1704,41 m/h). Al Tour del 1952 Coppi impiegò 45’22” (Vam 1407,78 m/h): un abisso, che però dà la grandezza di Coppi pensando che Lemond e Hinault nel 1986 impiegarono 48′. La fatica di Coppi fu davvero inferiore a quella di Marco? Cos’è la fatica se non la percezione dello sforzo?

Il battito cardiaco

Dato che sarebbe impossibile quantificare le variazioni indotte dai parametri citati, la curiosità si è spostata su quali fossero gli strumenti un tempo a disposizione per valutare le prestazioni dell’atleta. Il passo giusto per renderci conto che la medicina dello sport non esisteva ancora e che l’allenatore, per come lo intendiamo oggi, non era che una suggestione. I corridori, anche i più grandi, si affidavano ai massaggiatori per allenamenti e alimentazione. Al massimo ai direttori sportivi. E i dottori controllavano quel che si poteva.

«La medicina dello sport non c’era – racconta Massimo Besnati, fino al 2021 dottore della nazionale – non c’erano alternative, per medici e corridori. Non esistevano i test, semmai le sensazioni. Poteva capitare che il corridore si prendesse il battito in cima alla salita, ma chiaramente non c’erano strumenti per la rilevazione in tempo reale. Tante cose sono cambiate, per questo è impossibile fare raffronti. Fra i primi ad affrontare la questione con un approccio scientifico, ci fu sicuramente Giovanni Falai».

Chiediamo a Falai

Il medico toscano, che nella sua carriera è stato accanto a Gimondi e Moser, Bitossi (fu lui a venire a capo ai problemi cardiaci di “Cuore matto”) e Bartalini, Francioni, Mori e ha visitato qualche volta anche Merckx, ha compiuto 91 anni a luglio e quasi si stupisce della curiosità sull’argomento.

«Quello che si poteva fare – sorride – era misurare il battito dell’atleta a riposo la mattina e la sera per valutare se recuperava bene. Ricordo Ritter con 30 battiti a riposo e Bartali con 32. Si guardava la pressione arteriosa, ma non si andava oltre perché non avevamo gli strumenti. Però sull’argomento si può dire che le velocità di oggi non sono dovute soltanto a una fatica superiore, ma anche a bici migliori e strade più scorrevoli. Una volta la bici proprio non scorreva, sembravano gare di ciclocross e il ciclismo secondo me era più faticoso dell’attuale…».

Per anni si è creduto che la carne rossa fosse il solo modo di integrare proteine e ferro
Per anni si è creduto che la carne rossa fosse il solo modo di integrare proteine e ferro

Metodi empirici

Sul fronte invece del tipo di sforzo, ovviamente si resta nel campo dell’osservazione e di una deduzione che per i motivi citati da Besnati non può essere più di tanto precisa.

«C’erano cuori più grandi – dice Falai – proprio a livello di sviluppo, ma ci sono anche oggi. Non credo che il livello di fatica cui venivano sottoposti fosse inferiore a quello attuale, anche se oggi a parità di fatica si ottengono prestazioni superiori. L’alimentazione aiuta tanto, prima si facevano tanti errori. Ci si riempiva di proteine attraverso tante bistecche e l’alimentazione sbagliata incideva sulle difese immunitarie. Ora si studia la funzione renale, una volta al massimo osservavamo il fegato per capire se eliminava le tossine nel modo giusto. Semmai si usava qualche disintossicante. Oggi si fa tanta prevenzione a livello renale ed epatico, prima era impossibile. Si facevano valutazioni a occhio. Poi con la medicina sportiva sono arrivati nuovi strumenti che oggi rendono tutto più calcolabile e persino prevedibile. La domanda perciò è un’altra: è più faticoso correre, dare il massimo e arrivare sfiniti senza conoscere i propri limiti, oppure riuscire a tirare fuori il massimo conoscendoli anche numericamente?».

Van der Poel fermato dalla schiena? Problema serio

01.09.2021
3 min
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Molti ciclisti professionisti sono caduti preda del mal di schiena, una patologia che causa molto dolore e che può portare anche all’interruzione dell’attività agonistica per periodi abbastanza lunghi, se non curata in tempo. Da Pinot a Bernal, passando, infine, per Van Der Poel (che ci è anche caduto sopra e rischia un lungo stop): tutti sono colpiti da dolori alla schiena.

Abbiamo interpellato il dottor Massimo Besnati, medico della nazionale italiana, per capire le cause di queste patologie. Non tutte sono uguali e le cause vanno ricercate un po’ ovunque, ecco cosa abbiamo scoperto.

Il massaggio alla schiena consente di scaricare molte tensioni ed è anche preventivo (foto Andrea Righeschi)
Il massaggio alla schiena consente di scaricare molte tensioni ed è anche preventivo (foto Andrea Righeschi)
Dottore, i tre atleti sopra citati hanno sofferto di mal di schiena, ma le cause sono diverse immaginiamo…

Assolutamente, bisogna fare una distinzione tra chi corre su strada e chi corre su terreni sconnessi, come Mtb o ciclocross. La superficie su cui si pedala influenza notevolmente la risposta del fisico. Per esempio: dopo una Roubaix il 98 per cento dei corridori soffre di mal di braccia e dolori cervicali, in una corsa su strada invece i corridori che soffrono per un problema di questo tipo sono pochissimi. Si contano sulle dita di una mano.

Come si può curare o evitare il mal di schiena?

Partiamo con l’evitare, quindi la prevenzione. Lo studio del soggetto è fondamentale, bisogna capire se l’atleta è portato ad avere disturbi o patologie anche senza effettuare attività fisica. Il passo successivo passa per il posizionamento biomeccanico e la messa in sella. Come dico spesso è la bici che si deve adattare all’atleta e non viceversa.

Una volta in corsa, invece, come si agisce?

C’è ancora una parte decisiva, legata alla biomeccanica, ovvero la pedalata. Se un atleta tende ad accompagnare con il busto ogni singola pedalata andrà ad affaticare oltremodo la schiena, questo però è legato anche alle abitudini dei singoli. E’ difficile cambiarle, si possono però prevenire.

Gli allenamenti del core zone non andrebbero mai abbandonati, neanche in piena stagione
Gli allenamenti del core zone non andrebbero mai abbandonati, neanche in piena stagione
E come?

Per tutti i ciclisti è fondamentale la fase di stretching dopo l’attività fisica. Generalmente si fa del defaticamento sui rulli e poi in pullman si prosegue con delle estensioni. Queste servono ad allungare la muscolatura compressa durante lo sforzo.

Invece per quanto riguarda le attività di supporto? Come il rafforzamento in palestra?

Non serve ammazzarsi di pesi, la cosa migliore è allenare il core che è l’insieme della muscolatura interessata alla specifica pratica sportiva, quindi schiena, spalle, addominali e braccia. Si tratta di stimolare quelli che sono i punti di sostegno.

Per quanto riguarda invece la doppia disciplina, quali sono le accortezze da attuare?

Qui è diverso, come detto all’inizio. Il tipo di terreno su cui si corre influisce su quelli che possono essere disturbi muscolari. Chi pratica la doppia disciplina, come Van Der Poel, deve avere sempre un periodo di transizione da strada e sterrato e viceversa. Si tratta di due o tre settimane in cui l’atleta deve far adattare il proprio fisico a quel determinato sforzo, quindi, non deve correre ma allenarsi a ritmi più blandi per permettere questo adattamento.

Ma questo periodo di transizione dovrà farlo sempre?

Sì, non importa quanto sei forte e allenato. Anzi più passano gli anni, più sarà necessario. Ora il corridore (Van Der Poel, ndr) è giovane, ma andando avanti con gli anni perderà la capacità elastica dei muscoli.