I 90 anni del Vigorelli: la storia in bianco e nero, il futuro a colori

31.10.2024
5 min
Salva

MILANO – Il velodromo Vigorelli si nasconde tra i palazzi e le vie della città, quasi come se non volesse essere trovato. La sua struttura, antica e colma di storia, accoglie sullo sfondo i grattacieli di City Life una delle parti più moderne di Milano. Un contrasto, quasi una beffa al nuovo che avanza. Come a dire: «Nessuno riuscirà a spostarmi». Ma nei suoi 90 anni di storia, festeggiati il 28 ottobre scorso, i momenti in cui questo gigante ha vacillato sono stati molti. La pazienza e l’amore di poche persone, ora diventate sempre di più, ha permesso a Milano di non perdere il simbolo di un ciclismo che era e che vuole essere

Nel giorno del suo novantesimo compleanno il Vigorelli apre le porte al pubblico e agli appassionati, raccontando la sua storia attraverso chi quelle assi di legno le ha viste passare veloci sotto i propri occhi. La serata inizia con un aneddoto, raccontato da Davide Peverali, presidente del Comitato Velodromo Vigorelli

«In realtà gli 80 anni del velodromo – spiega con fare divertito – li abbiamo festeggiati 9 anni fa. Non perché non sappiamo fare i calcoli, ma perché nel curiosare sugli archivi del Corriere della Sera, alla ricerca di dati e statistiche, ci siamo imbattuti in un articolo sull’inaugurazione del Vigorelli, datato 28 ottobre 1934. Fino a quel momento la data ufficiale era 28 ottobre 1935. Invece in quell’anno sono arrivate le prime gare».

Il Vigorelli è noto per le sue curve con pendenze da capogiro, pedalarci sopra è un vero allenamento (foto Instagram)
Il Vigorelli è noto per le sue curve con pendenze da capogiro, pedalarci sopra è un vero allenamento (foto Instagram)

Da Roma a Milano

Il parquet utilizzato per realizzare la pista del Vigorelli arriva direttamente da Roma dove nel 1932 si svolsero i campionati del mondo su pista. 

«Come accade spesso per le grandi manifestazioni – dice Davide Peverali – il parquet realizzato per le prove su pista rimase inutilizzato. Così il comune di Milano acquistò, per 100.000 lire, la pista per inserirla all’interno del Vigorelli, che in quegli anni stava venendo alla luce. Ci si rese conto però che le misure delle strutture non combaciavano perfettamente, così gli ingegneri furono costretti ad accorciare il rettilineo di un metro e alzare le curve. Questo diede origine alla caratteristica che ha reso il Vigorelli famoso in tutto il mondo: ovvero la pendenza delle curve».

«La prima gara – ricorda il presidente del Comitato – fu disputata nel marzo del 1935. A vincere fu Albert Richter, pistard tedesco che su quello stesso parquet aveva vinto l’oro mondiale nella velocità. Una specie di fil rouge per dare continuità a questo legno e alla sua storia».

Le parole di chi è passato

Il legno e i muri del Vigorelli hanno accolto campioni di epoche passate e recenti. Dal Record dell’Ora di Fausto Coppi alle gare settimanali che vedevano contrapporsi i ciclisti più forti al mondo. Qui sono stati costruiti anche i momenti importanti del quartetto olimpico di Tokyo del 2021. Al Vigorelli sbocciò anche il talento di Marino Vigna, uno dei ragazzi che vinse l’oro olimpico a Roma nel 1960. Esattamente 61 anni prima dell’ultima volta, quando toccò a Ganna, Consonni, Milan e Lamon. 

«Vivevo a un chilometro dal Vigorelli – racconta Marino Vigna, intervenuto nella serata dei 90 anni del velodromo – e c’era un evento che negli anni diventò importante per il pubblico della pista: il Mercoledì del Dilettante. Che poi tanto dilettanti non erano visto che partecipavano campioni del mondo e ori olimpici. La prima volta che misi le ruote su questo parquet fu nel 1956, gareggiai in una gara a handicap. Consisteva in partenze con ordini invertito rispetto alla classifica. Il più scarso per primo e poi dietro quelli forti. Io ero davanti a tutti visto che su pista non avevo mai corso, fatto sta che partimmo e non mi presero più – dice ridendo – una prestazione che diede inizio alla mia carriera di pistard. La mia convocazione alle Olimpiadi di Roma del 1960 nacque proprio dal parquet del Vigorelli, nella mia città».

Il futuro

Non esiste solamente il legame con il passato però, il Vigorelli dopo anni difficili è tornato a vivere e ad accogliere giovani ciclisti. E’ nata una scuola di ciclismo e nel tempo è diventato anche centro federale pista, con l’intento di veder tornare a girare gli atleti in maglia azzurra. 

«Il 2024 – conclude Davide Peverali – è stato un anno zero con tanti progetti in erba. La scuola di ciclismo, rivolta ai più piccoli, accoglie bambini dai 3 ai 10 anni e li introduce in questo mondo. Inoltre come centro pista contiamo su una cinquantina di tesserati e rispetto al 2023 abbiamo aumentato i giorni di apertura della pista, passando da due a quattro. Vorremmo che il prossimo anno fungesse da trampolino di lancio per riuscire a risollevare definitivamente il Vigorelli. Il nostro staff, guidato da Beppe Ravasio direttore tecnico del centro pista, è a disposizione e lavora in maniera incredibile. Portare i ragazzi e i team giovanili qui è un modo per continuare la storia di questo velodromo regalando a ciclisti di domani un palcoscenico unico».

Un compleanno che ha voluto testimoniare la forte storia di un talismano della città, vissuta attraverso le parole di chi c’era. Sarebbe stato bello che alla serata avessero preso parte anche quei bambini della scuola di ciclismo, per sentire dalle loro giovanissime voci cosa significhi per loro girare nel Vigorelli. Un posto del quale non conoscono la storia, e non sono obbligati a farlo. D’altronde è compito di chi c’era appassionare con le proprie parole coloro che ora vivono questa realtà, ma con lo sguardo volto al futuro. Così che tra 90 anni saremo ancora qui ad ascoltare nuove storie, raccontate da chi ora inizia a muovere i primi passi su questa pista.

«Il mio amico Sante»: con Vigna, ricordando Gaiardoni

17.12.2023
6 min
Salva

Nel 1959 Milano era piena di prati. «Si poteva andare in bicicletta – ricorda Marino Vigna – io addirittura andavo a fare le volate in Viale Certosa, che adesso non ci passano neppure più i pedoni». In questa città, che aveva nella Torre Brera il grattacielo in cemento armato più alto al mondo e con i suoi 116,5 metri era diventato il simbolo della rinascita dopo la Guerra, in un giorno del 1959 arrivò Sante Gaiardoni, ciclista veneto di vent’anni (foto Repubblica in apertura).

Vigna, a sinistra, con Testa e Arienti: tre del quartetto di Roma. Il quarto, Vallotto, se ne andò nel 1966 per una leucemia
Vigna, a sinistra, con Testa e Arienti: tre del quartetto di Roma. Il quarto, Vallotto, se ne andò nel 1966 per una leucemia

Un veneto a Milano

Il Vigorelli era il centro del mondo, in una città che respirava ciclismo. L’anno precedente proprio nella pista milanese, Ercole Baldini aveva vinto il Giro d’Italia, coprendo con la maglia rosa quella (ideale) di campione olimpico conquistata a Melbourne 1956. Mancava appena un anno ai Giochi di Roma.

«Di Sante Gaiardoni sono stato più che amico – racconta Vigna – iniziai a seguirlo quando arrivò a Milano e corremmo insieme alla Azzini. Aveva vent’anni e anche io, quando vinsi le Olimpiadi, ne avevo 21. Fra noi ci creò subito un bel feeling, mi incaricai di fargli da guida in una città in cui non conosceva nessuno, ma grazie al suo carattere fece presto a riempirsi di amici».

Gaiardoni arrivava da Villafranca di Verona. Era figlio di contadini e straripava di forza fisica. Ai Giochi del Mediterraneo di Beirut vinse l’oro nella velocità e nel chilometro, mettendo in discussione la supremazia di Gasparella.

Campionati del mondo 1963 a Rocourt, Sante Gaiardoni conquista il secondo oro (foto Anefo)
Campionati del mondo 1963 a Rocourt, Sante Gaiardoni conquista il secondo oro (foto Anefo)

Il rione dei ciclisti

Vigna ha da poco compiuto 85 anni, Gaiardoni se ne è andato il 30 novembre a 84. Il ciclismo lo aveva un po’ messo ai margini e di questo era rimasto male. Ma in quei giorni così lontani, alla vecchiaia non si pensava:f il mondo era una torta da mangiare con gioia e avidità.

«Ci ritrovammo a vivere tutti nello stesso rione – ricorda Vigna – c’erano più corridori in quell’angolo di Milano che nel resto della Lombardia. Io abitavo in via Piero della Francesca, a 500 metri c’era Maspes e, allargando il cerchio, anche altri. Eravamo nati e cresciuti in quelle strade, alcuni erano figli di negozianti, altri avevano l’azienda e anche Sante venne ad abitare in zona. Non l’ho mai sentito lamentarsi per la lontananza dal Veneto. Un po’ perché dopo un anno vennero a vivere a Milano anche i genitori e le sorelle. Un po’ perché aveva un carattere gioviale, era sempre allegro. Si fece presto tanti amici, come Manari, che lavorava alla Polizia Stradale…».

Gaiardoni vinse due mondiali della velocità. Qui al secondo posto il grande Antonio Maspes (foto Anefo)

La lunga lista dei P.O.

La Federazione del presidente Rodoni aveva divulgato l’ampia lista dei Probabili Olimpici e dentro c’erano finiti anche Vigna e Gaiardoni. La Azzini era una grande squadra e la curiosità di Marino, mai più risolta, verteva sul perché mai Gaiardoni non avesse scelto di correre con la Padovani, in cui avrebbe trovato Bianchetto e Beghetto: altri due eroi di Roma 1960.

«Eravamo andati a fare la visita a Padova – ricorda ancora Vigna – ma io non avrei mai pensato di poter partecipare alle Olimpiadi. Sante invece era già più forte di me e qualche sicurezza l’aveva, ma neanche tanto a ripensarci, perché Gasparella lo faceva penare. Invece fra il 1959 e l’inizio del 1960 feci davvero un bel salto di qualità e così nel mese di aprile, anche io iniziai a pensarci seriamente. Anche perché la prima volta che al Vigorelli misero contro i quartetti del Veneto e della Lombardia, vinsero loro con il record del mondo. E quando poi facemmo lo spareggio a Roma, vincemmo noi e facemmo ugualmente il record. Per Sante, il fatto di andare alle Olimpiadi nella velocità venne fuori quell’anno. Andammo a Parigi a fare il Grand Prix e lo vinse. Al Vigorelli si faceva il mercoledì dei dilettanti e corremmo un’americana così forte che vincemmo dando un giro a tutti».

Nel 1963, Gaiardoni sposò la celebre cantante Elsa Quarta, che per stare con lui interruppe l’attività (foto FCI)
Nel 1963, Gaiardoni sposò la celebre cantante Elsa Quarta, che per stare con lui interruppe l’attività (foto FCI)

L’oro di Roma

Roma nel 1960 si mostrò bella come mai più in seguito. Il velodromo era un monumento alla velocità e alla bellezza, circondato da pini e realizzato sul progetto di Ligini, che nell’assegnazione aveva preceduto Antonio Nervi, figlio di Pier Luigi.

Il 29 agosto era di lunedì e Vigna corse l’inseguimento a squadre con Arienti, Testa e Vallotto, con il tempo di 4’30”900 che gli valse l’oro. Alle spalle degli azzurri si piazzarono i tedeschi, staccati di 4”380, poi l’Unione Sovietica e la Francia.

Nello stesso giorno, Gaiardoni vinse l’oro della velocità, lasciandosi dietro l’indiano Rimple e l’australiano Baensch. Tre giorni prima aveva già vinto il chilometro da fermo, battendo il tedesco Gieseler e il sovietico Vargashkin.

«Quel lunedì sera – ricorda Vigna – festeggiammo, ma neanche tutti insieme. Erano arrivate le varie società e ci ritrovammo in un bar dell’Eur, lungo lo stradone che porta a Roma. Il giorno dopo invece ci accompagnarono al Villaggio Olimpico e ripartimmo quasi tutti. Sante invece rimase ancora e riuscì a viversi l’atmosfera delle Olimpiadi».

Il velodromo olimpico di Roma è stato demolito nel 2008: era inutilizzato dal 1968 (foto Artribune)
Roma, il velodromo è stato demolito nel 2008. Era inutilizzato dal 1968 (foto Artribune)

Il velodromo demolito

Di quei giorni restano le foto in bianco e nero di ragazzi pieni di sogni. Gli eroi sono tutti giovani e belli, recita la canzone, e anche se gli anni hanno increspato la pelle, nello sguardo di chi resta c’è ancora il lampeggiare di allora.

«Quando demolirono il velodromo di Roma – racconta Vigna – io piansi. Tornai a vederlo prima che lo facessero esplodere. Ricordo che il Comune era riuscito a scongiurarne la demolizione, ma ormai lo avevano minato e preferirono distruggerlo che rischiare di togliere gli esplosivi. Fu un peccato, aveva una foresteria in cui, quando divenni tecnico della pista, tenevo i corsi per direttori sportivi. Con Gaiardoni rimasi sempre in contatto. Venne ad abitare a Buccinasco e aprì il suo negozio. Continuavamo a frequentarci con le famiglie. Aveva tante cose da fare, al punto che un anno decise di candidarsi come sindaco di Milano. Ci credeva, ma vinse la Moratti e lui rimase male perché prese pochi voti. Io nemmeno votavo a Milano, altrimenti avrei potuto appoggiarlo».

Nel 2010 all’EICMA di Milano, Gaiardoni viene premiato con gli altri olimpionici di Roma
Nel 2010 all’EICMA di Milano, Gaiardoni viene premiato con gli altri olimpionici di Roma

Un eroe dimenticato

Quando Sante Gaiardoni se ne è andato, sua figlia Samantha ha chiamato Vigna, chiedendogli di chiamare i giornalisti affinché ricordassero suo padre. Marino fa una pausa. L’amico si era defilato, quando erano insieme quasi mai parlavano di ciclismo, ma di fatto il ciclismo fino a quel momento aveva fatto poco per ricordarlo. La gente quasi non si ricordava più di lui.

«Ebbi questa sensazione e ci rimasi male – racconta – quando lavorando in Bianchi, mi resi conto che nessuno sapeva chi fosse. E allora ho cercato di chiamare qualche amico e sono convinto che sui giornali il ricordo di Sante sia stato fatto bene. Alla fine lo hanno salutato in tanti con begli articoli e sono contento, perché se lo meritava. Sante Gaiardoni è stato un doppio campione olimpico, perderlo è stato un duro colpo. Beppe Conti mi ha invitato in RAI per ricordarlo a Radio Corsa e ci sono andato volentieri. Io sto bene, porto i miei anni e riesco ad essere presente a vari eventi, anche se non vado più troppo lontano. Ad esempio non sono riuscito ad andare a Forlì per ricordare Baldini, troppa strada e in poco tempo. Le cartucce sono sempre meno (sorride, ndr), bisogna usarle con attenzione».

Roma 1960, magico quartetto in bianco e nero. Vigna ricorda…

05.08.2021
4 min
Salva

Luigi Arienti, Franco Testa, Mario Vallotto (scomparso nel 1966 a 33 anni), Marino Vigna: ai più giovani questi nomi non diranno nulla, eppure hanno un peso specifico particolare nella storia del ciclismo italiano, quella storia che il quartetto di Tokyo ha riscritto. Quel poker di nomi fino al 4 agosto era stato l’ultimo quartetto italiano a conquistare la medaglia d’oro, nelle Olimpiadi di Roma 1960. Era un’altra epoca, un altro ciclismo. Si partiva dalle batterie e poi si correvano quarti, semifinali e finale. L’Italia superò la Germania in batteria per poi ritrovarsela di fronte in finale, dopo aver superato Argentina e Unione Sovietica.

Marino Vigna, un “ragazzo” milanese di quasi 83 anni (nella foto di apertura, datata 2010 è con Arienti e Testa), ha vissuto sulla sua pelle la gioia dell’oro olimpico e questo gli ha fatto vivere una giornata particolare, in attesa della sfida di Consonni, Ganna, Lamon e Milan.

«Mi hanno fatto soffrire ed emozionare tantissimo – afferma colui che è stato anche predecessore di Marco Villa come tecnico della nazionale – ho avuto tanta paura quando vedevo i danesi guadagnare, poi è esploso Ganna e siamo esplosi noi nel sostenerlo. Certo che vanno a delle velocità impossibili, dovranno alzare le curve per mettere un freno…».

Ecco in quartetto di Roma in azione. Mario Vallotto morì nel 1966 a 33 anni
Ecco in quartetto di Roma in azione. Mario Vallotto morì nel 1966 a 33 anni
Che cosa significa vincere un’Olimpiade?

E’ difficile rispondere perché i tempi sono molto cambiati. Ora c’è un tam tam tale che ogni evento viene vissuto in diretta, in qualsiasi tempo e luogo. La nostra finale venne trasmessa un paio d’ore dopo che si era disputata, ma era il 1960 e non tutti avevano a casa il televisore. E’ un’epoca completamente diversa e completamente diverso era il ciclismo che vivevamo. Ora è tutto immediato e sorprendente: basti pensare che da quando la finale è finita anch’io sono stato subissato di messaggi e telefonate…

Anche per voi la vittoria fu così sudata?

Non sul filo dei millesimi, già prima delle Olimpiadi, nella Preolimpica di primavera, avevamo stabilito il record mondiale battendo quelle che sarebbero state le principali avversarie a Roma. Si correva al Vigorelli di Milano, poi a Roma, durante i campionati italiani, la Lombardia batté il Veneto scendendo sotto il tempo della nazionale: i dirigenti della Fci decisero di prendere due ragazzi da un quartetto e due dall’altro e praticamente preparammo l’Olimpiade in due mesi. Questi ragazzi invece lavorano insieme da anni, hanno sacrificato anche le aspirazioni personali, per questo il loro oro vale tanto.

Marino Vigna è stato pro’ dal 1961 al 1967 poi è diventato tecnico della pista. Qui al Vigorelli di Milano
Marino Vigna è stato pro’ dal 1961 al 1967 poi è diventato tecnico della pista. Qui al Vigorelli di Milano
Eravate anche voi così giovani come il quartetto attuale?

Forse anche di più: io avevo 21 anni come Testa, Arienti 22, il più esperto era Vallotto che aveva 24 anni.

E avevate anche voi compiti ben distinti come i ragazzi di adesso?

No, per molte ragioni. A lanciare il quartetto era sempre il più esperto che doveva partire forte senza sfasciare il gruppo, poi ci si dava il cambio ogni mezzo giro. Le piste erano di 400 metri, praticamente si cambiava di continuo, solo Testa fece un giro intero a guidare. Anche per questo si facevano velocità inferiori, ma il paragone è improponibile, è cambiato tutto. Con i rapporti che usano Ganna e compagni, io andavo dietro motori

Che peso avrà questa medaglia d’oro?

Io mi auguro che ne abbia tanto, che porti tanti ragazzi a conoscere la pista, a scoprire questo bellissimo mondo. Ma spero soprattutto che questo risultato sia una spinta per dotare l’Italia di un altro velodromo al coperto. E’ incredibile che questi ragazzi abbiano ottenuto questi risultati, lavorando a Montichiari con tutte le difficoltà dell’impianto, sempre in attesa che il velodromo di Treviso venga completato. Per questo la loro vittoria vale anche di più e vorrei ricordare il fondamentale apporto di Villa, so bene che cosa significa vivere simili esperienze da tecnico.

Al museo Brianza d’epoca, Vigna con Ernesto Colnago e Gianni Motta in una foto del 2017
Al museo Brianza d’epoca, Vigna con Ernesto Colnago e Gianni Motta in una foto del 2017
Il vostro oro arrivava in un momento di eccezionale fulgore del ciclismo su pista italiano: pensa che si tornerà a quei livelli?

Me lo auguro. Noi però avevamo solamente quattro prove in programma, ora invece c’è un grande spezzettamento di eventi, io stesso che sono appassionato spesso faccio fatica a seguire e mi perdo. Mi spiace però che questi ragazzi non potranno avere un segno di questa vittoria sulle loro divise: noi avevamo la maglia olimpica, ora non si può neanche mettere i 5 cerchi e non capisco davvero il perché

Da olimpionico del quartetto e da tecnico, quanto ha inciso Filippo Ganna in questo trionfo?

Molto, ma sono stati bravi anche gli altri a stare a ruota: deve essere chiaro che l’inseguimento a squadre non si vince da soli, ma tutti insieme, è sempre stato così e sempre lo sarà. Diciamo che se Ganna è il motore, gli altri sono la benzina che gli ha permesso di fare due giri da fantascienza…