«La Jayco-AlUla che volevo»: dopo la Vuelta, Piva sorride

15.09.2024
6 min
Salva

A luglio non era stato tenero. Avevamo chiesto a Valerio Piva un commento sul modo di correre della Jayco-AlUla e il diesse mantovano aveva detto che la squadra non rendeva come si aspettavano. Che per l’organico che hanno, sarebbe stato lecito aspettarsi altre vittorie e un altro atteggiamento. E poi aveva concluso dicendo che alla Vuelta avrebbe voluto vedere un cambio di passo e di atteggiamento.

Ora che la corsa spagnola è finita negli archivi con le due tappe vinte da Eddie Dunbar, siamo tornati da Piva per capire se quanto ha visto e vissuto sia finalmente simile a ciò che si aspettava. Davanti alla curiosità, Valerio fa una mezza risata.

«E’ stata una bella Vuelta – comincia – perché abbiamo vinto due tappe, abbiamo fatto tre secondi e altri piazzamenti. La squadra è stata presente come mi sarei aspettato quando abbiamo fatto quell’intervista. Nella prima settimana abbiamo sofferto il caldo, ma era davvero tremendo. Qualcuno l’abbiamo perso per malattia, però diciamo che da quando Dunbar ha vinto la prima tappa, tutto il gruppo ha cambiato passo. La Jayco-AlUla è diventata quello che mi aspetto da una squadra, voglio dire corridori motivati che cercano il risultato ogni giorno».

La prima vittoria di Dunbar al Campus Tecnológico Cortizo Padron ha motivato la Jayco-AlUla
La prima vittoria di Dunbar al Campus Tecnológico Cortizo Padron ha motivato la Jayco-AlUla
Senza pensare alla classifica: una scelta?

Dunbar ha perso minuti all’inizio, così abbiamo deciso di lasciarla stare. E’ stato un vantaggio, perché la prima vittoria è venuta da una fuga e lo hanno lasciato andare. La seconda invece è stata una vittoria molto importante, perché si è reso finalmente conto che ha le qualità per rimanere con i migliori in salita e l’ha dimostrato. Quindi ha superato questo periodo di sfortuna, incluso il ritiro dal Giro, con le cadute e tutto quello che è successo quest’anno. E penso che da adesso in poi avrà confidenza, morale e motivazione per se stesso e per la squadra. Quando uno vince, i compagni di squadra sono più presenti.

La seconda vittoria staccando i primi di classifica avrà dato morale certamente a lui…

Continuava a dirmi che si sentiva forte, che voleva vincere qualcosa e che la situazione di classifica non era normale. Quindi ci ha creduto fino alla fine e c’è da dargli merito. Noi l’abbiamo supportato e l’abbiamo spinto nelle fughe, perché un piazzamento nei quindici non ci cambiava nulla, invece una vittoria sarebbe stata più importante. In occasione della seconda vittoria, se fosse stato lì a lottare per i posti alti di classifica, quando si è mosso ai 5 chilometri forse gli sarebbero andati dietro. Ma è anche vero che quando dietro hanno aumentato, lui ha controllato bene.

Zana è arrivato secondo ai Lagos de Covadonga, battuto solo da Marc Soler
Zana è arrivato secondo ai Lagos de Covadonga, battuto solo da Marc Soler
I secondo posto di Zana ai Lagos de Covadonga è un rimpianto o un bel risultato?

E’ andato forte tutto il giorno. Gli avevo detto di stare attento a Soler, perché sapevo che era il più pericoloso. Il problema è che Soler ha una maniera di correre non facile da controllare. Si stacca, poi rientra e attacca. Filippo ci ha raccontato che un paio di volte si è staccato e lui ha controllato. Poi è rientrato e ha attaccato. E quando è partito, lui non aveva più gambe. Poi per fortuna è riuscito a controllare Poole. Secondo me il secondo posto con quel finale è stato il massimo che ha potuto tirare fuori. La vittoria sarebbe stata meglio, ma ci accontentiamo. In più Zana è uscito bene dalla Vuelta e magari lo rivedremo nelle prossime corse.

Tanti dicono che è stata una Vuelta di basso profilo perché non c’erano i tre fenomeni, altri dicono che però si è andati forte davvero…

Per gli atleti la prima settimana è stata molto impegnativa, con un caldo incredibile che ha debilitato tutti. Secondo me la tappa in cui O’Connor ha vinto non è venuta perché lo hanno lasciato andare, ma perché non ce l’hanno fatta a prenderlo. Sicuramente è stato sottovalutato, ma quel giorno faceva davvero caldo e qualcuno avrà pensato che li avrebbero ripresi tutti con il cucchiaino. Invece lui nell’ultima salita è andato più forte del gruppo e se l’è meritata. Roglic ha dovuto attaccare ogni giorno, perché l’australiano teneva bene. E quando alla fine l’ha passato, gli altri sono comunque rimasti indietro.

Anche Schmid, arrivato quest’anno alla Jayco-AlUla, ha fatto una grande Vuelta, con due secondi, un quarto e il quinto nella crono finale
Anche Schmid, arrivato quest’anno alla Jayco-AlUla, ha fatto una grande Vuelta, con due secondi, un quarto e il quinto nella crono finale
Quindi l’australiano è andato forte: buona notizia, dato che il prossimo anno correrà con voi…

E’ stato fortissimo, ma tutti si spremuti su quei percorsi per meritarsi certi piazzamenti. Anche Roglic si è trovato un paio di volte in difficoltà, è stata una Vuelta spettacolare e non scontata come al Giro, dove Pogacar ha preso la maglia e ha chiuso tutto. Abbiamo preso O’Connor perché vogliamo un capitano nei Grandi Giri che corra davanti, aggressivo. Simon Yates ha vinto la Vuelta e portato vittorie di valore, O’Connor può essere protagonista in qualsiasi gara. Può correre in modo da stimolare anche la squadra a stare davanti, stare concentrati e poi magari anticipare e andare in fuga come ha fatto lui. Io penso che ci possa dare delle soddisfazioni.

De Marchi è stato il motivatore che ti aspettavi?

All’inizio Alessandro avuto un problema di salute. Ha preso mal di stomaco, ho avuto paura che andasse a casa perché ha perso chili, si era disidratato. Poi è stato bravo, si è ripreso ed è ritornato il leader in campo, un corridore molto importante. Il giorno che Dunbar ha vinto la prima tappa, è stato lui che gli ha detto di andare, che era il momento giusto. Eddie si è mosso, è entrato nella fuga ed è andato. “Dema” è un corridore che vede la fuga. Quando aveva le gambe, ci andava lui. Adesso in qualche situazione non riesce ad andarci più, però è uno che vede la corsa ed è utilissimo in questi momenti per dare l’input agli altri.

Dopo il calvario della prima settimana, De Marchi è stato decisivo per lo spirito della Jayco-AlUla
Dopo il calvario della prima settimana, De Marchi è stato decisivo per lo spirito della Jayco-AlUla
Pensi che questa Vuelta possa diventare un esempio da indicare ai ragazzi?

Sicuramente sì, è già successo. La sera quando abbiamo festeggiato, c’era anche il nostro grande capo Gerry Ryan e lo ha detto a chiare lettere (l’imprenditore australiano, sponsor principale della Jayco-AlUla, è in apertura con Dunbar, ndr). Ha detto che la squadra deve correre così, che solo così si hanno risultati. Non dico che si vince tutto, ma anche i piazzamenti possono essere positivi se sono la conseguenza della qualità della squadra. E secondo me noi, con questa maniera di correre, possiamo raccogliere tanto. Quindi alla fine, sintetizzando, adesso sono soddisfatto…

Double: lo scalatore inglese scoperto dalla Polti è pronto per il WT

27.08.2024
6 min
Salva

I movimenti di mercato sono iniziati da qualche settimana e hanno portato già a grandi notizie che ci proiettano con curiosità verso il 2025. La Tudor con l’arrivo di Alaphilippe e Hirschi ha tenuto banco, ma anche le altre formazioni si sono mosse. Una di queste è la Jayco-AlUla, la quale all’interno del suo organico porta Paul Double, britannico classe 1996 che arriva direttamente dalla Polti-Kometa. Un profilo non di primo piano, vero, ma che ci ha fatto sorgere qualche curiosità.

Paul Double è passato professionista con Human Powered Health nel 2023, dopo un periodo da stagista nel 2022
Paul Double è passato professionista con Human Powered Health nel 2023, dopo un periodo da stagista nel 2022

Pro’ a 27 anni

Paul Double è passato professionista tardi, se si guarda agli standard del ciclismo moderno, a 27 anni. Lo ha fatto con la Human Powered Health, formazione professional americana. Nel 2022 è stato preso come stagista, mentre nel 2023 è entrato ufficialmente nell’organico del team. Dopo una stagione fatta di alti e bassi è passato alla Polti-Kometa. La professional italiana lo ha preso, cresciuto e formato, tanto che in un solo anno è arrivato il salto nel WorldTour. 

Tra coloro che lo hanno seguito più da vicino, in questo 2024, c’è Stefano Zanatta, diesse del team Polti-Kometa. Proprio a lui chiediamo cosa ha visto e quali sono le caratteristiche del britannico. 

«Da noi – spiega Zanatta mentre si gode gli ultimi giorni a casa prima di riprendere la routine delle corse – Double è arrivato quasi casualmente. E’ stato proposto ai fratelli Contador (Fran e Alberto, ndr) la scorsa estate. Con l’addio di Fortunato eravamo alla ricerca di un corridore che potesse sostituirlo. Abbiamo capito che Double potesse essere una valida opzione perché lo avevamo visto in azione quando correva con la Mg.K Vis. In salita teneva molto bene ma peccava nella gestione della corsa, tatticamente era molto discontinuo. La conferma delle sue qualità è arrivata poi nei primi test invernali fatti con noi, i dati erano gli stessi fatti registrare da Fortunato. Così si è deciso di prenderlo e dargli fiducia».

Nelle stagioni precedenti si era fatto vedere nelle corse italiane, qui al Giro di Sicilia del 2021 con la Mg.K Vis
Nelle stagioni precedenti si era fatto vedere nelle corse italiane, qui al Giro di Sicilia del 2021 con la Mg.K Vis
Però arrivava da formazioni che non gli avevano dato così tanta esperienza, in cosa peccava?

Sapevamo che in salita sarebbe venuto fuori, ma era da perfezionare nelle altre situazioni di gara. Per fortuna da noi ci sono corridori come Maestri e Sevilla, ragazzi che sanno affiancare i meno esperti e insegnare loro come muoversi in gruppo. Double doveva migliorare nelle corse a tappe, specialmente in quelle più lunghe. Piano piano abbiamo incrementato i giorni, partendo da gare di quattro tappe fino ad arrivare al Giro di Turchia. 

Una corsa di otto giorni, impegnativa, nella quale ha colto un bel terzo posto finale…

Quello è stato un buon segnale, tanto che se avesse avuto un po’ più di solidità in passato avremmo anche potuto portarlo al Giro d’Italia. Double non ha mai fatto una grande attività, e fargli fare una corsa di tre settimane sarebbe stato un azzardo. Da inizio stagione è migliorato tanto, soprattutto nei percorsi misti e in discesa. Ha trovato maggiore confidenza con i mezzi e in sé stesso. 

La Polti-Kometa ne ha capito il potenziale, anche se tatticamente risultava ancora acerbo
La Polti-Kometa ne ha capito il potenziale, anche se tatticamente risultava ancora acerbo
Come spieghi il suo arrivo tardivo nel mondo dei professionisti?

Ha avuto squadre differenti, ma mai nessuna vicina alle sue caratteristiche. Gli mancava la fiducia, quest’anno con noi ha trovato una dimensione che lo ha stimolato. Tra le corse in Spagna e Italia si è ritrovato su percorsi vicini alle sue caratteristiche e in più lo abbiamo seguito molto bene. Non era abituato a lavorare seguito da un preparatore o da un nutrizionista. Si è adattato al nuovo sistema ed è stato molto bravo. 

Tatticamente in che modo avete lavorato?

Innanzitutto gli abbiamo dato fiducia, fin dai primi giorni. Nei due ritiri invernali gli abbiamo detto che calendario avrebbe fatto da lì a tre mesi. Anche a questo non era abituato, ma una strutturazione degli impegni è la base per programmare e gestire la preparazione. Parlando con Double lui era convinto di venire a certe gare in appoggio a Piganzoli. Noi gli abbiamo fatto capire che lui doveva farsi trovare pronto anche per fare la sua corsa. Avere un team che ha fiducia in te è la prima cosa utile per sentirsi apprezzato. 

Con il passare delle gare ha acquisito sempre più consapevolezza, il risultato migliore al Giro di Turchia, terzo nella generale
Con il passare delle gare ha acquisito sempre più consapevolezza, il risultato migliore al Giro di Turchia, terzo nella generale
Più specificatamente cosa hai visto, una volta in gara?

Attaccava da lontano e faceva fatica a tenersi a bada, a risparmiare le energie per le ultime parti di gara. In Turchia ha corso bene e il risultato è arrivato, sono però serviti due mesi di gare nelle quali ha imparato tanto. Dopo la pausa primaverile è ripartito dallo Slovenia e ha riallacciato il filo di quanto fatto in precedenza. Nella tappa più dura, la quarta, è arrivato secondo dietro a Pello Bilbao e regolando il gruppo dei migliori che comprendeva Aleotti (vincitore poi del Giro di Slovenia, Pozzovivo e Pellizzari, ndr). 

Il segreto qual è stato?

Trattarlo come un neo professionista. Senza offesa ma era come se lo fosse, quindi il lavoro fatto è stato di costruzione. Ne siamo stati sempre soddisfatti, tanto che avremmo voluto tenerlo con noi, poi però sono arrivate le sirene del WorldTour. Ci rimane il piacere di aver formato un ragazzo forte, l’ennesimo passato da noi e poi finito tra i grandi. Una cosa è certa, se fosse rimasto con noi lo avreste visto al Giro del 2025. 

In Slovenia un’altra grande prestazione nella tappa regina, secondo dietro solamente a Pello Bilbao
In Slovenia un’altra grande prestazione nella tappa regina, secondo dietro solamente a Pello Bilbao
Ora però ha ancora possibilità di crescere e imparare con voi…

Da qui a fine stagione lo faremo correre e sfrutteremo la sua crescita. Adesso farà Larciano, Matteotti e Pantani, poi lo porteremo al Giro di Malesia e vedremo se farlo correre al Lombardia. Sarebbe al sua prima monumento e la seconda corsa nel WorldTour (la prima è stata il Tour de Pologne nel 2023, ndr).

La Jayco prende quindi un corridore ancora in grado di fare degli step importanti?

Sicuramente. Pensare che Double possa diventare un gregario da grandi corse a tappe è difficile. Ma in una gara di tre settimane può essere un ottimo battitore libero. Il fatto che non abbia ancora fatto esperienze del genere gli permetterebbe di aumentare ancora i giri del motore. Sono sicuro che in un contesto organizzato come una squadra WorldTour troverà il modo di fare bene. Gli facciamo tutti un in bocca al lupo.

Dislivello e percorso: come si scelgono i rapporti?

29.07.2024
4 min
Salva

Spesso abbiamo visto in quest’ultimo Tour de France gli atleti cambiare rapporti e anche al Giro d’Italia Women le cose non sono andate diversamente. Addirittura c’è chi, come Mavi Garcia, ci hanno spiegato che ha una sorta di linea di demarcazione circa la scelta degli ingranaggi da spingere. Sopra ai 2.000 metri opta per la corona da 36 denti, al di sotto lascia la tradizionale corona da 40.

Questa regola vale per tutti? C’è una formula ben precisa? Ne parliamo con Marco Pinotti, tecnico proprio in forza alla Jayco-AlUla dove corre guarda caso anche la stessa Garcia, che ha dato un po’ il “la” a questo argomento.

Marco Pinotti, ex corridore, è oggi uno dei preparatori della Jayco-AlUla
Marco Pinotti, ex corridore, è oggi uno dei preparatori della Jayco-AlUla
Tu, Marco, sei sia un coach che un ingegnere, quindi molto attento anche alla scelta dei materiali: cosa ci dici di questo “split” del dislivello come discriminante per la scelta dei rapporti?

Oggi tutto è molto standard, quindi non è così facile cambiare. Prima la guarnitura classica era con il 53-39, adesso è con il 54-40 però più che dal dislivello la scelta dipende dal percorso. Se ci sono 4.000 metri di livello, però le salite sono pedalabili e ci sono anche tante discese io tengo il 54-40, anzi, magari metto il 55. Uno pensa solo alle salite ma ci sono anche le discese. E poi com’è l’arrivo? Veloce, tira a scendere? O al contrario sale?

Quindi non esiste una formula che faccia da spartiacque insomma…

No, ripeto comanda il percorso. Il dislivello non può e non sempre dice tutto. Magari l’intera tappa ha solo 1.200 metri di dislivello, ma il finale è su uno strappo al 20 per cento e lì ti serve il 36. Magari potresti montare il 52, ma solo perché è più facile e meno rischiosa la cambiata. Semmai c’è uno standard di rapporti per cui ti alleni.

Cioè?

Magari fai il 95 per cento dei tuoi allenamenti con determinati rapporti e il restante 5 provi altro. In ogni caso non è il dislivello che conta, ma più le pendenze. E in questo caso l’esigenza di provare altro.

L’avvento del 12 velocità ha ridotto notevolmente i cambi di rapporto e standardizzato molte scelte tecniche
L’avvento del 12 velocità ha ridotto notevolmente i cambi di rapporto e standardizzato molte scelte tecniche
In questa scelta, Marco, sono più sensibili gli uomini o le donne?

Dipende dai singoli atleti. Diciamo che con le donne forse serve un pizzico in più di attenzione: hanno meno forza quindi i rapporti sono un pochino più agili in generale. E lo sono anche perché sviluppando velocità più basse, per forza di cose per mantenere una certa cadenza vanno alla ricerca di rapporti più corti. Quindi magari loro quando ci sono frazioni dure tendono a cambiare un po’ di più (a ridurre le corone soprattutto, ndr)

L’avvento delle scale ampie come l’11-30 o ancora di più l’11-34, ha inciso nelle scelte tecniche?

Certo, sia perché i salti tra un dente e l’altro sono più ampi, sia perché di base si cambiano molto meno le scale posteriori. In più va detto con le 12 velocità anche questi salti si sono ridotti. E questo è molto comodo per meccanici e atleti che ad ogni tappa non devono stare lì a trafficare con il pacco pignoni.

C’è stato un caso in cui ti sei un po’ trovato al limite con la scelta dei rapporti per i tuoi atleti?

Su strada ormai no, proprio per il discorso appena fatto dell’ampio range delle dentature moderne. A crono invece un po’ sì. Forse in qualche caso il monocorona con l’11-34 può essere un po’ atipico. Penso forse alla crono dell’anno scorso al Tour.

I velocisti (qui Caleb Ewan) in salita vanno alla ricerca dell’agilità
I velocisti (qui Caleb Ewan) in salita vanno alla ricerca dell’agilità
Perché?

Avevi magari un plateau 58-42 il che rappresenta un bel salto, sono 16 denti. E con quel dislivello e quelle pendenze della crono di Combloux la scelta non era scontata. E infatti noi allertammo un po’ i nostri corridori che scelsero la soluzione del 58-42. Gli dicemmo di stare un filo più tranquilli con la pedalata durante la cambiata, soprattutto quando la catena doveva salire dal 42 al 58. In discesa c’è il “dente di cane” e il rischio è poco, posto che comunque resta. Mentre in salita non è così scontato che stando del tutto in tiro questa salga facilmente.

Marco, nella scelta dei rapporti sono più sensibili i passisti o gli scalatori?

I velocisti, probabilmente. I passisti i rapporti li girano bene. I velocisti invece sono sensibili sia quando c’è da fare una volata che in salita.

Spiegaci meglio…

In volata sono molto attenti alle caratteristiche dell’arrivo: se tira, se è piatto, se c’è vento… Li vedi che sono lì a scegliere tra 56, 55, 54 o anche più se vogliono fare lo sprint con il 12. E lo stesso vale per quando devono affrontare le tappe in salita. Vanno alla ricerca di un rapporto che gli consenta di salire senza fare troppa fatica, o meglio: di far girare la gamba. Insomma è più facile trovare uno sprinter col 36 piuttosto che uno scalatore. E qui ritorniamo un po’ al discorso di prima delle velocità. In salita il velocista va più piano e cerca dentature più corte per fare cadenza.

De Pretto e i primi (incoraggianti) passi nel WorldTour

15.06.2024
5 min
Salva

La prima stagione tra i professionisti di Davide De Pretto sta procedendo secondo il piano stabilito dal suo team, la Jayco-AlUla. Il veneto classe 2002, rientrato pochi giorni fa dal Giro del Delfinato, sta mettendo insieme tante esperienze differenti. Il suo calendario fino ad ora recita: 36 giorni di corsa, di cui l’esatta metà, 18, nel WorldTour. 

De Pretto ha collezionato presenze a gare importanti, come Strade Bianche, Milano-Sanremo, Liegi e Delfinato. A queste ha alternato corse minori dove però ha avuto modo di mettersi alla prova, collezionando qualche piazzamento e il suo primo podio tra i professionisti, al Tour of Oman. A cui sono seguiti un secondo e un terzo posto di tappa alla Coppi e Bartali

De Pretto è alla sua prima stagione tra i pro’ in maglia Jayco-AlUla
De Pretto è alla sua prima stagione tra i pro’ in maglia Jayco-AlUla

Le fatiche francesi

Al Giro del Delfinato De Pretto ha avuto modo di toccare con mano i ritmi che si respirano in una corsa a tappe di alto livello. Tutti i giorni si sfiorano ritmi altissimi, la fatica nelle gambe e tanta esperienza da mettere in cascina. 

«Sto bene, ho finito da poco di allenarmi – racconta – in palestra per la precisione. Sto continuando a farla, anche durante la stagione, soprattutto per la parte alta, il cosiddetto core. Con il Delfinato ho messo alle spalle un po’ di fatica, ora recupero in vista del campionato italiano del 23 giugno. In Francia la cosa che ho notato è come i primi vadano davvero forte. Arrivavo da un periodo di altura nel quale non ero stato bene, quindi la condizione non era quella desiderata. Avevo nel mirino le tappe due, tre e cinque, ma senza una gamba adeguata era impossibile anche pensare di tener duro».

De Pretto ha già corso molte gare importanti, tra cui la Strade Bianche
De Pretto ha già corso molte gare importanti, tra cui la Strade Bianche
Una bella esperienza comunque?

Assolutamente, ho visto qual è il ritmo al Tour de France. I miei compagni più esperti mi hanno detto che i ritmi sono gli stessi. In salita tutti tenevano duro, era difficile vedere gente che si staccava subito (questo dettaglio lo ha notato anche Fancellu, ndr). 

Stagione piena fino ad ora…

Sono contento di ciò, ho iniziato a correre il 21 gennaio in Spagna alla Ruta de la Ceràmica e praticamente non mi sono mai fermato. Ho avuto il mio spazio nelle gare minori, come le 2.Pro o le 2.1 come la Coppi e Bartali. Nel WorldTour, invece, ho fatto parecchia fatica. Anche se al Giro dei Paesi Baschi ho conquistato la mia prima top 5 nella massima categoria. Quel giorno, devo ammettere, ero parecchio felice. 

Il primo podio è arrivato al Tour of Oman, terzo nella quarta tappa
Il primo podio è arrivato al Tour of Oman, terzo nella quarta tappa
La condizione era al livello previsto?

Stavo bene, forse un po’ stanco, tanto che dopo i Baschi mi sarei fermato volentieri, ma la squadra ha voluto portarmi in Belgio per fare Freccia e Liegi. Ci tenevo anche io, così ho stretto i denti e sono andato.

Tra gli U23 alla Liegi hai fatto terzo, com’è stato correre quella dei professionisti?

Sono molto diverse, anche solo per la distanza. Correre 80 chilometri in più non è semplice, poi i metri di dislivello tra i pro’ sono 4.500. E’ una corsa per gente leggera. Per il futuro penso possa diventare una gara adatta a me, con salite brevi ed esplosive. Penso sia una questione di maturazione, perché dopo 220 chilometri devi avere le gambe per attaccare sulla Redoute e reggere il ritmo dei migliori. 

Durante l’inverno ha fatto un carico di lavoro quasi doppio rispetto a quando era U23 (foto Instagram)
Durante l’inverno ha fatto un carico di lavoro quasi doppio rispetto a quando era U23 (foto Instagram)
Crescita e fondo. A proposito in inverno come hai lavorato?

Durante la preparazione le ore sono raddoppiate rispetto a quelle che facevo tra gli under 23. Ho messo alle spalle tanto fondo, poi con l’avvicinamento alle gare abbiamo fatto sempre più intensità. Anche nel ritiro appena concluso ad Andorra l’ultima settimana ho messo nelle gambe allenamenti più intensi. Rispetto allo scorso anno faccio più lavori di forza in palestra piuttosto che in bici. 

Se si guarda al calendario si nota come tu stia facendo molte più gare a tappe rispetto a quando eri U23. 

Questo mi sta dando una grande mano nel crescere e migliorare. Già dalla seconda corsa a tappe di quest’anno, il Tour of Oman, mi sentivo sempre meglio. Da under 23 fare una gara a tappa mi stancava molto, arrivavo gli ultimi giorni finito, non vedevo l’ora che finisse. Ora arrivo fresco, con ancora energia in corpo, ho un recupero migliore. 

Fino ad ora De Pretto ha preso parte a tante corse a tappe, ben cinque da febbraio a giugno
Fino ad ora De Pretto ha preso parte a tante corse a tappe, ben cinque da febbraio a giugno
Altura alle spalle, come stai?

La condizione sta crescendo, sono uno che ha bisogno di correre per metabolizzare i lavori fatti in altura. Il Delfinato ne è stata la prova, ma sono contento di come l’ho finito. Ora punto agli italiani e subito dopo il Giro d’Austria dal 2 al 7 luglio. Alla fine vedremo come starò, potrei fare Castilla y Leon a luglio, poi Arctic Race e infine San Sebastian. Ma prima, durante il Tour de France, noi che non corriamo faremo un ritiro a Livigno.

Piva: «Per Zana un Giro lontano dai riflettori ma di grande solidità»

01.06.2024
4 min
Salva

Il Giro d’Italia di Filippo Zana è terminato sfiorando una top 10 in classifica generale. Non era partito con l’intenzione di seguire i migliori lungo tutte e tre le settimane, ma le vicissitudini in casa Jayco-AlUla lo hanno costretto a provarci. Undicesimo a Roma, un Giro lontano dalle telecamere ma comunque solido. 

«Zana – ci racconta il suo diesse alla corsa rosa Valerio Piva – era partito per il Giro con le stesse ambizioni dell’anno passato. Essere di supporto a Dunbar per la classifica, cercare di ritagliarsi degli spazi nelle fughe e ripetere il successo del 2023».

L’obiettivo iniziale era permettere a Zana di lottare per una vittoria di tappa, come in Val di Zoldo nel 2023
L’obiettivo iniziale era permettere a Zana di lottare per una vittoria di tappa, come in Val di Zoldo nel 2023

Carte rimescolate

Eddie Dunbar ha terminato il suo Giro d’Italia a Oropa, tornando a casa il giorno dopo. Le carte in casa Jayco si sono rimescolate e i ragazzi del team australiano sono andati avanti giorno per giorno. 

«Chiaramente – continua – Piva – l’uscita di scena di Dunbar ha compromesso i nostri piani. Zana però si è dimostrato in grande condizione, soprattutto nelle due cronometro. Dopo Perugia eravamo convinti che potesse tener duro, magari perdendo qualcosa in classifica. Così si sarebbero aperti spazi per tentare di vincere una tappa e magari risalire qualche posizione. Il problema è che l’occasione si è creata troppo presto, nella tappa con arrivo a Bocca di Selva. In quella fuga era il migliore in classifica generale ed è entrato in top 10, ma era troppo presto».

La seconda tappa è stata anche l’ultima del Giro per Dunbar, costretto al ritiro causa caduta
La seconda tappa è stata anche l’ultima del Giro per Dunbar, costretto al ritiro causa caduta
Dopo l’arrivo di Bocca di Selva si trovava a meno di un minuto da Tiberi, detentore della maglia bianca.

Era controllatissimo. La Bahrain in quella tappa si era messa a ricucire un po’ il margine sulla fuga nella quale era presente Zana. Il problema era che anche la Ineos era interessata alla maglia bianca, visto che avevano Arensman in classifica. 

Alla fine era in top 10 e in lotta per la maglia bianca…

Gli spazi erano troppo ristretti per provare a fare qualcosa, per andare in fuga. L’unica mossa permessa era tenere duro e provare ad attaccare nei finali, ma con un Pogacar del genere era impossibile. In più Zana non è uno scalatore puro. Alla fine ci siamo detti che sarebbe stato importante portare a casa una top 10 e ci stavamo riuscendo. 

Con il ritiro dell’irlandese è toccato a Zana curare la classifica generale
Con il ritiro dell’irlandese è toccato a Zana curare la classifica generale
Fino alla penultima tappa, quella della doppia scalata del Monte Grappa.

Li ha pagato tutti gli sforzi fatti. Ha perso contatto, di poco, proprio sul primo passaggio del Grappa, ha lottato per rientrare ma era da solo. Peccato, perché una top 10 era più che meritata.

Come mai avete optato per tenere duro nonostante non fosse esattamente la sua specialità?

Dopo la cronometro di Perugia abbiamo parlato tutti insieme: Zana, Pinotti ed io. Ci siamo detti che l’occasione era ghiotta e comunque Zana stava facendo registrare ottimi valori. Fare un Giro in lotta per la classifica non era nei piani iniziali, ma comunque ha portato un’esperienza diversa che lo farà crescere. Per la squadra è stato un buonissimo risultato, anche perché una top 10 porta più punti UCI che una vittoria di tappa. 

Tutto è andato per il meglio, fino alla tappa del Monte Grappa, dove Zana ha perso la top 10
Tutto è andato per il meglio, fino alla tappa del Monte Grappa, dove Zana ha perso la top 10
A livello personale ha fatto un passo indietro?

Vincere una tappa porta tanto dal punto di vista del prestigio. In quel giorno sei il migliore, il corridore al centro dell’attenzione. Però Zana ha fatto un Giro solido, che può avergli insegnato qualcosa di nuovo e che lo ha fatto crescere. E’ giovane potrà migliorare ancora, anche se non lo vedo come un corridore specializzato per i grandi giri. Per corse di una settimana sì. 

Si è ritrovato anche spesso da solo.

La squadra era costruita intorno a Caleb Ewan. Con Zana e de Marchi che avrebbero dato sostegno a Dunbar. Il ritiro di quest’ultimo ha costretto Zana a lavorare per sé. L’esempio è la tappa del Grappa, se ci fosse stato qualcuno con lui magari sarebbe rientrato sul gruppo prima della seconda ascesa. Perdere la top 10 in questo modo è stato un po’ un boccone amaro, ma siamo molto soddisfatti di quanto fatto da Zana al Giro.

La nuova Paternoster, dalla strada verso un sogno a 5 cerchi

31.05.2024
5 min
Salva

E’ una Paternoster nuova quella che si approccia alla fase più importante della stagione (ma sarebbe più giusto dire della carriera, visto l’appuntamento olimpico). Anche la RideLondon ha confermato che la campionessa della Jayco AlUla ha ormai una nuova dimensione non solo su pista, ma anche su strada avendo lottato da pari a pari con le stelle del movimento, da Wiebes a Kopecky finendo quarta nella classifica generale a parità di tempo con l’iridata. Si era già capito alle classiche che eravamo di fronte a una Paternoster 2.0, le strade inglesi lo hanno ribadito.

La sua nuova dimensione nasce da una rinnovata consapevolezza: «Nel team, dove sono approdata lo scorso anno, ho trovato la mia dimensione, su di me è riposta tanta fiducia. Lo scorso anno è stato importante e delicato dopo tutto quello che era successo precedentemente, mi è servito per ritrovarmi, per creare una base di lavoro e la squadra ha avuto la pazienza di aspettarmi, ora ne stiamo godendo i frutti».

Il podio di tappa alla RideLondon Classique con Letizia seconda dietro la Wiebes
Il podio di tappa alla RideLondon Classique con Letizia seconda dietro la Wiebes
Già dalle classiche avevi espresso valori diversi dal passato…

Sì e guardando indietro posso anche dire che potevo ottenere anche di più. E’ da inizio stagione comunque che sto andando bene su strada, i valori sono sempre alti e questo mi conforta. Ho una nuova mentalità e consapevolezza e questo sarà importante soprattutto per gli anni a venire.

Se della Paternoster su pista si sa moltissimo, su strada eri quasi un oggetto sconosciuto, tanto che molti ti ritengono una velocista…

Io no, le mie caratteristiche non sono solo la velocità, anche se certamente in volata posso dire la mia. Ma tengo bene anche sugli strappi. Certo, non sarò mai uno scalatore e non potrò competere per la classifica delle grandi corse a tappe, ma anche quando passai professionista si vedeva che avevo caratteristiche multiple. Già quando passai pro’ vinsi il Festival Elsy Jacobs, gara a tappe battendo gente forte come Vos, Kopecky, Balsamo ed era una corsa con molti strappi, percorsi da classiche. Nell’ultima tappa arrivammo in 15 e vinsi io. D’altronde una velocista pura non posso esserlo, non ho leve lunghissime, ma so adattarmi a ogni percorso.

Un passo indietro nel tempo, la vittoria in volata di Paternoster in Lussemburgo. Era il 2018
Un passo indietro nel tempo, la vittoria in volata di Paternoster in Lussemburgo. Era il 2018
Il periodo nero, quello dei frequenti infortuni e conseguente naturale difficoltà a uscirne, sia fisicamente che psicologicamente, è messo finalmente alle spalle?

Sì, soprattutto mentalmente perché se mi guardo indietro non ho rimpianti per il tempo perduto. Sono giunta alla consapevolezza che anche quello è servito, mi ha fatto crescere, maturare. Quei momenti fanno parte del passato, bisogna andare avanti e guardare oltre.

Ora però la strada deve lasciare posto alla pista e al vero grande obiettivo…

Non ho mai perso il focus su quel che conta davvero in questa stagione. Appena tornata dalla Gran Bretagna sono stata due giorni a lavorare su pista a Montichiari e un paio di giornate saranno dedicate a quello anche nelle immediate settimane future, ma dopo il Women’s Tour potrò concentrarmi interamente sulla preparazione su pista. In programma avremo ancora un impegno in Belgio con Guazzini e poi sarà tempo del ritiro in altura.

Nel team australiano la trentina ha trovato l’ambiente giusto per tornare a crescere
Nel team australiano la trentina ha trovato l’ambiente giusto per tornare a crescere
Accennavi prima a Elisa Balsamo. Come hai vissuto il suo infortunio?

Un trauma. Eravamo a Livigno, io e Vittoria. Stavo guardando la corsa in tv, quando ho visto la caduta ho iniziato a urlare «Vittoria, Vittoria» perché Guazzini non stava guardando. Mi è venuto il cuore in gola, eravamo nel panico assoluto, con la gente intorno che ci chiedeva cosa stesse succedendo. Le corse che facciamo in questo periodo sono strane, le affrontiamo con uno stato d’animo particolare. C’è sempre un po’ d’ansia perché una caduta può significare perdere l’obiettivo a cui guardiamo da anni. Anche in Inghilterra, in certi frangenti ci pensavo due volte se buttarmi nella mischia e non nascondo che qualche tirata di freni la diamo…

Un problema che vi accompagnerà anche nelle prossime settimane, come a tutti coloro che, in qualsiasi sport, sono chiamati a partecipare a Parigi 2024…

Sì, perché basta un colpo d’aria, il più piccolo ostacolo a rimescolare le carte. Se uno ci pensa troppo, vive questo avvicinamento con terrore e sarebbe sbagliato. Bisogna fare attenzione, ma mantenendo sempre un atteggiamento positivo.

Alle classiche Paternoster ha mostrato un piglio nuovo, con ottimi piazzamenti
Alle classiche Paternoster ha mostrato un piglio nuovo, con ottimi piazzamenti
Come vivi le incertezze che ora circondano la presenza della Balsamo?

E’ stata una caduta terribile con conseguenze pesanti, ma spero tanto che non lo siano così tanto da impedirle di essere con noi e completare il cammino che abbiamo intrapreso. Dobbiamo confidare nella speranza, noi ci crediamo fortemente che Elisa sarà lì a lottare con noi.

Oltretutto la vostra gara, quella dell’inseguimento a squadre femminile, nei pronostici olimpici è considerata fra le 3-4 gare fra tutte le Olimpiadi con più possibilità di medaglia…

Stiamo toccando tutto il ferro che c’è – afferma ridendo la Paternoster – La pressione è tanta e fondamentale è anche l’approccio alla gara da vivere psicologicamente. In questo ci stanno aiutando molto Elisabetta Borgia come mental coach della nazionale e Paola Pagani che è la mia personale. E’ un bel gruppo il nostro, ci sosteniamo tutte, siamo 6 ragazze intercambiabili e ci diamo forza per esserlo. Lavoriamo su noi stesse per acquisire consapevolezza di quanto siamo forti e dove possiamo arrivare. Se arriviamo tutte al massimo della forma e diamo il 110 per cento, nessun traguardo è precluso.

Paternoster e Kopecky nell’omnium europeo 2024. Le ritroveremo rivali a Parigi 2024?
Paternoster e Kopecky nell’omnium europeo 2024. Le ritroveremo rivali a Parigi 2024?
Tu però non avrai solo l’inseguimento. C’è anche l’omnium che tra l’altro sarà l’ultimo giorno olimpico, quando ci sarà da completare la torta…

Infatti con Villa doseremo la preparazione, in questa prima parte ci stiamo concentrando sul quartetto, a luglio lavoreremo anche sull’omnium per essere pronta per il grande evento. Ho molta fiducia in Marco perché sa come si vince un’Olimpiade, l’ha fatto da atleta e da tecnico, è la persona migliore per trovare la quadra. Mi fido del suo metodo, so che può portarmi lontano.

Cherry Juice: il succo rosso che bevono dopo l’arrivo

25.05.2024
4 min
Salva

SAPPADA – La novità da quest’anno è contenuta nelle bottigliette da mezzo litro che vengono passate ai corridori dopo l’arrivo. Tutti le vedono, tutti chiedono di cosa si tratti: contengono un liquido rosso scuro. Dei nitrati e della barbabietola abbiamo già parlato, ma la sensazione è che si tratti d’altro: infatti è il Cherry Juice. Per questo ci siamo rivolti a Laura Martinelli, nutrizionista della Jayco-AlUla, per avere lumi in merito. Che cosa c’è dentro quelle bottigliette?

«Sono ciliegie – risponde – anzi, amarene. Sono particolarmente ricche di antiossidanti che favoriscono il recupero. E quello prima inizia e meglio è ed è il motivo per cui lo bevono sulla linea d’arrivo. Inoltre lo stesso prodotto, se viene assunto nel dopocena, dato che contiene naturalmente della melatonina, favorisce anche l’addormentamento. Ha lo stesso colore del nitrato, ma non c’entra nulla con la barbabietola».

Nelle borse dei massaggiatori all’arrivo, bibite e bottigliette con il succo di ciliegia
Nelle borse dei massaggiatori all’arrivo, bibite e bottigliette con il succo di ciliegia

Le preziose amarene

Succo di ciliegia. Ne avevamo già parlato su bici.STYLE quando Rossella Ratto ci ha descritto i benefici delle ciliegie e ora i tasselli compongono un mosaico più chiaro e dai contorni definiti.

«Alcuni studi preliminari – ha scritto la nostra esperta di nutrizione – suggeriscono che le ciliegie di Montmorency, note anche come amarene, si differenziano per un maggiore contenuto di melatonina, ormone che regola il ciclo sonno-veglia e il loro consumo potrebbe favorire il sonno migliorandone la qualità ed aumentandone la durata. Le amarene più sono scure più contengono antociani e hanno quindi un miglior potere antinfiammatorio. Sembrerebbero inoltre capaci di ridurre il dolore muscolare e la fatica durante l’esercizio prolungato.

«Con queste proprietà le ciliegie possono essere quindi un frutto di prima scelta per i ciclisti, da consumare quotidianamente in questo periodo, al fine di sostenere anche gli allenamenti più impegnativi e migliorare il recupero durante il sonno».

Il Cherry Juice viene disciolto in acqua nella concentrazione voluta
Il Cherry Juice viene disciolto in acqua nella concentrazione voluta

Gel disciolti in acqua

Tolta la prima parte di curiosità, ancora con Laura Martinelli quel che ci preme capire è il dosaggio di questo succo di ciliegie e il quantitativo che ciascun corridore manda giù per avere l’effetto voluto sul recupero.

«Sembra tanto liquido – risponde – ma in realtà è perché si tratta di succo concentrato che si vende in forma di gel e si schiaccia dentro la bottiglia da mezzo litro. Parliamo di un prodotto molto concentrato da 40 ml disciolto in mezzo litro d’acqua. Contiene anche 25 grammi di zucchero, però penso che i corridori preferirebbero bersi mezza Coca Cola o mezza Fanta. Non so se altre squadre abbiano bevande già pronte, noi abbiamo i gel e li sciogliamo in acqua. Sono molto dolci e i corridori farebbero fatica a prenderli così, anche se qualcuno lo fa, ma è davvero molto stucchevole».

Questo il Cherry Juice in dotazione alla Jayco-AlUla, prodotto da 6D Sport Nutrition
Questo il Cherry Juice in dotazione alla Jayco-AlUla, prodotto da 6D Sport Nutrition

Il protocollo del recupero

Interessante anche la parte legata al quantitativo di melatonina contenuto nelle amarene. Non tanto perché il gel diventi un sonnifero, ma perché assumendolo il riposo notturno diventa un momento di miglior recupero.

«Mentre dopo l’arrivo si dà a tutti – spiega Martinelli – dopo cena lo prende solo chi magari fa fatica a dormire. Per cui si parla di un prodotto che si prende principalmente per il recupero nell’immediato dopo corsa, dopo che hanno bevuto qualcosa di fresco, ma c’è anche chi per questo usa i chetoni. Una volta nel bus, diamo il recupero con le proteine disciolte in acqua oppure latte. Quindi fanno la doccia e poi mangiano la pasta o il riso. Diciamo che la novità di quest’anno è il Cherry Juice. C’è chi lo usa già dall’anno scorso, ma nel nostro protocollo è la novità del 2024».

Monte Pana che fatica, ma Zana è ancora in classifica

21.05.2024
4 min
Salva

MONTE PANA – «Per ora sta andando bene. Ma questa settimana sarà decisiva», così Filippo Zana ci aveva parlato ieri, nel giorno di riposo, pensando a tutto quello che sarebbe venuto dopo. E le sue parole sono state quelle di un cecchino. Oggi il corridore della Jayco-AlUla ha fatto fatica verso la vetta gardenese. Arensman e Tiberi lo hanno fatto penare, tanto che gli ha dovuto cedere 44”, un bel gruzzolo in chiave maglia bianca.

Ma si sa, il giorno di riposo tende a mescolare le carte dei valori in campo. E Zana è un diesel. E’ uno di quei corridori che esce alla distanza. E di certo non mollerà l’osso.

Sin qui Zana è stato uno degli italiani migliori, non solo per la classifica che ora lo vede ottavo a 12’43” dalla maglia rosa, ma anche per il suo essere stato attivo e propositivo durante tutta la corsa. Una corsa però che inizialmente doveva prendere pieghe diverse per lui.

Filippo Zana (classe 1999) è al suo quinto Giro d’Italia
Filippo Zana (classe 1999) è al suo quinto Giro d’Italia

Lo zampino di Dunbar

Il veneto infatti era venuto al Giro d’Italia per dare assalto alle tappe. «Dunbar – racconta – ha avuto sfortuna nelle prime tappe, è caduto e si è ritirato. Così mi sono ritrovato davanti io a provare far classifica e sto cercando di fare il meglio che si può». 

Dunbar ci ha messo lo zampino dunque e nella sfortuna c’è stata la “fortuna” (con due virgolette grosse così) che l’irlandese sia caduto subito, già prima della salita di Oropa. Sarebbe stato infatti un bel pasticcio se Filippo avesse mollato anzitempo. «Sapevo che Eddie non stava bene già prima della salita di Oropa e così ho tenuto duro sin da subito».

Ora però Zana in classifica c’è eccome. I suoi piani sono cambiati in corso d’opera, ma forse questi piani sono più nel suo Dna. Filippo infatti ha un bel feeling con le corse a tappe, non bisogna dimenticare che fu terzo ad un Tour de l’Avenir.

«Questa settimana sarà dura. Io voglio solo stare bene. Se è uno stimolo stare lassù? Sicuramente è una spinta per fare bene. Siamo lì e non si può far altro che tenere duro. Cerchiamo di farla andare bene per un’altra settimana».

Nonostante non sia uno specialista, Zana si è difeso molto bene nelle due crono del Giro, specie in quella di Perugia
Nonostante non sia uno specialista, Zana si è difeso molto bene nelle due crono del Giro, specie in quella di Perugia

Maglia bianca possibile?

Zana è terzo nella classifica della maglia bianca. Prima di questa sera è ben più vicino a Tiberi, il leader. Adesso il distacco dice 2’34”. Però è anche vero che Filippo si è tolto le cronometro e che tutto sommato ci sono salite che gli piacciono. Una su tutti è il Monte Grappa.

E lo è sia perché è la scalata di casa, sia perché la Montagna degli Alpini lo ha lanciato verso la conquista della sua prima vittoria da professionista, l’Adriatica-Ionica Race 2022. Lassù Filippo divenne leader della corsa senza più mollare il simbolo del primato.

«E’ già un successo essere nei primi dieci – spiega Zana – visto che in partenza non dovevo far classifica, quindi dobbiamo andare avanti giorno per giorno e non pensare ad un obiettivo specifico, come la maglia bianca. L’importante è essere in condizione di dare il massimo».

«Riguardo alle mie cronometro sono soddisfatto. Non sono affatto andato male, anche se sono consapevole che c’è ancora molto da migliorare».

Il veneto sulle rampe del Mottolino. Dopo il Monte Pana è 8° nella generale
Il veneto sulle rampe del Mottolino. Dopo il Monte Pana è 8° nella generale

Imperativo non mollare

Infine una battuta su Tadej Pogacar. L’altro giorno verso il Mottolino, ancora più di oggi, gli uomini di classifica tra cui Filippo sono sembrati quasi “disinteressati” al suo attacco. E ci sta. Erano molto più attenti alla marcatura tra di loro.

«Non è che non ci interessa – chiarisce Zana – ma se va il doppio degli altri non puoi andargli dietro. E’ superiore. E’ inutile andare fuorigiri per poi prendere 10′. Tutti noi lo badiamo, ecco… solo che quando tu sei a tutta e lui scatta cosa puoi farci?».

«Ci aspettano altre tre tappe molto impegnative – conclude Filippo – Bisogna farsi trovare pronti. La condizioni sta migliorando sempre di più, almeno queste sono le sensazioni. Speriamo sia cosi fino alla fine».

Insomma, il freddo, la tappa corta ed esplosiva visto il finale che presentava un muro da classiche, e il giorno di riposo: si spera siano state solo le cause di un passaggio negativo. Anche perché il Grappa e la sua gente lo aspettano.

Al tavolo Jayco-AlUla: nasce la strategia nutrizionale

21.05.2024
5 min
Salva

LIVIGNO – Quando scriviamo che oggi nulla è lasciato al caso non ci si rende conto fino in fondo quanto si vada nel dettaglio. E questo accade soprattutto quando si parla di nutrizione. Ieri pomeriggio abbiamo assistito alla riunione, o meglio alla pre-riunione, dei rifornimenti del team Jayco-AlUla per la tappa di oggi. E più precisamente per quella che è la strategia nutrizionale.

Pre-riunione perché in realtà proprio ieri c’era enorme fermento per questa frazione, in quanto la stessa era (e forse è ancora) oggetto di modifiche se non addirittura di annullamento, visto il temuto passaggio sull’Umbrail Pass. Quindi la riunione definitiva era rimandata alle decisioni prese dagli organizzatori della corsa rosa..

Tuttavia Laura Martinelli, la nutrizionista del team, il direttore sportivo Pieter Weening e il massaggiatore Alberto Alessandri, stavano comunque tirando giù una traccia del programma della strategia nutrizionale verso Santa Cristina di Val Gardena.

La schermata della strategia (qui la tappa di Lucca). In alto la tappa con i punti di ristoro, sotto quel che devono prendere. A destra, nome e auto di chi dovra coprire quei punti
La schermata della strategia (qui la tappa di Lucca). In alto la tappa con i punti di ristoro, sotto quel che devono prendere. A destra, nome e auto di chi dovra coprire quei punti
La prima domanda, dottoressa Martinelli, è: perché per stilare la strategia alimentare partecipano anche il diesse e il massaggiatore?

Perché è il direttore sportivo a stabilire i punti di rifornimento. E da questi, cioè da come sono dislocati, dipende poi la strategia alimentare. In più c’è il massaggiatore perché è lui l’esecutore, colui che mette in pratica questo piano. Quindi deve preparare il tutto. Noi qui siamo solo tre, altrimenti sarebbe un caos, ma ognuno di noi tre poi ha i suoi referenti. La schermata che avete visto viene stampata su un foglio distribuito a tutti gli interessati.

E, direttore Weening, come li sceglie i punti?

Solitamente ne imbastisco uno ogni 25-30 chilometri e li scelgo soprattutto per questioni logistiche, cioè su come e quanto siano facili da raggiungere per i vari massaggiatori. In seconda battuta, valuto se da quella posizione poi si possono fare altri tagli e si possono andare a fare altri rifornimenti. Solitamente sono cinque i punti che fisso, raramente di più. Anche perché poi non avrebbe troppo senso. I ragazzi stessi sarebbero meno concentrati sul prendere il rifornimento. E’ come se fosse un “buffet continuo”. Invece così è tutto più preciso. Poi qualcuno viene in ammiraglia a chiedere qualcosa, e va bene… Ma di base cerchiamo di attenerci a questo piano.

E da questi punti, Laura, scegli cosa devono ingerire?

Sì, stabilisco cosa mangiare anche in base alla tattica, ma soprattutto in base alla tipologia della tappa e alla temperatura. In particolare presto attenzione ai carboidrati. Quest’anno, sia perché le tappe del Giro d’Italia sono più corte e sia perché abbiamo integratori diversi che ci consentono di assumere più carboidrati l’ora, non utilizziamo più il sacchetto.

Luke Plapp manda giù una borraccia di carbo (si nota il numerino della quantità di carbo scritto in bianco sul tappo)
Luke Plapp manda giù una borraccia di carbo (si nota il numerino della quantità di carbo scritto in bianco sul tappo)
Avete parlato di tattiche, che relazioni ci sono tra queste e i rifornimenti in corsa?

Che se un corridore deve andare in fuga, deve partire con il pieno. Nella nostra scheda ci sono anche indicazioni alimentari che riguardano il pre-tappa, che per loro diventano ancora più importanti. O al contrario il velocista che deve arrivare con le scorte di glicogeno piene nel finale.

La scheda che gli date serve anche a loro per mettere le cose giuste in tasca al via?

Sì, e serve anche per capire se il massaggiatore gli deve passare la borraccia più il gel o solo la borraccia. Poi ci possono anche essere dei cambiamenti in corsa, ma cerchiamo di limitarli al massimo, ai soli imprevisti.

Cioè?

Cioè se un corridore si ritrova in fuga e magari non doveva. Ma noi preferiamo che il corridore non cambi idea durante la tappa. Del tipo, in partenza era stabilito che mangiasse una barretta al chilometro X e un gel al chilometro Y e poi cambia i piani. Siamo tante persone a lavorare e serve un piano chiaro. Univoco. E poi avere un piano chiaro evita al massaggiatore che sta sul posto di ritrovarsi con la frenesia di dover sostituire all’ultimo quella borraccia o quel gel. Spesso i tempi sono veramente stretti tra un punto e l’altro e il passaggio della corsa.

Il massaggiatore Alberto Alessandri ci mostra la scorta degli integratori nel camion. Da qui inizia il suo lavoro
Il massaggiatore Alberto Alessandri ci mostra la scorta degli integratori nel camion. Da qui inizia il suo lavoro
Si parla sempre più di carboidrati/l’ora: resta questo il fondamento della strategia e dell’integrazione?

Sì, ormai sappiamo con una certa precisione quanto consumeranno i ragazzi. E in base a questo stabiliamo le varie assunzioni con borracce, gel e barrette. Alcune borracce più o meno cariche di carbo, variano in base alla tattica e al ruolo di ognuno.

Qual è la variabile che più incide, oltre al percorso chiaramente, sulle quantità di carboidrati da prendere?

La temperatura. Faccio un esempio, sin qui è stato un Giro d’Italia fresco, ma come ci sono state un paio di tappe più calde abbiamo notato come sia aumentato notevolmente il consumo di acqua, che invece è libero. In tal senso i ragazzi non hanno un piano specifico. Anche perché la regola qui in casa Jayco-AlUla è quella di consumare una borraccia l’ora. Anche se è una borraccia che contiene carboidrati ha comunque dei liquidi. Se ne vogliono di più di acqua, no problem. Semmai con la temperatura varia la composizione della borraccia stessa. 

Cioè?

Se questa è più nutriente, vale a dire ha più carbo, è meno idratante. E viceversa. Se fa freddo il fatto che s’idratino un po’ meno non è assolutamente un problema. Mentre se fa caldo e le borracce contengono meno carboidrati è anche vero che ne consumano più di una l’ora, pertanto vanno a compensare la quantità di carboidrati necessaria.