Alla Jayco con Baronti per disegnare il nuovo Vendrame

18.09.2025
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Con l’approdo alla Jayco-AlUla, Vendrame ricomincerà la sua collaborazione con Fabio Baronti, conosciuto prima da corridore e poi ritrovato quando per farsi preparare si rivolse al CTF Lab di Martignacco, alle porte di Udine. Baronti da quest’anno ha lasciato la… nave madre del CTF Friuli, assorbito nel frattempo dal Team Bahrain Victorious, e ha intrapreso la via australiana. Da corridore a massaggiatore, questo il suo percorso, poi la laurea in Scienze Motorie e ora il ruolo di allenatore WorldTour nel gruppo di lavoro coordinato da Marco Pinotti.

Alcuni spunti nelle parole del corridore trevigiano hanno fatto pensare a piccole variazioni di rotta, che Baronti ci ha aiutato a decifrare, in attesa che il rapporto entri nel vivo e alle ipotesi si sostituiscano dei programmi tangibili.

«Conosco Andrea da una vita – conferma – abbiamo persino corso insieme, ma non siamo stati mai compagni di squadra. Lui è del 1994, io del 1995, abbiamo fatto le giovanili insieme. Quando era junior di secondo anno e io di primo, lui era al Veloce Club Bianchin, io alla Rinascita Ormelle. Ci siamo incrociati anche negli under 23, sfasati di un anno. Ma alla fine siamo della stessa zona, per cui è capitato che qualche volta ci allenassimo insieme. Finché nel 2022-2023, passato dall’Androni alla Ag2R, decise di cambiare allenatore e fu seguito dal CTF Lab. Non da me personalmente, però comunque dal centro e alla fine credo che si sia trovato bene».

Fabio Baronti è approdato alla Jayco-AlUla all’inizio della stagione 2025: proveniva dal CTF Friuli
Fabio Baronti è approdato alla Jayco-AlUla all’inizio della stagione 2025: proveniva dal CTF Friuli
E’ più facile iniziare a lavorare con un corridore che già si conosce?

Molto. Abbiamo già avuto in passato modo di conoscerci, quindi la fase iniziale di creazione del rapporto anche personale sarà molto più semplice, perché di fatto in tante componenti è già stata fatta. Il processo iniziale sarà più veloce.

Che idea ti sei fatto di Andrea Vendrame atleta, a questo punto della carriera?

Sicuramente un corridore versatile, dal punto di vista prettamente atletico. Tiene bene su salite di media lunghezza e ha un ottimo spunto veloce, per cui si comporta bene nei percorsi misti, dove magari c’è della selezione e poi bisogna far valere lo spunto veloce nel finale. In più, ha il vantaggio di essere molto intelligente.

Quindi?

Quindi uscendo dalla questione puramente legata alla performance, ha l’occhio per entrare nella fuga giusta, per fare l’azione nel momento giusto. Sono elementi che spesso sono difficili da quantificare, che però fanno la differenza tra giocarti una vittoria o rimanere tagliato fuori, anche se avresti le gambe per giocartela.

Giro d’Italia 2023, già dall’anno precedente, Vendrame è allenato dal CTF Lab alle porte di Udine
Giro d’Italia 2023, già dall’anno precedente, Vendrame è allenato dal CTF Lab alle porte di Udine
Secondo te c’è un fronte su cui può ancora migliorare?

Ogni allenatore ha le sue metodologie, per cui fatta la base, trova la chiave di lettura e il modo di lavorare sui piccoli dettagli. Dal punto di vista della performance, io credo che a 31 anni Andrea non possa avere cambiamenti macroscopici, la sua tipologia di atleta è quella. Credo che il miglioramento auspicabile sia legato a un piccolo margine a livello di rapporto potenza/peso, per essere ancora più resistente e avere un ventaglio di gare che si amplia leggermente. Resistere in gruppi ancora più ristretti di quelli in cui si trova adesso e questo chiaramente sarebbe positivo, senza però compromettere l’ottimo spunto veloce. E poi credo che l’altro risvolto della medaglia, che non è legato unicamente alla performance, sia il fatto di trovare un calendario adeguato che riesca a mettere in luce le sue qualità.

Anche Andrea ha parlato di calendario da rivedere…

Tante volte lo stesso atleta fa una progressione di gare, in cui si mette alla prova nel modo giusto e in cui trova anche la confidenza giusta, esprimendosi al miglior livello. Invece magari scelte sbagliate possono portarti a perdere un po’ di sicurezza o ti impediscono di esprimerti al meglio. Si tratta di unire i due aspetti. Farsi trovare nella forma giusta negli appuntamenti che verranno stabiliti insieme alla squadra.

Alla luce di questo, troveresti curioso sapere che Vendrame ha corso raramente la Sanremo e mai l’Amstel Gold Race?

Credo che in Italia ci sia più di qualche atleta che ha dimostrato di poter essere competitivo anche su questo tipo di palcoscenici, che invece a volte vengono visti come troppo grandi. Penso a uno come Velasco, che bene o male quest’anno si è portato a casa un quarto posto alla Liegi. Per quanto riguarda Vedrame, ancora non abbiamo parlato nello specifico di calendario e appuntamenti principali della stagione, però credo che quelle siano gare che gli si addicono. Anche quest’anno, con la forma che aveva alla Tirreno dopo aver vinto la tappa di Colfiorito, penso che alla Sanremo sarebbe potuto essere competitivo. Almeno avrebbe potuto provare a dire la sua.

Dopo un’ottima Tirreno-Adriatico 2025, Vendrame si è rassegnato a non correre la Sanremo. Meglio il Catalunya per fare punti…
Dopo un’ottima Tirreno-Adriatico 2025, Vendrame si è rassegnato a non correre la Sanremo. Meglio il Catalunya per fare punti…
Secondo te, il suo spunto veloce è altrettanto temibile dopo i 250 chilometri?

Sicuramente, anche per quello che ha dimostrato negli anni, Vendrame è un corridore resistente anche lungo le gare. Per capirci, al Giro d’Italia è uno che magari, senza avere numeri strabilianti o molto al di sopra della media, riesce ad esprimerli anche nella terza settimana quando gli altri sono più stanchi. Se becca l’azione giusta, è sempre uno molto pericoloso anche in queste gare più lunghe. Chiaramente nel momento in cui venisse deciso di puntarci seriamente con obiettivi chiari, è chiaro che ci sarà da lavorare sull’essere resistente anche dopo cinque o sei ore di gara e riuscire a fare gli stessi numeri che ha anche quando è fresco.

Si parla di lavoro da fare: che rapporto c’è fra Vendrame e l’allenamento?

Mi sembra uno che si conosce. Non è un esecutore, un robottino che fa e basta. E’ uno che riesce a relazionarsi nel modo giusto con le figure che ha intorno e a dare dei feedback super precisi sulle sue cose. Per quanto mi riguarda, parlando da allenatore, è sempre una cosa positiva. E’ il tipo di atleta che ti dà qualcosa indietro, il riscontro per essere ancora più a fuoco quando si va nello specifico e avvicinandosi agli eventi.

Parlando per un attimo di Fabio Baronti, com’è stato questo primo anno WorldTour lontano dagli amici del CTF?

Sono super contento dell’ambiente che ho trovato. Ho accettato la sfida di uscire dalla mia comfort zone e ho avuto la fortuna di trovare un altissimo livello di professionalità e di empatia dal punto di vista personale con tantissimi dei miei colleghi, a partire da Pinotti. Da un punto di vista professionale chiaramente è un bel salto, che mi ha messo nella condizione di dimostrare di essere all’altezza. Mi stimola a cercare cose nuove, a farmi delle domande in più.

La vittoria di Sappada al Giro del 2024 ha confermato la resistenza di Vendrame nella terza settimana
La vittoria di Sappada al Giro del 2024 ha confermato la resistenza di Vendrame nella terza settimana
Cosa ti pare del gruppo atleti?

Quest’anno tutta la squadra ha fatto un percorso, anche il gruppo performance si è messo in discussione. Abbiamo cercato di farci le domande giuste in modo da darci delle risposte che ci permettano di avvicinarci a chi al momento è un gradino sopra di noi. Io credo alle potenzialità in questo gruppo. Tante volte è chiaro che avere atleti forti aiuta, avere il talento è un bel vantaggio. Però è una bella sfida anche tirare fuori il massimo da un gruppo di atleti forti e motivati. Gente che abbia la maturità per ascoltare le istruzioni e metterci quel qualcosa in più, che permette di cogliere il risultato. Quello che Andrea Vendrame sa fare molto bene, per questo credo che il suo profilo sia adattissimo alla nostra squadra.

Covi-UAE: sei anni e poi l’addio. L’elenco dei pro e dei contro

16.09.2025
6 min
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«Se mi guardo indietro – dice Covi d’un fiato – penso che il programma che mi ha dato Matxin per quest’anno, che prevedeva che avessi il mio spazio per fare punti, sia stato la scelta giusta. Sono in questa squadra dall’inizio della carriera. Prima aveva una mentalità diversa, non si correva sempre con dei leader così forti. Ad esempio al Matteotti mi sono ritrovato in fuga e non mi capitava da due anni. Prima ero il tipo di corridore che andava all’avventura, per cui non mi è dispiaciuto avere questo spazio in più. Però ho 26 anni e vorrei provare a vedere cosa posso fare ancora. Se posso dare qualcosa in più e penso che la Jayco-AlUla sia la squadra migliore per fare questo passo».

Alessandro Covi risponde da casa, dopo una serie di ritiri da mani nei capelli nelle corse italiane di settembre. Il sorriso gli scappa facile, c’è una spiegazione per tutto. Anche perché quelle corse le ha vinte il suo compagno Del Toro, per cui c’è da immaginare che prima di mollare gli sia toccato tirare.

«Ho lavorato per lui – conferma – ma ammetto che non sono neanche al top della condizione. Mi sono sempre messo al servizio della squadra. C’è Isaac che vola, quindi è giusto aiutarlo il più possibile. Ad agosto ho avuto il mio momento di calo, come tutti. Si prende una mezza influenza, un problemino, che poi diventa sempre più grande quando c’è anche la stanchezza. Ho ripreso ad allenarmi bene da un mesetto, così ora do il massimo per aiutare la squadra».

Le ultime corse italiane di Covi, tolto il Matteotti, sono state caratterizzate dai ritiri dopo aver aiutato Del Toro a vincerle tutte
Le ultime corse italiane di Covi, tolto il Matteotti, sono state caratterizzate dai ritiri dopo aver aiutato Del Toro a vincerle tutte
Com’è maturata la decisione di cambiare? Non saresti potuto rimanere?

Inizialmente mi hanno detto di trovare una soluzione, perché io ero in scadenza e c’erano dei giovani da far passare. Poi sono cambiate alcune cose e c’era la possibilità di rimanere, però ormai avevo deciso di cambiare aria per cui ho tenuto la linea di approdare in un altro team.

Sei andato forte a marzo, ti vedremo ancora nel finale di stagione?

Sono caduto alla seconda gara di stagione, a Valencia e ho avuto un edema osseo. Ho saltato febbraio, ma andavo già forte e questo mi ha parecchio infastidito. Quando sono tornato a correre, avevo già una buona condizione e ho cercato di sfruttarla fino all’italiano. Ho vinto due corse e ho fatto due secondi posti. Sono andato forte anche dopo, in Austria, dove quasi ho vinto una tappa. Ma a forza di tirare la corda ho avuto il calo di cui ho già parlato poco fa. Per il finale, spero di tornare al giusto colpo di pedale: se si va forte, lo spazio si trova.

Come sono stati questi sei anni con la UAE Emirates?

Anni importantissimi. Sono stato stagista nel 2018, poi sono passato con loro nel 2020. Ho visto la trasformazione del team e, da due o tre stagioni, non ci sono dubbi che sia la squadra di riferimento a livello mondiale. Averne fatto parte sicuramente mi dà un bagaglio di esperienza e di ricordi che mi rimarranno per sempre.

Esiste davvero l’obiettivo delle 100 vittorie?

Io pensavo che l’obiettivo fosse la numero 86 (una più del Team Columbia-HTC, che nel 2009 raggiunse un totale di 85 successi, ndr), che manca poco. Arrivare a 100 è difficile, 100 è un numero gigantesco. Se si riesce, sarebbe solo una figata. Far parte di questa squadra, che il record si batta oppure no, è comunque un onore. Anche io ho dato anche il mio contributo, perché in almeno 26-27 vittorie , c’ero dentro anche io. Più vittorie si fanno, meglio è.

Ma scusa, torniamo sul tema, perché allora vorresti cambiare area? Cosa hanno visto in te alla Jayco?

Arrivo a 26 anni con il grande bagaglio della UAE Emirates. Sicuramente avrò più spazio in alcune gare, poi ovviamente mi sarà chiesto di supportare i capitani come O’Connor e Matthews. Corridori importanti con cui raggiungere ancora dei successi importanti. E’ un mix in cui troverò probabilmente più spazio anche per me stesso.

Si impara qualcosa lavorando per Pogacar, Ayuso o Del Toro?

Ovviamente impari un po’ da tutti, non solo da Del Toro. Impari dallo stesso Laengen che ha fatto una carriera a tirare, da ciascuno impari qualcosa. Ovviamente Pogacar e Del Toro sono fuoriclasse, per cui puoi imparare, ma quello che fanno loro è unico. Non puoi pensare di rifarlo, perché ognuno è capace di fare la propria cosa e quindi devi cogliere il meglio da tutti. Qualsiasi compagno ha una dote. E rubare qualche consiglio serve sempre per accrescere il bagaglio di esperienza.

Il tricolore avrebbe potuto svoltare la carriera: di certo lo ha fatto per Conca. I due saranno insieme nel 2026
Il tricolore avrebbe potuto svoltare la carriera: di certo lo ha fatto per Conca. I due saranno insieme nel 2026
Se ne va anche Ayuso…

Sono decisioni di Juan e della squadra. Penso che Ayuso sia molto forte, magari non a livello di Pogacar, però è un corridore che può raggiungere grandissimi risultati. Se non era contento di stare qui, allora penso che abbia fatto la scelta giusta per la sua carriera.

A 26 anni e dopo i vari problemi di salute dello scorso anno, sembri diventato molto serio. Esiste ancora il Covi sbarazzino dei bei tempi?

Esiste, diciamo che lo tengo nascosto (ride, ndr). In squadra lo sanno che mi piace scherzare, legare con tutti, creare un bell’ambiente. Sono sempre quello lì, magari si vede un po’ meno, perché uso meno i social, ad esempio.

Come mai?

Si pensa che siano molto importanti, ma alla fine la cosa importante è come stai davvero. Non devi dimostrare niente a nessuno sui social, ma finché sei giovane li segui perché è un mondo tutto nuovo. Alla fine invece capisci che alcune cose sono più importanti e altre meno e io penso che sia più importante la realtà vera di quella sui social.

Correre nel UAE Team Emirates per fare punti e aiutare: anche il 2025 è passato così
Correre nel UAE Team Emirates per fare punti e aiutare: anche il 2025 è passato così
Come le vivrai le ultime corse in Italia?

Cercando di godermi il più possibile questi ultimi momenti con la squadra. Ho legato con tantissime persone che vedrò sempre meno e non passerò più il mio tempo con loro. Sicuramente mi mancheranno tantissimo.

In compenso in questi ultimi due anni ti sarà mancato anche il Giro d’Italia?

Alla fine ne ho fatti due e mezzo, perché nel 2023 mi sono ritirato. Ho vinto una tappa (sul Passo Fedaia nel 2022, ndr), ho fatto altri due podi a Montalcino e sullo Zoncolan, quindi ho bei ricordi. Se pensiamo a come sono arrivati quei risultati, cioè andando all’attacco, ecco spiegata la decisione di cambiare team per ritrovare le sensazioni che avevo nei primi anni da professionista. Una rinascita. Magari sarà come iniziare da capo una nuova avventura.

Vendrame alla Jayco, con l’ipotesi di un calendario diverso

10.09.2025
3 min
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MISANO ADRIATICO – Lo avevamo svelato nei giorni della Vuelta, anche prima che fosse ufficiale. Andrea Vendrame approda alla Jayco-AlUla dopo aver trascorso gli ultimi sei anni nel team che oggi è Decathlon-AG2R. C’era arrivato dalla Androni, dove aveva lasciato intravedere tanto, compreso il fatto che fosse ormai pronto per lasciare il segno. Sono venute cinque vittorie, fra cui due tappe al Giro: quella di Bagno di Romagna nel 2021 e poi Sappada nel 2024. Nella squadra che ha alzato di molto l’asticella e le pretese, tuttavia, il trevigiano iniziava a sentirsi stretto. La vittoria alla Tirreno-Adriatico non è bastata per il rinnovo del contratto e così a maggio Vendrame si è sentito libero di valutare altre proposte. Solo dopo la vittoria di tappa al Tour du Limousin è arrivata l’offerta Decathlon, ma a quel punto era troppo tardi.

«Già dalle prime videoconferenze – racconta – abbiamo trovato un parere positivo da parte della Jayco-AlUla, che ci ha ispirato subito fiducia. I prossimi due anni saranno veramente importanti per la mia vita, inizio questa avventura con nuove motivazioni. Sono entusiasta. Mi piacerebbe iniziare una sorta di serie di vittorie con questa nuova maglia».

La vittoria di tappa al Tour du Limousin sembra sia servita per regolare qualche vecchio conto
La vittoria di tappa al Tour du Limousin sembra sia servita per regolare qualche vecchio conto
Che cosa cerchi a questo punto della carriera?

Sicuramente vorrei continuare a vincere e portare a casa più risultati possibili. E’ l’obiettivo prediletto di qualsiasi corridore. Finché ottengo risultati di spessore, posso considerarmi ancora un atleta vincente che può portare in alto i colori della nuova maglia.

Sei stato prima con l’Androni, poi sei diventato… francese per parecchio tempo. Adesso finisci in Australia. Il mondo è un po’ diverso oppure nel World Tour è tutto uguale?

Penso che ogni squadra nel WorldTour sia differente, ha delle caratteristiche diverse e probabilmente ogni Paese ha la sua filosofia. Sono in procinto di andare alla Jayco, che ha mentalità australiana. Però lo staff è abbastanza italiano, quindi vedremo che differenze ci saranno. In Decathlon ci sono molti ingegneri, che ci indicano la pressione delle ruote e quali rapporti usare, credo che questo tipo di innovazione arriverà presto in tutte le squadre.

Fra le novità della nuova squadra c’è che sarai allenato da Fabio Baronti, che già conoscevi: come mai?

Abbiamo già  fatto dei test per il materiale che andrò a utilizzare. Fabio Baronti lo conosco perché in passato ho collaborato con il CTF Lab per la preparazione. Sono veramente entusiasta di… ritornare con un preparatore che abita vicino a casa mia. Ci conosciamo dalle categorie giovanili, quando si correva assieme. Sono convinto che sia la premessa per lavorare davvero bene.

Vendrame deve gran parte della sua popolarità al Giro d’Italia, con le due tappe vinte grazie a lunghe fughe
Vendrame deve gran parte della sua popolarità al Giro d’Italia, con le due tappe vinte grazie a lunghe fughe
A parte l’offerta, che cosa ti ha convinto della proposta della Jayco-AlUla?

Il primo incontro con Brent Copeland, Steve Cummings e Marco Pinotti. Hanno mostrato subito di avere un pensiero positivo nei miei confronti. Mi hanno chiesto perché non abbia fatto alcune corse e il perché. Io ho dato le mie motivazioni, loro hanno replicato con quello che pensano. E così alla fine abbiamo deciso di provarci e avere ambizioni anche in altre corse rispetto alle solite.

Di quali corse parliamo?

Ad esempio Sanremo, Amstel e Liegi. Non le ho mai fatte e non ho mai avuto spiegazioni sul perché.

Con quali obiettivi pensi di chiudere questa stagione?

Dovrei finire al Lombardia e poi tirerò i remi in barca per andare in ferie e recuperare. Mi aspetto di continuare sull’onda positiva che ho tenuto fino ad ora e magari vincere ancora una corsa. Poi si comincerà a pensare alla nuova avventura.

Jayco-AlUla più italiana, arriva anche Vendrame

02.09.2025
4 min
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NOVARA – Tra Vuelta e classiche d’autunno con una nuova spinta italiana per il 2026. Approfittando dell’ultimo Grande Giro stagionale abbiamo incontrato Brent Copeland, general manager del team Jayco-AlUla che, oltre a parlarci delle ambizioni di classifica di Ben O’Connor, ci ha raccontato dei piani per il futuro e dei nuovi innesti.

Conca c’è già, Covi arriverà

Come annunciato, Alessandro De Marchi lascerà il ciclismo professionistico, mentre Filippo Zana ha concluso la sua avventura col team australiano, firmando con la Soudal Quick-Step. Eppure, in casa Jayco-AlUla si continua a parlare italiano. Agosto, infatti, ha portato in dote i due che si sono contesi la maglia tricolore fino all’ultimo respiro: Filippo Conca e Alessandro Covi, messi sotto contratto fino al 2027. Entrambi sono accomunati da una gran voglia di riscatto, per confermare quanto di buono visto a Gorizia.

«Come qualsiasi altra squadra – comincia a spiegare Copeland – cerchiamo dei talenti che si integrino nell’organico, non soltanto in corsa, e che rientrino nel nostro budget. Non scegliamo un corridore piuttosto che un altro per la sua nazionalità o per altri dettagli specifici. Cerchiamo ragazzi che a livello di mentalità si avvicinino il più possibile alla nostra e che possano rappresentare un valore aggiunto. Penso proprio che sia Conca sia Covi siano due ottime aggiunte e che rappresentino perfettamente quello che cerchiamo in un corridore».

Conca ha già debuttato in maglia Jayco-AlUla. Qui è a Plouay, domenica scorsa
Conca ha già debuttato in maglia Jayco-AlUla. Qui è a Plouay, domenica scorsa

Ragazzi in cerca di spazio

Rilanciato nel ciclismo che conta dallo Swatt Club, Conca ha già cominciato a far sfoggio della nuova e fiammante maglia tricolore. Ha infatti esordito a Ferragosto col nuovo team in Belgio e supportando lo scorso weekend a Plouay Michael Mattews (poi 8° al traguardo della Bretagne Classic).

«Noi volevamo gente – prosegue Copeland – che pensasse alla squadra più che ai propri risultati personali. Dopo alcuni colloqui con Filippo, abbiamo pensato che sarebbe stato l’inserimento perfetto. Siamo felici che sia salito a bordo.

Covi, invece, chiuderà la stagione con il Uae Team Emirates e poi scatterà il suo biennale con la nuova maglia, convinto di ritrovare nuove motivazioni e di tornare a crescere. Soprattutto sperando di avere maggior spazio rispetto a quello avuto nella corazzata degli Emirati. 

Covi lascia il UAE Team Emirates per avere più spazio alla Jayco-AlUla
Covi lascia il UAE Team Emirates per avere più spazio alla Jayco-AlUla

Sorpresa Vendrame

Ma il general manager della Jayco-Alula non si ferma qui ed è pronto a calare il Joker per fare tris di italiani, anzi poker contando Davide De Pretto già presente in rosa. Nelle prossime ore, infatti, verrà ufficializzato l’ingaggio di Andrea Vendrame. Dopo sei anni con la Decathlon AG2R, il trentunenne di Santa Lucia di Piave aveva bisogno di stimoli e spera di ritrovare quella gamba che nel maggio 2024 gli permise di vincere la diciannovesima frazione del Giro con arrivo a Sappada. In apertura, il veneto vince la quarta tappa del Tour du Limousin.

«Stiamo cercando di formare il miglior team possibile per il 2026 – ci aveva detto Copeland al via della Vuelta – ma ogni anno è necessario uno sforzo economico maggiore. Diventa difficile riuscire a mettere su una squadra che possa essere sempre competitiva o votata all’attacco. Ci sarà ancora qualche annuncio, nessun grosso nome da scuotere il mondo del ciclismo, ma innesti mirati che possono integrarsi al meglio nel nostro organico». Ed ecco dunque un altro tassello a comporre il mosaico degli aussie.

La Jayco-AlUla, anche quella di domani, sarà incentrata attorno a O’Connor
La Jayco-AlUla, anche quella di domani, sarà incentrata attorno a O’Connor

Tutti per O’Connor

Una squadra che, giocoforza, sarà costruita attorno a Ben O’Connor, ricaricato da questa nuova avventura finalmente con un team australiano dopo una lunga percorrenza in AG2R.  «Ben sta bene – spiega Copeland – ha fatto una bella preparazione e ha disputato un ottimo Tour de France. Quando vinci la tappa regina alla Grande Boucle, superando campioni del calibro di Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard, è qualcosa di fantastico».

Dopo i successi di maggio al Giro con Plapp (Castelraimondo) e Harper (Sestriere), la fiammata al Tour dello stesso O’Connor nel tappone di Courchevel, ora Copeland sogna il triplete alla Vuelta. Soltanto nel 2022, il team australiano era riuscito a imporsi in tutti i tre Grandi Giri. Nella Corsa Rosa arrivarono le due stoccate di Yates e quella di Sobrero nella crono finale di Verona, alla Grande Boucle gli acuti di Groenewegen e Matthews, ora manca la ciliegina nella corsa a tappe spagnola. Di qui a fine stagione, le occasioni per continuare nella striscia positiva non mancano, anche se O’Connor ha scelto di non disputare il mondiale, che vedrà Jai Hindley come punta dell’Australia, facendo rotta invece in modo deciso sul Lombardia.

Il rock della Jayco. Il chitarrista Maceroni “suona” le Giant

27.08.2025
6 min
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Nel popolare vocabolario ciclistico si è pensato tante volte che la bici fosse uno strumento per “suonare” gli avversari, ma mai ci si è immaginati che potesse essere suonata e messa in musica. Mai prima di quest’anno quando Giulio Maceroni, chitarrista e compositore professionista tra rock e sport, ha prodotto una sorta di colonna sonora della Jayco-AlUla attraverso le bici Giant ed i relativi materiali.

Non è una novità per il team WorldTour australiano un’operazione del genere che già in passato aveva creato clip musicali originali coinvolgendo i propri corridori e il proprio staff. Nel 2012 l’allora Orica-GreenEdge fece un video sulle note di “Call me maybe” di Carly Rae Jepsen, il singolo più venduto di quell’anno con oltre 12 milioni di copie. La stagione successiva registrò un altro docu-video musicale durante il Tour de France (per dirvi quanto più tempo e meno pressione c’erano rispetto ad oggi per alcune cose) interpretando la celeberrima “You Shook Me All Night Long“ degli AC/DC come tributo alla rock band australiana.

Certo, quella che stiamo per raccontarvi è una chicca, qualcosa di nicchia se volete, che probabilmente esce dai binari classici sui quali viaggiamo. Però può valerne la pena conoscerla perché è una storia che potrebbe aiutare il ciclismo a diventare più trasversale anche per chi non ne mastica abitualmente.

Al Tour 2013 Gerrans in maglia gialla fu uno dei protagonisti del video-tributo agli AC/DC (fotogramma YouTube)
Al Tour 2013 Gerrans in maglia gialla fu uno dei protagonisti del video-tributo agli AC/DC (fotogramma YouTube)

Con Copeland sui Campi Elisi

L’amicizia nata qualche anno fa tra Maceroni e Brent Copeland attraverso un evento del Como Calcio ha portato i suoi frutti. Il performer comasco compone musiche e sigle per Sky Sport, videogiochi, Superbike e tanto altro nel mondo sportivo. Ci voleva qualcosa anche nel ciclismo e col general manager della Jayco-AlUla c’è stata subito intesa.

«Sapete – racconta Copeland – che cerchiamo sempre di fare qualcosa di diverso a livello di marketing e comunicazione. Vi ricordate quando al Tour avevamo portato le nostre chitarre elettriche gonfiabili da far suonare a corridori e tifosi? Alcune immagini sono rimaste famose (alludendo a Gerrans in maglia gialla che finge di suonarla, ndr).

«Considerate che queste – va avanti – sono il genere di cose per cui impazzisce Gerry Ryan, il nostro proprietario (e facoltoso uomo d’affari, ndr). E’ appassionato di arte, di teatro e soprattutto suona il pianoforte elettrico in un gruppo locale come hobby. Non appena gli ho accennato di questo progetto, ha detto di sì ed ha voluto restare aggiornato».

«Giulio poi ha fatto un capolavoro con la testa dell’artista – conclude Copeland – Così abbiamo pensato di portarlo in Francia anche perché c’era anche Ryan. Giulio si è esibito nella nostra hospitality che avevamo sui Campi Elisi. C’erano anche alcuni dirigenti di Giant che hanno apprezzato tantissimo e che vogliono fare qualcos’altro di così originale anche prossimamente. Ci ritroveremo presto per decidere cosa fare».

Giulio le esibizioni ciclistiche sono poi proseguite, giusto?

Esatto. Il video della musica della Jayco-AlUla ha avuto molte visualizzazioni e gli organizzatori della ION CUP a Cervinia, una gara di downhill che si disputa nel loro bike park, mi hanno chiamato per aprire la manifestazione. Daniele Herin, il responsabile operativo di Cervino Spa, la società che allestisce tutti gli avvenimenti della località, ha voluto che mi esibissi portando una bici Giant della squadra sul palco. E’ stata davvero una forte emozione suonare con il Cervino sullo sfondo.

Arriviamo quindi alla realizzazione della musica e del video con la Jayco-AlUla. Raccontaci com’è andata?

Tutto è stato possibile grazie alla visione di Brent che ha interceduto con la squadra e a gennaio mi hanno chiamato per andare in Spagna nel ritiro della Jayco-AlUla. Mi hanno messo a disposizione il camion-officina su cui ci sono bici, materiale e attrezzi. Lo abbiamo trasformato in una sorta di studio di registrazione, mettendo anche delle luci particolari per realizzare video di backstage.

Nel 2024 Maceroni ha dato il via della 13ª tappa del Giro d’Italia con un assolo di chitarra (foto Dario Belingheri)
E’ stato un lavoro complesso?

Assolutamente sì. E’ stato un lavoro di equipe vero e proprio. Non avrei potuto farlo senza il supporto fondamentale di NAM (acronimo di Nuova Audio Musicmedia con sede a Milano, ndr), l’accademia in cui mi sono diplomato in chitarra moderna e con cui collaboro da tempo. Ci sono due persone, fra le tante, che ci tengo a ringraziare tantissimo che si sono rese subito disponibili per questo progetto.

Prego…

Uno è Claudio Flaminio, il direttore di NAM, l’altro è Davide Pantaleo, docente e music producer dell’accademia. Lui in particolare è stato il meccanico della musica della bici, se così lo vogliamo vedere. Davide è venuto con me nel camion officina per riprendere i suoni. Il loro coordinamento e lavoro sono stati preziosissimi.

Come avete trasformato bici e materiali in strumenti?

Li abbiamo fatti “suonare” picchiettandoli con unghia e dita. Abbiamo ascoltato che suoni emetteva il cambio elettronico, il mozzo delle ruote, il movimento centrale e la catena. O ancora l’aggancio e lo stacco del pedale oppure lo sfiato della valvola del copertoncino. E tanti altri suoni che legati alla bici, come la pistola con cui avviti e sviti le ruote. Abbiamo campionato ogni singolo suono con microfoni estremamente sensibili per poi processarlo su un programma audio. Ma non è finita qua.

Cosa avete fatto ancora?

Innanzitutto questi suoni li abbiamo riprodotti più volte affinché uscissero puliti. A quel punto li abbiamo messi su un controller, una sorta di grande mixer, dove ogni suono della bici era stato assegnato ad un tasto. Mi piace definire questo lavoro degno della ingegneria del suono. Ai profani può sembrare semplice, ma ci sono ore di lavoro prima di arrivare al passaggio successivo. Ovvero sovraincidere il basso e gli assoli di chitarra su un loop ritmico dei suoni delle bici.

Per Giulio Maceroni cosa rappresenta questo progetto?

Naturalmente sono contento che sia piaciuto a Brent, alla Jayco-AlUla e allo stesso Gerry Ryan, che mi ha chiesto dei particolari da vero intenditore di musica. Sono felice anche di aver realizzato qualcosa che mi frullava già in testa da tempo, ma che volevo fare solo se ben assecondato. La vera soddisfazione però è un’altra. Il fulcro della performance non è la musica in sé, quanto aver dato voce alle bici Giant. Essere riuscito a rendere un’anima ad un mezzo, o strumento se preferite, che ci rende liberi e che ci fa stare bene.

Fughe del Tour, è sparita la fantasia: la lezione di De Marchi

12.07.2025
7 min
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«Quest’anno è capitato che abbiamo fatto andar via un corridore per 80 chilometri da solo – dice De Marchi – e che nessuno lo abbia seguito. Insomma, il gruppo è fatto da 180 corridori e la maggior parte non ha grandi occasioni. Ci sarebbero molte più possibilità di quelle che vengono veramente sfruttate, invece ci si limita alle tappe più scontate. E questo comporta che in quei 5-6 giorni tutto il mondo voglia andare in fuga e ti ritrovi con gruppi di 30 corridori pieni di seconde linee che potrebbero tranquillamente essere leader e sono lì a giocarsi la tappa».

Le fughe del Tour sono state l’ispirazione per un interessante confronto con il friulano della Jayco-AlUla, che sulle grandi cavalcate ha costruito i momenti più belli della carriera. La sua ultima partecipazione alla Grande Boucle risale al 2020 ed è del 2014 il numero rosso ricevuto sul podio di Parigi. Giovedì Ben Healy ha conquistato la prima tappa che sia sfuggita al gruppo (foto di apertura). Sono serviti quasi 100 chilometri per portare via il gruppo decisivo, poi è stato tutto un fatto di scelta di tempo e gambe. Una fuga andata via di forza, come ormai accade sempre più spesso. Quella di ieri verso il Mur de Bretagne è stata invece neutralizzata dal gruppo dei migliori, che ancora una volta hanno scelto di fare la corsa.

Sul podio dei Campi Elisi al Tour del 2014, quello di Nibali, De Marchi conquista il premio della combattività
Sul podio dei Campi Elisi al Tour del 2014, quello di Nibali, De Marchi conquista il premio della combattività
E’ così difficile andare in fuga al Tour?

E’ sempre stato difficile, ma forse adesso le occasioni sono ancora meno: l’offerta è diminuita e la richiesta è aumentata. A parte quei pochi che curano la classifica e che a volte puntano anche sulle briciole, adesso si gioca il tutto per tutto solo in alcune giornate. E’ un’altra storia.

Perché?

Perché prima i corridori di classifica pensavano alla classifica. Capitava quello che si buttava, ricordo Contador che ogni tanto faceva qualche attacco. Ma erano episodi sporadici, che non stravolgevano la corsa. Così ad andare in fuga eravamo solo noi seconde linee, tra virgolette, mentre adesso ti rendi conto che nelle fughe c’è dentro veramente di tutto. Guardate il gruppo da cui ha vinto Healy e dentro c’erano fior di campioni (con Healy c’erano, fra gli altri, Simmons, il vincitore del Giro Yates, Van der Poel, Storer, ndr). Giornate come quella diventano delle gare di un giorno all’interno di una gara tappe. Giovedì ci hanno messo 100 e passa chilometri a far partire la fuga. E’ come l’approccio a uno sprint, perché la minestra è la stessa ed è uguale anche il modo di affrontare il percorso.

Al Giro d’Italia è più facile?

In realtà si sta uniformando tutto. Ovviamente al Tour c’è qualcosa in più, ma era lo stesso 15 anni fa. Al Tour è sempre andato chiunque avesse l’un per 100 in più di condizione, motivazione e voglia. E questo, moltiplicato per 200, crea l’effetto Tour de France. Però la sostanza non cambia, anche al Giro quest’anno le fughe andavano così. Un’altra cosa che è cambiata parecchio è che le fughe sono molto più numerose, è difficile trovarne una di 5-6 corridori

La fuga di giovedì verso Vire Normandie è andata via di forza dopo quasi 100 km. Qui Simmons e Healy
La fuga di giovedì verso Vire Normandie è andata via di forza dopo quasi 100 km. Qui Simmons e Healy
Che cosa cambia?

E’ una gestione completamente diversa. Replichi nella fuga la gara che di solito faresti in gruppo. Diventa una questione non solo di gambe, ma di strategia, necessità di leggere la corsa e i movimenti degli altri. Per me è sempre stato meglio andare in fughe meno numerose. Magari essere in tanti ti permette di arrivare più avanti, ma se il gruppo è grosso, c’è anche meno accordo. Giovedì, Healy ha scelto il momento giusto e poi le cose hanno avuto il solito svolgimento.

Quale?

Si crea il gap. Chi è davanti va alla stessa velocità di chi è dietro, che non ha più le forze per chiudere. Si congelano i distacchi, a meno che uno non salti per aria, cosa sempre più rara da vedere. Quindi alla fine diventa fondamentale fare la prima mossa e prendere subito vantaggio. Poi non ti prendono più.

Quanta concentrazione serve per prendere la fuga?

Tantissima, al punto che nei momenti topici nemmeno senti il baccano del pubblico. Devi tenere tutto sotto controllo. E’ super impegnativo, niente di diverso da un finale di gara, dalla preparazione di una volata. Con la tattica fai la differenza, perché un conto è fare due ore e mezza a tutta, altra cosa è mettersi nelle prime posizioni senza mai affondare, stare coperti e ritrovarsi ugualmente in fuga avendo speso un quarto rispetto agli altri. Quella è una cosa che cambia tanto e che una volta si faceva di più. Invece vedo gente che vuole andare in fuga solo di gambe. Si sa che al dato chilometro c’è lo strappo o la strada stretta, si aspetta solo quello e vanno via di forza, raramente d’astuzia o esperienza.

Sono così mediamente giovani che l’esperienza non possono averla.

Forse è vero, ma secondo me dipende dal fatto che le gambe sono diventate lo spartiacque. Quando hai un certo tipo di livello e di gambe, puoi fare il doppio delle cose di chi quelle gambe non le ha. Nove volte su dieci, ci riesci. E’ cambiata molto anche la voglia di rischiare e sorprendere il gruppo in giornate che sulla carta non sono adatte alle fughe. Se si prevede che finirà in volata, nessuno ci prova. Mi dispiace che sia così, vuol dire che non c’è poi tanta fantasia, non c’è tutta questa libertà.

Si fa solo quello che può riuscire?

Ricordo delle tappe da volata, con la fuga che riusciva quasi a farcela o addirittura ce la faceva e metteva in scacco tutti quanti. Al Delfinato del 2019, nella quinta tappa ero in fuga anch’io. Tutti aspettavano la volata, però siamo arrivati all’ultimo chilometro che ancora non ci avevano preso. Ce la siamo giocata fino in fondo, ma sono cose che succedono sempre meno. Vi anticipo: non darei la colpa alla radio, anche se in qualche misura incide. La verità è che secondo me nell’animo dei corridori di quest’epoca manca un po’ di spirito di iniziativa. Se il corridore vuole, ha la libertà di muoversi come vuole.

Quanto è importante saper leggere le dinamiche del gruppo?

Devi sapere come sono andate le giornate precedenti, se ad esempio c’è già stata una fuga, se qualcuno l’ha provata e non l’ha presa. Devi tenerlo in considerazione, devi conoscere gli eventuali rumors. Al Delfinato di quest’anno, si sapeva che la EF Education volesse andare in fuga, ma non ci erano ancora riusciti. Finché a un certo punto, mi pare nella quinta tappa, alla partenza si sono schierati tutti davanti e alla fine hanno messo Baudin nella fuga. Ci sono movimenti da leggere nei primi chilometri. Vedi la squadra che all’inizio chiude perché attende un tratto in salita più adatto al suo scalatore. Però sono finezze cui pochi fanno attenzione. Molti sono concentrati sullo sforzo, sul fatto di avere nelle gambe la botta al posto giusto e nel momento giusto. Invece ci sono anche altri aspetti da valutare.

La fuga di ieri verso Mur de Bretagne non è stata fatta allontanare: i più forti volevano la tappa
La fuga di ieri verso Mur de Bretagne non è stata fatta allontanare: i più forti volevano la tappa
Ad esempio?

Ad esempio il punto in cui attaccare oppure come farlo in base al vento. Alla Boucle de la Mayenne, la corsa che ho fatto prima del Delfinato, un giorno c’era terreno tutto su e giù, che alla fine vai velocissimo. C’era gente che scattava in cima agli strappi, anzi in discesa. Seguirli e mettersi a ruota era la cosa più semplice. Oppure capita che ci sia vento contro e la gente attacchi dalle prime file, con altri che gli prendono la ruota e si vede che non vai da nessuna parte. Sarebbe meglio arrivare da dietro lanciati e magari far partire un compagno e poi attaccare in prima persona. Sono cose che si vedono raramente.

Cosa pensi quando passi davanti al tuo numero rosso?

Mi ricorda che c’è stato un periodo in cui avevo anch’io la cartucciera piena e non avevo paura di sparare e tentare. Il momento della giovinezza, ma anche di quando hai un sacco di fiducia e voglia di provarci.

Il tempo è volato. Alessandro è appena rientrato dall’Alto Adige con la famiglia ed è in partenza verso l’Austria per fare altura con la squadra. L’ultimo anno della sua carriera entra nella seconda parte e i programmi sono ancora da farsi. Durante lo scorso inverno, con ottima scelta di tempo, il Rosso di Buja ha fatto e superato il corso per diventare direttore sportivo e si sta guardando intorno per capire cosa fare da grande. Sarebbe davvero utile avere in ammiraglia qualcuno capace di insegnare certi concetti e certi movimenti.

Conca tricolore: la lettura (non banale) di Visconti

01.07.2025
4 min
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Dopo la vittoria di Conca al campionato italiano, si sono lette le interpretazioni più variopinte e critiche. Qualcuno ha scritto che si sia trattato del punto più basso per il ciclismo italiano: la sua sconfitta. Qualsiasi cosa si dica, si corre il rischio di prendere una cantonata. Si possono bastonare i team che non hanno onorato la corsa. Si può esaltare il lavoro dello Swatt Club. Altrimenti si può rilevare che non tutte le squadre siano sottoposte agli stessi regolamenti. Alla fine la sola cosa che non si è fatta (abbastanza) è stata riconoscere merito al vincitore. Il campionato italiano è una corsa a parte, che si vince o si perde anche per un’intuizione. Per Giovanni Visconti, tre maglie tricolori in bacheca e attualmente talent scout per il Team Jayco-AlUla, qualcosa di insolito è successo, anche se la sua analisi della situazione non si allinea alle tante di cui ha letto.

«Che cosa significa – dice – che ha perso il ciclismo italiano? Mi sembra banale, non è da adesso che siamo in crisi nera. Manca una grande struttura che possa raccordare tutte le categorie. I pur volenterosi Reverberi e Basso fanno quello che possono per rimanere al passo con le grandi, ma non possono prendersi la responsabilità di questa disfatta. Anche se le loro squadre domenica sono state davvero al di sotto delle aspettative, a parte l’azione di Zoccarato. Hanno perso le squadre che non hanno confermato Conca? Ha perso la Lotto con cui è passato professionista? Ha perso la Q36.5? Purtroppo non si aspetta più e non è solo un problema italiano, ma del mondo dello sport in genere e di ogni altro ambito della vita…».

Giovanni Visconti, classe 1983, ha vinto per tre volte il tricolore pro’. Lavora alla Jayco-AlUla come talent scout
Giovanni Visconti, classe 1983, ha vinto per tre volte il tricolore pro’. Lavora alla Jayco-AlUla come talent scout
Resta il fatto che Filippo Conca, corridore disoccupato, è il nuovo campione italiano.

E’ una bellissima storia e sono contento che ce l’abbia fatta. Magari può essere stato un errore non aver dato fiducia a un ragazzo di cui si parlava bene e che ha avuto tanta sfortuna. Magari potevano prenderlo le nostre professional, invece di essere preda della frenesia di far passare i più giovani. Da un lato è vero che ha avuto quattro anni per dimostrare qualcosa e non ci è riuscito. Dall’altro prendiamo atto che questo ciclismo ormai valuta gli atleti soltanto in base agli ordini di arrivo.

Si perde una corsa come il campionato italiano anche perché non la si affronta nel modo giusto?

Bisogna affrontarlo tanto freschi mentalmente e probabilmente qualcuno non lo era. Alcuni fra i corridori più conosciuti secondo me sono arrivati troppo scarichi oppure l’hanno presa sotto gamba. Milan ha fatto una grande corsa, altri sono spariti. Bisogna essere al 100%, visto anche il caldo. Quando mi sono messo a guardare la diretta, non riuscivo a credere ai miei occhi. E alla fine leggendo l’ordine di arrivo, si è capito che qualcuno è andato alla partenza senza avere la testa o le gambe giuste. Oppure bisognerebbe dire che ha sbagliato anche chi li guidava.

Resta il fatto che una squadra di amatori ha messo nel sacco le nostre professional, al via con 10-11 corridori…

Dal punto di vista tattico è stata una gara pessima, ma mi sembra banale dire che abbia perso l’Italia. L’Italia perde da anni, come dicevamo, perché non ha una struttura che riesca a stare al passo con quelle che comandano nel ciclismo attuale. Hanno perso tutti, anche i singoli. Mi è parso che ci sia stata poca voglia di onorare una gara del genere, mi soffermerei più su quello. E’ normale che quando uno ha l’acqua alla gola e ha una sola occasione per dimostrare qualcosa, sia al massimo e abbia grandi motivazioni. Invece sembra quasi che gli altri siano arrivati all’italiano tanto per farlo e a me fa ancora più tristezza.

La maglia tricolore senza sponsor: un podio diverso dalle attese. Dietro Conca, Covi e Pesenti
La maglia tricolore senza sponsor: un podio diverso dalle attese. Dietro Conca, Covi e Pesenti
Ne hai vinti tre, l’italiano è veramente una gara a sé?

Al campionato italiano ci sono i favoriti che partono in 2-3 e quindi si trovano a rincorrere. Ci sono squadre che partono in 10 e riescono a fare la differenza. Poi ci sono gli outsider, i corridori elite come quelli dello Swatt Club, che danno il tutto per tutto sapendo che è una gara stranissima, dove anche andare in fuga in partenza spesso si rivela decisiva. Guardate Zoccarato in fuga anni fa con Colbrelli… Quando salta il controllo, anche se hai il favorito numero uno, non riesci a tenere la corsa. E’ davvero una gara a parte.

Una squadra di amatori in mezzo ai professionisti: resta una stranezza.

Una volta parlando di Gaffuri, si sarebbe riso: cosa faccio, prendo un amatore? Oggi non bisogna più escluderlo, bisogna adeguarsi. Forse domenica è stata la sconfitta definitiva di chi pensa che il ciclismo sia sempre quello di trent’anni fa. Ci sono ragazzi che crescono in modo diverso. Benvengano le Zwift Academy o i nuovi metodi di scoperta dei talenti. Non sto facendo le lodi dello Swatt Club, perché costruire una squadra è un’altra cosa. Va fatto un lavoro diverso, completo e profondo, basato non solo sui numeri ma su tante altre sfaccettature che possono far pensare che un corridore possa avere futuro. Il mio lavoro attuale, ad esempio. Ma la vittoria di Conca ci dice una cosa molto chiara.

Quale?

Accettiamo di vivere in una diversa epoca dello sport, ma prendiamo coscienza che non abbiamo più così tanto tempo per riprendere la strada.

Cronoscalate in vista: setup e pacing. L’analisi di Pinotti

18.06.2025
6 min
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Il ritorno delle cronoscalate, lo sforzo massimo. Si dice che chi primeggi in questa disciplina sia il più forte in assoluto. Il Tour de France propone una cronoscalata e anche il Tour de Suisse ne propone una, anche se nel Paese dei Quattro Cantoni questa disciplina è già più in voga: anche l’anno scorso era presente. Tuttavia, essendo quella del Tour la “prova regina”, la tappa elvetica assume un significato ancora più importante.

I tecnici, fra cui Marco Pinotti, coach di riferimento per la Jayco-AlUla, possono trarne indicazioni preziose. Ecco allora un viaggio tecnico con l’ingegner Pinotti per approfondire queste due cronoscalate che stanno per arrivare.

Marco Pinotti ex corridore, ingegnere e coach della Jayco-AlUla, è stato uno dei cronoman migliori degli anni 2000
Marco Pinotti ex corridore, ingegnere e coach della Jayco-AlUla, è stato uno dei cronoman migliori degli anni 2000
Marco, quanto è importante quest’anno la crono elvetica in ottica Tour de France, considerando che sono molto simili?

Quella di Emmetten, in Svizzera è un filo più dura, è una cronoscalata pura. Come dislivello siamo lì, ma forse è un po’ più corta, perché quella di Peyragudes, in Francia, ha una prima parte più semplice. Lì la salita vera inizia dopo 3,85 chilometri: non è pianura, c’è un po’ di su e giù, ma è una sezione veloce. In Svizzera invece si sale quasi subito e la strada diventa anche stretta.

Almeida, parlando del Tour de Suisse, ha detto che userà la bici da strada con il casco da crono.

Anche noi pensiamo alla bici da strada, ma il casco da crono non lo userei. Non credo abbia una grande influenza in termini aerodinamici, perché conta di più la dissipazione del calore. Se farà caldo, meglio il casco tradizionale.

Che dati si acquisiscono, soprattutto in ottica Tour de France? Parliamo non solo del singolo atleta, ma anche di squadra, pacing, materiali…

Si raccolgono dati preziosi sulla capacità del corridore di mantenere un certo piano di potenza. Le condizioni saranno simili, ma non identiche: la crono del Tour arriverà dopo 12 tappe, quella svizzera dopo una settimana. E poi nel frattempo può succedere di tutto. Però è un test: raccogli dei dati sui quali poi perfezioni il pacing per la volta successiva. Se sai che il corridore può mantenere un certo wattaggio per X minuti, quello diventa il punto di partenza per il Tour.

Come si scelgono i materiali per una cronoscalata?

La prima cosa è stimare la velocità media. Poi: quanto dura la crono? E con quella durata, quanta potenza può esprimere il corridore? A quel punto metti insieme potenza e durata, valuti la velocità stimata con una bici e con l’altra. Crei una matrice di dati e scegli quella che ritieni più efficiente.

Chiaro…

Nel caso della cronoscalata svizzera la scelta è piuttosto scontata: la velocità media non sarà alta. In quella francese, con una prima parte più veloce, si possono valutare soluzioni diverse.

Anche il cambio bici?

Abbiamo valutato anche quello. Con il nostro corridore (presumbilmente Ben O’Connor leder della Jayco-AlUla, ndr) siamo andati sul posto, abbiamo fatto prove con una bici e con l’altra e alla fine abbiamo definito un setup. In Svizzera quel setup non ci sarà (come dicevo sono simili ma non uguali), però testeremo il pacing. Ho fatto delle stime e vedremo se sono troppo ottimistiche o pessimistiche. Poi bisogna considerare anche la quota: al Tour si superano i 1.500 metri e qualche watt in meno “balla”.

Esiste uno split di velocità media oltre il quale conviene passare alla bici da crono?

Sì, esiste. Sopra i 25 all’ora si può andare con la bici da crono, perché l’aerodinamica fa la differenza. Sotto i 20 è meglio la bici da strada. Tra i 20 e i 25 c’è una zona grigia da interpretare. La discriminante è la velocità media e la capacità del corridore di spingere con una bici o con l’altra.

Immaginiamo quindi che conti anche la capacità del corridore di usare la bici da crono in salita ed esprimere gli stessi watt…

Con la bici da crono sei molto più schiacciato. L’inclinazione del busto è diversa rispetto alla bici da strada. In salita, su strada, hai i gomiti più rilassati, dritti o semi dritti, e respiri in modo più naturale. Uno potrebbe preferire la bici da crono, ma poi bisogna pensare che su quella strada il corridore si allena ogni giorno con la bici normale. La scelta dipende anche da quanto tempo puoi dedicare ad abituarti a pedalare in salita con la bici da crono.

Quindi qualcuno potrebbe aver passato più tempo del solito sulla bici da crono anche in salita?

Sì, ma attenzione. C’è una crono veloce anche all’inizio del Tour, quindi devi mantenere una posizione efficiente per quella prova. Come dicevo, nella crono del Tour i primi 3,8 chilometri sono veloci, ma nella parte in salita si viaggerà tra i 22 e i 24 all’ora, in assenza di vento. Quindi siamo in quella “zona grigia”.

Ultimamente si vedono rapporti enormi, come il 68 anteriore. In una cronoscalata si può usare la bici da crono con rapporti tradizionali?

Sì, certo. Entrambe le crono in questione non hanno pendenze estreme. Anche se quella del Tour, nell’ultimo chilometro, presenta un tratto al 18 per cento. Con un 42 o 40×34 ci si sta dentro benissimo. Anche perché quello al 18 per cento è lo sprint finale. Al massimo si può pensare a una monocorona per alleggerire la bici: magari una 48-50 davanti, tanto dietro ormai ci sono i 34-36.

La soluzione del monocorona sembra essere molto gettonata. Ricordiamo (in foto) il plateau da 52 denti che Vingegaard utilizzò nella tappa di mezza montagna alla Tirreno 2024
La soluzione del monocorona sembra essere molto gettonata. Ricordiamo (in foto) il plateau da 52 denti che Vingegaard utilizzò nella tappa di mezza montagna alla Tirreno 2024
Marco, ti piacevano le cronoscalate?

Sì, ne ho fatte tante. Ne ricordo una a Oropa in cui andai bene. Una a Nevegal nel 2010, sempre al Giro. Un’altra da neoprofessionista, alla Settimana Bergamasca sul Selvino.

E quando uno è cronoman, lo è anche nelle cronoscalate?

Come pacing sì, assolutamente. Io ad esempio, in quelle del Giro, sono arrivato due volte nei primi dieci, ma non ero uno dei migliori dieci scalatori. Lo scalatore ha bisogno del cambio di ritmo, dell’avversario… cose che in una cronoscalata non servono. Anche se poi oggi è diverso, si corre col power meter, sono tutti più consapevoli di quello che devono fare, però resta (anche) un gioco mentale. La capacità di stare al limite per tanto tempo è una qualità da cronoman. Lo scalatore spesso ha bisogno di un riferimento davanti.

Riguardo ai setup: sulle posizioni si ritocca qualcosa?

Visto che le pendenze medie delle due salite sono attorno all’8 per cento, non farei modifiche eccessive. Si può pensare di accorciare l’attacco manubrio se si usa la bici da strada, per respirare meglio. Se invece si usa quella da crono, qualche modifica è più probabile: magari si può alzare la base d’appoggio delle protesi anche di due centimetri, sempre per migliorare la respirazione.

Il cuore di Harper: più contento per Yates che per sé!

31.05.2025
5 min
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SESTRIERE – Cominciamo dalla fine. Da quando abbiamo chiesto a Chris Harper, vincitore di tappa, che cosa rappresenti per lui il successo di oggi e se sia contento per Simon Yates che fino allo scorso anno era un suo compagno di squadra e che dietro al palco ha abbracciato calorosamente.

«Per me è fantastico – ha detto – non avrei potuto chiedere di meglio per la mia carriera. Ho avuto alti e bassi durante le tre settimane, quindi è bello finire con una nota così positiva. Sono stato compagno di squadra di Simon negli ultimi due anni e ho fatto molte gare per supportare lui e le sue ambizioni di classifica generale. Mi sono allenato molto anche con lui e so quanto sia talentuoso. Sapevo che è in grado di vincere i Grandi Giri e sono quasi più felice di vederlo in rosa che di aver vinto la tappa. Sono super felice per lui. Vorrei essere stato ancora suo compagno di squadra per aiutarlo a ottenere un risultato come questo, che certamente merita».

L’abbraccio fra Yates e Harper nel retropalco: i due hanno corso insieme (immagine Instagram)
L’abbraccio fra Yates e Harper nel retropalco: i due hanno corso insieme (immagine Instagram)

Due tappe australiane

Per la Jayco-AlUla arriva a Sestriere la seconda vittoria di tappa di questo Giro, iniziato fra i malumori per l’esclusione di Alessandro De Marchi e la rimozione di Matthew White da capo della struttura tecnica. Si faceva fatica a cogliere l’anima della squadra, ma alla fine sono stati due corridori australiani a lasciare il segno, come probabilmente era giusto che fosse. Luke Plapp a Castelraimondo e Chris Harper, appunto, a Sestriere nell’ultima tappa di montagna.

Lui ha 30 anni e il volto scavato e reso scuro dalla barba. E’ incredulo, perché mai gli era capitato di centrare una vittoria così importante. In qualche modo il suo successo di oggi ricorda quello di Prodhomme nella tappa di ieri: entrambi grandicelli, entrambi gregari ed entrambi protagonisti di lunghe fughe portate all’arrivo.

Chris Harper, 30 anni, 1,85 per 67 kg, è nato a Melbourne ed è pro’ dal 2020
Chris Harper, 30 anni, 1,85 per 67 kg, è nato a Melbourne ed è pro’ dal 2020
Quando sei partito stamattina, immaginavi di vincere a capo di una fuga così lunga?

No, non proprio. L’idea era di lavorare per la fuga, ma non ero nemmeno sicuro che la fuga sarebbe arrivata al traguardo. Pensavo che, con la grande battaglia per la classifica generale, uno dei corridori più forti ci avrebbe ripreso e avrebbe vinto la tappa. Ma quando mi sono trovato in un gruppo così forte e poi abbiamo avuto quel grande vantaggio, ho impostato il mio ritmo fino a restare da solo. A quel punto si trattava solo di arrivare in fondo e non esplodere.

Si apre la porta scorrevole, un gran baccano di tacchette sul pavimento di lamiera. Entra Hepburn, connazionale, compagno di squadra e amico. Harper già aveva iniziato a sorridere avendolo visto salire le scale. Si avvicina al tavolo, l’altro si alza. Si abbracciano. Dicono parole incomprensibili e poi Hepburn si allontana, declinando l’invito scherzoso a fare lui qualche domanda.

Alla fine siete arrivati sul Finestre, quando hai iniziato a credere di potercela fare?

Arrivarci non è stato semplice, abbiamo impostato un ritmo piuttosto sostenuto per arrivare ai piedi della salita. Il primo a muoversi è stato Remy Rochas della Groupama e io l’ho seguitro. Poi si sono aggiunti degli altri corridori e a quel punto ho deciso di attaccare e solo Verre è riuscito a seguirmi. Per un po’ siamo andati in due, poi ho pensato che fosse meglio andare al mio ritmo fino in cima. In una salita così lunga e dura è decisiva la gestione dello sforzo. Per cui una volta che mi sono liberato, si è trattato di mantenere lo sforzo sotto controllo. Avevo ancora abbastanza forze per arrivare al traguardo.

Ti sei accorto dalle voci del pubblico o ti hanno detto via radio di quello che stava accadendo alle tue spalle?

Sul Finestre, il mio direttore sportivo mi teneva aggiornato sui distacchi, dicendomi quanto fossero indietro i corridori della classifica generale. Poi ho sentito alla radio che Simon Yates era solo con un vantaggio piuttosto consistente. Infine dopo il Finestre, andando verso valle, sapevo che Simon stava facendo un’impresa e questo mi rendeva nervoso, perché la strada da fare era ancora tanta. Temevo che il distacco potesse ridursi rapidamente, ma sono contento di essere riuscito a resistere.

Dalla strada iniziano ad aumentare i cori, probabilmente Yates è in arrivo. Ai piedi del palco, Isaac Del Toro parla con l’addetto stampa della UAE Emirates. Alle spalle del podio si scambiano opinioni e abbracci. La vittoria di un gregario dopo l’impresa di Yates passerà certamente in secondo piano, ma il fatto che Harper per primo abbia espresso la sua gioia per l’amico renderà meno fastidioso il fatto di scrivere prima la storia della nuova maglia rosa e poi quella del vincitore di tappa.