La legge, il camionista e 10 domande all’avvocato

08.12.2022
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E’ passata una settimana. Le indagini sulla morte di Davide Rebellin hanno portato con notevole rapidità all’individuazione del camionista che lo ha travolto e poi è scappato, sebbene si fosse reso conto di averlo investito. Quel che resta nebuloso è che cosa accadrà adesso.

Abbiamo letto che quel sessantennne maledetto e recidivo non potrà essere arrestato in Germania, perché lassù l’omicidio stradale non è previsto fra i reati. Abbiamo letto tutto e il contrario di tutto. Ma siccome in questi casi a dettare la via, che piaccia o meno, è la legge, ci siamo rivolti a Federico Balconi con 10 domande. E’ l’avvocato di Zerosbatti, ormai l’amico di chiunque abbia avuto un incidente in bici. Ecco che cosa ci ha risposto.

Federico Balconi e Vincenzo Nibali, Zerosbatti ha preso il volo dalla loro collaborazione. In apertura, immagine giustiziainsieme.it
Balconi e Nibali, Zerosbatti è nata dalla loro collaborazione. In apertura, immagine giustiziainsieme.it

1) L’omicidio stradale può essere colposo?

L’omicidio stradale si configura ogni volta che un automobilista compie una manovra di sorpasso senza adottare tutte le misure cosiddette “cautelari” previste dal Codice della strada (art. 148). Dovrebbe cioè tenere una velocità moderata e che consenta il sorpasso in sicurezza, con una distanza che tenga conto di strada, eventuali sbandamenti del ciclista e che non metta lo stesso in pericolo durante la manovra. In caso di urto automaticamente viene imputata all’autista la mancata adozione di queste norme. Pertanto, non potrà dire di non essersi accorto. Varrebbe come una confessione perché significherebbe che non aveva adottato nemmeno la minima diligenza di guardare la strada!

2) Aver visto ed essere fuggito è un’aggravante?

Qualora venisse dimostrato, questo comportamento configura una grave omissione di soccorso. Perché non potrà nemmeno dire di non essersi accorto dell’evento.

3) In Italia sarebbe stato arrestato?

Il reato di omicidio stradale in Italia prevede l’arresto facoltativo se non vi sono aggravanti. Diventa obbligatorio in presenza di aggravanti, come in questo caso (omissione di soccorso). Vi è a mio avviso un altro elemento da verificare, ovvero che non fosse in stato di alterazione alcolica o da sostanze stupefacenti. Questo per un autista di camion comporta la maggiore delle aggravanti con arresto obbligatorio.

Questa l’area dell’incidente, al centro l’immissione e la rotonda accanto al ristorante (immagine Google Maps)
Questa l’area dell’incidente, a destra lo svincolo e la rotonda accanto al ristorante (immagine Google Maps)

4) In quale modo si potrà portare qui il camionista?

Il PM Italiano potrebbe valutare, una volta accertata la dinamica, di chiedere l’arresto mediante ordine di cattura internazionale.

5) L’autopsia in certi casi è comunque indispensabile?

L’autopsia viene disposta d’ufficio, perché la configurazione del reato prevede il nesso causale tra evento e morte. Quindi deve essere esclusa qualsiasi altra possibile causa di decesso.

6) L’autista è recidivo: in Italia avrebbe avuto ancora la patente?

Purtroppo sì, perché una volta scontato il periodo di sospensione (di solito con patteggiamento e lavori socialmente utili), la patente viene restituita. In caso di recidiva per la guida in stato di ebrezza o se avesse commesso lo stesso reato negli ultimi due anni, sarebbe prevista la revoca. La recidività penalmente invece è aggravante e, anche se superati i 5 anni, non potrà usufruire della sospensione condizionale della pena.

Davide Rebellin, figlio, fratello, marito e campione, è stato ucciso da un camion il 30 novembre 2022
Davide Rebellin, figlio, fratello, marito e campione, è stato ucciso da un camion il 30 novembre 2022

7) Quale pena rischia?

La pena potrebbe andare dai 2 a 7 anni senza aggravanti, oppure da 8 a 12 anni se aggravata. Escluderei l’aggravante lieve (da 5 a 10 anni).

8) Se sarà carcere, dovrà scontare la pena in Italia?

Potrebbe richiedere di scontare la pena in un carcere tedesco, tramite gli accordi europei tra Stati.

9) Oltre al penale ci sarà un processo civile?

Il processo civile potrà essere svolto in due modi. Tramite la costituzione di parte civile da parte dei parenti/eredi di Davide direttamente nel processo penale. Oppure con separato giudizio: scelta più opportuna, poiché il processo civile è finalizzato al risarcimento del danno, che compete maggiormente al Giudice Civile Ordinario. 

Il peso del camion ha gioco facile contro la bicicletta, ma è difficile in certi casi sostenere di non essersi accorti
Il peso del camion ha gioco facile contro la bicicletta, ma è difficile in certi casi sostenere di non essersi accorti

10) Cosa potrebbe dire a sua discolpa?

Come spesso leggiamo nei verbali di sommarie informazioni, l’automobilista generalmente per discolparsi sostiene che il ciclista abbia cambiato repentinamente direzione. Oppure che durante il sorpasso probabilmente ha cambiato direzione sbandando e urtando il cassone… Abbiamo letto anche di automobilisti che in fase di sorpasso hanno dichiarato di aver sentito un colpo e solo dopo essersi resi conto di aver colpito il ciclista… Tutte dichiarazioni che potranno essere utilizzate contro lo stesso autista. Dimostrerebbero infatti la mancata diligenza e attenzione dovute nel compiere una manovra così pericolosa.

EDITORIALE / Rebellin e gli altri, una strage da fermare

30.11.2022
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Di colpo sembra tutto vuoto. Il pezzo su Evenepoel in ricognizione sulle strade del Giro, la fretta per uscire. Di colpo cade la voglia di fare, se ne perde il senso. Davide Rebellin travolto e ucciso da un camion che ha tirato dritto a Montebello Vicentino. Come Silvia Piccini lo scorso anno, perché il conducente aveva fretta e magari dirà di non essersi accorto, se mai lo prenderanno o sceglierà di consegnarsi. La bicicletta accartocciata toglie il fiato.

Accanto a Bonifazio e Trentin, facendo foto ai bambini sul percorso di Beking
Accanto a Bonifazio e Trentin, facendo foto ai bambini sul percorso di Beking

Insieme a Fabio

Domenica a Monaco c’era un bel sole e mentre guardavamo il girare dei bambini, non ci eravamo accorti che Davide si era fatto sotto per un saluto.

«Ciao giovane, alla fine ce l’hai fatta ad andartene in pensione…».

La solita risatina garbata e timida, le rughe attorno agli occhi.

«Bè, giovane, dai… Forse rispetto a te!».

Ci si conosceva dal 1992, tre anni scarsi di differenza, da quando il gruppo degli azzurri di Zenoni iniziò la rincorsa alle Olimpiadi di Barcellona. Andarono in tre, di loro oggi resta soltanto Mirko Gualdi a guardarsi intorno. Fabio Casartelli se lo portò via il Tour, Davide se lo sono preso oggi.

«Durante tutta la preparazione per le Olimpiadi di Barcellona – raccontò qualche anno dopo – risi molto. Dividevo la camera con Fabio Casartelli, un ragazzo tranquillo, con cui mi trovavo bene. Aveva dei numeri importanti, anche se fino alla corsa olimpica io ero quello che andava di più. Zenoni giocò proprio su questo. Approfittò del controllo su di me e fece andare Fabio in fuga. Lui anticipò e vinse le Olimpiadi. Pensare che non ci sia più e che neanche Marco ce l’abbia fatta è spesso un motivo di dolore».

Nel 1992, Fabio Casartelli vinse le Olimpiadi di Barcellona. Divise la stanza con Rebellin
Nel 1992, Fabio Casartelli vinse le Olimpiadi di Barcellona. Divise la stanza con Rebellin

La molla della rivalsa

Di colpo sembra tutto vuoto, anche il doverne o volerne scrivere, come automi chiamati per forza a dire qualcosa. Pensi a quanti ne hai visti cadere e hai quasi paura di fare torto a qualcuno non citandone il nome. Torna il sorriso di Michele, tornano tutti a galla. Allora acchiappi il flusso dei ricordi e ti lasci portare via.

«Gli anni non mi pesano – disse 14 anni fa – ma mi basta guardarmi attorno per capire che sono passati. Il ciclismo mi ha dato tanto e quindi gli devo tanto e non so neanche immaginare in che modo sdebitarmi. Non so cosa farò quando smetterò, non so neanche in che modo capirò che è giunta l’ora. Probabilmente ci sarà un segnale e dirò basta, magari per una delusione. Anche se le delusioni finora sono durate poco, poi è sempre scattata la molla della rivalsa».

Rebellin ha sempre sentito sua la medaglia d’argento di Pechino. E noi con lui (foto Cor Vos/PezCyclingNews)
Rebellin ha sempre sentito sua la medaglia d’argento di Pechino. E noi con lui (foto Cor Vos/PezCyclingNews)

Il fratello Carlo

Non sapeva ancora attraverso quali forche sarebbe dovuto passare, il motivo per cui avrebbe continuato fino a 51 anni. Caro Davide, quanto amaro hai dovuto mandare giù?

«Pechino – disse poco tempo fa – è stato un momento di snodo. Prima c’è stata la carriera dei risultati migliori e delle grandi squadre. Dopo ho rincorso un contratto per partecipare alle corse più adatte a me e un calendario normale. Sono stato discriminato, mi sono state chiuse in faccia tante porte. Ero ancora competitivo e le squadre che avrebbero voluto prendermi non hanno potuto farlo. Ho continuato a correre anche per quello. Forse se avessi potuto riprendere nel modo giusto, mi sarei fermato già da 10 anni».

C’è un dramma nel dramma: quello di suo fratello Carlo, il più piccolo. Aveva sentito dell’incidente in cui era rimasto coinvolto un ciclista e ha riconosciuto a terra la bicicletta di Davide.

L’ultima passione del veneto, il gravel. Pochi giorni fa aveva proposto a Casagrande di fare qualche gara insieme
L’ultima passione del veneto, il gravel. Pochi giorni fa aveva proposto a Casagrande di fare qualche gara insieme

Gualdi, Nando e Michele

Piovono messaggi di ragazzi diventati uomini con cui si sono divise pagine importanti. Prima Mirko Gualdi: «Sono distrutto….. I miei 2 amici di Barcellona in cielo». Chiama Michele Bartoli, incredulo: «Proprio adesso che cominciava una vita che non ha mai avuto e mai avrà. Ma come fai a immaginarti una cosa del genere?». Squilla il telefono, è Nando Casagrande. Si ha voglia di parlarne, di condividere le emozioni dopo aver condiviso strada e sfide.

«Lo avevo sentito venerdì – racconta – mi aveva chiesto se avessi voglia di fare qualche gara di gravel insieme. Eravamo rimasti per risentirci, io adesso sto di nuovo bene, si poteva anche fare. Invece adesso… Quante volte ha dovuto rialzarsi, povero Davide! Anche l’ultima volta, si era tutto rotto. Avrebbe potuto smettere, invece ha voluto rialzarsi e ripartire. Un altro di noi che se ne va, ti viene paura a pensarci…».

Come per Gilbert, con cui Rebellin sta parlando, Beking era stata l’ultima gara su strada
Come per Gilbert, con cui Rebellin sta parlando, Beking era stata l’ultima gara su strada

Cari ministri del Governo

Dopo lo smarrimento inizia a montare la rabbia. In cosa ci stiamo trasformando? In nome di quale barbarie si può immaginare una tale massa di morti senza fare nulla? Numeri peggiori di ogni altra piaga e certo non meno violenti. Più delle violenze sulle donne. Più di tutto quello di cui si parla con giustissima enfasi, mentre dei nostri morti non parla nessuno.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede ciclabili e investimenti per rendere le nostre città a misura di bici, ma intanto cosa si fa per insegnare che la strada è di tutti?

Non basta un metro e mezzo per insegnare il rispetto, servirebbero pattuglie a ogni incrocio per verificare il rispetto dei limiti di velocità, delle precedenze, del divieto di uso del cellulare. Invece in questa sorta di far west, fatto di strade abbandonate e automobilisti sempre più aggressivi, la bicicletta rischia di non trovare più posto. E a chi dice che stanno sempre in mezzo alla strada, rispondiamo con una provocazione: se un bambino infastidisce il campione del mondo dei pesi massimi, quello ha il diritto di metterlo a posto con un pugno in faccia? Il rapporto di peso e forza è lo stesso di quando un ciclista si trova sulla traiettoria di un’auto o di un camion.

Caro ministri del Governo, caro Salvini, nel mettere mano alle infrastrutture e alla mobilità sostenibile di cui dovrà occuparsi, vuole buttare uno sguardo sui nostri morti e chiedersi cosa si possa fare di più? Mi sarebbe piaciuto presentarle Davide Rebellin, forse pensare a lui in questo momento le avrebbe fatto capire meglio la gravità della situazione.

Cannibal Team, una squadra fuori dagli schemi

05.09.2022
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Guardando settimana dopo settimana l’andamento dell’attività juniores internazionale, è facile notare come ai primi posti delle grandi prove, sia a tappe che d’un giorno, ci siano due team che spopolano. Uno è l’Auto Eder che abbiamo visto essere l’emanazione fra i più giovani della Bora Hansgrohe. La storia del Cannibal Team, che già dal nome sembra incutere terrore, è ben diversa. Formazione di nascita belga, è qualcosa che va molto al di là: una vera e propria multinazionale di talenti, con corridori che provengono da ben 17 Nazioni.

Un team che fa dell’originalità il suo punto forte e lo si capisce già dalla sua singolare storia, raccontata con infinita passione dal suo direttore sportivo Francis Van Mechelen.

«L’idea è nata una decina di anni fa a me e mia moglie, Erika Aliskeviciute – spiega – che correva e che è ora la presidente del team. Eravamo in Lituania allora e volevamo dare la possibilità di fare ciclismo ai nostri figli Vlad e Gloria, ma non trovavamo un team adatto».

Erika Aliskeviciute, madre e presidentessa del team con Vlad e Gloria Van Mechelen
Erika Aliskeviciute, madre e presidentessa del team con Vlad Van Mechelen

«Così abbiamo pensato di fare da soli, facendo una squadra solo di coetanei dei nostri figli (Vlad è del 2004, Gloria due anni più grande). Loro crescevano, passavano di categoria e lo stesso faceva il team, facendo crescere con loro altri ragazzi che arrivavano da ogni parte del mondo, fino ad arrivare alla realtà attuale con 24 corridori di 17 Paesi diversi».

Perché avete scelto questa soluzione?

Noi abbiamo scelto inizialmente ragazzi provenienti da Paesi dove il ciclismo non è uno degli sport maggiormente praticati, per dare loro modo di vivere la propria passione, ma pian piano siamo cresciuti e l’idea con noi. Noi viviamo in Lituania, il Paese di mia moglie, ma i ragazzi sono in Belgio per seguire l’attività. Abbiamo ben chiaro ciò che vogliamo fare noi e vogliono fare i nostri ragazzi, dobbiamo solo metterli nelle condizioni migliori per raggiungere i loro limiti. Non è un caso se Vlad è l’unico belga del team.

Da sinistra Ermakov (RUS), Van Mechelen (BEL), Shmidt (USA), Ragilo (EST), Chamberlain (AUS) e Rode (NOR)
Da sinistra Shmidt (USA), Ragilo (EST), Chamberlain (AUS) e Rode (NOR)
La particolarità, visto il momento storico, è che al suo interno ci sono ciclisti russi, ucraini e americani…

Per noi questo è molto importante. I ragazzi sono cresciuti insieme, sono amici tra loro e la guerra gli è piovuta addosso. Sono un esempio di come lo sport trasmetta messaggi ben diversi da quelli che sentiamo nei telegiornali. Sono qualcosa da raccontare ai giovani, per far capire che è lo sport il terreno adatto per competere, in maniera leale, in comunità, restando amici. I corridori russi sono arrivati molti mesi fa, hanno iniziato ad allenarsi con gli ucraini e hanno subìto la guerra esattamente come i loro coetanei provenienti dall’altra parte. Odiano la guerra allo stesso modo, sono vittime come noi perché la guerra non ha vincitori, fa solo vittime.

Tra tanti ciclisti non ci sono italiani. Avevate pensato a qualche corridore nostrano da contattare?

Grazie per la domanda perché mi consente di sottolineare come i rapporti con il ciclismo italiano e la sua federazione siano sempre difficili. Ogni volta che partecipiamo a una gara italiana dobbiamo sempre presentare una marea di documenti, quando si gareggia in Belgio come in qualsiasi altro Paese è tutto molto più semplice. Nel corso degli anni, anche pochissime settimane fa, abbiamo ricevuto tante richieste da parte di corridori italiani e ne prenderemmo volentieri e vogliamo farlo, ma gli ostacoli che la Fci pone sono davvero enormi. Vi faccio un esempio…

Vlad Van Mechelen fra Ragilo, 1° alla Junioren Rundfahrt e Ermakov, 1° alla Route des Geants
Vlad Van Mechelen, 3° nella penultima tappa in Lunigiana, con Ermakov, 1° alla Route des Geants
Prego…

Ad inizio anno mio Vlad era venuto in Italia per il Giro di Primavera a San Vendemiano, non volevano farlo partire, per fortuna ho trovato persone alla federazione belga che al sabato hanno trasmesso i documenti richiesti, così Vlad ha potuto correre e finire secondo. Bisogna che in Italia qualcosa cambi, non è possibile continuare così, sia per gareggiare, sia per favorire gli scambi, che poi rappresentano un’insostituibile esperienza di crescita.

A tal proposito, come vivono insieme?

Noi abbiamo corridori che vengono da Paesi come Usa o Australia, che hanno bisogno di un visto e possono restare 3 o 4 mesi. Sono quelli delle gare, poi ripartono e tornano successivamente. Quelli europei hanno più facilità di movimento, raggiungono il punto base per un paio di settimane legate all’evento, poi tornano a casa. Noi abbiamo una Team House frequentata da almeno 6-7 ragazzi ogni giorno: fanno tutto insieme, dalle faccende domestiche alle uscite di svago, dallo studio agli allenamenti. Si vive come una vera famiglia e questa comunanza si traduce anche in gara, dove corrono davvero come un gruppo unito.

Shmidt e il diesse Francis Van Mechelen, pronto ad allargare ancora il team (foto The Young Peloton)
Shmidt e il diesse Francis Van Mechelen, pronto ad allargare ancora il team (foto The Young Peloton)
Siete collegati a qualche squadra WorldTour?

Proprio nelle ultime ore abbiamo stretto un rapporto con un team WorldTour come formazione Development, ma lo annunceranno loro. Intanto però i nostri ragazzi hanno già siglato accordi con formazioni U23 dell’area WorldTour: mio figlio e l’estone Ragilo andranno al Team DSM, l’americano Shmidt all’Hagens Berman Axeon, ma anche altri si muoveranno.

Fra loro c’è anche suo figlio Vlad: correre con tanti stranieri lo ha fatto crescere?

Enormemente e non solo come corridore. Noi abbiamo iniziato a far correre i nostri ragazzi quando avevano 10-11 anni, hanno corso in tutta Europa, anche alla vostra Coppa d’Oro, questo li ha portati a gareggiare nelle gare junior Uci senza stress, quasi fosse normale e devo dire che questo atteggiamento mentale ce l’hanno anche i ragazzi italiani, molti dei quali ad esempio parlano bene inglese. Io ho visto Vlad maturare tantissimo come persona e questo serve anche agonisticamente, come si è visto al recente Giro della Lunigiana. Ora è già stato convocato per i Mondiali e ci aspettiamo tanto.

Vlad con due dei tanti campioni nazionali del team: Tobias Nakken (NOR) e Frank Ragilo (EST)
Due dei tanti campioni nazionali del team: Tobias Nakken (NOR) e Frank Ragilo (EST)
Chi sono gli elementi più promettenti?

Sono tanti quelli che possono far bene anche fra i pro’, ma il migliore probabilmente è Roman Ermakov e mi dispiace sinceramente che l’Uci non gli permetta di poter competere ai mondiali penalizzandolo solo per colpa del suo passaporto, penalizzandolo per colpe non sue. Avrà comunque un grande futuro.

Riguardo a questi ragazzi, qual è il suo sogno?

Quando i ragazzi erano piccoli, il sogno era farli salire di categoria in categoria. Ora vogliamo che arrivino al WorldTour, noi intanto andremo avanti, cercheremo di prendere 2-3 ragazzi da ogni Paese e farli crescere insieme, non solo ciclisticamente. Ad esempio i nostri ragazzi hanno tutti appreso l’inglese in massimo 3 mesi. Li facciamo crescere insieme, vivere insieme, diventare uomini veri. Siamo aperti, nonostante tutto, anche a portare da noi qualche italiano: chi volesse può scriverci a cannibalcycling@gmail.com presentandosi con il proprio curriculum. A noi piacerebbe molto…

La dolorosa battaglia di Carlo Iannelli, con i social come arma

04.09.2022
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«Lo so che faccio la figura del rompic… – esordisce Carlo Iannelli – non sono un leone da tastiera, ma che cosa devo fare? Quale altro strumento ho per far capire che si sta perpetrando una grave ingiustizia, coprendo non solo chi è stato chiamato in causa, negando la possibilità di arrivare alla verità?».

7 ottobre 2019. Quel giorno finisce, troppo troppo presto, la vita di Giovanni Iannelli, promettente corridore pratese vittima di una caduta all’87° Circuito Molinese di Molino dei Torti, gara under 23 in provincia di Alessandria. Quel giorno finisce anche la vita, per come era stata fino ad allora dedicata alla famiglia, al lavoro, al sostegno della passione del figlio, per Carlo Iannelli, avvocato toscano (padre e figlio sono insieme nella foto di apertura).

Iannelli sprint
Iannelli correva per la Uniontrade-Cipriani e Gestri. Era un buono sprinter con doti di passista
Iannelli sprint
Iannelli correva per la Uniontrade-Cipriani e Gestri. Era un buono sprinter con doti di passista

La vita strappata a 22 anni

Ne inizia un’altra, che si tramuta ben presto in una lotta quotidiana, interminabile, per rendere giustizia a suo figlio. Un autentico inferno, fatto di aule di tribunale, carte bollate, documenti su documenti, un labirinto che non porta mai da nessuna parte.

Giovanni muore a 22 anni. Cade in volata, finisce contro un pilastro di mattoni, a meno di 150 metri dal traguardo. Le immagini tv, le foto scattate (in rete sono ancora disponibili) dimostrano chiaramente che pur essendo una gara nazionale (come se questo dovesse fare la differenza) non ci sono protezioni adeguate. Quelle protezioni minime necessarie per gestire in sicurezza un evento ciclistico, neanche le transenne se non per gli ultimi 40 metri.

La vicenda prende subito una piega strana: il rapporto dei Carabinieri segnala il loro arrivo sul luogo dell’incidente alle 16,15, la gara si conclude alle 16,24… Non vengono fatti rilievi, misurazioni, non vengono scattate foto né sentiti testimoni tra cui gli altri ciclisti coinvolti nella caduta. Sul verbale si scrive che Giovanni è caduto in maniera autonoma per l’alta velocità, in fase di sorpasso di altri corridori. Il rapporto della giudice di gara segnala che il corridore è stato “incauto”.

Iannelli vittoria
Il successo di Iannelli alla Coppa Caivano, seconda vittoria nel 2014
Iannelli vittoria
Il successo di Iannelli alla Coppa Caivano, seconda vittoria nel 2014

Un cammino di umiliazioni

Questa è solo la prima umiliazione che deve subire Carlo. Nel corso dei mesi, delle udienze, delle arringhe ne arrivano tante altre, affermazioni che fanno rabbrividire come quella dell’avvocato difensore del Comune di Molino dei Torti (chiamato a rispondere in sede penale insieme alla società organizzatrice, ai due direttori di corsa, presidente di giuria e Comitato Regionale Piemontese della Fci): «I genitori hanno altri figli e i nonni altri nipoti».

A tre anni di distanza, Carlo è provato, ma non domo: «Due anni dopo è arrivata l’archiviazione da parte della giudice di Alessandria – dice – negando così la possibilità di un processo. Ho percorso mille altre vie legali per far riaprire il caso, trovando spesso porte chiuse e, quando anche qualcuno si rendeva conto di quanto stava accadendo, si scontrava con il classico muro di gomma. Ricorsi rigettati senza neanche essere esaminati nel merito, appena ricevuti. Ma io non mi arrendo, lo devo alla memoria di mio figlio».

Iannelli Roubaix
13 aprile 2014, Iannelli alla Roubaix juniores. Finirà fuori tempo massimo, a 14’58” dal vincitore Klaris (DEN)
Iannelli Roubaix
13 aprile 2014, Iannelli alla Roubaix juniores. Finirà fuori tempo massimo, a 14’58” dal vincitore Klaris (DEN)

Le due vite di Carlo

La vita di Carlo, che ha sempre vissuto nel ciclismo, da presidente di società a giudice di gara, affiancando quella sua passione al lavoro e corroborandola al seguito di suo figlio Giovanni, passa attraverso due binari. Uno è il costante impegno in sede legale per riuscire ad avere un processo dove finalmente si possa quantomeno discutere di quel che avvenne quel maledetto pomeriggio. L’altro passa attraverso i social.

Molti avranno fatto caso che su Facebook come su Instagram, sotto moltissimi post ciclistici ma anche di altri argomenti, compare Carlo che pubblica gli aggiornamenti su come sta andando la sua battaglia legale. Per certi versi sembra un novello Don Chisciotte, con uno smartphone al posto della lancia, unica arma per combattere uno status quo granitico.

Iannelli Pantani
Carlo Iannelli con in braccio Giovanni vicino a Marco Pantani. Due vite spezzate troppo presto
Iannelli Pantani
Carlo Iannelli con in braccio Giovanni vicino a Marco Pantani. Due vite spezzate troppo presto

La similitudine con Pantani

La sua storia per certi versi ricorda la tenacia con cui Mamma Tonina ha continuato a lottare, giorno dopo giorno, per arrivare alla verità sulla morte di suo figlio Marco Pantani.

«Io ho iniziato ad andare in bici guardando Marco – dice – custodisco in ufficio una foto con lui, mio fratello e Giovanni da bambino. Sono pienamente convinto che dietro la sua morte e le sue vicende precedenti ci sia stato un complotto, ma le similitudini si fermano qui, le circostanze sono troppo diverse».

Il dolore che traspare a ogni sua parola, tanto sofferta quanto soppesata, si mischia alla tenerezza alla domanda su chi fosse Giovanni Iannelli.

«Un ragazzo d’oro, corridore esemplare, che interpretava questo sport con una passione enorme, ma senza cedere mai a nessuna lusinga, a qualsiasi scorciatoia. Si era tesserato a 5 anni, ancor prima di avere l’età per gareggiare da bambino. Ha fatto tutta la trafila, ha iniziato a vincere al primo anno junior, vicino a Signa, battendo in un colpo il campione toscano Baldini e quello italiano Trippi.

Iannelli nazionale
La sua unica convocazione in azzurro fu a Roubaix, un’emozione enorme
Iannelli nazionale
La sua unica convocazione in azzurro fu a Roubaix, un’emozione enorme

La chiamata in azzurro

«Un giorno al suo diesse Mirco Musetti arrivò la chiamata di Rino De Candido, selezionatore della nazionale juniores: voleva Giovanni per la Parigi-Roubaix di categoria. Mio figlio si ritrovò in squadra con Ganna, Affini, Plebani. Era entusiasta. In gara forò dopo 40 chilometri perdendo il treno giusto, ma volle finirla a tutti i costi, anche se fuori tempo massimo».

Il 7 ottobre saranno tre anni che Giovanni non c’è più. Carlo continua la sua battaglia: «Chiedo solo che un magistrato abbia il coraggio di andare contro il sistema, di esaminare tutte le carte. Di capire che quel giorno sono state commesse gravi mancanze che hanno portato alla morte di mio figlio e che le stesse sono state artatamente coperte. Io continuerò a lottare e a raccontare la mia battaglia».

Quando troverete i suoi commenti in fondo a qualsiasi post, forse da ora in poi li guarderete in modo diverso…