La ricetta di Quaranta: poche gare e tanto allenamento

21.02.2025
5 min
Salva

Neanche il tempo di disfare le valigie che Ivan Quaranta si è messo subito al lavoro, c’erano gli juniores chiamati alle loro sedute settimanali a Montichiari. Il suo lavoro è questo, senza sosta e non c’è neanche il tempo di assaporare le mille emozioni di Zolder, di un europeo che ha visto il settore velocità protagonista al di là dell’oro di Bianchi nel chilometro da fermo (con lui in apertura).

Per Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, sono stati europei positivi ma con un bilancio in deficit
Per Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, sono stati europei positivi ma con un bilancio in deficit

In quasi ogni torneo, in quasi ogni disciplina la formazione italiana è stata protagonista, anzi alla fine, per quanto fatto vedere, il piatto piange e su questo Quaranta mette l’accento.

«Lo ammetto, i piazzamenti finali mi bruciano, soprattutto il 4° posto di Stefano Moro nel keirin e anche il quinto della Vece. Che aveva solo bisogno di un po’ di fortuna: alla partenza avevamo battezzato la ruota della russa come quella che poteva portarla sul podio, invece la scelta non ha pagato. A proposito dei maschi, bisogna considerare che in gara c’era un certo Lavreysen: ormai quello è un extraterrestre, bisognerebbe vietargli di correre (dice ridendo, ndr)».

Per Stefano Moro medaglia sfuggita di un nonnulla nel keirin
Per Stefano Moro medaglia sfuggita di un nonnulla nel keirin
Una compattezza simile in un torneo titolato non si vedeva però da tanti anni…

E’ vero, anzi solo un paio d’anni fa gare del genere le ammiravamo dalla tribuna, ora invece ci siamo anche noi e con velleità. I ragazzi hanno confermato il loro valore, abbiamo una base sulla quale lavorare per progredire e i margini sono ampi, considerando l’età anagrafica e quella di pratica a questi livelli.

Alla vigilia si parlava tanto della scorrevolezza del nuovissimo impianto belga, eppure non ci sono stati progressi a livello cronometrico, secondo te perché?

I risultati vanno letti. Nello sprint a squadre siamo rimasti un decimo sopra il nostro primato il che significa che eravamo sui nostri limiti, poi clima e umidità possono fare la differenza in bene o in male. L’unico primato mondiale è venuto dall’inseguimento individuale femminile, ma quella è una specialità ancora relativamente nuova, dove ci sono margini. Anche Bianchi è comunque sceso sotto il minuto, i riscontri cronometrici secondo me sono positivi.

Per Bianchi secondo oro continentale nel chilometro. Ormai scendere sotto il minuto è un’abitudine…
Per Bianchi secondo oro continentale nel chilometro. Ormai scendere sotto il minuto è un’abitudine…
Proprio parlando con Bianchi si diceva che i mostri sacri come il suddetto Lavreysen sono davanti, ma la distanza si è un po’ ridotta…

E’ vero, ma l’impressione che ho avuto è che l’olandese sia arrivato a Zolder non proprio al massimo della forma, eppure è un tale fuoriclasse che vince anche così. Quindi siamo noi che siamo progrediti o era lui che era regredito? Io non ho interesse a trovare una risposta, dobbiamo imparare a guardare quel che facciamo in casa nostra, sapendo che prima o poi la ruota girerà e dovremo farci trovare pronti. Il concetto di Bianchi è comunque giusto: un medagliato come Yakovlev è finito dietro, il polacco Rudyk lo avevamo quasi battuto. I segnali ci sono.

Nello sprint la batteria di Predomo contro l’olimpionico è piaciuta molto…

Mattia l’ha onorata al meglio, contro gli altri Lavreysen ha vinto con molto più distacco. Tra l’altro c’è un aneddoto in proposito: quando è finita la loro sfida, mi sono avvicinato ad Harrie per fargli i complimenti e lui mi ha detto: «Mi sono dovuto impegnare per batterlo, per questo alla fine mi sono complimentato con lui». E’ un bell’attestato di stima.

Lavreysen batte Predomo, ma dopo l’arrivo si complimenta con l’azzurro per la sua prova
Lavreysen batte Predomo, ma dopo l’arrivo si complimenta con l’azzurro per la sua prova
Nelle foto la loro differenza fisica è evidente…

Mattia continua a pagare dazio nei 200 metri di qualificazione e questo lo penalizza negli accoppiamenti, ma quello dipende dalla sua stazza fisica, ci sono almeno 15 chili di muscoli di differenza… Quando poi si gareggia uno contro uno, lanciandosi dalla balaustra, lì Predomo diventa pericolosissimo. Sta però crescendo, anche contro il tempo si è attestato su 9”9 basso e questa è una bella base. Quando avrà messo su qualche altro chilo, il discorso cambierà.

Il calendario così scarno vi penalizza?

Io direi di no – risponde Quaranta – e spiego il perché: i nostri sono tutti Under 23, quindi il campionato europeo sarà primario per noi sulla strada dei mondiali di ottobre. In Nations Cup in Turchia vedremo chi portare, potremmo anche scegliere una rappresentativa ridotta. Poi avremo qualche gara S1 e S2, ma neanche troppe perché ho altre idee in testa.

Uno scalpo illustre per la Vece nello sprint: l’olandese Van de Wouw campionessa europea nel chilometro
Uno scalpo illustre per la Vece nello sprint: l’olandese Van de Wouw campionessa europea nel chilometro
Quali?

Noi dobbiamo approfittare di questa stagione così avara di impegni per lavorare tanto in palestra e in pista. Per noi l’allenamento è basilare e lo scorso anno, inseguendo il sogno della qualificazione olimpica mancata per un solo posto, abbiamo trascurato questo aspetto che invece, per i ragazzi, è oggi fondamentale.

Non si rischia la noia?

Sta a me saper variare e tenere sulla corda i ragazzi, farli divertire e saperli motivare. Serve lavorare sul fisico, sulla tecnica, anche sulla mentalità, inculcare in loro un pensiero vincente. Per questo dico che gli europei di categoria saranno importantissimi, perché vincendo s’impara a vincere e si può salire man mano di categoria. In fin dei conti nel quadriennio abbiamo raccolto qualcosa come 15 titoli europei e 3 mondiali, serve solo pazienza per trasformarli a livello superiore perché il materiale c’è…

L’oro di Bianchi, stavolta vissuto da campione consumato

15.02.2025
5 min
Salva

Come un anno fa. Gli europei di Zolder, che tante positive indicazioni in chiave italiana hanno dato agli albori del nuovo quadriennio olimpico, hanno riproposto all’attenzione generale il nome di Matteo Bianchi, assoluto dominatore della gara del chilometro da fermo. E’ vero, non è gara olimpica (non ancora?) ma la sua vittoria, soprattutto per com’è venuta, per la superiorità dimostrata nei confronti di tutti gli avversari è il miglior segnale che si potesse avere.

Il giorno dopo Bianchi è già in viaggio verso casa e la cosa che emerge subito è la sua estrema tranquillità, ben diversa da quella della sua prima vittoria continentale ad Apeldoorn: «Dopo aver visto la startlist sapevo di avere buone possibilità, poi è chiaro che la gara è un’altra cosa, per vincere tutti i tasselli devono andare al posto giusto. Questa volta però ho gestito la gara in maniera diversa: nella qualificazione, pur essendo l’unico a scendere sotto il minuto ho cercato di gestirmi, di non dare tutto pensando alla finale».

La partenza di Bianchi nel chilometro. L’azzurro ha dominato la gara sin dalle qualificazioni
La partenza di Bianchi nel chilometro. L’azzurro ha dominato la gara sin dalle qualificazioni
Significa che hai una maggiore consapevolezza delle tue qualità…

Sì, comincio a conoscermi meglio, ma anche se può sembrare freddezza la mia, le emozioni le sento profondamente e vincere un evento del genere ne dà tante, ci vuole tempo per assimilarle.

Rispetto agli avversari, riferendosi al comparto generale della velocità, hai la sensazione che le cose stiano cambiando?

La distanza dai grandi dello sprint si va riducendo, lavorando giorno per giorno ci stiamo avvicinando e risultati come il mio sono il carburante giusto per continuare su questa strada. Siamo sempre più competitivi, si è visto nel torneo della velocità a squadre ma anche nella prova di Predomo in quella individuale, dove solo i maestri olandesi ci hanno fermato.

Per il bolzanino è la seconda medaglia d’oro nel chilometro da fermo, dopo Apeldoorn 2024
Per il bolzanino è la seconda medaglia d’oro nel chilometro da fermo, dopo Apeldoorn 2024
Parli sempre al plurale…

Siamo un gruppo molto affiatato, i risultati dell’uno sono i risultati di tutti. Stiamo sempre insieme e questo favorisce lo sviluppo delle dinamiche di squadra. Noi dobbiamo migliorare insieme per poter avere delle reali chance, questo è chiaro a tutti.

Poi c’è sempre il fattore età dalla vostra parte…

Sì, sappiamo di essere i più giovani e di avere maggiori margini rispetto ad altre realtà che sono sulla breccia da più tempo. Questo ci dà fiducia perché sappiamo che dobbiamo esprimere ancora il nostro maggior potenziale. Poi si vedrà, nelle nostre discipline concorrono tanti fattori, soprattutto è importante che insieme a noi, insieme alla nostra crescita fisica e tecnica vadano avanti anche la ricerca sui mezzi e sui materiali, perché le prestazioni scaturiscono da un insieme di componenti.

Il gruppo è l’arma in più del settore, ogni risultato è vissuto come frutto comune
Il gruppo è l’arma in più del settore, ogni risultato è vissuto come frutto comune
Tu sei tra i maggiori specialisti di una specialità gloriosa come il chilometro che però attualmente non fa parte del programma olimpico: questo non è un rammarico?

Dipende da quello che uno vuole, io voglio investire fortemente sul team sprint perché è la specialità che può permetterci di andare ai Giochi Olimpici. E’ uno sforzo molto simile a quello del chilometro, soprattutto per me che sono chiamato alla chiusura, quel giro finale racchiude molte delle prerogative del chilometro da fermo, il fatto di poter dare un importante contributo è un grande stimolo per me.

Il vostro team ha una formazione ormai stabile?

Abbastanza, anche a Zolder abbiamo avuto Minuta al lancio che è fra noi quello più esplosivo, poi Predomo per il secondo giro e io in chiusura. Ma abbiamo anche altre opzioni, come l’impiego di Napolitano al posto di Minuta oppure lo stesso Napolitano al lancio e Minuta al secondo giro. Avere varie possibilità è un vantaggio, anche io sono sempre disponibile a cambiare se serve.

Predomo insieme a Lavreysen. La sfida quest’anno ha visto l’azzurro più vicino al campione del mondo
Predomo insieme a Lavreysen. La sfida quest’anno ha visto l’azzurro più vicino al campione del mondo
Un dato che ha colpito è il fatto che da Zolder, dove pure si diceva che la pista fosse velocissima, non sono arrivati record, anche voi siete rimasti sopra il primato italiano pur entrando a vele spiegate fra i primi 8, cosa mai scontata…

In questo incide molto il tipo di pista, ma anche le condizioni climatiche: la temperatura, la pressione. L’impianto ci è sembrato veloce, in fin dei conti siamo rimasti intorno a un decimo di secondo dal record, quindi la prestazione è stata all’altezza e anche nel chilometro i tempi sono stati buoni.

Ora che cosa ti attende?

E’ una stagione abbastanza strana, ma lo sarà anche la prossima. Ci prepareremo per la prova di Nations Cup in Turchia ad aprile, l’unica di questa stagione, poi durante l’estate si procederà fra allenamenti e gare nazionali, con qualche puntata all’estero per le prove S1, il tutto pensando ai mondiali di ottobre.

Bianchi insieme a Quaranta, che a Zolder ha presentato un gruppo in evidente evoluzione
Bianchi insieme a Quaranta, che a Zolder ha presentato un gruppo in evidente evoluzione
Non si rischia la monotonia?

La nostra è una disciplina che si fonda sull’allenamento, sia in pista che in palestra, se il calendario è scarno non possiamo che prenderne atto. Noi d’altronde abbiamo Quaranta che è uno straordinario motivatore, è una parte importantissima di tutto il nostro progetto, ci dà i riferimenti, organizza gli allenamenti proprio per darci continuamente stimoli. Mi chiedono spesso se inseriamo anche prove su strada, ma nel nostro caso non avrebbero senso. Su strada andiamo, per fare allenamenti sul fondo e la resistenza, ma basta quello.

Tutti dicono che a Los Angeles la velocità italiana sarà chiamata a fare il salto di qualità, anche verso le medaglie. Questo non vi dà pressione?

No, non ci vogliamo pensare, almeno in questo biennio dove le Olimpiadi sono lontane, non si parla ancora di qualificazioni. Siamo concentrati sul lavoro, su responsabilità che sono positive, tanto è vero che gli europei sono stati solo una tappa, anche se a me ha portato molta fortuna…

Predomo studia Lavreysen, colpi d’occhio da campione

04.11.2024
6 min
Salva

La crescita di un corridore passa anche attraverso il confronto con i campioni della sua epoca. Mattia Predomo è un autentico dominatore nelle categorie giovanili della velocità, ma questa è una specialità dove si matura pian piano, anche attraverso sconfitte ed esperienze contro i leader, come l’olandese vincitutto Lavreysen. Noi abbiamo sottoposto l’azzurro a un piccolo gioco, mettendolo davanti ad alcune foto dell’olimpionico arancione, analizzandole dal punto di vista tecnico e soprattutto confrontandosi con esse.

Predomo, ragazzo estremamente attento ad ogni sfumatura della sua disciplina si è sottoposto di buon grado alla prova: «Con Lavreysen ho gareggiato un paio di volte ma l’ho sempre guardato con attenzione perché è il riferimento assoluto. Partiamo però dal presupposto che siamo fisicamente molto diversi: lui ha almeno 20 centimetri più di me in altezza e questo si traduce in almeno 13 chili in più. Si vede che la sua muscolatura è molto sviluppata».

Predomo sottolinea la posizione di Lavreysen, che lo porta ad avere le braccia più flesse del solito
Predomo sottolinea la posizione di Lavreysen, che lo porta ad avere le braccia più flesse del solito
Questo comporta l’uso di bici con una taglia diversa?

Non solo. Per lui viene fatta una bici con telaio su misura, non è lui che si adatta con le misure, gli viene costruito un telaio apposito, come avviene per altri olandesi e qualche inglese a che so io. Questo è un fattore importante perché incide sulla sua posizione e tutto il resto. Noi invece dobbiamo lavorare molto sulle misure e le posizioni.

Partiamo allora dalla foto della partenza nel chilometro da fermo…

La cosa che emerge guardandola è la sua posizione estremamente avanzata. Sta lanciando la bici, quindi scarica su di essa una grande potenza per acquisire prima possibile grande velocità. Da notare la posizione delle braccia: se ci fate caso sono leggermente piegate in base alla posizione avanzata delle spalle e questo io credo derivi dal suo passato nella Bmx. Di regola si tengono le braccia più dritte, proprio perché la posizione della parte superiore del corpo è più arretrata.

Nella foto alla balaustra? Qui siamo in una fase abbastanza tranquilla…

E infatti le mani hanno una minor tensione, sono sulla parte bassa del manubrio in posizione rilassata. Significa che sono i giri prima del lancio verso lo sprint, si cerca di acquisire la posizione più comoda possibile non solo per risparmiare energie, ma anche per poter scaricare potenza e lanciarsi più forte possibile. Sicuramente è una posizione molto diversa da quella che assumono gli stradisti, per esempio. Guardate la differenza delle braccia quando invece è vicino alla linea blu, lì sono molto più attive, per dare spinta anche stando seduto. In quella foto desumo che Harrie stia per alzarsi sulla sella.

Guardando le sue gambe che cosa noti di diverso?

Una delle sue caratteristiche è l’eccezionale gioco di piedi e caviglie sui pedali e questo si desume dalla sua prestazione nel chilometro. Non è la sua specialità, so che prima di Ballerup non l’ha disputata spessissimo, ma si nota guardando la foto come la sua posizione sia molto diversa da quella tenuta dai corridori che, invece che dalla velocità, vengono dal quartetto. Nel suo caso si capisce come a differenza degli inseguitori non guardi all’aerodinamica.

Che cosa intendi dire?

Non cerca di assumere una posizione il più possibile “morbida” contro l’aria, ma pensa solo a scaricare potenza. Sui 4 giri conta molto la spinta: lui cerca di raggiungere subito la velocità di crociera, perché a quel punto gli è più facile tenere la bici. La sua è una posizione classica: quando gareggi nella velocità, hai invece una posizione o più arretrata, tendente quasi allo zero e questa tendenza se notate si sta spostando sempre più anche alla strada. Lo stesso Pogacar tende ad avere una posizione simile, perché più comoda e redditizia. Molto dipende dalle pedivelle: io uso le 165, lui ha le 170 che aprono un angolo più basso che permette una spinta migliore.

La posizione del busto?

Torniamo alla foto vicino alla linea blu: la sua posizione è di pieno scarico sulle gambe pur mantenendo la bici in linea. E’ qualcosa che per lui sembra facilissimo ma non lo è. E’ un aspetto sul quale sto lavorando molto con i tecnici, per avere una posizione più comoda potendo in questo modo massimizzare la spinta degli arti inferiori con la bici che, rimanendo stabile e in linea, traduce tutta la forza emessa.

La sfida con Hoogland nella finale mondiale. Le posizioni sono simili, emerge la grande potenza dei due
La sfida con Hoogland nella finale mondiale. Le posizioni sono simili, emerge la grande potenza dei due
Nello sprint e nel keirin la sua posizione è diversa?

Diciamo che è più classica, simile alla nostra ma lì non puoi inventarti molto. L’impugnatura del manubrio è quella, può cambiare di minimi particolari ma se guardate rispetto all’avversario che è dietro non ci sono grandi differenze, anche se lui si sta alzando sulla sella. Semmai è interessante il fatto che sia leggermente spostato indietro, più in linea con i pedali, ma è sempre per il discorso di prima di scaricare più potenza più velocemente possibile.

Quanto influisce in tutto ciò il lavoro su pista e quello fuori, in palestra?

Questo è un aspetto importante. Direi che la palestra costituisce almeno il 70 per cento della prestazione, ma quelle masse muscolari non le acquisisci dall’oggi al domani, ci vogliono anni di applicazione costante. E’ un percorso lungo, nel quale ogni carico in più deve arrivare al momento opportuno e deve andare di pari passo con la tecnica, con quei piccoli ma fondamentali accorgimenti di cui abbiamo parlato. Poi la prestazione è molto personale: l’australiano Hoffman è uno dei migliori partitori del circuito, ma ha un modo di scattare profondamente diverso da quello ad esempio dei belgi. Ognuno deve trovare la sua strada, io sto lavorando per quello.

Il gigante Lavreysen si mangia la storia dello sprint

24.10.2024
4 min
Salva

Si poteva anche pensare che dopo le tre medaglie d’oro di Parigi (foto di apertura), Harrie Lavreysen sarebbe andato ai mondiali di Ballerup demotivato o quantomeno appagato. Invece il gigante olandese è arrivato, si è guardato intorno e, come sempre sorridendo, ne ha vinte altre tre, diventando l’atleta più vincente nella storia dei mondiali su pista con 16 medaglie d’oro (da elite). Si è portato a casa la velocità olimpica, assieme a Hoogland e Van den Berg. Il chilometro da fermo, per lui una novità, battendo Hoogland. Infine la velocità, precedendo nuovamente Hoogland, che sarà pure suo ottimo amico, ma nell’epoca di Pogacar che li batte tutti, probabilmente si sentirà da tempo come Remco.

Anche a Ballerup tre vittorie: velocità a squadre, velocità e il chilometro. Lavreysen è del 1997, è alto 1,81 e pesa 92 chili
Anche a Ballerup tre vittorie: velocità a squadre, velocità e il chilometro. Lavreysen è del 1997, è alto 1,81 e pesa 92 chili

Dalla BMX alla pista

Lavreysen in pista si diverte, difficilmente lo si vede di cattivo umore. Chissà se in questo suo atteggiamento ha un ruolo la carriera precedente nella BMX. Harrie non è nato nella nobiltà del parquet, lui preferiva la terra, le ruotine scolpite, i salti, il chiasso e le acrobazie. Finché dopo il quarto intervento e l’ennesima lussazione della spalla, il medico pregò i genitori che lo convincessero a cambiare. E a quel punto la pista è diventata la sua casa. Fra parentesi: deve ancora prendersi cura della spalla e dormire in modo che durante il sonno non faccia movimenti strani.

Velocità, orgoglio e sfida: la novità del chilometro è forse la ripicca per l’eliminazione dal keirin. Il palmares è impressionante. Dal 2018 al 2024, ha vinto sei titoli mondiali della velocità, sei nella velocità a squadre, tre nel keirin e uno nel chilometro. Fra i pareri che meglio descrivono la sua capacità di essere potente, veloce e reattivo, quello di Theo Bos apre una finestra interessante.

L’altro olandesone, che in carriera ha vinto 5 titoli mondiali e adesso è il tecnico della Cina, ha usato parole chiare. «Ha un’eccellente genetica – ha detto – e una grande destrezza in bicicletta. Può sviluppare una potenza straordinaria, ma è agile come un corridore su strada».

All’indomani del ritorno dalle Olimpiadi, foto ricordo con Charles Leclerc prima del GP di Olanda (foto Instagram)
All’indomani del ritorno dalle Olimpiadi, foto ricordo con Charles Leclerc prima del GP di Olanda (foto Instagram)

Orgoglio e sfida

Il suo allenatore si chiama Edwin De Vries e rivela che ci sono tanti dettagli che compongono il mosaico di Harrie Lavreysen. La grande potenza, certo, dato che in più di un’occasione ha superato il muro dei 2.000 watt. La sua meticolosità nel tenere nota di tutto, incluso tenere aggiornato un file Excel in cui annota cosa deve fare minuto per minuto.

«La circonferenza della sua coscia misura 68 centimetri – dice De Vries – e questo gli permette di spingere oltre 800 chili sulla pressa. E’ sempre calmo, molto pragmatico, quasi insensibile alla pressione, al punto che non risente dei passaggi a vuoto».

In realtà quelli capitano sempre più raramente. A Ballerup è stato eliminato nel keirin e la vittoria è andata a Kento Yamasaki (i giapponesi hanno vinto la “loro” specialità anche fra le donne con Mina Sato). Harrie avrebbe potuto dire di essere stanco e demotivato, invece ci ha dormito sopra e il giorno dopo, al debutto in un mondiale, ha vinto il chilometro.

Un ragazzo alla buona

Sapete perché ride spesso e non lo si vede (quasi) mai incupito? Perché nonostante sia una star e in Olanda non possa camminare per strada come Pogacar in Slovenia, Lavreysen resta un ragazzo alla buona. Il villaggio in cui è cresciuto, Luyksgestel, è così piccolo da essere stato inglobato dal paese accanto.

Quando è tornato dalle Olimpiadi, Lavreysen è andato prima in visita ufficiale da Sua Maestà, il Re Willem-Alexander Claus George Ferdinand van Oranje-Nassau. Poi però è andato dritto al suo paese. Ha sfilato con i compagni di nazionale sul tetto di un pulmino arancione e poi si è buttato in una festa con migliaia di persone, che ha definito come l’esperienza più bella che abbia mai vissuto. Singolare affermazione, soprattutto fatta da uno che ha appena vinto tre medaglie olimpiche. Gambe, risultati, testa e palmares sono quelli del numero uno. Il cuore però è rimasto quello di sempre.

Moro e il keirin: «E’ tutta questione d’istinto»

26.01.2024
5 min
Salva

Delle 6 medaglie conquistate dall’Italia agli europei su pista di Apeldoorn, quella di Stefano Moro nel keirin è stata la più sorprendente e quella dal più alto significato storico. Mai l’Italia era infatti salita sul podio continentale nella specialità, considerata ancora relativamente nuova anche se è ormai da più edizioni nel programma olimpico. Il suo bronzo è un altro passo verso la rinascita del settore velocità, ma soprattutto è l’esplosione di un talento arrivato alla sua maturità dopo aver trovato tardi la disciplina più adatta per esprimersi.

Moro ammette che il primo a essere rimasto sorpreso è stato proprio lui: «Ero partito nel torneo, che si disputa nell’arco della stessa giornata – dice – con l’obiettivo di raggiungere le semifinali. Mai avrei pensato di cogliere addirittura il bronzo. E’ stato un crescendo, l’andamento della semifinale mi ha gasato, mi ha fatto partire in finale con la voglia quantomeno di provarci ed è andata come meglio non poteva».

Per Moro quella del keirin è stata la prima medaglia da quando è passato alla velocità
Per Moro quella del keirin è stata la prima medaglia da quando è passato alla velocità
Vedendo il tuo torneo, la sensazione è stata che con il passare delle prove tu abbia trovato la strategia giusta, come una sorta di combinazione utile per emergere…

Un po’ è vero, nel senso che in semifinale ho visto che quando è partito il polacco Rudyk, riuscivo a tenerlo. Così ho pensato che se in finale prendevo la sua ruota, potevo arrivare davanti perché è uno che va davvero forte, ma è ancora “fra gli umani”.

E Lavreysen?

Ecco, questa è la differenza, l’olandese non lo tieni, è talmente potente che quando parte ti lascia sul posto. Seguirlo sarebbe stato un suicidio. Ho battezzato la ruota giusta…

Che impressione ti ha fatto gareggiare con questi atleti con una posta così importante in palio?

Non mi sono posto troppi pensieri alla partenza, sarebbe stato controproducente. Al via siamo tutti uguali, partiamo dalla stessa linea, poi ci sono le differenze, ma ci si lavora. Voglio dire che chiaramente l’olandese in questo momento è ingiocabile, ma io credo che in futuro potremo lottare ad armi pari. Serve però tanto lavoro, tanto…

Il momento decisivo della sua finale, quando ha seguito l’attacco del polacco Rudyk, poi argento
Il momento decisivo della sua finale, quando ha seguito l’attacco del polacco Rudyk, poi argento
Quanto influisce il fisico?

E’ una componente. Chiaramente se si guarda noi della nazionale e gli olandesi, la differenza balza all’occhio. Ma noi abbiamo dalla nostra l’età, parlo soprattutto dei miei compagni del settore. Chi ha atleti dello stesso livello così giovani?

Il keirin è la specialità che più ti si addice fra quelle della velocità?

Direi proprio di sì, è più nelle mie corde. Ho iniziato ad affrontarla seriamente solo da pochissimi mesi, ma vedo che si adatta bene alle mie caratteristiche, si lavora sul lanciato. Nello sprint ci vogliono qualità da scattista che io, venendo dall’endurance, non ho. Il keirin è soprattutto istinto, se cominci a pensare a che cosa devi fare ti freghi da solo. Devi aspettarti di tutto, è come la roulette…

Quindi come lo si affronta?

Concentrandoti su te stesso, su quel che devi fare. E’ importante come ti muovi tu piuttosto che quello che fanno gli altri. Questo risultato mi ha fatto capire che la mia scelta era stata giusta e che devo continuare a interpretarlo così, acquisendo sempre più consapevolezza dei miei mezzi.

Nel 2020 Moro aveva colto l’argento nel quartetto e il bronzo nella madison con Lamon
Nel 2020 Moro aveva colto l’argento nel quartetto e il bronzo nella madison con Lamon
A livello strettamente matematico, con questo bronzo saresti ancora in corsa per un posto a Parigi…

Sì, ma è oltremodo complicato, anche perché non ho abbastanza punti. Ho fatto una sola gara di Nations Cup e sono caduto. La prossima tappa in Australia dovrò saltarla, spero di gareggiare nelle altre. E’ chiaro che finché la matematica non mi condanna, io ci proverò. Realisticamente però i miei obiettivi sono più lontani, intanto vorrei avere abbastanza punti per qualificarmi per i mondiali. Quello è un target più alla mia portata.

E Los Angeles 2028?

Certamente è più fattibile, ci sono 4 anni per continuare a migliorare. So che con il duro lavoro arriveranno i miglioramenti e quindi potrò anche arrivarci. Io però sono abituato a pormi obiettivi a breve termine, fare un passo alla volta. Per questo ora voglio pensare a entrare nei 24 che faranno i mondiali.

Tu fai parte del progetto Arvedi, ma il tuo manager Rabbaglio ha specificato come per te non siano previsti impegni su strada.

No, la mia attività è concentrata sulla pista. Su strada vado solo per allenamenti, ma la parte principale della preparazione si divide fra la palestra e la pista stessa. Oltretutto non c’è solo il keirin, i tecnici vogliono che continui a migliorare soprattutto nella partenza e nelle fasi di lancio per poter essere utile anche in ottica velocità a squadre. D’altronde come detto faccio quest’attività da ancora troppo poco tempo.

Per Moro decisiva è la spinta di Quaranta, che lo ha convinto a cambiare specialità
Per Moro decisiva è la spinta di Quaranta, che lo ha convinto a cambiare specialità
Come fai con gli allenamenti su pista? Montichiari non basterà…

Infatti mi alleno molto al velodromo di Dalmine che è davvero a pochissimi chilometri da casa, poi da poco è stato inaugurato anche l’impianto di Crema, quindi le possibilità non mancano.

Allargando il discorso, tu fai parte di un settore rilanciato da Quaranta solo un paio d’anni fa e lavori con ragazzi ancora più giovani di te. Come vedi il futuro?

Io sono molto ottimista. Dobbiamo dire grazie alla Federazione che ha investito su questo settore facendolo ripartire da zero, con un tecnico come Quaranta e la supervisione di Villa. Ma il mio bronzo ha tanti padri: vorrei ricordare le Fiamme Azzurre che mi permettono di fare quest’attività, con l’appoggio di Onori, Masotti e Buttarelli. Poi la famiglia e la mia fidanzata Martina, che mi sostengono e sacrificano tempo per me. Infine il mio preparatore atletico Nicola Nasatti. E’ una medaglia di gruppo, anche se a salire sul podio sono stato solo io…

Il tuo ottimismo su che cosa si basa?

Su un semplice ragionamento legato al mio excursus. Quando mi affacciai in nazionale, nel 2014, il quartetto dell’inseguimento era lontanissimo dai vertici e guardate che cosa ha ottenuto. Con gente come Predomo, Bianchi, Napolitano, Tugnolo e Minuta abbiamo un gruppo che può fare lo stesso percorso. Dateci solo qualche anno.

Simulare la gara per vincerla in pista: il caso Lavreysen

21.10.2022
5 min
Salva

Lo avete letto un paio di giorni fa il pezzo con le 10 domande a Harrie Lavreysen, il velocista più forte del mondo? E leggendo il suo modo di andare incontro alle sfide in pista non vi è venuta la pelle d’oca?

Sarà che lo sforzo sotto i 10 secondi a 73 di media è qualcosa che sfugge all’immaginario del ciclista più tradizionale, ci siamo chiesti come funzioni la testa dell’olandese e quanto lavoro ci sia dietro il suo modo di pensare. Per cui ci siamo attaccati al campanello della dottoressa Manuella Crini, chiedendole da psicologa di provare a interpretare quelle frasi.

«Per alcune persone – spiega – dire «Vinco» crea ansia. Lui addirittura ha bisogno di dirselo. Mi prefiggo la vittoria come unica possibilità, per cui attingo direttamente alla dopamina prima ancora di aver vinto».

Nella corteccia prefrontale si verificano le attivazioni che regolano ogni funzione esecutiva (foto Angela Savino e Ottavio De Clemente)
Nella corteccia prefrontale si verificano le attivazioni che regolano ogni funzione esecutiva (foto Angela Savino e Ottavio De Clemente)

Il cervello che cambia

E’ un meccanismo in cui viene coinvolta la corteccia prefrontale, la parte anteriore del cervello che gioca un ruolo chiave nelle funzioni esecutive, come la creazione di strategie, la pianificazione, il controllo delle emozioni, l’attenzione, la concentrazione, l’autocontrollo degli impulsi. Simulando la sfida nella sua testa, Lavreysen produce un primo rilascio di testosterone. Mentre convincendosi di correre per la vittoria e di aver già vinto, approfitta di un rilascio di dopamina che provoca sensazioni positive e alla lunga riesce a cambiare non solo la composizione chimica, ma anche la struttura del cervello del vincitore.

Potremmo pensare di essere davanti a un caso limite?

Non credo, non sono le parole di uno che dice: «Devo vincere, sennò non sono nessuno». Qui traspare una notevole autostima, calibrata e ben centrata. Segno che ci ha lavorato tanto sin da quando era bambino o che i suoi genitori sono stati bravi. Allo stesso modo in cui traspare sicurezza quando parla dei compagni. Sono super competitivi in gara, ma non lo sono fra loro. La competizione interna non determina la sconfitta a livello umano, al contrario. Se anche mi batti, posso utilizzare le tue strategie per essere migliore di te la prossima volta.

La voglia di vincere porta alla vittoria. In pista non c’è tempo per pensare: tutto è stato provato prima
La voglia di vincere porta alla vittoria. In pista non c’è tempo per pensare: tutto è stato provato prima
Deve esserci dietro un bel lavoro di coaching?

Di sicuro alle spalle c’è qualcuno molto preparato. Qualcuno che gli ha fatto capire che l’essere bravo di uno dipende dagli altri. Hanno dietro una mente di quelle importanti. Al punto di pensare che se a lungo andare Lavreysen non reggerà più questi ritmi, per il più semplice dei cali fisici o perché non riuscirà più a vivere solo per lo sport, sarà disposto a cambiare ruolo senza farne un dramma.

Il fatto che la gara duri 9 secondi cambia le cose?

Il pensiero consapevole non ha tempo per formularsi. In quei 9 secondi c’è anche tanta endorfina. Parti e vai, sapendo che il margine di errore è ridottissimo. Bisogna lavorare sugli automatismi e per fare questo, bisogna che la gara lui la viva prima.

La concentrazione prima della gara: la mente si svuota, Lavreysen crea lo scenario (foto Instagram)
La concentrazione prima della gara: la mente si svuota, Lavreysen crea lo scenario (foto Instagram)
Infatti dice: quando non c’è abbastanza tensione, mi siedo e faccio la gara nella mia testa…

E qui si entra nell’ampio mondo delle tecniche di concentrazione, anche se in questo caso bisogna parlare di attenzione focalizzata. Sarebbe curioso sapere se facciano uso di simulatori o strumenti di realtà virtuale, in cui il visore ti permette di modulare l’immagine con il controllo del cervello.

La conoscenza degli avversari come si inserisce in questo quadro?

Non credo che si possa guardare più di tanto agli altri. Il fatto di conoscerli a menadito fa sì che si possa prevederne le mosse. Per come la racconta, la gara è tutta un lavoro di previsione. Secondo me, quando scende in pista, Lavreysen la gara l’ha già fatta e vinta.

Giornata di legpress durante una fase di allenamento: 800 chili. Serve grande determinazione… (foto Instagram)
Giornata di legpress durante una fase di allenamento: 800 chili. Serve grande determinazione… (foto Instagram)
Fare la gara prima appartiene anche agli sciatori, che ripassano le curve mimando le traiettorie con le mani…

Si chiudono gli occhi e il primo lavoro è svuotare la mente, scacciando i pensieri intrusivi. Poi con l’immaginazione crei lo scenario. Il fatto di muovere gli arti inganna il cervello, che non capisce se sia vero oppure no. Se riesco a fare con costanza questo tipo di allenamento, la corteccia motoria si sviluppa di più, aumentano i terminali nervosi e in gara rendo di più.

Come si scacciano i pensieri intrusivi?

E’ parte del coaching. Il pensiero è un riflesso, non puoi impedirlo, ma puoi gestirlo quando lo hai fra le mani. E comunque serve anche una grande motivazione, senza la quale una vita così cadenzata non la metti neanche in piedi. Senza la quale non dormi con le braccia bloccate in una specie di camicia di forza. Lo fai solo perché è funzionale ad altro: hai obiettivo e motivazione. Volete davvero sapere come si scacciano i pensieri intrusivi?

Al pensiero della vittoria corrispondono le conquiste: 9 maglie iridate non sono poca cosa (foto Pim Ras)
Al pensiero della vittoria corrispondono le conquiste: 9 maglie iridate non sono poca cosa (foto Pim Ras)
Magari grazie…

Prendete un orologio con la lancetta dei secondi e fissatela girare per 60 secondi. Senza pensare ad altro, tenendo la mente sgombra. Ogni volta che arriva un pensiero diverso, mettetelo via. Se lo fate una volta al giorno, dopo tre settimane sarete capaci di gestire il pensiero. Basta provare…

Lavreysen, 10 domande all’uomo più veloce del mondo

18.10.2022
5 min
Salva

Nove mondiali e due medaglie olimpiche a 25 anni. Harrie Lavreysen, olandese di Apeldoorn, è alto 1,81 e pesa 92 chili e, se fosse anche cattivo, sarebbe bene giragli alla larga. In realtà quando non è impegnato in qualche sfida di velocità appare un ragazzo alla mano. Forte com’è, divide lo scettro di velocista più forte con l’amico/rivale Jeffrey Hoogland e per non pestarsi i piedi, scelgono spesso gare diverse e fanno man bassa.

Da noi il settore delle donne e degli uomini veloci è in fase di ricostruzione e il quinto posto di Matteo Bianchi agli ultimi mondiali, nel chilometro vinto da Hoogland (accesso in finale con il secondo miglior tempo) fa ben sperare. Così, per preparare il terreno, noi intanto… spiamo il padrone di casa.

Olimpiadi di Tokyo, la finale della velocità è un derby olandese: oro a Lavreysen, argento a Hoogland
Olimpiadi di Tokyo, la finale della velocità è un derby olandese: oro a Lavreysen, argento a Hoogland
Che cosa fa un velocista?

Non ho un lavoro dalle 9 alle 17. Sei un grande atleta tutto il giorno, anche nel fine settimana. Ad ogni scelta che faccio, penso cosa sia meglio per questo sport. Ovviamente devi anche rilassarti, prenderti il giusto tempo. Ma se devo saltare una festa, non ho problemi. So per cosa lo sto facendo.

In cosa consiste la tua alimentazione?

Penso alla dieta tutto il giorno. Peso la colazione con molta attenzione, perché non deve darmi fastidio durante l’allenamento. Di solito mangio verso 8,15. L’orario si collega esattamente con l’allenamento del mattino. Ma certi giorni trovare gli orari giusti è un enigma. Se devo allenarmi nel primo pomeriggio, devo comunque alzarmi presto e fare colazione in base all’orario del pranzo. Alla base ci sono le proteine, se ne ho abbastanza, il resto non è così urgente. Ovviamente devo mangiare sano e assicurarmi di mantenere il peso forma.

Ai mondiali appena conclusi, Bianchi ha… assaggiato Hoogland, chiudendo il Chilometro in 5ª posizione
Ai mondiali appena conclusi, Bianchi ha… assaggiato Hoogland, chiudendo il Chilometro in 5ª posizione
Hai chiuso la carriera in Bmx a 18 anni per un infortunio alla spalla: tutto superato?

La sottopongo spesso a un trattamento separato. Non ho quasi nessun dolore, ma dormo con pantaloni speciali con due passanti. Se ci infilo i polsi, le spalle rimangono al loro posto. Devo tenerne conto anche in allenamento. Ad esempio, non posso esercitarmi su tante partenze di fila come qualcun altro. Grazie o a causa di tutte le battute d’arresto, ho avuto modo di conoscere bene il mio corpo. So esattamente cosa è possibile e cosa non lo è.

Cosa ti resta degli anni sulla Bmx?

Ho imparato cosa significa vivere come un atleta di alto livello. Ho imparato a controllare la bici. Mi sono sempre allenato sull’esplosività e ho gettato buone basi per l’allenamento della forza che faccio ancora oggi. Quindi ne traggo ancora vantaggio.

Ai recenti mondiali ha vinto il keirin precedendo Hoogland: 200 metri in 9″751 a 73,839 di media
Ai recenti mondiali ha vinto il keirin precedendo Hoogland: 200 metri in 9″751 a 73,839 di media
Hai debuttato ai mondiali del 2017 e sono venuti subito due argenti…

L’apertura mentale è stata la mia più grande forza. Non sapevo nulla degli avversari, ma ovviamente nemmeno loro sapevano di me. Allora avevo parecchi punti deboli, ma poiché non li conoscevano, non hanno potuto attaccarmi.

E’ importante conoscere gli avversari?

Ho già tutti gli scenari in testa in anticipo. Conosco la top 30 mondiale come il palmo della mia mano. So esattamente cosa fanno e come, perché li ho analizzati all’infinito. Cerco sempre di essere un passo avanti a loro. Penso a come mi guardano e cosa devono fare per battermi. Quindi mi assicuro che ciò non accada. Se uno è più forte, me ne faccio una ragione. Invece odio perdere per un mio errore.

A Tokyo ha trascinato Van den Berg, Buchli e Hoogland all’oro nel team sprint
A Tokyo ha trascinato Van den Berg, Buchli e Hoogland all’oro nel team sprint
Quanto conta la concentrazione nella velocità?

Voglio sentire la tensione solo per migliorare. Ma quando noto che sono troppo teso, parlo con alcune persone. Quando non c’è abbastanza tensione, mi siedo e faccio la gara nella mia testa. E allora la tensione e la concentrazione tornano subito al loro posto.

Altrimenti?

Non vinci. Andiamo molto in profondità in ogni sprint, in realtà è uno sport molto mentale. Non bisogna avere dubbi. Se ne hai, non vinci. La differenza tra dire «Posso vincere» e «Vincerò» è un fattore molto importante. Quando vado in gara, non penso all’argento. Avrei già perso. La parte mentale è difficile da allenare, perché semplicemente non è possibile esercitarsi al di fuori delle competizioni.

La rivalità con Hoogland è stimolo per entrambi. Qui a Roubaix 2021, dove Lavreysen ha vinto team sprint, velocità e keirin
La rivalità con Hoogland è stimolo per entrambi. A Roubaix 2021, Lavreysen ha vinto team sprint, velocità e keirin
Che rapporto hai con i tuoi compagni di nazionale?

Mi tengono sveglio. Si accorgono subito se un giorno non sono in forma e questo vale anche al contrario. Le nostre sessioni di allenamento si basano sul team sprint, l’obiettivo per le Olimpiadi. Questo ci rende molto forti come squadra. Ci spingiamo a vicenda. Ognuno di noi dà il meglio se l’altro va più forte.

Quanto potrai crescere ancora?

Sono giovane, quindi posso ancora fare meglio. Vedo che ho dei punti deboli e che i miei avversari possono battermi. Questo mi mantiene affamato. Alla fine, dopo la mia carriera, voglio avere il più grande record possibile di risultati. Lavoro per questo.

Dalla BMX all’empireo della velocità: il regno di Harrie Lavreysen

29.10.2021
4 min
Salva

Ricordate quando incontrando gli atleti della Bmx nel velodromo di Montichiari e parlando con il loro tecnico Tommasi Lupi venne fuori che in Olanda da quel tipo di base venivano fuori i velocisti su pista? Bene, la conferma è venuta ai recenti mondiali di Roubaix, dove Harrie Lavreysen si è portato a casa tra medaglie d’oro che si sono aggiunte alle due di Tokyo. Impressionando per la guida, l’esplosività e la struttura fisica.

La rivalità fra Lavreysen e Hoogland è uno stimolo per entrambi
La rivalità fra Lavreysen e Hoogland è uno stimolo per entrambi

Star della Bmx

Prima di indossare il body da pista e il casco aerodinamico, infatti, l’olandese di 24 anni si è fatto un nome proprio nella BMX. Tre volte campione europeo juniores tra il 2011 e il 2013, il ragazzo avrebbe avuto certamente davanti una carriera luminosa, anche se praticando una disciplina soggetta a cadute, la sua condizione oscillava spesso tra alti e bassi, entrate e uscite dall’ospedale. Finché nel 2014, ci ha messo un punto.

«Ero tornato al mio miglior livello – ha raccontato – e stavo andando alla grande, ma mi sono lussato entrambe le spalle».

Pare che siano stati gli stessi medici che lo sistemavano da anni a suggerirgli di cambiare sport. E così Harrie ha scelto di allenarsi sulla pista di Papendal, nel centro del Paese.

«E’ stato molto strano passare da professionista della BMX a dilettante su pista – ha raccontato – non sapevo cosa stavo facendo e mi sentivo ridicolo».

Innesco rapido

Eppure, a conferma del fatto che i due percorsi possono essere complementari, i frutti del cambiamento si sono iniziati a vedere quasi subito. Nel 2015, il ragazzo alto 1,81 e arrivato a 92 chili di peso forma, ha vinto subito il campionato nazionale di velocità a squadre. Il primo oro internazionale è arrivato tre anni dopo e da quel momento ha dato il via a un dominio incontrastato nelle discipline veloci.

Detentore del titolo mondiale di velocità a squadre dal 2018, Harrie si è distinto anche individualmente: nella velocità (2019, 2020, 2021) e nel keirin (2020, 2021). A Tokyo, l’olandese ha sfiorato una nuova tripletta, fallendo nel keirin (bronzo), sorpreso da Jason Kenny.

A Roubaix nella velocità ha battuto il compagno di nazionale Hoogland
A Roubaix nella velocità ha battuto il compagno di nazionale Hoogland

Rivalità da fare invidia

Lavreysen non è da solo. Ogni volta, succede infatti la stessa cosa. I due compagni nella squadra olandese di velocità a squadre, Jeffrey Hoogland e Harrie Lavreysen, diventano avversari all’ultimo respiro quando si tratta di eventi individuali. E se al traguardo uno dei due non è primo, ci sono buone probabilità che l’oro sia al collo dell’altro.

Come a Roubaix, dove Lavreysen, vincitore di keirin e velocità, ha avuto ogni volta dietro di sé il compagno più esperto. Ma questa rivalità non è malsana. I due olandesi condividono sempre la stessa stanza d’albergo prima delle grandi gare, si divertono, guardano film insieme e si tirano su.

«Mi alleno con il migliore al mondo – ha spiegato Hoogland prima delle Olimpadi – penso che ogni corridore sarebbe invidioso».

Un duro lavoratore

Quando Lavreysen non è in bicicletta, è in sala pesi e viceversa. Dedicato ormai totalmente alla pista, il sei volte campione del mondo è alla continua ricerca della forza. Nel 2015, infortunato, ha inviato un messaggio molto evocativo al suo preparatore atletico, Christian Bosse.

«Mi sono operato ieri – gli ha scritto – domani lascerò l’ospedale e al massimo entro due giorni voglio allenarmi. Non posso usare le braccia, puoi farmi ugualmente un programma?».

Oltre alle sessioni fisiche, Harrie Lavreysen trascorre lunghe ore davanti allo schermo, analizzando le sue prestazioni e quelle dei suoi futuri avversari. 

«Mi piace anche conoscere le caratteristiche della pista su cui correrò – ha spiegato – curo tutti i dettagli prima di andare da qualsiasi parte».

Per Ivan Quaranta, che a quanto si dice avrà in carico il settore velocità sotto l’occhio di Marco Villa, il riferimento è impressionante, ma in qualche modo l’iter dalla BMX alla pista potrebbe indicare la strada per arrivare a qualcosa di concreto in attesa che crescano dalla base dei giovani talenti. In Olanda l’hanno capito da anni, qui dobbiamo rimboccarci tutti le maniche.