«Quando diventi professionista, è un punto di partenza, è come se tutti partissero alla pari, devi semplicemente metterti alla prova e capire dove puoi arrivare. E io sono stupito di dove sono arrivato». In queste parole è racchiusa l’essenza della carriera di Greg Van Avermaet, che alla Parigi-Tours ha chiuso la carriera durata 16 anni e contraddistinta da 42 vittorie. Alcune di peso specifico enorme, come l’oro olimpico di Rio 2016 che gli ha ritagliato un posto fra i grandi del ciclismo belga. Per questo il suo ritiro non poteva passare inosservato.
«Quando ho iniziato – racconta – ero uno dei tanti. Avevo ambizioni, certo, volevo incidere, chi non lo vuole? Pian piano ho sentito che in certe gare come le classiche mi sentivo di essere migliore di tanti. Ma non avrei mai pensato di arrivare in cima, al numero 1 del ranking. Eppure è successo».
Un portiere mancato
D’altronde non potrebbe essere altrimenti, considerando le sue origini sportive. Da ragazzino, Greg non sognava di essere un ciclista, lui che pure veniva dalle Fiandre, che aveva avuto un nonno corridore professionista e un padre buon dilettante. Lui non guardava a Merckx o De Vlaeminck, Museeuw o Boonen, i suoi idoli erano Pfaff e Preud’homme. Greg voleva fare il calciatore o meglio il portiere. Era arrivato proprio alle soglie del grande calcio, a 17 anni militava nel Beveren, squadra di prima divisione belga avversaria tante volte dei nostri club nelle Coppe. Quel sogno s’infranse un giorno, con un grave infortunio. La riabilitazione passò per la bicicletta e Greg scoprì che nella sua vita era pronto un piano B.
«Quando ho iniziato – ricorda – c’era gente come Armstrong, Hincapie, Museeuw, Cancellara. E’ stato meraviglioso misurarsi con loro e crescere attraverso di loro».
Uno in particolare è stato il suo mentore, quasi senza saperlo: «Per me Hincapie era un’ispirazione, aveva un’atmosfera particolare intorno a sé e tanti anni dopo ho capito che io lo ero diventato per gli altri. Era bello vedere ragazzi come Florian Vermeesch venire in corsa vicino a me a chiedere consigli. Anche questo significa aver fatto la propria parte».
Il ritratto… ripetuto
Sedici anni di carriera sono contraddistinti da tanti episodi. Ma per descrivere l’uomo oltre il campione, può bastarne uno, quasi avulso dalle corse, dalle vittorie e sconfitte. Lo raccontava James Startt, fotografo americano alla rivista Velo Outside.
«Ogni anno Greg ha preso parte alla trasferta canadese – ha detto – per preparare al meglio i mondiali. Alloggiava sempre allo Chateau Frontenac, storico hotel nel cuore di Quebec City. Nel 2018, dopo l’allenamento, gli dissi che avevo trovato un angolo nella reception molto particolare, con una sedia del XVIII secolo circondata da dipinti storici con cornici in foglia d’oro, dove fare un ritratto, lui vestito da ciclista in un contesto completamente diverso.
«Lui, con la divisa BMC, assunse pose che mi piacevano molto per il contrasto che esprimevano e al contempo per quel che dicevano del personaggio. Quand’era tutto fatto, mi arrivò un messaggio dall’addetto stampa: le foto non si potevano usare, non aveva usato le scarpe da ginnastica del team perché aveva fastidi a un piede. Entrai nel panico, la foto era già stata spedita, ma a risolvere le mie difficoltà e i miei timori intervenne lo stesso Greg, disposto a rivestirsi di tutto punto e rifare tutto. Provate a chiedere oggi la stessa cosa…».
Talento e buon fiuto
Van Avermaet può essere considerato l’esempio di come si possa arrivare lontano attraverso due ingredienti specifici: talento e un buon fiuto, che ti consentono di stravolgere anche quelle regole che sembravano scritte. La sua vittoria più grande è figlia di questa regola, il titolo olimpico di Rio 2016: non era una gara per lui, alla vigilia nessuno avrebbe scommesso sulle sue possibilità, lui splendido passista in una gara che sembrava disegnata apposta per chi sapeva andare in salita.
La corsa si era messa esattamente come si prevedeva. Anzi, il suo epilogo sembrava segnato quando Vincenzo Nibali lanciò l’attacco in compagnia del colombiano Henao. In discesa lo Squalo stava costruendo il suo capolavoro, ma una malefica curva lo tradì. Van Avermaet era dietro, ma era sopravvissuto, fra crisi e cadute altrui, fino ad approdare alla gloria eterna.
La maledizione del Fiandre
La sua è stata una carriera di vittorie e fallimenti, anche nei suoi due anni più ricchi: il biennio 2016-17. Nel 2016 era partito fortissimo con le vittorie all’Omloop Het Nieuwsblad e alla Tirreno-Adriatico, era stato 5° alla Sanremo e prometteva sconquassi alle classiche, ma una rovinosa caduta al Fiandre gli costò la frattura della clavicola. Sembrava che la stagione fosse ormai persa, invece risorse dalle sue ceneri approdando alla vestizione della maglia gialla al Tour e all’apoteosi di Rio. Nel 2017 la caduta sull’Oude Kwaremont al Fiandre, quando davanti Gilbert era ancora raggiungibile: quel giorno la classica che più amava sfuggì ancora una volta, la definitiva. Ma sette giorni dopo, Greg sbaragliò la concorrenza a Roubaix.
La carriera di Van Avermaet ha sempre avuto in Sagan un punto di riferimento, il suo contraltare ed è curioso che i loro ritiri siano avvenuti a una settimana di distanza, quasi un segno del cambio generazionale. Due personaggi molto diversi fra loro, caratteri opposti. Molti rivedono nella loro rivalità quella attuale fra Van Der Poel e Van Aert, dimenticando probabilmente che quest’ultima non è però scaturita dal ciclismo su strada, ma è figlia di un processo più lungo e passato attraverso il ciclocross.
Fermarsi in tempo
Van Avermaet, nel suo passo d’addio, ha rivolto un particolare pensiero al suo rivale slovacco: «Peter ha vinto molto più di me, ma quand’eravamo sul mio terreno ho potuto batterlo alcune volte e questo rende le cose più belle. Lo rispetto molto, ha reso la mia carriera ancor più bella».
Probabilmente “Golden Greg”, come viene chiamato da quel giorno di Rio, avrebbe potuto ancora continuare, ma del suo ritiro si sapeva già dalla primavera.
«Io mi diverto ancora, mi piace pedalare – ha raccontato – ma sento che quel livello, quello del ciclismo di oggi, non mi appartiene più. Le classiche non sono state un granché, così ho deciso che poteva bastare, mi scadeva il contratto con l’AG2R Citroen Team e non mi sono neanche messo a cercarne un altro. E’ meglio fermarsi quando ancora si esprime qualcosa. Io sono ancora preparato, ma non ho più lo scatto di prima e così anche una top 10 diventa proibitiva. Allora mi chiedo, a cosa servirebbe? Sono contento di quel che ho fatto».