E dal bus della UAE Emirates spunta Borselli…

20.03.2025
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All’improvviso ce lo siamo ritrovati davanti, come mille altre volte, ma stavolta nel bus “sbagliato”. Federico Borselli, infatti, non era al pullman della XSD-Astana, ma in quello della UAE Emirates. Un cambio di casacca che ha sorpreso molti, non solo gli addetti ai lavori, ma anche i tifosi più accaniti. Niente più maglietta turchese, ma bianca (in apertura foto Fizza).

Dopo tre lustri, tante vittorie, sfide e campioni, l’autista toscano è passato alla corte di Tadej Pogacar. Un riconoscimento per Borselli, persona dall’animo buono, gentile e dall’esperienza ancora più grande. Ma è chiaro che questo passaggio porta con sé una storia. Cosa lascia all’Astana? E cosa trova alla UAE Emirates? Sentiamo cosa ci racconta…

Con Gil e Tosello, Borselli era l’anima più esperta del gruppo Astana
Con Gil e Tosello, Borselli era l’anima più esperta del gruppo Astana
Federico, insomma ci hai fatto questa sorpresa…

Sì, avevo bisogno di cambiare, ma non perché non mi trovassi più bene. Mentalmente sentivo il bisogno di nuovi stimoli e di cambiare aria. E’ vero che in Astana alcune cose sono cambiate, come tutti sanno, e alcune di queste non mi piacevano più. Vinokourov ha fatto le sue scelte e io lo ringrazierò sempre per quello che ha fatto per me. Dopo 15 anni non posso che essere grato: abbiamo vinto tanto e siamo stati benissimo. Ora è il momento di provare questa nuova avventura.

Cosa ci puoi dire di quelle cose che non ti piacevano? Magari una te la imbocchiamo noi: non c’è più “Martino”, Giuseppe Martinelli, che era un punto di riferimento…

Sì, una è anche quella: non c’è più Martino, non c’è più sua figlia Francesca. Negli anni è arrivato un tecnico nuovo, che a me non piace per niente, che ha un po’ destabilizzato il gruppo, ma va bene così… Sono scelte che ha fatto Vino e io gliel’ho detto apertamente, senza problemi. Con lui ho sempre avuto un bellissimo rapporto e non ho nulla contro di lui. Anzi…

Hai accennato di ricordi: che cosa è stata per te l’Astana? Quindici anni non sono pochi.

L’Astana è stata una seconda famiglia. Lo dico tranquillamente: nel 2011 ho avuto un problema di salute, sono stato operato per un tumore e nel 2012 ho fatto la chemioterapia. Loro mi hanno supportato tantissimo. Vinokourov voleva che restassi a casa, ma io sono andato comunque alle corse, anche al Tour. Il giorno di riposo tornavo a casa per la chemioterapia e ripartivo quello successivo. Questo mi ha aiutato tantissimo a superare quel periodo difficile, anche per questo resto legato a Vino.

E avete vinto moltissimo…

Eravamo la più grande squadra. Abbiamo vinto di tutto con Fuglsang, Nibali, i fratelli Izaguirre, Sanchez, Aru. Ho davvero dei ricordi bellissimi: dal Tour a tutte le classiche vinte. Sono cose che non dimentichi e ti rimarranno sempre dentro.

La mitica targa di Scarponi che Borselli aveva sul suo bus. Ora è casa sua nel Mugello
La mitica targa di Scarponi che Borselli aveva sul suo bus. Ora è casa sua nel Mugello
Quando arrivavi col tuo pullman e magari avevate la maglia rosa o gialla, come ci si sentiva di fronte agli altri colleghi nel parcheggio delle corse?

Ti dava e ti dà un morale incredibile. Non senti la fatica, non senti niente, sei al settimo cielo. E sono emozioni e sensazioni che ti restano addosso e che ancora provo. Amo questo mestiere. Mestiere che ho iniziato grazie a Bruno Vicino negli anni ’90 e a Franco Gini.

E poi c’è quel cartello che ormai ti aveva identificato: il cartello della crono di Michele Scarponi. Sappiamo che te lo sei portato via.

Esatto, è a casa con me. Quello è qualcosa di speciale. Ho tantissimi ricordi belli e tre brutti che mi hanno segnato, tre perdite toste. La morte del povero Alessio Galletti, ragazzo speciale. Michele Scarponi e Umberto Inselvini. Sono cose che ti restano dentro. Ho vissuto momenti bellissimi, come con Franco Ballerini, con cui siamo cresciuti insieme. Lui mi vedeva fare motocross e diceva che ero matto. Io gli rispondevo che lui scendeva a 70 all’ora senza casco. Sono aneddoti che mi porto dentro e che nessuno mi potrà togliere. Ho vinto sette Grandi Giri, partendo da Gotti fino ad arrivare a Simoni, Cunego, Nibali, Aru. Sono passati 30 anni in un attimo: questa è la mia trentunesima stagione e nemmeno me ne sono accorto.

E si vede anche dalla stima che i tuoi colleghi di riservano. Ma giriamo pagina, Federico: torni a guidare il bus della squadra numero uno, come fu l’Astana un tempo. Come sei arrivato alla UAE?

E’ successo per caso. Ho aiutato tanti giovani autisti a crescere e ora questi ragazzi sono più tecnologici, parlano inglese. Senza l’inglese oggi sei perso. Tramite uno di loro, durante la scorsa campagna del Nord, in Belgio ho parlato con Andrea Agostini e lui mi ha detto che stavano cercando un autista bravo. Luigi Saronni ha subito fatto il mio nome, ma Agostini pensava che non sarei mai andato via dall’Astana. Luigi gli ha detto di provarci. Così mi hanno contattato, abbiamo parlato ed è nato tutto. Solo una cosa ho detto ad Agostini: «Cercate uno che parla inglese o che sappia fare il suo mestiere?». Lui mi ha risposto: «Uno che sappia fare il mestiere». In pochi giorni abbiamo fatto tutto. Nessuno pensava che lasciassi l’Astana, ma sentivo che era il momento giusto per un nuovo inizio.

I primi successi con la UAE Emirates… Federico è sulla destra
I primi successi con la UAE Emirates… Federico è sulla destra
Ma effettivamente è stata una sorpresona pure per noi. Dire Astana era un po’ come dire Borselli. Almeno nei parcheggi delle corse!

Grazie! In effetti sentivo la squadra mia. A parte l’ultimo anno e mezzo, ma lottavo perché tutto funzionasse bene, come fanno tanti altri colleghi in Astana. Ma ora è un nuovo capitolo.

E adesso che ambiente hai trovato? Quanto è diverso?

L’organizzazione è completamente diversa. A livello economico in UAE Emirates non ci sono problemi e sono tre scalini avanti. Le mansioni per me sono le stesse: pullman, caricare le radio, trovare le strade, coordinarmi con i direttori sportivi e guidare al meglio fra gli hotel e le corse. In Astana era Martinelli che gestiva tutto, qui invece ogni direttore ha il suo settore specifico. Ognuno ha una sua mansione e sai che per quella cosa X, devi chiedere al tizio X.

Che impressione ti ha fatto Pogacar? E’ molto più star rispetto alle star che avevi dieci anni fa considerando anche l’era dei social?

I primi dieci giorni sono stati difficili, avevo paura di sbagliare. Pullman nuovo, abitudini diverse. Ma mi hanno aiutato tantissimo e mi hanno fatto sentire a mio agio. Pogacar è tranquillissimo. Certo, alle partenze e agli arrivi c’è il mondo attorno a lui, ma l’ho sempre protetto come ho fatto con i leader del passato.

Alla Strade Bianche ti aspettavi quella calca davanti al bus?

Me l’avevano detto, ma non immaginavo così tanta gente. Mi ha ricordato i tempi di Cipollini alla Saeco e del camper della Mercatone Uno con Pantani. Quella fu un’era incredibile.

Quanti campioni per Borselli. Ora eccolo con il numero uno
Quanti campioni per Borselli. Ora eccolo con il numero uno
Chi ti aveva avvertito della calca alla Strade Bianche?

Me lo avevano detto Gianetti e Matxin, ma anche Luigi Saronni. Ora mi aspetto ancora più gente nelle prossime gare.

Alla fine sei nel bus più atteso e Pogacar è un’icona importante per il ciclismo…

Sì, Tadej è un’iniezione di spettacolo e fiducia per il ciclismo. Speriamo che anche in Italia si riesca a crescere un talento così, ma servono più strutture e mentalità.

Alla UAE conoscevi già qualcuno?

Sì, se parliamo di ex corridori dico: Baldato, Marzano e Mori. Con Mori ho un rapporto particolare, lo vedevo da piccolo crescere. Lui è entrato in Lampre quando io sono andato via, ma lo conosco da sempre.

Quest’anno che calendario farai?

Farò il Giro d’Italia, le classiche delle Ardenne, il Giro di Svizzera… E oggi parto per la Milano-Sanremo, pronto per un’altra avventura!

Se questo pullman potesse parlare, sai quante ne racconterebbe?

23.07.2024
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NIZZA (Francia) – Se questo pullman potesse parlare, sai quante ne racconterebbe? Il porto di Nizza accoglie la partenza della penultima tappa del Tour, quella che arriverà al Col de la Couillole. Nei clan degli scalatori c’è apprensione, in casa Astana Qazaqstan Team l’unica preoccupazione è quella di portare Cavendish all’arrivo anche oggi, perché domani (domenica) possa raccogliere il meritato applauso sul suo ultimo podio.

Dopo giorni di mascherine e mille attenzioni, questa volta c’è tutto il mondo. La gente si accalca come accadde a Firenze e più di un corridore è costretto a mettere piede a terra, andando e tornando dalla firma, per non cadere. Ma tutto sommato, chi l’ha detto che questo pullman non possa parlare?

Il progetto ha coinvolto tutta la squadra, che da cacciatrice di maglie, ha puntato tutto sul velocista
Il progetto ha coinvolto tutta la squadra, che da cacciatrice di maglie, ha puntato tutto sul velocista

A caccia del record

Il grosso mezzo celeste, un MAN Lion’s Coach, ha la voce di Federico Borselli, che lo guida e se ne prende cura da quando questa squadra è nata ed ha accolto l’anima italiana con Martinelli. Una sorta di filo che la tiene legata alla Saeco di Cipollini e Cunego e che ha poi visto passare Vincenzo Nibali e Fabio Aru. C’è stato a lungo anche Michele Scarponi, il cui nome viaggia sulla prua e apre la strada ai suoi fratelli. Ci sono stati anni in cui l’Astana è stata la squadra delle grandi corse a tappe. Dal 2013 al 2016 portò a casa infatti due Giri, un Tour e una Vuelta. Poi sono arrivati i nuovi giganti, il budget si è ristretto e i Giri sono diventati appannaggio di altri. E così quest’anno al Tour sono venuti per quell’unica vittoria che ha dato un senso al suo ultimo scorcio di carriera e alla loro spedizione.

«Quando porti una squadra di scalatori e lotti per vincere dei Grandi Giri – spiega il toscano, angelo custode del pullman e dei suoi racconti – sei tutti i giorni a lottare per tenere le posizioni, non perdere terreno, attaccare. Quando hai un velocista, ci sono giorni ad altissima tensione e altri in cui cerchi il modo per arrivare ugualmente al traguardo. Lottare tutti i giorni dà un altro morale, però quando si vince, la soddisfazione è uguale. Cavendish che ha vinto la 35ª tappa del Tour è stata una cosa bellissima…».

Con Gil e Tosello, Borselli è l’anima più esperta dell’Astana
Eppure era cominciato male, questo Tour. Il primo giorno si rischiava che Mark andasse a casa…

La prima settimana è stata dura, poi piano piano le cose si sono un po’ riequilibrate. I corridori hanno preso i loro ritmi e ci siamo risistemati.

Cosa si capisce portandoli avanti e indietro ogni giorno?

Riesci a capire il corridore. Come sta, il morale che ha. Lo vedi subito la mattina, quando arriva il bus. Ad esempio Mark è passato dalle tensioni del primo giorno a quell’atmosfera magica del giorno che ha vinto. C’era quella tensione buona, si percepiva che fossimo tutti lì per raggiungere questo risultato molto importante. Non so come spiegare, si sentiva che stesse per succedere qualcosa di importante.

Come ci sta Cavendish sul pullman che è stato di così grandi scalatori?

Essendo un anglosassone, è più chiuso rispetto a un Cipollini, un Simoni oppure Cunego, Scarponi e Nibali. Però alla fine è uno di noi. Uno che sta al gioco, è simpatico. Ride e scherza anche lui. E poi si è visto che dopo la vittoria è cambiato totalmente.

Raggiunta quota 35, Mark Cavendish ha mollato finalmente la tensione e festeggiato anche con la famiglia
Raggiunta quota 35, Mark Cavendish ha mollato finalmente la tensione e festeggiato anche con la famiglia
Ogni giorno una lotta per raggiungere il traguardo: come lo vedevi quando arrivava dopo le tappe?

Ha avuto una grinta incredibile, perché arrivare fino qui a Nizza per lui non è stato facile. In questi giorni che stavano nel tempo massimo per pochi minuti, quando salivano sul pullman erano davvero finiti. Però dopo un’ora il corridore, l’atleta professionista recupera e torna nella normalità. Lui ha fatto fatica, ma ce l’ha fatta anche grazie agli altri ragazzi che gli sono stati vicini.

Ti ha mai chiesto perché ci sia quel grosso cartello col nome di Scarponi?

No, credo per discrezione. Però sa il motivo per cui c’è, in gruppo penso lo sappiano tutti.

P.S. Finito il Tour, mentre la squadra si è concessa la meritatissima festa, Borselli si è rimesso al volante ed è ripartito alla volta di Calenzano. C’erano dei lavori da fare sul pullman, che dopo un Tour mostra i suoi cedimenti. E visto che il programma di Federico prevede la ripartenza per Vuelta Burgos, San Sebastian, Circuit de Getxo e poi la Vuelta Espana, bisogna che il mezzo sia a posto. Non esserci gli è dispiaciuto, ma per essere dei grandi professionisti bisogna saper individuare le priorità. E questa era superiore.

Federico Borselli

Gli aneddoti del bus. Borselli ricorda…

26.11.2020
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Quando si pensa ad un Giro d’Italia, ad una corsa o a un training camp si pensa quasi sempre solo ai corridori. Ma i personaggi che fanno parte del circus per metterli “in pista” sono tanti. Massaggiatori, medici, cuochi, ds… Uno di loro è Federico Borselli, storico autista del bus Astana, un toscanaccio Doc, dal sorriso sempre sul volto. Uno di quelli che ti ispira fiducia anche se non lo conosci.

Questo mestiere gli è capitato quasi per caso. Iniziò con la squadra di Franco Gini, la Mercatone Uno Medeghini. A fare il suo nome al compianto tecnico toscano fu un suo amico e ds, Bruno Vicino.

«Non è che vi serve un autista – racconta Borselli – chiesi a Bruno mentre eravamo in Mtb. Accadde che l’autista di Gini s’infortunò, Franco mi chiamò e così tutto ebbe inizio».

Sui suoi bus ne sono passati di campioni. Cipollini, Gotti, Bartoli, Cunego, Casagrande… fino ai più recenti Nibali, Aru e Fuglsang.

«Con tutti loro sono andato sempre d’accordo. La mia fortuna credo sia dovuta anche al mio carattere. Tutti mi hanno dato grandi soddisfazioni, ma se proprio devo scegliere allora dico Cipollini, Simoni e Nibali».

Federico Borselli
Federico Borselli con Mario Cipollini alla Saeco
Federico Borselli
Federico Borselli con Mario Cipollini alla Saeco

Cipollini in Irlanda

«Nel 1998 il Tour parte dall’Irlanda. Cipollini cade e sta arrivando al bus tutto sbucciato, praticamente era nudo. Una folla immensa con tanti ragazzini gli corre incontro. Io sono al suo fianco. Mario spaventato per istinto tira su la bici e io altrettanto per istinto faccio per prendergliela. Lui si volta e mi dice secco: non farlo mai più. Al che replico: Mario, vai sul bus. Passarono due giorni di silenzio. Al terzo giorno mi venne vicino e mi fece: allora Fede come va? Io bene e tu? Ci chiarimmo. Lui mi disse che non se lo aspettava e io gli dissi che volevo proteggerlo. Se poco poco avesse colpito un bambino con la bici sai che caos sarebbe scoppiato?

«Un altro momento con Mario che ricordo fu pochi giorni prima del mondiale di Zolder. Eravamo nello spiazzo dell’hotel, sapete quello di Piva su in Belgio. Una mattina prima di un allenamento scende, mi guarda e fa: quest’anno il mondiale lo vinco io. Mi colpì la sua sicurezza, la determinazione con cui lo disse. Una sicurezza che poi trasmetteva anche anche ai compagni e allo staff. E infatti andò tutto secondo programma. In riunione disse fermamente: voi lavorate tutti per me, io mi prendo tutte le responsabilità

«Mario era così: con lui non esisteva né A né C. Se aveva detto B, quello doveva essere. Punto. Però sapeva riconoscere il tuo lavoro. Lui come altri».

Eh sì perché chi guida il bus non fa solo quello. Deve aiutare i meccanici, sistemare il frigo secondo le esigenze dei singoli atleti, pensare alla manutenzione dei mezzi…

Simoni e… la pipì

«Ah Gibo ce l’ho nel cuore. E’ come un fratello. Tu potevi fare mille gare con lui, ma poi arrivavi a 10 giorni dal Giro e cambiava. All’improvviso diventava concentrato, come un cavallo coi paraocchi. C’era solo il Giro. Alla prima tappa si presentava sempre con due valigie: una per i vestiti e una con tutti i pezzi per la bici. Un maniaco. Lì dentro c’erano: guaine superleggere, attacchi manubrio fatti appositamente per lui, viti in titanio… Se gli spostavi qualcosa di un millimetro se ne accorgeva. Oggi la bici non va bene, ti diceva. Era peggio di Cipollini! Erano terribili in tal senso».

Però con Simoni i ricordi sono anche più tristi. Come quella volta che lo squalificarono dal Giro d’Italia e Borselli dovette riportarlo via dalla partenza di Campobasso. Era il 2002.

«Se avesse avuto un carattere meno burbero ne avrebbe vinti cinque di Giri. Magari non lo avrebbero squalificato, né altre squadre ci avrebbero corso contro, quando lo perse per 28” da Savoldelli. La mattina della squalifica stavamo scendendo verso l’Adriatico. Volle venire con me. Dietro di noi ci saranno state 100 macchine, quasi tutti giornalisti. Mi chiede, allora: ma ci stanno seguendo? Io gli risposi di sì. Mi disse: facciamo una cosa, accosta, scendo e faccio finta di fare la pipì. E così quando mi fermai in una piazzola tutti vennero lì e restarono meravigliati. Non se l’aspettavano. Però arrivati in hotel fu triste. Lo vennero a prendere per riportarlo a casa e io piansi».

Borselli
Borselli (con la maglia autografata dagli azzurri di Zolder) e Ballerini
Federico Borselli
Borselli (con la maglia autografata dagli azzurri di Zolder) e Ballerini

A Nibali niente coppa!

«Che periodo quello. In quell’Astana c’era un gruppo unico e con tanti di quei campioni… Vincenzo è una persona bellissima. Mai una parola fuori posto, sempre posato anche quando le cose non andavano bene. Con lui si rideva e si scherzava sempre e poi quando arrivava Scarponi, ancora peggio. L’anno del suo secondo Giro fui l’unico a dirgli: Vincenzo credici. Vincenzo il Giro non è chiuso. Il dottor Magni può testimoniare. E Nibali mi rispondeva: eh tu la fai facile, ho 5′ di ritardo. E insistevo: oh le gambe come fanno male a te, fanno male anche agli altri. Dai tutto e via…

«Ero con lui sul podio di Torino e quando scendemmo gli dissi: questo, il Trofeo Senza Fine, lo prendo io. Ma che dici? Mi rispose spiazzato. Sì, sì, viene via con me. Me lo portai persino a letto. Organizzai una cena con degli amici con questo trofeo a tavola, lo feci vedere a dei ragazzini… Quattro giorni dopo, mentre dalla Svizzera viaggiava verso casa dei suoceri, Nibali mi chiamò, uscì dall’autostrada a Barberino del Mugello e gli restituii la sua coppa. Fu molto carino a permettere tutto ciò».

Borselli
La targa di Scarponi, sempre presente sul bus dell’Astana
borselli
La targa di Scarponi, sempre presente sul bus dell’Astana

Scarponi nel cuore

Federico è stato autista della nazionale per quattro anni, ha visto campioni, sul bus si è ritrovato vip e vallette, amici, ha portato persino 35 persone tutte insieme ad una festa organizzata da Cannondale, ma quando poi gli parli di Michele Scarponi senti quasi che gli si rompe la voce dalla commozione. E’ lui che mette la targa della crono con su il nome Scarponi davanti al parabrezza del bus.

«Ho perso i miei genitori: beh Michele è molto vicino a loro. Manca a me e a tutto l’ambiente. Gli volevano bene tutti. Il suo posto era nel sedile alla mia destra. Si sedeva e mi diceva: allora Fede, come stanno i morti? Riferendosi ai corridori. E lui come lo vedi? Riferendosi a Nibali. Allora io che stavo al gioco ribattevo: eh, mica tanto bene. Allora – ribatteva – mi sa che dovrò stargli vicino pure oggi. E così ogni volta a scherzare…

«Anche con lui fu indimenticabile il Giro del 2016. Ricordate che si era fermato verso Sant’Anna di Vinadio per aiutare Vincenzo? La mattina dopo il ribaltone gli chiesi davanti a Nibali: scusa Michele ma sei partito prima ieri? E lui: sai com’è con questi corridori… mi sono fermato a fare merenda, li ho aspettati e sono ripartito. Io avevo assistito alla riunione e sapevo come avrebbero dovuto correre. Quel giorno prima di andare in partenza Scarpa mi fa: oggi li faccio dannare, ci si diverte!».